Ennio

vita - opere - considerazioni

 

 

 

 

Quinto Ennio

(239 a.C. Rudiae vicino Lecce, Messapia)

 

Vita.

Tria cordia. E. nacque in una città non greca ma messapica: tutta la zona era comunque ellenizzata ed E. si vantava di possedere in definitiva "tria corda", tre cuori, per la sua conoscenza di ben tre lingue: latino, greco e osco.

Poeta-soldato. Combattè nella II guerra punica, e nel 204 a.C. era in Sardegna negli ausiliari romani, dove incontrò Catone il censore, che notò il suo spessore culturale e lo condusse a Roma, pensando forse di farne il cantore delle gesta nazionali. Giuntovi, E. entrerà in contatto con Scipione l’Africano: sarà anzi uno dei massimi esponenti del cosiddetto "circolo scipionico". La sua posizione diviene subito di grande prestigio: egli è a capo del "collegium scribarum histrionumque", quell' "associazione fondata da Andronico e che già dal 207 aveva un ruolo ufficiale nella vita religiosa e letteraria romana.

Nel 186 a.C., E. seguirà Marco Fulvio Nobiliore contro gli Etoli e assisterà alla conquista di Ambragia. L’intento era quello di narrare ed esaltare le sue imprese (usanza questa tipicamente greca)..

Nel 184 a.C. il figlio di Nobiliore, Quinto Fulvio, fondò la colonia di Pesaro e concesse ad E. delle terre e la cittadinanza. Con grande orgoglio, egli scriverà: "Nos summus Romani qui fumus ante Rudini". Nell'ultima parte della sua vita, infine, si dedicò completamente alla fatica degli "Annales". Morì, pare, di gotta, dopo aver sopportato serenamente la povertà e la vecchiaia.

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Opere: titoli e contenuti.

Opere minori. Delle sue opere "minori", ricordiamo:

- tragedie ci rimangono almeno 22 titoli (per soli 400 frammenti circa):

tra queste, il ciclo troiano comprendeva i seguenti titoli: Achilles, Aiax, Alexander (era il soprannome dato a Paride fra i pastori), Hectoris lytra ("Il riscatto di Ettore"), Iphigenia, Hecuba, Andromacha aechmalotis ("Andromaca prigioniera di guerra"), Telamo e Telephus;

aveva, inoltre, trattato leggende di origini diverse: Alcmeo, Andromeda, Athamas, Cresphontes, Erechtheus, Eumenides, Medea exul, Melanippa, Nemea, Phoenix e Thyestes, rassegna nella quale si riconoscono titoli (e senza dubbio i soggetti) ripresi da Euripide;

2 praetextae (tragedie, cioè, di ambientazione romana):

l' "Ambracia", dedicata a Fulvio Nobiliore, conquistatore dell'omonima città;

le "Sabinae", sulla nota leggenda del "ratto";

- commedie: in verità, in questo campo E. non ebbe molta fortuna, sia evidentemente perché il genere non gli era proprio congeniale, sia perché (forse più verosimilmente) doveva misurasi con l'enorme successo di Plauto; comunque ci rimangono 2 titoli (Caupuncula, "La ragazza dell'osteria" e Pancratiastes, "L'atleta del pancrazio", una disciplina ibrido tra pugilato e lotta) e un minimo numero di frammenti, tale da non consentire comunque un ponderato giudizio sulla sua produzione comica (ma invero, già gli antichi consideravano i suoi intrecci e la sua "vis comica" piuttosto mediocri);

- 3 operette di carattere filosofico, di cui ci rimane davvero molto poco:

l’ "Epicharmus", in settenari trocaici,

il "Protrèpticus", come recita il titolo, evidentemente un' "esortazione" alla filosofia o una raccolta di precetti morali, ancora in settenari trocaici,

l’ "Heuhemerus" , che tratta della relativa dottrina [per la quale, vd. oltre] in prosa;

- "Saturae", 4 libri in versi polimetri, di cui soltanto 70 conservati, probabilmente una miscellanea di filosofia e letteratura. A queste, secondo alcuni, apparterrebbe pure lo "Scipio", un "carmen" encomiastico dedicato a Scipione l’Africano, vincitore a Zama;

- alcuni epigrammi, praticamente perduti (la satira e l'epigramma sono due generi poetici che proprio Ennio deve aver introdotto comunque per primo nella letteratura latina);

- scritti di evasione:

un "Hediphagetica" (il "mangiar bene", poemetto gastronomico in esametri);

il "Sota", raccolta di facezie in metro sotadeo [dal poeta Sotade, III sec. a.C.];

Il capolavoro: gli Annales. Tuttavia, la sua opera più importante, una delle pochissime scritte in età medio-repubblicana, è un poema epico di 18 libri e di ca 30000 versi (ce ne restano solo 600 ca), gli "Annales", titolo che indubbiamente si rifà agli "Annales Maximi", ossia alle registrazioni degli eventi secondo una scansione annuale. Gli ultimi 3 libri furono aggiunti successivamente dall'autore al piano originale, che ne prevedeva "solo" 15.

Ecco, in breve, di cosa parlano i libri di cui possiamo, in base ai frammenti, ricostruire la trama: I libro: Romolo contro Remo per la fondazione di Roma; II: altri re di Roma; III: passaggio dalla monarchia alla repubblica e guerra contro Pirro; VII: un secondo proemio, con dichiarazioni di "poetica" [ma vd. oltre]; VIII: guerre puniche, contro la Macedonia, la Siria e gli Etoli.

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Considerazioni.

Tragedie e commedie. Come visto, E. compose molte sceneggiature sia drammatiche che comiche; fu, anzi, l'ultimo poeta latino a coltivare assieme commedia e tragedia. Nella produzione drammatica, in particolare, egli puntava sulla tensione stilistica dei suoi versi e sulla ricerca del "pathos". Il modello indiscusso era Euripide: la rielaborazione dei modelli classici permetteva di creare effetti di scena e di rafforzare gli elementi drammatici della rappresentazione. Un altro punto su cui E. fondava la propria forza era la partecipazione emotiva degli spettatori: le sue tragedia dovevano suscitare nel pubblico processi psicologici di forte identificazione con i personaggi.

Lo stesso rapporto con i modelli (e con quello preferito di Euripide) non è di semplice translitterazione: certo, si trovano esempi di traduzione letterale, ma accanto a questi abbondano altrettanti casi di "manipolazione", soprattutto di riduzione libera dell'originale, che egli praticò eliminando versi, pensieri, collegamenti, per sostituire come una sorta di riassunto della parte soppressa: si produsse anche nella "contaminatio", fondendo ed innestando parti e scene di tragedie diverse.

L'epica storica. E., come Nevio, coltiva anche (anzi, soprattutto) l’epica storica; la poesia che cerca di creare è cioè poesia celebrativa di gesta eroiche: si rifaceva così sia ad Omero, sia alla più recente tradizione ellenistica. Scritta dopo la vittoria che pose fine alla II guerra punica, la sua opera epica tuttavia non è più mera opera "di combattimenti", ma soprattutto di meditazione sulla grandezza e sulla missione storica di Roma (apparteneva, insomma, alla generazione successiva a quella di Livio e di Nevio).

La storia di Roma è narrata senza stacchi e in ordine cronologico, privilegiando tuttavia alcuni periodi ad altri. Particolarmente sacrificata è, in questo senso, la I guerra punica, già trattata dal suo battistrada Nevio (che, quindi, a sua differenza, s’era limitato ad esaltare - della storia di Roma - un solo episodio). Anche dal punto di vista concettuale E. non fu totalmente equilibrato: si occupò maggiormente di avvenimenti legati, come dire, alla "politica estera" che di vita politica interna. Lo stesso tono tende progressivamente ad inaridirsi (forse anche in coincidenza al mutare del clima culturale-politico, ovvero col subentrare della politica filocatoniana all'entusiasmo imperialistico ed espansionistico degli Scipioni): esso viene sempre più a corrispondere al significato prosastico del titolo, al mito e alla "mistica" ispirazione dei canti iniziali subentra la "cronaca" degli ultimi, fino a profilarsi - l'opera tutta - come una sorta di "rapsodia nazionale" [F. Della Corte].

Altra differenza con Nevio è, infine, l’utilizzo dell’esametro dattilico, che da E. in poi diverrà tipico della poesia epica. Infine, innovativa fu anche la stessa raccolta della storia in libri, concepiti come unità narrative comprese in un’architettura complessiva.

Per tutte queste ragioni, E. è spesso - a buon diritto - considerato dai romani come il vero "padre" della loro letteratura (il che non mancò di provocare l'ironia soprattutto di Ovidio). torna all'inizio

"Alter Omerus". Ci è pervenuto l’inizio del poema degli "Annales", in cui E. non fa l’invocazione alle "Camene" romane, come fece ad es. Andronico, bensì alle muse greche (e questo è già indicativo…). Seguiva all’invocazione il proemio, con un sogno (nei proemi sono enunciate, in forma programmatica, le idee di poetica del nostro autore): l’anima di Omero apparsagli appunto in sogno gli illustra la dottrina pitagorica della metempsicosi (l'autore stesso era un adepto delle dottrine pitagoriche, che restavano vitali nei dintorni di Taranto e contavano seguaci nell'aristocrazia romana), secondo cui l’anima di Omero si era incarnata prima in un pavone e successivamente in E. stesso, l’ "alter Omerus" o Omero Romano.

L'ideologia. Grazie a Cicerone ci è pervenuto poi un frammento in cui è espressa l’ideologia dell’intera opera: "Moribus antiquis res stat Romana virisque" in cui si giustifica l’espansione romana sulla base della sua "virtus". I "mores" erano i grandi uomini antichi a cui si deve la potenza romana. Pur parlando di guerra, E. non esalta tuttavia la violenza, bensì la saggezza politica e la dedizione allo stato. Nella guerra fra Roma e Cartagine, ad es., Roma corrispondeva a pace e concordia e Cartagine a discordia e violenza: per tal ragione, quest'ultima era, sin dall'inizio, destinata a soccombere.

Così, l’autore tenta di fissare negli "Annales" non solo racconti di gesta, ma anche valori, insegnamenti, esempi di comportamento e modelli culturali. La visione del mondo che viene comunicata è, comunque, il trionfo dell'ideologia aristocratica del suo tempo, quella degli Scipioni, nel segno dei suoi più alti ideali: la "magnanimità" e la gloria.

La "filosofia". Dunque, la poesia di E. è "nutrita di idee" [I. Lana] ed egli è certamente più filosofo che "teologo", insiste cioè di più sui valori strettamente umani. Due dei suoi poemi, l'"Epicharmus" e l'"Euhemerus", lo rivelano altresì occupato in speculazioni cosmogoniche e morali molto lontane dall'atteggiamento religioso tradizionale dei romani, e al contrario molto vicine al neopitagorismo proprio delle sue zone native. Nel secondo poema, in particolare, egli espone, con singolare congenialità, la dottrina di Evemero di Messina (III sec. a.C.), secondo il quale gli dèi e le dee del pantheon tradizionale altro non sono che re e principesse del tempo antico, divinizzati dopo la morte per i servizi resi all'umanità. Ciò consentiva naturalmente di esaltare maggiormente i condottieri romani, le cui imprese dominavano sempre più la storia umana (ma questa valorizzazione delle "personalità d'eccezione", tipicamente greca, doveva essere - secondo il nostro autore - opportunamente "corretta" e conciliata con la tradizione nazionale - "collettiva" - romana)

Lingua e stile. Infine, riguardo allo stile e al linguaggio, è da dire che E. è raffigurato come il primo poeta "filologo", elegante cultore della parola, l'unico capace di stare alla pari con la raffinata cultura greca. Nel già citato II proemio degli "Annales", egli - a riprova di ciò - sottolinea la sua distanza dal rozzo Nevio, che parlò di Saturno, e si autodefinisce "docti studiosus", esperto di lingua e arte (E. contesta anche Livio Andronico per l'uso dei versi saturni nella traduzione dell'Odissea: egli infatti riteneva questi versi adatti solamente alle divinità campestri).

In un passo in particolare, poi, consegnatoci da un lungo frammento, contenuto nel I libro degli "Annales", dove si racconta un sogno di Ilia (figlia di Enea e futura madre di Romolo e Remo), il nostro autore rivela anche uno stile profondamente profetico e drammatico, giocato con grande maestria..

Egli, infine, si può a buon diritto definire anche poeta "sperimentale" per l'immissione di numerosi grecismi nelle sue composizioni, nonché per l'uso abbastanza frequente e spregiudicato di pause sintattiche, allitterazioni e altre figure di suono, fin allora quasi del tutto sconosciute alla produzione letteraria latina.

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