Circa 4,5 miliardi di anni
fa, in una zona periferica della Galassia allinterno di uno dei suoi
grandi bracci a spirale, una vasta nube si gas e di polveri interstellari
cominciò a contrarsi. Con laumentare della densità e
della velocità di rotazione, la nube assunse la forma di un disco
appiattito, al centro del quale si formò un corpo così caldo
e massiccio che le reazioni nucleari al suo interno cominciarono a produrre
energia. Era nato il Sole; intorno ad esso la polvere ed i gas residui, non
potendo cadere verso il centro per via della loro rapida rotazione, si
aggregarono formando uno sciame di piccoli corpi secondari legati
gravitazionalmente al Sole e orbitanti a varie distanze da esso. Dopo un
violento processo di urti ed interazioni reciproche, sopravvissero gli attuali
pianeti, intorno ai quali il processo si ripeté su scala minore originando
i satelliti.
Questa è, molto sinteticamente, lipotesi nebulare sullorigine
del Sistema Solare formulata, nella sostanza, più di tre secoli orso
no ed accettata nelle linee generali anche dagli attuali ricercatori di
astronomia planetaria, visto che su molti punti importanti vi è ancora
incertezza. Questa idea fu proposta per la prima volta nel 1644 da Cartesio,
ripresa da Kant e sviluppata nellambito della meccanica newtoniana
da Laplace. Per due secoli questa teoria nebulare ebbe una tenace rivale
nella teoria dualistica elaborata da Buffon, secondo la quale
fu lavvicinamento di un secondo corpo al Sole a staccare materia e
a generare i pianeti; ma in effetti questa seconda teoria appare troppo lacunosa
e piena di coincidenze, cose che la scienza tende a non amare
particolarmente. I dati in nostro possesso sono estremamente scarsi, in modo
particolare perché manchiamo di dati osservativi; esistono però
dati astronomici che volgono a favore della teoria nebulare: le orbite planetarie
sono generalmente vicine ad uno stesso piano e spaziate con regolarità;
i moti di rotazione e di rivoluzione tendono ad avvenire nello stesso senso;
sulla base della loro distanza dal Sole possiamo chiaramente distinguere
i pianeti terrestri da quelli gioviani. Sono
informazioni preziose ma ancora troppo generalizzate. Una tecnica che ha
portato sostanziali modificazioni è stata quella dello studio dei
meteoriti.
Le meteoriti sono frammenti di corpi di dimensioni asteroidali, prodotti
durante collisioni catastrofiche ed immessi in orbite che hanno finito per
intersecare quella della Terra. Molte di esse sono campioni del materiale
più primordiale che esiste nel Sistema Solare, non
sottoposto ai processi termici, geologici e chimici che hanno caratterizzato
i pianeti: i minerali in esse contenuti danno indicazioni sulle condizioni
di temperatura e di pressione prevalenti nella nebulosa al momento della
loro condensazione e, qualche volta, al loro interno, sono rinchiusi minuscoli
campioni dei gas nebulari. Inoltre, i progressi sa teorici che osservativi
fatti negli ultimi anni, ci hanno portato ad aumentare le nostre conoscenze:
le osservazioni su certe nebulose in svariate parti della nostra Galassia
hanno dato conferma che levoluzione di un sistema di pianeti non sia
un caso così unico come ritenuto sino a tempo fa.
Nel 1969, in Messico, cadde una meteorite frantumatasi in numerosi frammenti.
Lanalisi successivamente condotta rivelò che si trattava di
una condrite carbonacea, il tipo più primitivo di meteoriti
che si ritiene essersi condensate 4,5 miliardi di anni fa nella nebulosa
solare e che da allora non abbia subito più sostanziali modificazioni.
Dalle analisi fatte su questa meteorite si derivò una conclusione
sorprendente: i minerali della stessa erano diversi, in quanto a composizione
isotopica, da quelli terrestri e lunari, in più cerano traccia
del decadimento di isotopi radioattivi a breve, come lalluminio-26,
la cui origine non poteva essere avvenuta che durante lesplosione di
una supernova non più di qualche milione di anni prima della condensazione
della meteorite. Questa scoperta gettò una luce nuova su un problema
che affliggeva le teorie sullorigine delle stelle, ed in particolare,
del Sistema Solare. I bracci a spirale della nostra Galassia sono infatti
ricchi di grandi nubi di gas e polveri che potrebbero fornire il materiale
per formare le stelle. In queste nubi, lauto gravitazione tende a produrre
una contrazione, generando un sistema più denso e compatto; ma alla
contrazione si oppone in genere la pressione interna del gas. Normalmente
questo secondo fattore è di gran lunga prevalente, per cui si devono
presupporre condizioni particolari perché in una nube la densità
superi il valore critico al di la del quale la gravitazione prevale e la
contrazione procede fino a formare le stelle. Queste condizioni potrebbero
essere assicurate dalla esplosione di una supernova, che con la sua immane
forza durto potrebbe comprimere il gas nebulare sino a densità
inusuali, innescandone il collasso.
Unaltra questione importante è quella della massa iniziale della
nebulosa dorigine. Un valore minimo è dato dalla massa del Sole
più quello degli altri pianeti moltiplicato per un fattore che tiene
conto dellarricchimento in elementi pesanti dei pianeti rispetto al
Sole (cioè del fatto che una parte dei gas leggeri è andata
perduta). Una scuola di pensiero ritiene che la massa iniziale fosse molto
maggiore di quella minima: poiché in primo luogo una nebulosa massiccia
è più plausibile come freno per la rotazione del
Sole, ciò permette di spiegare in modo più semplice i meccanismi
attraverso i quali fu convogliato verso lesterno invece di finire tutto
nel Sole; inoltre le osservazioni degli ultimi anni hanno mostrato che molto
spesso la formazione stellare è accompagnata da violenti ed estesi
fenomeni di espulsione materia verso lesterno. Perciò non è
irragionevole pensare che una gran parte della massa iniziale sia andata
perduta e non inglobata nei pianeti in formazione. Questa ipotesi della nebulosa
massiccia prevede la formazione dei pianeti come un processo complicato in
cui la forte turbolenza e linstabilità gravitazionale
interessò grosse bolle della regione esterna del disco.
Ebbe così luogo un processo secondario di frammentazione e collasso
di parti della nebulosa: alcuni dei proto-pianeti formati, orbitanti lontano
dal Sole, conservarono una parte significativa della originaria componente
gassosa, mentre altri, più vicini, la persero per effetti di marea
e per la vicinanza del Sole. Una seconda scuola di pensiero parte invece
dal presupposto che la massa della nebulosa fosse comparabile con quella
minima; anche in questo caso la rotazione poté venire rallentata dal
forte campo magnetico del giovane Sole. I fautori di questa teoria sostengono
che la prima avrebbe dato più facilmente esito alla nascita di un
sistema binario, inoltre, la seconda ipotesi spiega più facilmente
la nascita dei pianeti e la scienza, come si sa,cerca sempre di perseguire
le strade più evidenti e meno elucubrate.
Sinteticamente si può dire che la rapida rotazione della nebulosa
fece si che essa durante il collasso finisse per assumere una forma a disco,
fortemente appiattita nellasse polare. I gas leggeri, idrogeno ed elio,
costituivano circa il 98% della massa totale e la cosiddetta polvere
cosmica dava la piccola percentuale restante. La componente
polverosa aveva la tendenza a sedimentare verso il piano centrale della
nebulosa per via dellattrito esercitato dal gas in rotazione e dalle
collisioni tra i vari granelli: la velocità di questo processo dipende
dalle dimensioni delle particelle e quindi dalla loro capacità di
aggregarsi. Sullefficacia delle forze elettriche superficiali
nellindurre laggregazione ci sono opinioni discordanti: alcuni
ritengono che esse riuscirono a formare rapidamente corpi delle dimensioni
di un centimetro o più, che si concentrarono in un sottilissimo e
denso strato centrale poco influenzato dai gas; altri ritengono che la polvere
sedimentò senza aggregarsi. La questione è importante, in quanto
il passo successivo del processo, linstabilità gravitazionale
che formò i planetesimi (corpi di qualche km da cui si
evolsero i pianeti) dipende criticamente dal fatto che lo strato di polvere
avesse raggiunto densità almeno mille volte superiori a quelle iniziali;
ciò presuppone che le particelle fossero sufficientemente grandi da
impedire un loro rimescolamento causato dai vortici e dalle correnti di
turbolenza che agitavano il gas della nebulosa. Se le particelle solide si
concentrarono sufficientemente in prossimità del piano centrale, nello
strato di polvere le interazioni gravitazionali diventarono abbastanza intense
da provocare un fenomeno di instabilità. Lo strato comincia a separarsi
in una successione di anelli sottili (tipo Saturno), quindi gli anelli si
spezzano in una miriade di sotto condensazioni che a loro volta collassato
a causa della propria auto gravitazione. Si formano a questo modo una grande
quantità di piccoli corpi orbitanti intorno al Sole su orbite contigue,
quasi circolari e di bassissima inclinazione. Abbiamo così i
planetesimi.
La gran parte del gas dovette comunque essere espulsa, in quanto i pianeti
sono poveri degli elementi leggeri idrogeno ed elio. Ci sono inoltre molti
indizi che lespulsione del gas sia dovuta ad una fase evolutiva stellare
che è detta T Tauri, dal nome di una variabile capostipite
di oggetti del genere, fase che sembra caratterizzata da una giovane età
e da un violentissimo vento stellare. Se il giovane Sole ha attraversato
una fase T Tauri, questo può spiegare come fu ripulito
dal gas il Sistema Solare.
La massa dei pianeti da Mercurio a Marte, corrisponde a meno di 1/100 della
massa solare, per cui una frazione assai piccola della massa della nebulosa
primordiale. La loro formazione si può considerare un effetto
collaterale dei processi che si svolsero in quei momenti
perciò, per studiare la loro genesi si parte dal presupposto che essi
ci sono e si verificano quali potrebbero essere state le condizioni favorevoli
alla loro formazione.
Supponiamo di avere un disco formato da migliaia di miliardi di corpi rocciosi
delle dimensioni di qualche km in orbita intorno al Sole. Come nella fascia
degli asteroidi avevamo un gran numero di collisioni, occorrono condizioni
particolari perché queste collisioni conducano ad un processo
di accumulazione. Le velocità relative dei vari corpi non dovevano
essere troppo alte perché altrimenti i corpi si sarebbero frantumati
anziché aggregarsi a formare un corpo maggiore. Per cui la velocità
non poteva essere altro che al valore compatibile con esito
costruttivo, ossia dellordine della velocità di
fuga dei corpi maggiori presenti. Ma la velocità di fuga aumentava
con laumentare della massa dei planetesimi che si venivano via via
formando. Suddette velocità subiscono due effetti contrapposti:
calano a causa delle collisioni, ma aumentano a causa delle collisioni mancate.
Più i planetesimi sono cresciuti, più questi effetti diventano
importanti, dato che le dimensioni rendono più probabili le collisioni
e più intensi i campi gravitazionali. La velocità relativa
media che assicura lequilibrio tra i due fattori è proprio
dellordine della velocità di fuga, sicché uno sciame
di planetesimi soggetti a collisione tende automaticamente a
creare le condizione ottimali per laccumulazione planetaria. Questa
teoria lascia ancora aperti alcuni quesiti, che sono in fase di studio, ma
è largamente accettata. Come ultima considerazione si può parlare
della temperatura della Terra appena nata. Nella fase finale
dellaccrescimento, i futuri pianeti dovettero subire collisioni
particolarmente violente da parte di corpi non molto inferiori. Benché
la velocità fosse elevata, la gravità dei bersagli era sufficiente
a trattenere quasi tutti i frammenti prodotti, cosicché lenergia
cinetica veniva trasformata in calore. Il calore prodotto veniva solo in
parte restituito allo spazio, e veniva seppellito negli strati interni.
Così i futuri pianeti vennero riscaldati fino a essere parzialmente
fusi dalle collisioni, e solo dopo laccrescimento poterono formarsi
le croste solide.
Anche per i pianeti giganti la interpretazione non è semplice, ma
è plausibile applicarvi il modello descritto per i pianeti terrestri
. In questo caso il materiale solido disponibile doveva essere maggiore,
visto che la bassa temperatura favoriva la condensazione oltre che dei materiali
rocciosi come silicati e minerali di ferro-nichel, anche dei componenti
ghiacciati, intesi come metano ed ammoniaca allo stato solido.
Tutte sostanze formate da atomi di idrogeno, lelemento in assoluto
più abbondante nella nebulosa e da altri elementi relativamente
comuni come lossigeno, il carbonio e lazoto; perciò
nella zona esterna i grani che potevano formare i planetesimi erano presenti
in quantità notevolmente maggiore. Laccumulazione collisionale
formò così corpi decine di volte più massicci dei pianeti
interni ed a questo punto subentrò un fenomeno nuovo: Il
risucchio da parte dei nuclei planetari solidi appena formati
di notevole quantità di gas nebulare finirono per ripulire via via
lo spazio circostante alle loro orbite. Si spiegherebbe così la grande
massa dei pianeti gioviani e anche la loro composizione ricca di gas
leggeri, che ne fa degli oggetti di struttura intermedia fra quella
planetaria e quella solare. Giove e Saturno raggiunsero circa 1/3 della
loro massa ripulendo rapidamente lanello della nebulosa
concentrato nella loro orbita, e poi inglobarono più lentamente il
gas vicino; tale diffusione, però, potrebbe venir rallentata o bloccata
dallinterazione gravitazionale tra il pianeta in formazione e la nebulosa,
che potrebbe provocare una sorta di effetto repulsivo che si crede di avere
osservato anche negli anelli di Saturno e Urano. La formazione di Urano e
Nettuno è ancora più enigmatica di quella di Giove e Saturno.
I modelli sulla composizione dei loro interni suggeriscono un miscuglio in
proporzioni solari di una componente rocciosa con una ghiacciata, più
unatmosfera ricca di idrogeno che contribuisce alla massa totale per
il 10%. Forse unindicazione più precisa potrà venire
da eventuali prossime missioni spaziali. Uno dei pregi della teoria nebulare
sta anche nella sua bellezza, cosa a cui i ricercatori mirano
sempre, e con la quale si può spiegare la formazione di tutti i corpi
esistenti nel Sistema Solare: Anche se, nel caso dei corpi minori, si devono
fare delle differenze, se non sostanziali, almeno al riguardo delle masse
dei corpi in questione. Per esempio, labbondanza del ghiaccio dacqua
notata in molti di loro mostra che si formarono solo dopo che i rispettivi
pianeti si erano formati. La loro formazione è dovuta essere molto
rapida, altrimenti lattrito del gas avrebbe fatto precipitare i
satellitesimi sui loro pianeti. La nostra Luna poi, rappresenta
un caso ancora in discussione e oggetto di studio, in quanto sembra non rientri
in nessuna teoria attuale. Anche Plutone è un caso a se stante, in
quanto era molto probabilmente un satellite di Urano espulso in seguito a
qualche evento catastrofico che sconvolse tutto il sistema. Per quanto riguarda
asteroidi e comete, abbiamo probabilmente a che fare con i residui che sono
rimasti immagazzinati fino ad oggi su orbite tali da non venire
assorbiti da nessuno dei corpi maggiori. Per quanto riguarda la fascia degli
asteroidi, Giove sembra sia il candidato per il loro sviluppo. Giove potrebbe
avere deviato sugli asteroidi in formazione un grosso corpo, infine inglobato
dallo stesso, ma che disturbò con la sua presenza gli stessi asteroidi;
oppure, Giove in persona, grazie alle perturbazioni risonanti che esercita
in alcune zone della fascia asteroidale, abbia aumentato la velocità
relativa dei planetesimi innescano il processo di frammentazione. Per quanto
riguarda le comete, attualmente si ritiene che esse provengano dalla nube
di Oort, un vasto guscio che circonda il Sole, al di fuori dellorbita
di Plutone. Le orbite delle comete vengono di tanto in tanto influenzate
dalla presenza gravitazionale di stelle di passaggio, cosicché alcune
diventano iperboliche e si perdono nello spazio interstellare, mentre altre
si immettono in orbite altamente ellittiche che le portano a tuffarsi nel
Sistema Solare. Anche sullorigine delle comete, comunque, non
cè una versione unanime.
Franco Tioli