Plinio il Vecchio

 

 

 

  

 

Gaio Plinio Secondo, detto "il Vecchio"

(Como, 23-24 d.C – Stabile, odierna Castellammare, 79 d.C.).

Vita.

P. apparteneva all'ordine equestre romano e comandò a lungo uno squadrone di cavalleria sul Reno. Vero modello di funzionario imperiale, ricoprì anche importanti incarichi amministrativi durante i regni di vari imperatori (Vespasiano e Tito). Prefetto, infine, della flotta di Capo Miseno durante il regno di Tito, egli esercitava ancora questo comando quando trovò la morte, inghiottito dall'eruzione del Vesuvio che seppellì le città campane nel 79 d.C. . Una buona parte delle nostre informazioni su di lui - sulla vita, sul catalogo delle opere, sul suo metodo di lavoro - ci provengono dalla corrispondenza di suo nipote e figlio adottivo, Plinio "il Giovane".

 

Opere e considerazioni.

P. fu autore, come ci testimonia il nipote nel suo elenco, di saggi storici molto stimati, di cui però purtroppo nulla possediamo: 20 libri su "Le guerre di Germania" (ispirati alle sue campagne), e 31 "Dalla fine di Aufidio Basso", che riprendevano il filo degli eventi dal punto in cui si era fermata (gli ultimi anni dell'impero di Tiberio) l'opera dello storico A. Basso, egli stesso continuatore di Tito Livio. Questi libri di P. furono una delle fonti di Tacito. Dovrebbe, infine, aver scritto anche un "Dubius sermo", ovvero un manuale su problemi linguistici.

Tuttavia, per noi, P. è soprattutto un "enciclopedista", le cui straordinarie conoscenze si trovano compendiate nei 37 libri della sua "Naturalis historia" [vers.lat] ("Storia naturale"), vasta indagine (finita nel 77-78) su tutto ciò che esiste in natura, partendo dalla "centralità" dell'essere umano, e su argomenti che spaziano dall'arte alla medicina: una vera e propria "summa", quindi, del sapere reperibile fino a quel momento, in autori greci (soprattutto) ma anche latini.

L’opera, aperta da un’epistola dedicatoria e illustrativa rivolta al futuro imperatore Tito, inizia con una prefazione e una "bibliografia" (una vera novità, questa, nel mondo classico), e continua con la trattazione dell’astronomia e della geografia (libri II-VI), dell’uomo e degli animali (VII-IX), della botanica (XII-XIX), della medicina (XX-XXXII), della metallurgia e mineralogia, con ampi excursus sulla storia dell’arte, con particolare riguardo per la scultura e la pittura (XXXIII-XXXVII).

P. si colloca sulla linea di Varrone, ma senza l'ampiezza analitica di quest'ultimo. In realtà, il suo è un interesse che non si può definire propriamente "scientifico" (non si preoccupa, ad es., di sottoporre le notizie ad un'adeguata e rigorosa verifica, né sente l'esigenza di proporre un lavoro originale e metodologicamente impostato): egli è piuttosto un avido collezionista, mosso da una forte curiosità "compilatoria", che appunto uno scienziato o un pensatore. Le sue stesse idee filosofiche e religiose, impregnate di stoicismo, non superano i luoghi comuni abituali del suo tempo, e anzi proprio la mentalità enciclopedica è per lui un accomodante eclettismo.

Comunque, mescolando esperienze personali e testimonianze di fonti antiche in uno stile manierato e talvolta tortuoso (ma giustificato dalla mole e dall’intento divulgativo dell’opera), P. ci dà - oltre a innumerevoli, precise e preziose notizie sulle conoscenze scientifiche e letterarie del tempo - un esempio unico del profondo umanesimo e della vastità d’interessi della cultura latina del I sec. d.C., nonché una lampante testimonianza della diffusione e dell’ascesa dei ceti "tecnici" e "professionali", con la conseguente "domanda" di cognizioni specifiche ai relativi settori.

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