Intervista a Margherita Hack

 

 

G.M. Pace - Margherita Hack è un astronomo di fama.
Ha diretto per molti anni l'Osservatorio di Trieste. Attualmente è presidente del Consorzio per lo sviluppo dei Dipartimenti di Fisica dell'Università di Trieste.
È un divulgatore, nel senso che ha scritto molti libri per il grande pubblico. Ne ricordo solo un paio: Sette variazione sul cielo. Chi l'ha pubblicato?

R - Cortina.

G.M.P. - E la ristampa - adesso in libreria - de L'Universo alle soglie del terzo millennio.

R - Di Rizzoli.

G.M.P. - E infine mi diceva?

R - E' in corso di stampa e dovrebbe uscire a fine aprile una Storia dell'astronomia scritta in collaborazione con Giacomo Leopardi.

G.M.P. - Con Giacomo Leopardi. Nientemeno!

R - Leopardi a quindici anni ha scritto una storia dell'astronomia che arriva all'Ottocento e io ho seguitato dall'Ottocento a oggi.

G.M.P. - Ma oltre che scienziato e divulgatore Margherita Hack è anche uno strenuo difensore della Ragione, quella che si scrive con la R maiuscola. E del laicismo.
Le sue prese di posizione sull'astrologia, sugli Ufo, sul paranormale in genere sono altrettanti esempi di lucidità, civiltà e anche coraggio, in un Paese dove le statue della Madonna piangono e in cui dichiararsi atei, come lei ha fatto pubblicamente in più di una occasione, espone talvolta alla pubblica riprovazione.

R - Non siamo più ai tempi dell'Inquisizione, quindi non credo ci voglia un gran coraggio a dichiararsi atei.

G.M.P. - Io personalmente ho molto apprezzato certe sue prese di posizione.

R - Comunque c'è molta gente che mi scrive cercando di convincermi che Dio c'è.

G.M.P. - Di convertirla.

R - Sì, di convertirmi.

G.M.P. - Quindi credo che i laici - forse la maggioranza silenziosa - debbano esserle grati perché lei dà voce e visibilità a idee di progresso. Idee che però risultano spesso perdenti in un Paese incline a lasciarsi prendere dalle emozioni più che ad attenersi al buonsenso.
Ma non è questo il tema della conversazione.
Bene: cominciamo.
La sonda Galileo ha fotografato un'eruzione vulcanica su Io, uno dei satelliti di Giove, misurando un pennacchio di 140 chilometri di altezza. Europa è ghiacciato, Venere invece è una specie di inferno caldissimo.
Come mai i pianeti del Sistema Solare pur appartenendo - come ci insegnano a scuola - alla stessa famiglia sono così diversi tra loro?

R - Non si sa molto bene.
Si suppone dipenda da come è distribuito il materiale della nebulosa proto-planetaria da cui si sono formati i pianeti.
Si suppone cioè - ed è in fondo l'ipotesi Kant-Laplace - che il Sole fosse circondato da una grande nebulosa di materia molto più fredda ed estesa e che nelle parti più interne ci fossero particelle rocciose che poi si sono andate aggregando a formare i pianeti interni: Mercurio, Venere, la Terra e Marte. Mentre nelle parti più esterne e più gassose si siano formati i grossi pianeti giganti: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
All'estremo si trova Plutone, che è un piccolissimo pianeta con un satellite grande quasi quanto il pianeta. Plutone probabilmente è nato come satellite di Nettuno e successivamente le perturbazioni planetarie lo hanno spazzato fuori a fare il pianeta.
Comunque non si sa ancora bene come si sono formati.

G.M.P. - C'è una reminescenza della loro origine nel fatto che i pianeti più interni sono solidi e quelli più esterni gassosi?

R - Sì. Effettivamente è così.
Grazie ai satelliti per l'infrarosso si è anche visto che molti stelle giovani, cioè di formazione recente, sono circondate da dischi di materiale molto estesi.
In due casi si è vista addirittura l'immagine di due stelle circondate da questa nebulosa, per cui oggi si ritiene che quando si forma una stella si formi anche un sistema planetario.
I sistemi planetari sarebbero quindi abbastanza comuni.

G.M.P. - Volevo chiederle della luce e dell'invisibile, dell'universo in diverse lunghezze d'onda: noi siamo abituati a vedere e pensiamo che questo sia il solo modo di osservare. In realtà?

R - In realtà abbiamo studiato il cielo dagli albori della civiltà fino agli anni Trenta utilizzando solo quel pezzettino dello spettro elettromagnetico che chiamiamo luce, cioè quelle radiazioni che danno al nostro occhio la sensazione della luce, dal rosso al violetto.
Poi nel 1932 si scoprì per caso che i corpi celesti emettono anche onde radio. E si vide che il cielo visto in onde radio è completamente diverso da quello che noi vediamo alla luce.
Se i nostri occhi fossero sensibili alle onde radio - come lo sono per esempio gli apparecchi radio - di giorno vedremmo il cielo cosparso di sorgenti e il Sole non sarebbe una delle più brillanti: sarebbe semplicemente una fonte fra tante.
Di notte, mentre noi siamo abituati a vedere un cielo punteggiato di stelle, non vedremmo le stelle ma sorgenti radio piuttosto estese, che oggi sappiamo essere galassie. Oppure resti di stelle che sono esplose alla fine della loro vita, in una esplosione colossale.
Quindi un cielo completamente diverso.
Questo ci dice che forse vale la pena di andare a osservare il cielo in tutta la banda dello spettro elettromagnetico, che va dai raggi Gamma ai raggi X, ultravioletto, visibile, infrarosso e onde radio.
Ora, la nostra atmosfera lascia passare soltanto due bande dello spettro elettromagnetico: la luce e le onde radio.
Infatti si parla di finestra ottica e finestra radio: che è una bella espressione perché vuol proprio dire che noi ci affacciamo a guardare il mondo esterno attraverso queste due finestre. Ma se vogliamo spalancare tutte le finestre bisogna andare nello spazio, fuori dell'atmosfera. Ecco perché è cominciata l'astrofisica spaziale.
Ed è cominciata negli anni Cinquanta con dei razzi che portavano a bordo delle camere fotografiche che fotografavano la luce delle stelle nell'ultravioletto.
Le macchine fotografiche poi si sganciavano verso terra, attaccate a dei paracadute.
Ogni tanto andavano in pezzi, ogni tanto no.
Queste sono state le prime osservazioni dallo spazio.
Poi alla fine degli anni Sessanta si sono cominciati a costruire i satelliti per uso astronomico che portavano a bordo telescopi per raggi X, telescopi per l'ultravioletto…

G.M.P. - E anche per l'ottico. Il telescopio spaziale Hubble che orbita intorno alla Terra non è un satellite.
Tra l'altro gli hanno cambiato la macchina fotografica…

R - Hanno messo una camera per l'infrarosso e uno spettrografo per l'infrarosso.
È la seconda missione extra-veicolare che compiono.
La prima la fecero per correggere le ottiche, perché quando fu lanciato il telescopio Hubble paradossalmente avevano sbagliato il calcolo delle ottiche e quindi le immagini erano pessime. Dovettero mettere una lente correttrice: dopo l'intervento dà immagini eccezionali.
Hubble ha un doppio scopo: mentre precedenti satelliti volevano osservare i corpi celesti in queste bande dello spettro elettromagnetico - che solitamente vengono tagliate dall'atmosfera - Hubble ha anche lo scopo di dare immagini estremamente nitide, perché l'atmosfera non solo elimina certe lunghezze d'onda ma disturba le immagini, perché è come un oceano d'aria continuamente agitato.
È come se noi volessimo guardare il fondo di una vasca: se l'acqua è calma e limpida vediamo il fondo, se l'acqua è limpida ma agitata il fondo non lo vediamo più.
E noi ci troviamo proprio in fondo a questo oceano d'aria quasi sempre agitato.
Invece Hubble ci porta fuori dell'atmosfera: non solo ci permette di osservare ultravioletto e infrarosso ma ci permette anche di avere delle immagini eccezionalmente buone, non disturbate dalla turbolenza.

G.M.P. - Immagini ottiche nitidissime.
Forse non lo dovrei chiedere a un astronomo di terra: ora che ci sono i satelliti, che senso ha continuare a costruire telescopi da posizionare sulla terra in luoghi sempre più impervi e difficili per sfuggire all'inquinamento luminoso?

R - Ma io sono anche un astronomo di spazio perché ho lavorato moltissimo coi satelliti!
Comunque ha senso, perché i telescopi di terra sono complementari a quelli dallo spazio. Intanto costano molto meno e durano molto di più.
E poi oggi si fanno telescopi che sono completamente diversi dall'immagine che l'uomo della strada ha del cannocchiale, con l'astronomo che passa tutta la notte ad osservare.
In realtà si tratta di macchine estremamente complesse e costose che bisogna mettere in luoghi lontani dalla civiltà, dove non ci siano inquinamento luminoso nè smog.
In alta montagna, in modo da avere l'atmosfera più trasparente, e in località che devono essere protette da più altopiani, il che permette di avere delle immagini particolarmente calme, con poca turbolenza.
Zone in cui statisticamente sappiamo di poter disporre di almeno trecento notti serene all'anno, perché si tratta di un investimento di parecchi miliardi.
Rispetto a vent'anni fa sono strumenti veramente fantascientifici.
Infatti fino a una ventina d'anni fa si pensava fosse impossibile fare specchi per telescopi più grandi dei cinque o sei metri presenti sul Monte Palomar o di quelli del telescopio sul Caucaso.
Perché?
Perché la superficie dello specchio per dare buone immagini non deve avere irregolarità - avvallamenti o montagnole - superiori a 1/16 di micron su uno specchio che ha un diametro di cinque o sei metri. (Un micron misura un milionesimo di metro, n.d.r.)
Siccome il vetro è un fluido, sotto il suo stesso peso tende a flettersi.
Quindi bisognava produrre specchi molto spessi - almeno 1/5 del diametro - e quindi estremamente pesanti che dovevano poi essere montati su telescopi in grado di muoversi da est a ovest, per seguire il moto apparente della volta celeste.
Anche la montatura meccanica doveva essere estremamente rigida e quindi pesante.
Ma oggi grazie all'elettronica e all'informatica si fanno specchi anche di dieci metri, come quello che si trova sul monte Manakea alle Hawaii o come il telescopio europeo sul Paranal, sulle Ande cilene dell'emisfero australe e che è formato da quattro specchi di otto metri di diametro ciascuno.
Questi specchi sono sottili: hanno lo spessore di una ventina di centimetri.
Come mai non si flettono? Perché possiedono tanti appoggi comandati da un computer in modo da mantenere allo specchio una forma otticamente perfetta.
Nei telescopi di terra oggi è possibile correggere, almeno in parte, anche l'effetto della turbolenza atmosferica.
Senza la turbolenza dalla stella ci arriverebbe un fascio di raggi paralleli.
Il fatto che i vari strati atmosferici sono agitati in modo irregolare, invece, fa sì che questo fascio sia distorto.
Quando noi guardiamo le stelle le vediamo scintillare: la stella a cinque punte è l'immagine popolare della turbolenza atmosferica.
E allora che cosa si fa?
Si può mettere sul fascio in arrivo uno specchietto - chiamato specchio di gomma - estremamente sottile e quindi facilmente deformabile.
Sempre grazie al computer si può deformare questo specchio in tempo reale in modo che modifichi il fascio in modo uguale ed opposto a quello dell'atmosfera.
Si ottengono così delle immagini paragonabili a quelle che si ottengono dallo spazio.
Soltanto che questo si può fare solo a lunghezze d'onda abbastanza lunghe, cioè nel rosso e nell'infrarosso, perché qui le variazioni atmosferiche sono relativamente lente, dell'ordine di un decimo di secondo, mi pare. Nel violetto e nell'ultraviolettto sono molto più rapide e quindi diventa molto più difficile correggere la turbolenza.
Tutto questo ci dice comunque che coi telescopi ottici oggi si possono fare cose straordinarie.

G.M.P. - Non volevo offendere i telescopi di terra! Anzi, pensavo di toccare qualche corda del sentimento, avendo lei diretto quello di Trieste.

R - Ho diretto l'osservatorio, il che vuol dire dirigere un istituto, perché oggi i telescopi degli osservatori servono solo per uso didattico.

G.M.P. - Tanto più che anche questi grandi telescopi - ne abbiamo nominati due: Manuakea e Paranal - sono ormai accessibili via Internet dai luoghi più lontani.

R - Sì. Però per fare le loro osservazioni astronomiche gli astronomi che prenotano il telescopio hanno a disposizione un tempo ridottissimo, perché le richieste superano anche di dieci volte il tempo disponibile.
Esiste quindi una commissione fatta da esperti internazionali delle varie specialità - cioè astronomi stellari, galattici, extra-galattici - che assegnano il tempo disponibile pe le osservazioni in base alla bontà del programma.
Si possono così avere una, due, tre notti all'anno a disposizione. Ma in quella notte si accumulano tante osservazioni che coi vecchi telescopi ci volevano mesi.

G.M.P. - Anche i gesti dell'astronomo sono diversi: oggi l'astronomo stà per lo più davanti a un computer, piuttosto che dietro il cannocchiale.

R - E può osservare direttamente anche da casa propria: tramite i satelliti si possono mandare impulsi dall'Europa fino al telescopio sul Paranal e comandarlo appunto da casa.
Abbiamo fatto un esperimento che ci ha consentito di osservare col telescopio di Paranal e direttamente dalle nostre scrivanie di Trieste.
Naturalmente questo sarà il futuro, perché non è ancora disponibile il satellite dedicato al telescopio che permetterà a tutti gli astronomi di farlo.

G.M.P. - Io ho visitato il Cerro Paranal nel deserto di Atacama, in Cile.
È stata un'esperienza importante.

R - E poi il cielo del sud è meraviglioso.

G.M.P. - Ci sono due cose che mi hanno colpito di quella visita.
La prima è che quando aprono la cupola per osservare il cielo non c'è alcun essere umano in quella zona: sono tutti all'interno della centrale.
Mi spiegavano che questo avviene perché il calore umano altererebbe l'acquisizione dei dati.

R - Certo, perché il corpo emana raggi infrarossi.
Non solo.
Una volta i telescopi classici avevano la cupola: durante l'osservazione la finestra si apre e la cupola gira.
In questi nuovi telescopi la cupola non esiste più: possiedono invece una copertura di tela leggera, perché la cupola crea una differenza di temperatura fra l'esterno e l'interno.
Infatti anche dove c'è ancora la cupola questa va aperta molto tempo prima, perché si stabilizzi così la differenza di temperatura.
Anche la montatura è diversa.
Perché una volta i telescopi classici dovevano ruotare intorno a un asse parallelo all'asse polare, cioè all'asse di rotazione della Terra: in questo modo, una volta puntato all'altezza dell'astro che ci interessava, il telescopio con un solo movimento seguiva il moto delle stelle.
Invece questi telescopi hanno una montatura alto-azimutale, come quella dei cannocchiali per guardare il panorama, in cui si mettevano le 100 lire.
Questi telescopi per seguire il moto delle stelle hanno bisogno di compiere due movimenti invece di uno. Quindi dal punto di vista meccanico è più complicato seguire il moto apparente delle stelle.
Ma oggi i telescopi sono governati dai computer e quindi è più facile utilizzare la montatura alto-azimutale. Che è anche più semplice meccanicamente perché il telescopio ruota intorno a due assi e non intorno a uno come nel caso di quelli equatoriali.
Con tutti questi strumenti oggi si è semplificata enormemente la meccanica e si è complicata enormemente l'elettronica.

G.M.P. - La seconda cosa che mi ha colpito di questo telescopio - e che a me è sembrato un miracolo dell'elettronica - è che è in grado di captare dai corpi celesti che osserva anche pochi fotoni che arrivino sulla Terra a distanza di tempo. È poi il computer che li assembla e ne fa un'immagine.
Io sono rimasto stupefatto.

R - Anche nell'ottico si faceva.
Per oggetti molto deboli esistevano i fotometri: sono dei contatori di luce che riescono a contare un fotone alla volta, che poi sommano.
Si faceva soprattutto per i raggi Gamma e i raggi X, che hanno sorgenti molto deboli.

G.M.P. - In questo modo si riescono a vedere cose che l'occhio umano non ha mai potuto percepire.

R - Infatti. Non solo perché sono sorgenti estremamente deboli ma anche perché si trovano in bande dello spettro elettromagnetico a cui l'occhio non è sensibile.

G.M.P - Ma anche nell'ottica l'occhio non avrebbe mai potuto vedere questi fotoni, perché ne arriva uno una volta ogni tanto.
Per questo ho trovato straordinario il telescopio di Cerro Paranal.

R - Anche la lastra fotografica aveva questa proprietà, almeno in parte.
Perché, entro certi limiti, allungando l'esposizione si è in grado di percepire di più.
L'occhio invece non può.

G.M.P. - O arriva tutto subito o l'occhio non vede.
In questi giorni viene rappresentato con molto successo qui a Milano uno spettacolo ispirato alla scienza che John Barrow ha preparato per Ronconi. Barrow è un giovane matematico e fisico di Cambridge.
È composto da cinque scene, cinque rappresentazioni che cercano di dare un'idea dell'infinito.
Noi tutti abbiamo pensato almeno una volta all'infinito e probabilmente ciascuno di noi ha una sua idea di infinito.
La sua idea dell'infinito, che non siano equazioni e lavagne piene di cifre, quale è?

R - È molto difficile dire che cosa si intende per infinito: pensare all'infinito vuol dire pensare a qualcosa in cui si va sempre avanti e si trova sempre qualcosa d'altro.
Io un esempio pratico di infinito lo trovo solo pensando ai numeri: posso cioè sempre andare avanti a contare… Potrei cominciare appena nasco fino a che muoio a contare, a contare sempre avanti.
Questa è un'idea di infinito.
Come si fa a pensare cosa significa lo spazio infinito?
È qualcosa che non finisce mai.
Come si fa a rappresentarlo?

G.M.P. - La spaventa questa idea?

R - No.

G.M.P. - Ci si è abituata? Insomma, se scartiamo le formule matematiche non riesco a strapparle qualcosa in più sul suo rapporto emozionale, sentimentale con l'infinito!

R - Sarà una deformazione professionale! Noi astronomi siamo abituati a pensare sempre a questo universo infinito.

G.M.P. - Professoressa Hack, qual è il mostro del cielo - e mi riferisco al titolo di un famoso libro di Maffei - che più la appassiona, la sorprende?
I buchi neri, le singolarità, le supernove, le materie oscure?

R - Mi piacciono di più le supernove.

G.M.P. - Le supernove?

R - Sì. Queste stelle grandi, grosse - dieci volte più massicce del Sole - che alla fine della loro vita, in seguito a tutte le reazioni nucleari che sono avvenute al loro interno, arrivano ad avere un nucleo fatto di ferro e di nichel.
Questa stella subisce successive contrazioni e diventa sempre più densa e sempre più calda.
Nel suo interno avvengono reazioni nucleari sempre più complesse fino a formare un nucleo di ferro che a quelle temperature (circa dieci miliardi di gradi) e a quelle densità (miliardi di volte la densità dell'acqua) si trasforma in elio.
Tutte le reazioni avvenute fino a questo momento - l'idrogeno in elio, l'elio in carbonio e così via, fino ad arrivare al ferro - sono reazioni produttrici di energia, perché il prodotto della reazione ha una massa inferiore, anche se di poco, ai nuclei che entravano in reazione.
Questa massa che viene a mancare si trasforma in energia seconda la relazione di Einstein E = mc2, la famosa relazione che c'è scritta anche sulle magliette.
Invece quando abbiamo un nucleo di ferro succede il contrario: il ferro si trasforma in elio - in 13 nuclei di elio più quattro neutroni - però a differenza delle precedenti reazioni la massa del prodotto è maggiore del nucleo di ferro.
E questo cosa vuol dire che ha bisogno di assorbire energia invece di fornirla.
E allora di dove la prende l'energia?
La prende dall'energia termica, dalla massa sovrastante il nucleo che ha una temperatura di miliardi di gradi.
L'assorbimento di energia è tale da produrre un effetto frigorifero: nel giro di dieci o venti minuti la temperatura piomba dai 10 miliardi di gradi a 100 milioni di gradi.
Un brusco raffreddamento implica che la velocità di agitazione termica delle particelle - che era rapidissima quando la temperatura era molto elevata - diventa molto più lenta.
E quindi non ce la fa più a sostenere il peso della stella sovrastante.
Tutta la massa precipita allora verso il centro e strizza il centro a densità incredibili, milioni di miliardi di volte la densità dell'acqua.
E in questa brusca caduta tutti gli strati più esterni - ancora ricchi di idrogeno, di elio, di carbonio, cioè di materiale in grado di fornire energia - scatenano tutta una serie di reazioni nucleari nel corso delle quali si producono tutti gli elementi che noi conosciamo sulla Terra.
La stella non riesce a dissipare nello spazio questa enorme produzione di energia come aveva invece fatto in tutti i miliardi di anni precedenti, e quindi esplode.
Il Sole, per esempio, diventerà una gigante rossa e lo diventerà perché, producendo molta più energia di prima, dovrà espandersi per aumentare la sua superficie di dissipazione.
Ma si tratta di un fenomeno graduale.
Nel caso della supernova la stella, invece di espandersi, esplode e tutti i prodotti delle reazioni nucleari vengono sparpagliati nello spazio nel giro di mezz'ora.
Questo materiale prodotto va ad arricchire le nubi di gas interstellare da cui poi nasceranno altre stelle.
Quindi le supernove sono la maggiore causa di modifica della composizione chimica della galassia, sono le produttrici degli elementi pesanti.
Il risultato è che le stelle delle successive generazioni, quelle che nascono oggi, sono più ricche di elementi pesanti delle precedenti e questi materiali pesanti sono quelli che poi vanno a formare i pianeti, vanno a formare anche nei nostri corpi.
Cioè noi siamo fatti di materiale che è stato sintetizzato nell'esplosione di supernove.
Il materiale di questa bottiglia, di questa seggiola, di noi stessi: tutti gli atomi che noi conosciamo sulla Terra, di cui tutto quello che conosciamo è fatto, sono il risultato delle esplosioni di supernove di precedenti generazioni.

G.M.P. - E il Big Bang allora?

R - Il Big Bang è all'inizio.

G.M.P. - E ha fatto le supernove?

R - No. Le supernove sono delle esplosioni, è la morte violenta di una stella grossa. Il Big Bang è un'altra cosa.

G.M.P. - Il Big Bang è l'esplosione primigenia all'origine di tutto. Da lì nasce la materia come la conosceremo poi.

R - Non sappiamo bene come è successo.

G.M.P. - In che rapporto stanno le supernove rispetto al Big Bang?

R - Le supernove sono stelle che si sono formate molto dopo.
Quando l'universo ha cominciato ad avere un'età diciamo di un miliardo di anni…

G.M.P. - Ora ne ha quanti, undici?

R - Non si sa esattamente: fra dodici e quindici miliardi di anni.
Si suppone che le galassie si siano cominciate a formare quando l'universo aveva un po' meno di un miliardo di anni.
Questo è un aspetto che non abbiamo ancora potuto esplorare. Forse l'esploreremo proprio con i grossi telescopi del Paranal.
Le prime stelle che si sono formate in seguito, sono state probabilmente proprio stelle grosse, perché avevano molto materiale a disposizione.
Stelle che sono finite rapidamente come supernove, cominciando ad arricchire l'universo di materiali pesanti.
L'universo primordiale conteneva infatti soltanto idrogeno pesante - cioè deuterio - i due isotopi dell'elio e una piccola percentuale di litio.
Tutti gli altri elementi si sono formati dopo, nelle supernove.

G.M.P. - Quindi la sequenza è: Big Bang, galassie e supernove.
Ogni tanto bisogna rimettere ordine in queste cose perché ci sono tali e tante novità in continuazione che il profano facilmente si confonde.
La materia oscura è un altro ingrediente…

R - Punto oscuro…

G.M.P. - Punto oscuro e ingrediente importante dell'universo.
Perché è importante?

R - Intanto la materia oscura cos'è?
Noi possiamo misurare la materia presente nell'universo in due modi.
Prendendo come esempio la nostra galassia, noi possiamo fare un censimento delle stelle presenti nella galassia.
Sappiamo quale è la massa media di una stella. Sappiamo anche stimare la massa delle stelle dalla luce che emettono.
Troviamo che la massa della galassia è dell'ordine di 140 miliardi di volte la massa del Sole.
Questa è la massa visibile, cioè la massa che ci è data dall'osservazione della luce o delle radiazioni elettromagnetiche emesse dalle stelle, dalle nubi di gas.
Però poi possiamo misurare la massa in un altro modo, che è lo stesso modo che si usa per misurare la massa del Sole.
Per misurare la massa del Sole si misura il moto dei pianeti attorno al Sole.
Questi pianeti restano legati in orbita perché c'è equilibrio tra la forza di gravitazione - che farebbe cadere i pianeti sul Sole - e la forza centrifuga, che invece li farebbe andare via per la tangente.
Dall'eguaglianza di queste due forze si può ricavare la massa del Sole.
Lo stesso si può fare per la galassia.
Ci sono oggetti molto periferici, ad esempio nubi fredde di monossido di carbonio, di cui si può misurare il moto necessario a che restino legati alla galassia. Perché queste nubi con questo moto restino legate alla galassia occorre una massa che è da sette a dieci volte la massa visibile. Circa.
Questa massa la chiameremo massa gravitazionale, perché è misurata appunto in base all'attrazione gravitazionale che la galassia esercita.

G.M.P. - Si tratta di una misura indiretta, quindi.

R - Che cos'è questa massa tanto maggiore di quella visibile?
È quella che si chiama materia oscura.
E questa materia oscura potrebbe trovarsi anche in stelle molto deboli, che hanno massa ma emettono pochissima luce. Oppure potrebbe essere formata da pianeti molto più grossi di Giove…
Ora, a parte il fatto che per spiegare questo enorme divario fra materia misurata e materia osservata occorrerebbe un numero enorme di stelle e di pianeti, esiste una ragione teorica.
La ragione è questa: che quando l'universo aveva un'età di pochi minuti, possedeva delle condizioni di temperatura e densità tali da permettere l'avvenire di reazioni nucleari che trasformavano i protoni - cioè nuclei di idrogeno - e i neutroni in idrogeno pesante e in elio. Ora queste reazioni nucleari davano luogo a una quantità di deuterio che è in ottimo accordo con quella che si osserva oggi. Purché la densità della materia fosse quella presentata dalla materia normale, cioè protoni e neutroni.
Se la densità fosse stata 10 volte superiore - cioè quella che si ricava includendo anche la materia oscura - il deuterio sarebbe stato praticamente distrutto nella trasformazione di idrogeno in elio.
Quindi oggi nell'universo non ci dovrebbe essere più deuterio, mentre invece è presente in una proporzione di un atomo di deuterio ogni centomila atomi di idrogeno normale.
Questo ci porta a supporre che la materia oscura non possa essere materia normale: quella, er intenderci, formata da protoni e neutroni, che si chiama materia barionica e dà luogo alle radiazioni elettromagnetiche, alla materia visibile.
E allora che cos'è? Non lo sappiamo.
Devono essere particelle elementari che però non interagiscono con la materia.
E l'unico esempio osservato di questo tipo di materia sono i neutrini.
I neutrini esistono: si sono osservati i neutrini provenienti dal Sole e dalla supernova che esplose nella Nube di Magellano nel febbraio dell''87.
I neutrini possono spiegare la materia oscura negli spazi intergalattici.
Però non possono spiegare la materia oscura presente nella galassia, perché possedendo una massa così piccola - tanto piccola che non siamo riusciti ancora a misurarla esattamente - presentano una velocità prossima a quella della luce, non restano quindi imprigionati dalla forza di gravitazione della galassia e sfuggono immediatamente dalla galassia.
Quindi se non sono neutrini ci deve essere qualcos'altro. Non sappiamo cosa ma si ipotizza possano essere particelle elementari che dovevano essere presenti già nell'universo primordiale per ragioni teoriche di simmetria.
Ragioni teoriche che postulano i fisici teorici.

G.M.P. - Ragioni che hanno inventato i fisici, in questo senso?

R - In un certo senso. Ma molte delle particelle che poi si sono scoperte erano state postulate prima.

G.M.P. - E la quantità di materia presente nell'universo influisce sull'evoluzione dell'universo? Sul futuro e sulla fine dell'universo?

R - Certo!
Noi sappiamo che l'universo è in espansione: lo spazio si sta espandendo e sta trascinando in questo moto di espansione anche le galassie.
Lo spazio non è un contenitore inerte: è qualcosa che ha energia, si espande e trascina in questo moto d'espansione le galassie, che perciò si vanno allontanando sempre più l'una dall'altra.
Questa espansione però si suppone debba essere frenata dalla forza di gravità, prodotta dalla materia stessa presente nell'universo. Una gravità che dovrebbe rallentare l'espansione.
Quando la forza di gravità che tende a far collassare l'universo su se stesso e la forza d'espansione che invece lo fa espandere raggiungono un perfetto equilibrio, significa che si è raggiunta la densità critica della materia nell'universo.
Se la densità dell'universo è inferiore o uguale alla densità critica si ha un'espansione all'infinito, che però diventerà sempre più lenta e terminerà dopo un tempo infinito a distanza infinita, cioè mai.
Se invece la densità è superiore alla densità critica si ha un universo che dopo un certo tempo arresterebbe questo moto di espansione per per ri-collassare su se stesso.
Queste erano le idee che si avevano fino a pochi mesi fa.
Da pochi mesi è stato scoperto che in realtà la velocità di espansione dell'universo non va rallentando come si credeva, bensì accelerando.
Quindi oltre alla materia oscura sembra che esista anche una forza oscura che si oppone alla gravità: una specie di antigravità.
Questa anti-gravità l'aveva già inventata, per altre ragioni, Einstein e l'aveva chiamata costante cosmologica.
Infatti all'epoca in cui Einstein scrisse le sue equazioni sulla relatività generale si aveva l'idea, che risaliva a secoli prima, che l'universo fosse statico.
Einstein trovò invece che l'universo sarebbe collassato sotto il proprio peso: quindi non era statico.
Per farlo rimanere statico inventò l'esistenza di una antigravità che lo mantenesse in equilibrio e che chiamò appunto costante cosmologica. E che poi ammise essere stato il suo più grande errore.
Nel 1922 il matematico russo Alexander Friedman riesaminò le equazioni di Einstein e scoprì che l'universo poteva presentare le tre soluzioni cui accennavo prima: densità critica con espansione all'infinito che non si arresta mai; densità inferiore a quella critica, e quindi espansione all'infinito con moto più accelerato ma comunque sempre frenato dalla gravitazione.
Oppure - è il terzo caso - densità superiore alla densità critica.
In tutti i casi la gravità avrebbe agito sulla forza di espansione, rallentandola.
Ora invece si trova che questa espansione sarebbe accelerata e che quindi a maggior ragione l'universo sarà in espansione all'infinito.
Un'espansione ancora più rapida di quella prevista.
Qual è la forza che provoca questa espansione accelerata?
È una quinta forza fondamentale?
Perché sappiamo che l'universo è governato da quattro forze: l'elettromagnetismo, che spiega l'emissione luminosa da un corpo caldo; l'interazione debole, che spiega come elettroni possano sfuggire da un nucleo e trasformare un atomo in un altro elemento; l'interazione forte, che spiega come in un nucleo possano restare insieme più protoni che invece tenderebbero invece a respingersi perché hanno la stessa carica. Quindi c'è una specie di colla - sono i gluoni, da glue inglese (colla) - che li tiene attaccati insieme.
E poi c'è la forza gravitazionale.
Sono le quattro forze fondamentali.
Se c'è ora anche questa anti-gravità abbiamo cinque forze fondamentali.

G.M.P. - Alla luce di queste ultimissime scoperte come si può immaginare la fine dell'universo? Sarà un'espansione o un grande gelo totale?

R - Un'espansione all'infinito.
Se l'espansione all'infinito porta gli ammassi delle galassie uno sempre più lontano dall'altro, pian piano in questi ammassi di galassie la materia da cui si formano le stelle si esaurirà.
Sarà una morte fredda che con questa accelerazione avverrà prima. Ma siamo sempre nell'ordine di centinaia di miliardi di anni.

G.M.P. - Quindi ci riguarda fino ad un certo punto.
Però l'ipotesi contraria, quella di un collassamento e di una rinascita, forse era più carina.

R - Dalle osservazioni attuali direi che si può escludere. Almeno da quello che sappiamo oggi. Anche se era un'idea carina: un universo che rinasceva continuamente dalle proprie ceneri.

G.M.P. - Pochi giorni fa Pioneer 10 - la mitica sonda - ha risposto a un segnale inviato da terra. Mi dicono che per raggiungere la navicella il segnale ha impiegato undici ore. E undici ore sono state necessarie perché la risposta venisse captata a terra.
Questo Pioneer è alimentato da un reattore a plutonio, quindi ha ancora energia e ne avrà.
Questo cosa significa?

R - Significa che Pioneer è ancora dentro il Sistema Solare.
Anche se ha oltrepassato Plutone si trova ancora dentro la Nube di Hort.
La Nube di Hort è quell'agglomerato di particelle solide lasciate dalla nebulosa proto-planetaria che ogni tanto, trascinate dalle perturbazioni dei pianeti dentro il Sistema Solare, diventano poi comete.

G.M.P. - Ma se noi fossimo all'interno di questo satellite cosa vedremmo?

R - Vedremmo il Sole sempre più debole e vedremmo Alfa Centauri e Proxima Centauri - la stella più vicina a noi - più brillanti ma ancora molto lontane.
Perché la luce impiega circa quattro anni e mezzo per arrivare da Proxima Centauri a noi.
Quindi siamo ancora vicini alla periferia del Sistema Solare.
C'è tanta strada da fare.

G.M.P. - Ma è l'oggetto umano più lontano che sia mai stato lanciato.

R - Eppure è ancora vicino rispetto alle stelle più prossime.

G.M.P. - C'è un silenzio assoluto a quelle distanze?

R - Sì. Lì siamo nel vuoto praticamente perfetto.

G.M.P. - E quindi essendoci il vuoto non c'è trasmissione di suono, quand'anche ci fossero suoni.

R - Qualche atomo di idrogeno per centimetro cubo è sempre un vuoto estremamente spinto!

G.M.P. - Vuoto e buio come si vede in Odissea nello spazio.

R - Sì. Non è un posto allegro.

G.M.P. - Non è granchè.
Noi andremo poi su Marte?

R - Penso che su Marte ci andremo e anche abbastanza presto: si parla del 2020, 2030.
E poi Marte, tutto sommato, è il posto meno ostico del Sistema Solare dopo la Terra, perché su Marte c'è una tenue atmosfera di anidride carbonica - quindi non respirabile - che però provoca un effetto serra per cui la temperatura all'equatore può variare d'estate da + 20° a - 80°.
Si tratta di un bel balzo, però - 80° ci sono anche in Siberia o in Antartide.
Quindi non è qualcosa di tanto spaventoso.
Poi su Marte il giorno ha circa la stessa durata che sulla Terra, perché il periodo di rotazione di Marte è di circa 25 ore.
L'inclinazione dell'equatore sul piano dell'orbita è quasi uguale a quello terrestre: quindi anche su Marte ci sono le stagioni come sulla Terra.
Da questo punto di vista Marte è il più accogliente di tutti gli altri pianeti del Sistema Solare.
Infine c'è acqua: su Marte le sonde hanno mostrato che ai poli si trova acqua ghiacciata.
E sembra che in fondo a certi canyon ci sia acqua, forse ancora liquida.
E quindi anche su Marte ci potrebbero essere state forme di vita elementari, come i batteri.
Forse ancora oggi ci potrebbero essere dei batteri.
Da questo punto di vista è il pianeta più interessante.
Certo se si fa il paragone con gli altri pianeti…
Pensiamo a Venere. Venere ha un'atmosfera talmente spessa che ha un effetto serra tale che la temperatura al suolo è di 500° centigradi.
Mentre se l'atmosfera fosse simile alla nostra, a causa della maggiore vicinanza al Sole avrebbe una temperatura media di una cinquantina di gradi.
Un po' caldo ma, insomma, sopportabile.

G.M.P. - Ma Venere non è un posto molto accogliente.

R - Pensiamo poi a Mercurio o alla Luna: non hanno atmosfera e la temperatura passa dalle parti illuminate dove raggiunge e supera i 100 gradi, a quelle in ombra dove precipita a meno 100.

G.M.P. - Ma per arrivare su Marte?

R - Per arrivare su Marte occorreranno cinque o sei mesi.
Ora è stato avviato il progetto Rubbia, che non conosco bene ma che dovrebbe accorciare i tempi grazie a un combustibile che dovrebbe permettere velocità enormi.

G.M.P. - Speriamo che Carlo Rubbia ce lo venga a raccontare personalmente.
Comunque vedo che lei crede a questa possibilità.

R - Be', sì: per quanto riguarda Marte senz'altro.
Ma io penso anche che si riuscirà ad esplorare il Sistema Solare, forse anche alla fine di questo secolo: che l'uomo possa spingersi fino ai confini, a Urano, a Nettuno.

G.M.P. - Dov'è adesso Pioneer?

R - No, dove è Pioneer forse no.
Ma dove è arrivata la Galileo, dove arriverà la sonda Cassini credo forse sì.

G.M.P. - E oltre?

R - Forse sì.
Però non credo si riuscirà mai a uscire dal Sistema Solare e arrivare a pianeti di altre stelle. Sono troppo lontani: il limite è dato dalla velocità della luce.

G.M.P. - Questi viaggi interplanetari non riguarderanno però la gente comune.
A meno che non faccia scuola l'esempio del miliardario americano Dennis Tito, il primo turista dello spazio che ha viaggiato sulla navetta russa.
Un pioniere o un caso clinico, secondo lei?

R - Forse tutt'e due. Soprattutto uno che ha molti soldi.

G.M.P. - Diamo ora uno sguardo al futuro.
C'è un tema molto interessante: cresce il numero dei pianeti Terra-simili.

R - In realtà finora si sono scoperti pianeti Giove-simili fuori dal Sistema Solare.
E ce ne devono essere tanti: del primo fu data notizia nel settembre del '95, da allora a oggi sono passati meno di sette anni e se ne conoscono una sessantina.
La parte divertente è che nel febbraio del 1995 un famoso planetologo, Benjamin Zuckerman, sosteneva che i pianeti come Giove devono essere molto rari perché oggi esistono i mezzi per scoprirli e non se ne è visto nemmeno uno.
A settembre ecco l'annuncio del primo pianeta, a cui sono seguiti poi tutti gli altri.

G.M.P. - In scienza mai dire mai!

R - Mai dire mai.
Io ho detto: non si andrà mai su Alfa Centauri invece può darsi che mi sbagli.
Questi pianeti comunque non si sono visti direttamente, si è visto invece l'effetto gravitazionale che provocano sulla loro stella.
Questi pianeti esercitano una attrazione gravitazionale: come la stella attrae il pianeta, il pianeta attrae la stella, anche se naturalmente l'effetto del pianeta è molto minore.
Comunque provoca sulla stella un moto oscillatorio: dall'ampiezza dell'oscillazione si può ricavare la massa del pianeta, dal periodo delle oscillazioni il suo periodo di rivoluzione.
Tutti questi corpi hanno masse simili a quella di Giove o di dieci volte superiori.
La loro massa misura quindi da un millesimo a un centesimo la massa del Sole e questa è la prova che si tratta di pianeti e non di una stella compagna.
Infatti perché una stella possa diventare tale, deve avere una massa pari almeno ad un decimo di quella del Sole: solo così diventa abbastanza calda da innescare le reazioni nucleari che sono la fonte d'energia della stella.
Tutti questi pianeti sono stati scoperti in questo modo indiretto.
In un solo caso oltre alle oscillazioni si è visto anche una minima diminuzione di luce della stella mentre il pianeta le passava davanti.
È una diminuzione di luce inferiore a un centesimo dello splendore globale del sistema ma i mezzi di misura delle variazioni luminose oggi sono incredibilmente sensibili.
Occorre tuttavia trovarsi in un caso fortunato, cioè che l'orbita del pianeta si trovi sulla nostra visuale, altrimenti la diminuzione di luce non si verifica.
Infatti un solo caso dei sessanta pianeti scoperti si è visto in questo doppio modo: dalle oscillazioni e dalla diminuzione di luce.

G.M.P. - Ma una visione diretta è possibile?

R - Per ora no, probabilmente la potremo avere col grosso telescopio europeo sul monte Paranal.
Speriamo di riuscirci occultando la luce sovrabbondante della stella con un diaframma metallico e usando dei filtri che lascino passare solo la luce rossa della molecola di ossigeno o la luce infrarossa della molecola dell'ozono.
In questo modo si spera di vedere se l'eventuale pianeta possiede un'atmosfera di ossigeno o di ozono: questa sarebbe la prova che su questo pianeta hanno avuto luogo fenomeni di fotosintesi simili a quelli avvenuti sulla Terra.

G.M.P. - Quindi potremmo non solo constatare l'esistenza del pianeta ma anche avere delle indicazioni sull'esistenza o meno della vita su di esso.
Bene professoressa, io potrei continuare a chiederle tante cose perché tutto questo è affascinante, ma dobbiamo lasciare un po' di spazio alle domande del pubblico.
Lasci comunque che le chieda: come accade che gli astrologi oggi abbiano tanto successo?

R - C'è il desiderio di conoscersi e di conoscere il futuro, di avere un incoraggiamento.
In fondo è un segno della debolezza umana, del desiderio di credere in qualcosa che ci aiuti e ci dia fiducia e conforto.
Bisognerebbe però che ci fosse molta più razionalità - e anche molta più conoscenza scientifica - per capire che l'astrologia ormai è una superstizione del passato, che aveva un senso quando non avevamo la minima idea di cosa fossero le stelle.
Ai tempi dei Greci le stelle e i pianeti erano divinità: nelle stelle si vedevano le gesta degli eroi.
Ma anche allora i filosofi naturali non credevano nell'astrologia e cercavano di spiegare razionalmente che cosa fossero le stelle.
Ed è sorprendente che in fondo, anche senza prove scientifiche, ci azzeccassero abbastanza: pensavano che le stelle fossero fatte della stessa materia che troviamo sulla Terra e questo è vero.
Anche se oggi sappiamo che sono proprio le stelle a fabbricare questa materia.
La filosofia degli antichi Greci a volte è sorprendente.

G.M.P. - Grazie professoressa Hack.
Direi che possiamo passare alle domande del pubblico. Abbiamo una decina di minuti.

D - Buonasera. Professoressa, volevo chiederle due cose.
La prima: il metodo di valutazione ossigeno/ozono che ha dinanzi spiegato è stato applicato anche per l'atmosfera di Marte?
La seconda: questa anti-gravità non potrebbe essere una massa esterna che attira sempre di più l'universo?

R - Per Marte e per i pianeti in generale si usano tecniche spettroscopiche: si può registrare lo spettro della luce del Sole riflessa dal pianeta e le bande di assorbimento indicano la presenza di varie molecole atmosferiche.
Per quanto riguarda l'esterno dell'universo… Se l'universo è infinito non so dove si possa mettere il suo esterno. Quindi è un'idea un po' fantascientifica.

G.M. Pace - Ma Roger Penneraul sostiene che ci sono più universi, e non solo lui!

R - L'idea dei multi-versi - l'idea che ci siano più universi - deriva dall'osservazione che il nostro universo ha proprietà tali che se fossero solo un po' diverse l'universo non avrebbe potuto creare le stelle, le galassie e quindi nemmeno la vita.
Sembrerebbe quindi un universo fatto su misura per noi.
Il che è un'idea che può soddisfare i credenti ma non il punto di vista scientifico.
Se uno crede in Dio può credere anche che l'universo sia fatto su misura per l'uomo, con l'uomo al centro dell'universo. Ma non è un'idea molto soddisfacente dal punto di vista laico.
Allora è stata avanzata l'idea - un'ipotesi non verificabile e quindi più metafisica che fisica - che ci siano uno spazio e un tempo infiniti percorsi da energia e che questa energia possa dar luogo alla formazione di universi che possono essere come il nostro ma anche molto diversi.
Solo in quegli universi in cui ci sono le condizioni adatte alla formazione di stelle, pianeti e galassie si sviluppa la vita.
Quindi sarebbe un fatto naturale che in questo universo ci sia la vita e il nostro sarebbe solo un universo fra tanti.
Si tratta di un'idea metafisica che però mi sembra molto bella perché è la massima estensione del principio copernicano.
Infatti una volta si pensava che la Terra fosse al centro dell'universo, poi si è pensato che fosse il Sole al centro dell'universo, poi si è creduto che il Sole fosse al centro della galassia e che la galassia fosse unica, infine si è visto che il Sole è in posizione periferica e che la nostra galassia è una fra tante.
Adesso si comincia a pensare che anche il nostro universo potrebbe essere un universo fra tanti.

D - Volevo chiedere della materia oscura.
Lei prima accennava al fatto che una delle prove dell'esistenza di questa materia oscura sarebbe l'aumento della velocità di espansione dell'universo anziché una sua diminuzione dopo il Big Bang.

R - No. La presenza della materia oscura è data proprio dalla misura delle masse della nostra galassia e si vede che la massa gravitazionale è molto superiore a quella visibile.

D - La domanda è questa: prima si è supposta l'esistenza dei neutrini, poi si sono cercati e si sono costruiti dei rivelatori di neutrini che ne hanno rilevato l'esistenza.
Poi si è parlato di onde gravitazionali e sono stati costruiti strumenti atti a cercare di catturare queste onde gravitazionali.

R - Ancora non ci siamo riusciti.

D - Si ipotizza che esista questa materia oscura - perché non troviamo un termine migliore per definirla - che è una specie di colla dell'universo tipo i gluoni per le forze atomiche. Si sta cercando di trovare uno strumento per capire che cosa sia?

R - Si pensa che la materia oscura sia costituita da particelle elementari presenti nell'universo primordiale e che sia molto difficile scoprirle perché interagiscono molto poco con la materia.
Si pensa anche che queste particelle abbiano una certa massa e che siano molto più pesanti del protone.
Si sono già costruiti degli strumenti adatti a cercarle.
Per esempio anche in Italia esiste uno strumento: proprio sotto il Gran Sasso.
La massa del Gran Sasso potrebbe non lasciare passare tutte le altre particelle "normali" e lasciare passare solo le particelle che non interagiscono con la materia.
Alcune di queste sono neutrini provenienti dal Sole.
È stato dato l'annuncio che forse era stata rivelata una di queste ipotetiche particelle, chiamata neutralino, che potrebbe essere uno dei costituenti - o il maggiore costituente - della materia oscura.
Però si tratta ancora di una misura preliminare estremamente incerta.

D - Intanto carissima Margherita grazie di esistere!
A me piacerebbe tanto fare una domanda su come lei sente il mistero, però so che non le piace parlare di queste cose.
Allora vorrei fare una domanda sempre legata ai filosofi e ai poeti.
Lei sa benissimo che Kant è stato il primo che ha descritto come poteva essere il Sistema Solare.
Le volevo chiedere: se Leopardi avesse saputo che l'universo aveva un inizio (sembra ormai assodato che l'universo ha un inizio) avrebbe parlato di infinito?

R - Probabilmente sì, perché l'universo è infinito.
E poi bisogna vedere che cosa si intende per inizio.
Perché se l'universo fosse chiuso e avesse una geometria sferica allora si potrebbe parlare di un punto da cui ha avuto inizio.
Se l'universo è aperto - come sembra - cioè in espansione all'infinito, dovrebbe essere stato sempre infinito.
Ma quello che si chiama inizio, il Big Bang, significa che l'universo si trovava in condizioni di temperatura e densità enormemente alte.
Faccio questo esempio anche ai ragazzi a cui parlo: io posso immaginare una molla infinitamente lunga.
Se io stringo questa molla, cioè ne avvicino le spire, o le allontano non è che diventa più infinita o meno infinita.
Perché se è infinita resta sempre infinita.
Cambiano però le sue condizioni fisiche: se la comprimo ne aumento la densità; se la stiro la densità diminuisce.
Quindi anche l'universo del Big Bang poteva essere infinito, ma estremamente caldo ed estremamente denso.
Se si pensa ai multi-versi, cioè a più universi, allora io posso avere un universo infinito nel tempo e nello spazio che genera qua e là tanti mini-universi. Il nostro sarebbe uno di essi.

G.M. Pace - Forse bisognerebbe farne un'altra di queste conversazioni su queste visioni che turbano e confondono.

D - E altre civiltà in questo universo infinito?

R - Giordano Bruno aveva avuto una visione quando diceva che le stelle sono infiniti soli come il nostro ed intorno ad essi orbitano altri pianeti su cui ci saranno altri esseri come noi. Almeno per la prima parte aveva visto giusto, perché oggi sappiamo che le stelle sono tanti soli come il nostro Sole e molte di queste hanno dei sistemi planetari.
Se su questi altri pianeti ci sono esseri come noi forse non lo sapremo mai.
Però la probabilità è che, essendoci miliardi e miliardi di stelle, e quindi miliardi e miliardi di pianeti, miliardi di galassie con centinaia e decine di migliaia di stelle, non è statisticamente accettabileche ci sia solo la Terra con una civiltà come la nostra.
Quindi può anche darsi che le civiltà molto avanzate siano rare - perché sono necessarie molte condizioni concomitanti perché la vita possa raggiungere un alto livello di sviluppo - però mi sembra veramente assurdo che siamo soli.
Quindi è molto probabile che esistano altre civiltà.

D - Lei ha fatto la sua spiegazione dell'universo partendo dal presupposto che il Big Bang sia una teoria accettabile e credibile: la cosiddetta teoria standard.
La domanda è se il Big Bang sia ancora una teoria valida, visto che usa una sola forza per modellare l'universo: la gravità.
Gravità che gli scienziati non sanno neppure cosa sia, perché non è stata definita e chi la definisce prende il premio Nobel.
Perciò il problema secondo me è quello di sapere se la teoria del Big Bang è ancora valida. A mio avviso no.

R - Lei parla in realtà di due teorie: quella dello stato stazionario di Herbert e quella del Big Bang.
Quella del Big Bang ha trovato numerose conferme osservative: oltre all'espansione dell'universo, la presenza della radiazione fossile e le abbondanze cosmiche del deuterio e dell'elio.
Mentre la teoria dello stato stazionario tenta di spiegare la radiazione fossile con l'ipotesi che il ferro espulso sotto forma gassosa dalle supernove, dia luogo raffreddandosi a della limatura di ferro che riprodurrebbe in parte la radiazione fossile osservata.
Questa spiegazione non serve perchè questa limatura di ferro che circonderebbe la galassia, sarebbe un fenomeno solo locale, che non è assolutamente in grado di riprodurre la perfezione con cui si è osservata la radiazione fossile.
Io credo che lei si riferisse a questo.

G. M. Pace - Grazie!

Giovanni Maria Pace