G.M. Pace -
Margherita Hack è un astronomo di fama.
Ha diretto per molti anni l'Osservatorio di Trieste. Attualmente è
presidente del Consorzio per lo sviluppo dei Dipartimenti di Fisica
dell'Università di Trieste.
È un divulgatore, nel senso che ha scritto molti libri per il
grande pubblico. Ne ricordo solo un paio: Sette variazione sul
cielo. Chi l'ha pubblicato?
R - Cortina.
G.M.P. - E la
ristampa - adesso in libreria - de L'Universo alle soglie del terzo
millennio.
R - Di Rizzoli.
G.M.P. - E infine
mi diceva?
R - E' in corso di
stampa e dovrebbe uscire a fine aprile una Storia dell'astronomia
scritta in collaborazione con Giacomo Leopardi.
G.M.P. - Con
Giacomo Leopardi. Nientemeno!
R - Leopardi a
quindici anni ha scritto una storia dell'astronomia che arriva
all'Ottocento e io ho seguitato dall'Ottocento a oggi.
G.M.P. - Ma oltre
che scienziato e divulgatore Margherita Hack è anche uno strenuo
difensore della Ragione, quella che si scrive con la R maiuscola. E
del laicismo.
Le sue prese di posizione sull'astrologia, sugli Ufo, sul
paranormale in genere sono altrettanti esempi di lucidità, civiltà
e anche coraggio, in un Paese dove le statue della Madonna piangono
e in cui dichiararsi atei, come lei ha fatto pubblicamente in più
di una occasione, espone talvolta alla pubblica riprovazione.
R - Non siamo più
ai tempi dell'Inquisizione, quindi non credo ci voglia un gran
coraggio a dichiararsi atei.
G.M.P. - Io
personalmente ho molto apprezzato certe sue prese di posizione.
R - Comunque c'è
molta gente che mi scrive cercando di convincermi che Dio c'è.
G.M.P. - Di
convertirla.
R - Sì, di
convertirmi.
G.M.P. - Quindi
credo che i laici - forse la maggioranza silenziosa - debbano
esserle grati perché lei dà voce e visibilità a idee di
progresso. Idee che però risultano spesso perdenti in un Paese
incline a lasciarsi prendere dalle emozioni più che ad attenersi al
buonsenso.
Ma non è questo il tema della conversazione.
Bene: cominciamo.
La sonda Galileo ha fotografato un'eruzione vulcanica su Io, uno dei
satelliti di Giove, misurando un pennacchio di 140 chilometri di
altezza. Europa è ghiacciato, Venere invece è una specie di
inferno caldissimo.
Come mai i pianeti del Sistema Solare pur appartenendo - come ci
insegnano a scuola - alla stessa famiglia sono così diversi tra
loro?
R - Non si sa molto
bene.
Si suppone dipenda da come è distribuito il materiale della
nebulosa proto-planetaria da cui si sono formati i pianeti.
Si suppone cioè - ed è in fondo l'ipotesi Kant-Laplace - che il
Sole fosse circondato da una grande nebulosa di materia molto più
fredda ed estesa e che nelle parti più interne ci fossero
particelle rocciose che poi si sono andate aggregando a formare i
pianeti interni: Mercurio, Venere, la Terra e Marte. Mentre nelle
parti più esterne e più gassose si siano formati i grossi pianeti
giganti: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
All'estremo si trova Plutone, che è un piccolissimo pianeta con un
satellite grande quasi quanto il pianeta. Plutone probabilmente è
nato come satellite di Nettuno e successivamente le perturbazioni
planetarie lo hanno spazzato fuori a fare il pianeta.
Comunque non si sa ancora bene come si sono formati.
G.M.P. - C'è una
reminescenza della loro origine nel fatto che i pianeti più interni
sono solidi e quelli più esterni gassosi?
R - Sì.
Effettivamente è così.
Grazie ai satelliti per l'infrarosso si è anche visto che molti
stelle giovani, cioè di formazione recente, sono circondate da
dischi di materiale molto estesi.
In due casi si è vista addirittura l'immagine di due stelle
circondate da questa nebulosa, per cui oggi si ritiene che quando si
forma una stella si formi anche un sistema planetario.
I sistemi planetari sarebbero quindi abbastanza comuni.
G.M.P. - Volevo
chiederle della luce e dell'invisibile, dell'universo in diverse
lunghezze d'onda: noi siamo abituati a vedere e pensiamo che questo
sia il solo modo di osservare. In realtà?
R - In realtà
abbiamo studiato il cielo dagli albori della civiltà fino agli anni
Trenta utilizzando solo quel pezzettino dello spettro
elettromagnetico che chiamiamo luce, cioè quelle radiazioni che
danno al nostro occhio la sensazione della luce, dal rosso al
violetto.
Poi nel 1932 si scoprì per caso che i corpi celesti emettono anche
onde radio. E si vide che il cielo visto in onde radio è
completamente diverso da quello che noi vediamo alla luce.
Se i nostri occhi fossero sensibili alle onde radio - come lo sono
per esempio gli apparecchi radio - di giorno vedremmo il cielo
cosparso di sorgenti e il Sole non sarebbe una delle più brillanti:
sarebbe semplicemente una fonte fra tante.
Di notte, mentre noi siamo abituati a vedere un cielo punteggiato di
stelle, non vedremmo le stelle ma sorgenti radio piuttosto estese,
che oggi sappiamo essere galassie. Oppure resti di stelle che sono
esplose alla fine della loro vita, in una esplosione colossale.
Quindi un cielo completamente diverso.
Questo ci dice che forse vale la pena di andare a osservare il cielo
in tutta la banda dello spettro elettromagnetico, che va dai raggi
Gamma ai raggi X, ultravioletto, visibile, infrarosso e onde radio.
Ora, la nostra atmosfera lascia passare soltanto due bande dello
spettro elettromagnetico: la luce e le onde radio.
Infatti si parla di finestra ottica e finestra radio: che è una
bella espressione perché vuol proprio dire che noi ci affacciamo a
guardare il mondo esterno attraverso queste due finestre. Ma se
vogliamo spalancare tutte le finestre bisogna andare nello spazio,
fuori dell'atmosfera. Ecco perché è cominciata l'astrofisica
spaziale.
Ed è cominciata negli anni Cinquanta con dei razzi che portavano a
bordo delle camere fotografiche che fotografavano la luce delle
stelle nell'ultravioletto.
Le macchine fotografiche poi si sganciavano verso terra, attaccate a
dei paracadute.
Ogni tanto andavano in pezzi, ogni tanto no.
Queste sono state le prime osservazioni dallo spazio.
Poi alla fine degli anni Sessanta si sono cominciati a costruire i
satelliti per uso astronomico che portavano a bordo telescopi per
raggi X, telescopi per l'ultravioletto…
G.M.P. - E anche
per l'ottico. Il telescopio spaziale Hubble che orbita intorno alla
Terra non è un satellite.
Tra l'altro gli hanno cambiato la macchina fotografica…
R - Hanno messo una
camera per l'infrarosso e uno spettrografo per l'infrarosso.
È la seconda missione extra-veicolare che compiono.
La prima la fecero per correggere le ottiche, perché quando fu
lanciato il telescopio Hubble paradossalmente avevano sbagliato il
calcolo delle ottiche e quindi le immagini erano pessime. Dovettero
mettere una lente correttrice: dopo l'intervento dà immagini
eccezionali.
Hubble ha un doppio scopo: mentre precedenti satelliti volevano
osservare i corpi celesti in queste bande dello spettro
elettromagnetico - che solitamente vengono tagliate dall'atmosfera -
Hubble ha anche lo scopo di dare immagini estremamente nitide, perché
l'atmosfera non solo elimina certe lunghezze d'onda ma disturba le
immagini, perché è come un oceano d'aria continuamente agitato.
È come se noi volessimo guardare il fondo di una vasca: se l'acqua
è calma e limpida vediamo il fondo, se l'acqua è limpida ma
agitata il fondo non lo vediamo più.
E noi ci troviamo proprio in fondo a questo oceano d'aria quasi
sempre agitato.
Invece Hubble ci porta fuori dell'atmosfera: non solo ci permette di
osservare ultravioletto e infrarosso ma ci permette anche di avere
delle immagini eccezionalmente buone, non disturbate dalla
turbolenza.
G.M.P. - Immagini
ottiche nitidissime.
Forse non lo dovrei chiedere a un astronomo di terra: ora che ci
sono i satelliti, che senso ha continuare a costruire telescopi da
posizionare sulla terra in luoghi sempre più impervi e difficili
per sfuggire all'inquinamento luminoso?
R - Ma io sono
anche un astronomo di spazio perché ho lavorato moltissimo coi
satelliti!
Comunque ha senso, perché i telescopi di terra sono complementari a
quelli dallo spazio. Intanto costano molto meno e durano molto di più.
E poi oggi si fanno telescopi che sono completamente diversi
dall'immagine che l'uomo della strada ha del cannocchiale, con
l'astronomo che passa tutta la notte ad osservare.
In realtà si tratta di macchine estremamente complesse e costose
che bisogna mettere in luoghi lontani dalla civiltà, dove non ci
siano inquinamento luminoso nè smog.
In alta montagna, in modo da avere l'atmosfera più trasparente, e
in località che devono essere protette da più altopiani, il che
permette di avere delle immagini particolarmente calme, con poca
turbolenza.
Zone in cui statisticamente sappiamo di poter disporre di almeno
trecento notti serene all'anno, perché si tratta di un investimento
di parecchi miliardi.
Rispetto a vent'anni fa sono strumenti veramente fantascientifici.
Infatti fino a una ventina d'anni fa si pensava fosse impossibile
fare specchi per telescopi più grandi dei cinque o sei metri
presenti sul Monte Palomar o di quelli del telescopio sul Caucaso.
Perché?
Perché la superficie dello specchio per dare buone immagini non
deve avere irregolarità - avvallamenti o montagnole - superiori a
1/16 di micron su uno specchio che ha un diametro di cinque o sei
metri. (Un micron misura un milionesimo di metro, n.d.r.)
Siccome il vetro è un fluido, sotto il suo stesso peso tende a
flettersi.
Quindi bisognava produrre specchi molto spessi - almeno 1/5 del
diametro - e quindi estremamente pesanti che dovevano poi essere
montati su telescopi in grado di muoversi da est a ovest, per
seguire il moto apparente della volta celeste.
Anche la montatura meccanica doveva essere estremamente rigida e
quindi pesante.
Ma oggi grazie all'elettronica e all'informatica si fanno specchi
anche di dieci metri, come quello che si trova sul monte Manakea
alle Hawaii o come il telescopio europeo sul Paranal, sulle Ande
cilene dell'emisfero australe e che è formato da quattro specchi di
otto metri di diametro ciascuno.
Questi specchi sono sottili: hanno lo spessore di una ventina di
centimetri.
Come mai non si flettono? Perché possiedono tanti appoggi comandati
da un computer in modo da mantenere allo specchio una forma
otticamente perfetta.
Nei telescopi di terra oggi è possibile correggere, almeno in
parte, anche l'effetto della turbolenza atmosferica.
Senza la turbolenza dalla stella ci arriverebbe un fascio di raggi
paralleli.
Il fatto che i vari strati atmosferici sono agitati in modo
irregolare, invece, fa sì che questo fascio sia distorto.
Quando noi guardiamo le stelle le vediamo scintillare: la stella a
cinque punte è l'immagine popolare della turbolenza atmosferica.
E allora che cosa si fa?
Si può mettere sul fascio in arrivo uno specchietto - chiamato
specchio di gomma - estremamente sottile e quindi facilmente
deformabile.
Sempre grazie al computer si può deformare questo specchio in tempo
reale in modo che modifichi il fascio in modo uguale ed opposto a
quello dell'atmosfera.
Si ottengono così delle immagini paragonabili a quelle che si
ottengono dallo spazio.
Soltanto che questo si può fare solo a lunghezze d'onda abbastanza
lunghe, cioè nel rosso e nell'infrarosso, perché qui le variazioni
atmosferiche sono relativamente lente, dell'ordine di un decimo di
secondo, mi pare. Nel violetto e nell'ultraviolettto sono molto più
rapide e quindi diventa molto più difficile correggere la
turbolenza.
Tutto questo ci dice comunque che coi telescopi ottici oggi si
possono fare cose straordinarie.
G.M.P. - Non volevo
offendere i telescopi di terra! Anzi, pensavo di toccare qualche
corda del sentimento, avendo lei diretto quello di Trieste.
R - Ho diretto
l'osservatorio, il che vuol dire dirigere un istituto, perché oggi
i telescopi degli osservatori servono solo per uso didattico.
G.M.P. - Tanto più
che anche questi grandi telescopi - ne abbiamo nominati due:
Manuakea e Paranal - sono ormai accessibili via Internet dai luoghi
più lontani.
R - Sì. Però per
fare le loro osservazioni astronomiche gli astronomi che prenotano
il telescopio hanno a disposizione un tempo ridottissimo, perché le
richieste superano anche di dieci volte il tempo disponibile.
Esiste quindi una commissione fatta da esperti internazionali delle
varie specialità - cioè astronomi stellari, galattici,
extra-galattici - che assegnano il tempo disponibile pe le
osservazioni in base alla bontà del programma.
Si possono così avere una, due, tre notti all'anno a disposizione.
Ma in quella notte si accumulano tante osservazioni che coi vecchi
telescopi ci volevano mesi.
G.M.P. - Anche i
gesti dell'astronomo sono diversi: oggi l'astronomo stà per lo più
davanti a un computer, piuttosto che dietro il cannocchiale.
R - E può
osservare direttamente anche da casa propria: tramite i satelliti si
possono mandare impulsi dall'Europa fino al telescopio sul Paranal e
comandarlo appunto da casa.
Abbiamo fatto un esperimento che ci ha consentito di osservare col
telescopio di Paranal e direttamente dalle nostre scrivanie di
Trieste.
Naturalmente questo sarà il futuro, perché non è ancora
disponibile il satellite dedicato al telescopio che permetterà a
tutti gli astronomi di farlo.
G.M.P. - Io ho
visitato il Cerro Paranal nel deserto di Atacama, in Cile.
È stata un'esperienza importante.
R - E poi il cielo
del sud è meraviglioso.
G.M.P. - Ci sono
due cose che mi hanno colpito di quella visita.
La prima è che quando aprono la cupola per osservare il cielo non
c'è alcun essere umano in quella zona: sono tutti all'interno della
centrale.
Mi spiegavano che questo avviene perché il calore umano altererebbe
l'acquisizione dei dati.
R - Certo, perché
il corpo emana raggi infrarossi.
Non solo.
Una volta i telescopi classici avevano la cupola: durante
l'osservazione la finestra si apre e la cupola gira.
In questi nuovi telescopi la cupola non esiste più: possiedono
invece una copertura di tela leggera, perché la cupola crea una
differenza di temperatura fra l'esterno e l'interno.
Infatti anche dove c'è ancora la cupola questa va aperta molto
tempo prima, perché si stabilizzi così la differenza di
temperatura.
Anche la montatura è diversa.
Perché una volta i telescopi classici dovevano ruotare intorno a un
asse parallelo all'asse polare, cioè all'asse di rotazione della
Terra: in questo modo, una volta puntato all'altezza dell'astro che
ci interessava, il telescopio con un solo movimento seguiva il moto
delle stelle.
Invece questi telescopi hanno una montatura alto-azimutale, come
quella dei cannocchiali per guardare il panorama, in cui si
mettevano le 100 lire.
Questi telescopi per seguire il moto delle stelle hanno bisogno di
compiere due movimenti invece di uno. Quindi dal punto di vista
meccanico è più complicato seguire il moto apparente delle stelle.
Ma oggi i telescopi sono governati dai computer e quindi è più
facile utilizzare la montatura alto-azimutale. Che è anche più
semplice meccanicamente perché il telescopio ruota intorno a due
assi e non intorno a uno come nel caso di quelli equatoriali.
Con tutti questi strumenti oggi si è semplificata enormemente la
meccanica e si è complicata enormemente l'elettronica.
G.M.P. - La seconda
cosa che mi ha colpito di questo telescopio - e che a me è sembrato
un miracolo dell'elettronica - è che è in grado di captare dai
corpi celesti che osserva anche pochi fotoni che arrivino sulla
Terra a distanza di tempo. È poi il computer che li assembla e ne
fa un'immagine.
Io sono rimasto stupefatto.
R - Anche
nell'ottico si faceva.
Per oggetti molto deboli esistevano i fotometri: sono dei contatori
di luce che riescono a contare un fotone alla volta, che poi
sommano.
Si faceva soprattutto per i raggi Gamma e i raggi X, che hanno
sorgenti molto deboli.
G.M.P. - In questo
modo si riescono a vedere cose che l'occhio umano non ha mai potuto
percepire.
R - Infatti. Non
solo perché sono sorgenti estremamente deboli ma anche perché si
trovano in bande dello spettro elettromagnetico a cui l'occhio non
è sensibile.
G.M.P - Ma anche
nell'ottica l'occhio non avrebbe mai potuto vedere questi fotoni,
perché ne arriva uno una volta ogni tanto.
Per questo ho trovato straordinario il telescopio di Cerro Paranal.
R - Anche la lastra
fotografica aveva questa proprietà, almeno in parte.
Perché, entro certi limiti, allungando l'esposizione si è in grado
di percepire di più.
L'occhio invece non può.
G.M.P. - O arriva
tutto subito o l'occhio non vede.
In questi giorni viene rappresentato con molto successo qui a Milano
uno spettacolo ispirato alla scienza che John Barrow ha preparato
per Ronconi. Barrow è un giovane matematico e fisico di Cambridge.
È composto da cinque scene, cinque rappresentazioni che cercano di
dare un'idea dell'infinito.
Noi tutti abbiamo pensato almeno una volta all'infinito e
probabilmente ciascuno di noi ha una sua idea di infinito.
La sua idea dell'infinito, che non siano equazioni e lavagne piene
di cifre, quale è?
R - È molto
difficile dire che cosa si intende per infinito: pensare
all'infinito vuol dire pensare a qualcosa in cui si va sempre avanti
e si trova sempre qualcosa d'altro.
Io un esempio pratico di infinito lo trovo solo pensando ai numeri:
posso cioè sempre andare avanti a contare… Potrei cominciare
appena nasco fino a che muoio a contare, a contare sempre avanti.
Questa è un'idea di infinito.
Come si fa a pensare cosa significa lo spazio infinito?
È qualcosa che non finisce mai.
Come si fa a rappresentarlo?
G.M.P. - La
spaventa questa idea?
R - No.
G.M.P. - Ci si è
abituata? Insomma, se scartiamo le formule matematiche non riesco a
strapparle qualcosa in più sul suo rapporto emozionale,
sentimentale con l'infinito!
R - Sarà una
deformazione professionale! Noi astronomi siamo abituati a pensare
sempre a questo universo infinito.
G.M.P. -
Professoressa Hack, qual è il mostro del cielo - e mi riferisco al
titolo di un famoso libro di Maffei - che più la appassiona, la
sorprende?
I buchi neri, le singolarità, le supernove, le materie oscure?
R - Mi piacciono di
più le supernove.
G.M.P. - Le
supernove?
R - Sì. Queste
stelle grandi, grosse - dieci volte più massicce del Sole - che
alla fine della loro vita, in seguito a tutte le reazioni nucleari
che sono avvenute al loro interno, arrivano ad avere un nucleo fatto
di ferro e di nichel.
Questa stella subisce successive contrazioni e diventa sempre più
densa e sempre più calda.
Nel suo interno avvengono reazioni nucleari sempre più complesse
fino a formare un nucleo di ferro che a quelle temperature (circa
dieci miliardi di gradi) e a quelle densità (miliardi di volte la
densità dell'acqua) si trasforma in elio.
Tutte le reazioni avvenute fino a questo momento - l'idrogeno in
elio, l'elio in carbonio e così via, fino ad arrivare al ferro -
sono reazioni produttrici di energia, perché il prodotto della
reazione ha una massa inferiore, anche se di poco, ai nuclei che
entravano in reazione.
Questa massa che viene a mancare si trasforma in energia seconda la
relazione di Einstein E = mc2, la famosa relazione che c'è scritta
anche sulle magliette.
Invece quando abbiamo un nucleo di ferro succede il contrario: il
ferro si trasforma in elio - in 13 nuclei di elio più quattro
neutroni - però a differenza delle precedenti reazioni la massa del
prodotto è maggiore del nucleo di ferro.
E questo cosa vuol dire che ha bisogno di assorbire energia invece
di fornirla.
E allora di dove la prende l'energia?
La prende dall'energia termica, dalla massa sovrastante il nucleo
che ha una temperatura di miliardi di gradi.
L'assorbimento di energia è tale da produrre un effetto
frigorifero: nel giro di dieci o venti minuti la temperatura piomba
dai 10 miliardi di gradi a 100 milioni di gradi.
Un brusco raffreddamento implica che la velocità di agitazione
termica delle particelle - che era rapidissima quando la temperatura
era molto elevata - diventa molto più lenta.
E quindi non ce la fa più a sostenere il peso della stella
sovrastante.
Tutta la massa precipita allora verso il centro e strizza il centro
a densità incredibili, milioni di miliardi di volte la densità
dell'acqua.
E in questa brusca caduta tutti gli strati più esterni - ancora
ricchi di idrogeno, di elio, di carbonio, cioè di materiale in
grado di fornire energia - scatenano tutta una serie di reazioni
nucleari nel corso delle quali si producono tutti gli elementi che
noi conosciamo sulla Terra.
La stella non riesce a dissipare nello spazio questa enorme
produzione di energia come aveva invece fatto in tutti i miliardi di
anni precedenti, e quindi esplode.
Il Sole, per esempio, diventerà una gigante rossa e lo diventerà
perché, producendo molta più energia di prima, dovrà espandersi
per aumentare la sua superficie di dissipazione.
Ma si tratta di un fenomeno graduale.
Nel caso della supernova la stella, invece di espandersi, esplode e
tutti i prodotti delle reazioni nucleari vengono sparpagliati nello
spazio nel giro di mezz'ora.
Questo materiale prodotto va ad arricchire le nubi di gas
interstellare da cui poi nasceranno altre stelle.
Quindi le supernove sono la maggiore causa di modifica della
composizione chimica della galassia, sono le produttrici degli
elementi pesanti.
Il risultato è che le stelle delle successive generazioni, quelle
che nascono oggi, sono più ricche di elementi pesanti delle
precedenti e questi materiali pesanti sono quelli che poi vanno a
formare i pianeti, vanno a formare anche nei nostri corpi.
Cioè noi siamo fatti di materiale che è stato sintetizzato
nell'esplosione di supernove.
Il materiale di questa bottiglia, di questa seggiola, di noi stessi:
tutti gli atomi che noi conosciamo sulla Terra, di cui tutto quello
che conosciamo è fatto, sono il risultato delle esplosioni di
supernove di precedenti generazioni.
G.M.P. - E il Big
Bang allora?
R - Il Big Bang è
all'inizio.
G.M.P. - E ha fatto
le supernove?
R - No. Le
supernove sono delle esplosioni, è la morte violenta di una stella
grossa. Il Big Bang è un'altra cosa.
G.M.P. - Il Big
Bang è l'esplosione primigenia all'origine di tutto. Da lì nasce
la materia come la conosceremo poi.
R - Non sappiamo
bene come è successo.
G.M.P. - In che
rapporto stanno le supernove rispetto al Big Bang?
R - Le supernove
sono stelle che si sono formate molto dopo.
Quando l'universo ha cominciato ad avere un'età diciamo di un
miliardo di anni…
G.M.P. - Ora ne ha
quanti, undici?
R - Non si sa
esattamente: fra dodici e quindici miliardi di anni.
Si suppone che le galassie si siano cominciate a formare quando
l'universo aveva un po' meno di un miliardo di anni.
Questo è un aspetto che non abbiamo ancora potuto esplorare. Forse
l'esploreremo proprio con i grossi telescopi del Paranal.
Le prime stelle che si sono formate in seguito, sono state
probabilmente proprio stelle grosse, perché avevano molto materiale
a disposizione.
Stelle che sono finite rapidamente come supernove, cominciando ad
arricchire l'universo di materiali pesanti.
L'universo primordiale conteneva infatti soltanto idrogeno pesante -
cioè deuterio - i due isotopi dell'elio e una piccola percentuale
di litio.
Tutti gli altri elementi si sono formati dopo, nelle supernove.
G.M.P. - Quindi la
sequenza è: Big Bang, galassie e supernove.
Ogni tanto bisogna rimettere ordine in queste cose perché ci sono
tali e tante novità in continuazione che il profano facilmente si
confonde.
La materia oscura è un altro ingrediente…
R - Punto oscuro…
G.M.P. - Punto
oscuro e ingrediente importante dell'universo.
Perché è importante?
R - Intanto la
materia oscura cos'è?
Noi possiamo misurare la materia presente nell'universo in due modi.
Prendendo come esempio la nostra galassia, noi possiamo fare un
censimento delle stelle presenti nella galassia.
Sappiamo quale è la massa media di una stella. Sappiamo anche
stimare la massa delle stelle dalla luce che emettono.
Troviamo che la massa della galassia è dell'ordine di 140 miliardi
di volte la massa del Sole.
Questa è la massa visibile, cioè la massa che ci è data
dall'osservazione della luce o delle radiazioni elettromagnetiche
emesse dalle stelle, dalle nubi di gas.
Però poi possiamo misurare la massa in un altro modo, che è lo
stesso modo che si usa per misurare la massa del Sole.
Per misurare la massa del Sole si misura il moto dei pianeti attorno
al Sole.
Questi pianeti restano legati in orbita perché c'è equilibrio tra
la forza di gravitazione - che farebbe cadere i pianeti sul Sole - e
la forza centrifuga, che invece li farebbe andare via per la
tangente.
Dall'eguaglianza di queste due forze si può ricavare la massa del
Sole.
Lo stesso si può fare per la galassia.
Ci sono oggetti molto periferici, ad esempio nubi fredde di
monossido di carbonio, di cui si può misurare il moto necessario a
che restino legati alla galassia. Perché queste nubi con questo
moto restino legate alla galassia occorre una massa che è da sette
a dieci volte la massa visibile. Circa.
Questa massa la chiameremo massa gravitazionale, perché è misurata
appunto in base all'attrazione gravitazionale che la galassia
esercita.
G.M.P. - Si tratta
di una misura indiretta, quindi.
R - Che cos'è
questa massa tanto maggiore di quella visibile?
È quella che si chiama materia oscura.
E questa materia oscura potrebbe trovarsi anche in stelle molto
deboli, che hanno massa ma emettono pochissima luce. Oppure potrebbe
essere formata da pianeti molto più grossi di Giove…
Ora, a parte il fatto che per spiegare questo enorme divario fra
materia misurata e materia osservata occorrerebbe un numero enorme
di stelle e di pianeti, esiste una ragione teorica.
La ragione è questa: che quando l'universo aveva un'età di pochi
minuti, possedeva delle condizioni di temperatura e densità tali da
permettere l'avvenire di reazioni nucleari che trasformavano i
protoni - cioè nuclei di idrogeno - e i neutroni in idrogeno
pesante e in elio. Ora queste reazioni nucleari davano luogo a una
quantità di deuterio che è in ottimo accordo con quella che si
osserva oggi. Purché la densità della materia fosse quella
presentata dalla materia normale, cioè protoni e neutroni.
Se la densità fosse stata 10 volte superiore - cioè quella che si
ricava includendo anche la materia oscura - il deuterio sarebbe
stato praticamente distrutto nella trasformazione di idrogeno in
elio.
Quindi oggi nell'universo non ci dovrebbe essere più deuterio,
mentre invece è presente in una proporzione di un atomo di deuterio
ogni centomila atomi di idrogeno normale.
Questo ci porta a supporre che la materia oscura non possa essere
materia normale: quella, er intenderci, formata da protoni e
neutroni, che si chiama materia barionica e dà luogo alle
radiazioni elettromagnetiche, alla materia visibile.
E allora che cos'è? Non lo sappiamo.
Devono essere particelle elementari che però non interagiscono con
la materia.
E l'unico esempio osservato di questo tipo di materia sono i
neutrini.
I neutrini esistono: si sono osservati i neutrini provenienti dal
Sole e dalla supernova che esplose nella Nube di Magellano nel
febbraio dell''87.
I neutrini possono spiegare la materia oscura negli spazi
intergalattici.
Però non possono spiegare la materia oscura presente nella
galassia, perché possedendo una massa così piccola - tanto piccola
che non siamo riusciti ancora a misurarla esattamente - presentano
una velocità prossima a quella della luce, non restano quindi
imprigionati dalla forza di gravitazione della galassia e sfuggono
immediatamente dalla galassia.
Quindi se non sono neutrini ci deve essere qualcos'altro. Non
sappiamo cosa ma si ipotizza possano essere particelle elementari
che dovevano essere presenti già nell'universo primordiale per
ragioni teoriche di simmetria.
Ragioni teoriche che postulano i fisici teorici.
G.M.P. - Ragioni
che hanno inventato i fisici, in questo senso?
R - In un certo
senso. Ma molte delle particelle che poi si sono scoperte erano
state postulate prima.
G.M.P. - E la
quantità di materia presente nell'universo influisce
sull'evoluzione dell'universo? Sul futuro e sulla fine
dell'universo?
R - Certo!
Noi sappiamo che l'universo è in espansione: lo spazio si sta
espandendo e sta trascinando in questo moto di espansione anche le
galassie.
Lo spazio non è un contenitore inerte: è qualcosa che ha energia,
si espande e trascina in questo moto d'espansione le galassie, che
perciò si vanno allontanando sempre più l'una dall'altra.
Questa espansione però si suppone debba essere frenata dalla forza
di gravità, prodotta dalla materia stessa presente nell'universo.
Una gravità che dovrebbe rallentare l'espansione.
Quando la forza di gravità che tende a far collassare l'universo su
se stesso e la forza d'espansione che invece lo fa espandere
raggiungono un perfetto equilibrio, significa che si è raggiunta la
densità critica della materia nell'universo.
Se la densità dell'universo è inferiore o uguale alla densità
critica si ha un'espansione all'infinito, che però diventerà
sempre più lenta e terminerà dopo un tempo infinito a distanza
infinita, cioè mai.
Se invece la densità è superiore alla densità critica si ha un
universo che dopo un certo tempo arresterebbe questo moto di
espansione per per ri-collassare su se stesso.
Queste erano le idee che si avevano fino a pochi mesi fa.
Da pochi mesi è stato scoperto che in realtà la velocità di
espansione dell'universo non va rallentando come si credeva, bensì
accelerando.
Quindi oltre alla materia oscura sembra che esista anche una forza
oscura che si oppone alla gravità: una specie di antigravità.
Questa anti-gravità l'aveva già inventata, per altre ragioni,
Einstein e l'aveva chiamata costante cosmologica.
Infatti all'epoca in cui Einstein scrisse le sue equazioni sulla
relatività generale si aveva l'idea, che risaliva a secoli prima,
che l'universo fosse statico.
Einstein trovò invece che l'universo sarebbe collassato sotto il
proprio peso: quindi non era statico.
Per farlo rimanere statico inventò l'esistenza di una antigravità
che lo mantenesse in equilibrio e che chiamò appunto costante
cosmologica. E che poi ammise essere stato il suo più grande
errore.
Nel 1922 il matematico russo Alexander Friedman riesaminò le
equazioni di Einstein e scoprì che l'universo poteva presentare le
tre soluzioni cui accennavo prima: densità critica con espansione
all'infinito che non si arresta mai; densità inferiore a quella
critica, e quindi espansione all'infinito con moto più accelerato
ma comunque sempre frenato dalla gravitazione.
Oppure - è il terzo caso - densità superiore alla densità
critica.
In tutti i casi la gravità avrebbe agito sulla forza di espansione,
rallentandola.
Ora invece si trova che questa espansione sarebbe accelerata e che
quindi a maggior ragione l'universo sarà in espansione
all'infinito.
Un'espansione ancora più rapida di quella prevista.
Qual è la forza che provoca questa espansione accelerata?
È una quinta forza fondamentale?
Perché sappiamo che l'universo è governato da quattro forze:
l'elettromagnetismo, che spiega l'emissione luminosa da un corpo
caldo; l'interazione debole, che spiega come elettroni possano
sfuggire da un nucleo e trasformare un atomo in un altro elemento;
l'interazione forte, che spiega come in un nucleo possano restare
insieme più protoni che invece tenderebbero invece a respingersi
perché hanno la stessa carica. Quindi c'è una specie di colla -
sono i gluoni, da glue inglese (colla) - che li tiene attaccati
insieme.
E poi c'è la forza gravitazionale.
Sono le quattro forze fondamentali.
Se c'è ora anche questa anti-gravità abbiamo cinque forze
fondamentali.
G.M.P. - Alla luce
di queste ultimissime scoperte come si può immaginare la fine
dell'universo? Sarà un'espansione o un grande gelo totale?
R - Un'espansione
all'infinito.
Se l'espansione all'infinito porta gli ammassi delle galassie uno
sempre più lontano dall'altro, pian piano in questi ammassi di
galassie la materia da cui si formano le stelle si esaurirà.
Sarà una morte fredda che con questa accelerazione avverrà prima.
Ma siamo sempre nell'ordine di centinaia di miliardi di anni.
G.M.P. - Quindi ci
riguarda fino ad un certo punto.
Però l'ipotesi contraria, quella di un collassamento e di una
rinascita, forse era più carina.
R - Dalle
osservazioni attuali direi che si può escludere. Almeno da quello
che sappiamo oggi. Anche se era un'idea carina: un universo che
rinasceva continuamente dalle proprie ceneri.
G.M.P. - Pochi
giorni fa Pioneer 10 - la mitica sonda - ha risposto a un segnale
inviato da terra. Mi dicono che per raggiungere la navicella il
segnale ha impiegato undici ore. E undici ore sono state necessarie
perché la risposta venisse captata a terra.
Questo Pioneer è alimentato da un reattore a plutonio, quindi ha
ancora energia e ne avrà.
Questo cosa significa?
R - Significa che
Pioneer è ancora dentro il Sistema Solare.
Anche se ha oltrepassato Plutone si trova ancora dentro la Nube di
Hort.
La Nube di Hort è quell'agglomerato di particelle solide lasciate
dalla nebulosa proto-planetaria che ogni tanto, trascinate dalle
perturbazioni dei pianeti dentro il Sistema Solare, diventano poi
comete.
G.M.P. - Ma se noi
fossimo all'interno di questo satellite cosa vedremmo?
R - Vedremmo il
Sole sempre più debole e vedremmo Alfa Centauri e Proxima Centauri
- la stella più vicina a noi - più brillanti ma ancora molto
lontane.
Perché la luce impiega circa quattro anni e mezzo per arrivare da
Proxima Centauri a noi.
Quindi siamo ancora vicini alla periferia del Sistema Solare.
C'è tanta strada da fare.
G.M.P. - Ma è
l'oggetto umano più lontano che sia mai stato lanciato.
R - Eppure è
ancora vicino rispetto alle stelle più prossime.
G.M.P. - C'è un
silenzio assoluto a quelle distanze?
R - Sì. Lì siamo
nel vuoto praticamente perfetto.
G.M.P. - E quindi
essendoci il vuoto non c'è trasmissione di suono, quand'anche ci
fossero suoni.
R - Qualche atomo
di idrogeno per centimetro cubo è sempre un vuoto estremamente
spinto!
G.M.P. - Vuoto e
buio come si vede in Odissea nello spazio.
R - Sì. Non è un
posto allegro.
G.M.P. - Non è
granchè.
Noi andremo poi su Marte?
R - Penso che su
Marte ci andremo e anche abbastanza presto: si parla del 2020, 2030.
E poi Marte, tutto sommato, è il posto meno ostico del Sistema
Solare dopo la Terra, perché su Marte c'è una tenue atmosfera di
anidride carbonica - quindi non respirabile - che però provoca un
effetto serra per cui la temperatura all'equatore può variare
d'estate da + 20° a - 80°.
Si tratta di un bel balzo, però - 80° ci sono anche in Siberia o
in Antartide.
Quindi non è qualcosa di tanto spaventoso.
Poi su Marte il giorno ha circa la stessa durata che sulla Terra,
perché il periodo di rotazione di Marte è di circa 25 ore.
L'inclinazione dell'equatore sul piano dell'orbita è quasi uguale a
quello terrestre: quindi anche su Marte ci sono le stagioni come
sulla Terra.
Da questo punto di vista Marte è il più accogliente di tutti gli
altri pianeti del Sistema Solare.
Infine c'è acqua: su Marte le sonde hanno mostrato che ai poli si
trova acqua ghiacciata.
E sembra che in fondo a certi canyon ci sia acqua, forse ancora
liquida.
E quindi anche su Marte ci potrebbero essere state forme di vita
elementari, come i batteri.
Forse ancora oggi ci potrebbero essere dei batteri.
Da questo punto di vista è il pianeta più interessante.
Certo se si fa il paragone con gli altri pianeti…
Pensiamo a Venere. Venere ha un'atmosfera talmente spessa che ha un
effetto serra tale che la temperatura al suolo è di 500°
centigradi.
Mentre se l'atmosfera fosse simile alla nostra, a causa della
maggiore vicinanza al Sole avrebbe una temperatura media di una
cinquantina di gradi.
Un po' caldo ma, insomma, sopportabile.
G.M.P. - Ma Venere
non è un posto molto accogliente.
R - Pensiamo poi a
Mercurio o alla Luna: non hanno atmosfera e la temperatura passa
dalle parti illuminate dove raggiunge e supera i 100 gradi, a quelle
in ombra dove precipita a meno 100.
G.M.P. - Ma per
arrivare su Marte?
R - Per arrivare su
Marte occorreranno cinque o sei mesi.
Ora è stato avviato il progetto Rubbia, che non conosco bene ma che
dovrebbe accorciare i tempi grazie a un combustibile che dovrebbe
permettere velocità enormi.
G.M.P. - Speriamo
che Carlo Rubbia ce lo venga a raccontare personalmente.
Comunque vedo che lei crede a questa possibilità.
R - Be', sì: per
quanto riguarda Marte senz'altro.
Ma io penso anche che si riuscirà ad esplorare il Sistema Solare,
forse anche alla fine di questo secolo: che l'uomo possa spingersi
fino ai confini, a Urano, a Nettuno.
G.M.P. - Dov'è
adesso Pioneer?
R - No, dove è
Pioneer forse no.
Ma dove è arrivata la Galileo, dove arriverà la sonda Cassini
credo forse sì.
G.M.P. - E oltre?
R - Forse sì.
Però non credo si riuscirà mai a uscire dal Sistema Solare e
arrivare a pianeti di altre stelle. Sono troppo lontani: il limite
è dato dalla velocità della luce.
G.M.P. - Questi
viaggi interplanetari non riguarderanno però la gente comune.
A meno che non faccia scuola l'esempio del miliardario americano
Dennis Tito, il primo turista dello spazio che ha viaggiato sulla
navetta russa.
Un pioniere o un caso clinico, secondo lei?
R - Forse tutt'e
due. Soprattutto uno che ha molti soldi.
G.M.P. - Diamo ora
uno sguardo al futuro.
C'è un tema molto interessante: cresce il numero dei pianeti
Terra-simili.
R - In realtà
finora si sono scoperti pianeti Giove-simili fuori dal Sistema
Solare.
E ce ne devono essere tanti: del primo fu data notizia nel settembre
del '95, da allora a oggi sono passati meno di sette anni e se ne
conoscono una sessantina.
La parte divertente è che nel febbraio del 1995 un famoso
planetologo, Benjamin Zuckerman, sosteneva che i pianeti come Giove
devono essere molto rari perché oggi esistono i mezzi per scoprirli
e non se ne è visto nemmeno uno.
A settembre ecco l'annuncio del primo pianeta, a cui sono seguiti
poi tutti gli altri.
G.M.P. - In scienza
mai dire mai!
R - Mai dire mai.
Io ho detto: non si andrà mai su Alfa Centauri invece può darsi
che mi sbagli.
Questi pianeti comunque non si sono visti direttamente, si è visto
invece l'effetto gravitazionale che provocano sulla loro stella.
Questi pianeti esercitano una attrazione gravitazionale: come la
stella attrae il pianeta, il pianeta attrae la stella, anche se
naturalmente l'effetto del pianeta è molto minore.
Comunque provoca sulla stella un moto oscillatorio: dall'ampiezza
dell'oscillazione si può ricavare la massa del pianeta, dal periodo
delle oscillazioni il suo periodo di rivoluzione.
Tutti questi corpi hanno masse simili a quella di Giove o di dieci
volte superiori.
La loro massa misura quindi da un millesimo a un centesimo la massa
del Sole e questa è la prova che si tratta di pianeti e non di una
stella compagna.
Infatti perché una stella possa diventare tale, deve avere una
massa pari almeno ad un decimo di quella del Sole: solo così
diventa abbastanza calda da innescare le reazioni nucleari che sono
la fonte d'energia della stella.
Tutti questi pianeti sono stati scoperti in questo modo indiretto.
In un solo caso oltre alle oscillazioni si è visto anche una minima
diminuzione di luce della stella mentre il pianeta le passava
davanti.
È una diminuzione di luce inferiore a un centesimo dello splendore
globale del sistema ma i mezzi di misura delle variazioni luminose
oggi sono incredibilmente sensibili.
Occorre tuttavia trovarsi in un caso fortunato, cioè che l'orbita
del pianeta si trovi sulla nostra visuale, altrimenti la diminuzione
di luce non si verifica.
Infatti un solo caso dei sessanta pianeti scoperti si è visto in
questo doppio modo: dalle oscillazioni e dalla diminuzione di luce.
G.M.P. - Ma una
visione diretta è possibile?
R - Per ora no,
probabilmente la potremo avere col grosso telescopio europeo sul
monte Paranal.
Speriamo di riuscirci occultando la luce sovrabbondante della stella
con un diaframma metallico e usando dei filtri che lascino passare
solo la luce rossa della molecola di ossigeno o la luce infrarossa
della molecola dell'ozono.
In questo modo si spera di vedere se l'eventuale pianeta possiede
un'atmosfera di ossigeno o di ozono: questa sarebbe la prova che su
questo pianeta hanno avuto luogo fenomeni di fotosintesi simili a
quelli avvenuti sulla Terra.
G.M.P. - Quindi
potremmo non solo constatare l'esistenza del pianeta ma anche avere
delle indicazioni sull'esistenza o meno della vita su di esso.
Bene professoressa, io potrei continuare a chiederle tante cose
perché tutto questo è affascinante, ma dobbiamo lasciare un po' di
spazio alle domande del pubblico.
Lasci comunque che le chieda: come accade che gli astrologi oggi
abbiano tanto successo?
R - C'è il
desiderio di conoscersi e di conoscere il futuro, di avere un
incoraggiamento.
In fondo è un segno della debolezza umana, del desiderio di credere
in qualcosa che ci aiuti e ci dia fiducia e conforto.
Bisognerebbe però che ci fosse molta più razionalità - e anche
molta più conoscenza scientifica - per capire che l'astrologia
ormai è una superstizione del passato, che aveva un senso quando
non avevamo la minima idea di cosa fossero le stelle.
Ai tempi dei Greci le stelle e i pianeti erano divinità: nelle
stelle si vedevano le gesta degli eroi.
Ma anche allora i filosofi naturali non credevano nell'astrologia e
cercavano di spiegare razionalmente che cosa fossero le stelle.
Ed è sorprendente che in fondo, anche senza prove scientifiche, ci
azzeccassero abbastanza: pensavano che le stelle fossero fatte della
stessa materia che troviamo sulla Terra e questo è vero.
Anche se oggi sappiamo che sono proprio le stelle a fabbricare
questa materia.
La filosofia degli antichi Greci a volte è sorprendente.
G.M.P. - Grazie
professoressa Hack.
Direi che possiamo passare alle domande del pubblico. Abbiamo una
decina di minuti.
D - Buonasera.
Professoressa, volevo chiederle due cose.
La prima: il metodo di valutazione ossigeno/ozono che ha dinanzi
spiegato è stato applicato anche per l'atmosfera di Marte?
La seconda: questa anti-gravità non potrebbe essere una massa
esterna che attira sempre di più l'universo?
R - Per Marte e per
i pianeti in generale si usano tecniche spettroscopiche: si può
registrare lo spettro della luce del Sole riflessa dal pianeta e le
bande di assorbimento indicano la presenza di varie molecole
atmosferiche.
Per quanto riguarda l'esterno dell'universo… Se l'universo è
infinito non so dove si possa mettere il suo esterno. Quindi è
un'idea un po' fantascientifica.
G.M. Pace - Ma
Roger Penneraul sostiene che ci sono più universi, e non solo lui!
R - L'idea dei
multi-versi - l'idea che ci siano più universi - deriva
dall'osservazione che il nostro universo ha proprietà tali che se
fossero solo un po' diverse l'universo non avrebbe potuto creare le
stelle, le galassie e quindi nemmeno la vita.
Sembrerebbe quindi un universo fatto su misura per noi.
Il che è un'idea che può soddisfare i credenti ma non il punto di
vista scientifico.
Se uno crede in Dio può credere anche che l'universo sia fatto su
misura per l'uomo, con l'uomo al centro dell'universo. Ma non è
un'idea molto soddisfacente dal punto di vista laico.
Allora è stata avanzata l'idea - un'ipotesi non verificabile e
quindi più metafisica che fisica - che ci siano uno spazio e un
tempo infiniti percorsi da energia e che questa energia possa dar
luogo alla formazione di universi che possono essere come il nostro
ma anche molto diversi.
Solo in quegli universi in cui ci sono le condizioni adatte alla
formazione di stelle, pianeti e galassie si sviluppa la vita.
Quindi sarebbe un fatto naturale che in questo universo ci sia la
vita e il nostro sarebbe solo un universo fra tanti.
Si tratta di un'idea metafisica che però mi sembra molto bella
perché è la massima estensione del principio copernicano.
Infatti una volta si pensava che la Terra fosse al centro
dell'universo, poi si è pensato che fosse il Sole al centro
dell'universo, poi si è creduto che il Sole fosse al centro della
galassia e che la galassia fosse unica, infine si è visto che il
Sole è in posizione periferica e che la nostra galassia è una fra
tante.
Adesso si comincia a pensare che anche il nostro universo potrebbe
essere un universo fra tanti.
D - Volevo chiedere
della materia oscura.
Lei prima accennava al fatto che una delle prove dell'esistenza di
questa materia oscura sarebbe l'aumento della velocità di
espansione dell'universo anziché una sua diminuzione dopo il Big
Bang.
R - No. La presenza
della materia oscura è data proprio dalla misura delle masse della
nostra galassia e si vede che la massa gravitazionale è molto
superiore a quella visibile.
D - La domanda è
questa: prima si è supposta l'esistenza dei neutrini, poi si sono
cercati e si sono costruiti dei rivelatori di neutrini che ne hanno
rilevato l'esistenza.
Poi si è parlato di onde gravitazionali e sono stati costruiti
strumenti atti a cercare di catturare queste onde gravitazionali.
R - Ancora non ci
siamo riusciti.
D - Si ipotizza che
esista questa materia oscura - perché non troviamo un termine
migliore per definirla - che è una specie di colla dell'universo
tipo i gluoni per le forze atomiche. Si sta cercando di trovare uno
strumento per capire che cosa sia?
R - Si pensa che la
materia oscura sia costituita da particelle elementari presenti
nell'universo primordiale e che sia molto difficile scoprirle perché
interagiscono molto poco con la materia.
Si pensa anche che queste particelle abbiano una certa massa e che
siano molto più pesanti del protone.
Si sono già costruiti degli strumenti adatti a cercarle.
Per esempio anche in Italia esiste uno strumento: proprio sotto il
Gran Sasso.
La massa del Gran Sasso potrebbe non lasciare passare tutte le altre
particelle "normali" e lasciare passare solo le particelle
che non interagiscono con la materia.
Alcune di queste sono neutrini provenienti dal Sole.
È stato dato l'annuncio che forse era stata rivelata una di queste
ipotetiche particelle, chiamata neutralino, che potrebbe essere uno
dei costituenti - o il maggiore costituente - della materia oscura.
Però si tratta ancora di una misura preliminare estremamente
incerta.
D - Intanto
carissima Margherita grazie di esistere!
A me piacerebbe tanto fare una domanda su come lei sente il mistero,
però so che non le piace parlare di queste cose.
Allora vorrei fare una domanda sempre legata ai filosofi e ai poeti.
Lei sa benissimo che Kant è stato il primo che ha descritto come
poteva essere il Sistema Solare.
Le volevo chiedere: se Leopardi avesse saputo che l'universo aveva
un inizio (sembra ormai assodato che l'universo ha un inizio)
avrebbe parlato di infinito?
R - Probabilmente sì,
perché l'universo è infinito.
E poi bisogna vedere che cosa si intende per inizio.
Perché se l'universo fosse chiuso e avesse una geometria sferica
allora si potrebbe parlare di un punto da cui ha avuto inizio.
Se l'universo è aperto - come sembra - cioè in espansione
all'infinito, dovrebbe essere stato sempre infinito.
Ma quello che si chiama inizio, il Big Bang, significa che
l'universo si trovava in condizioni di temperatura e densità
enormemente alte.
Faccio questo esempio anche ai ragazzi a cui parlo: io posso
immaginare una molla infinitamente lunga.
Se io stringo questa molla, cioè ne avvicino le spire, o le
allontano non è che diventa più infinita o meno infinita.
Perché se è infinita resta sempre infinita.
Cambiano però le sue condizioni fisiche: se la comprimo ne aumento
la densità; se la stiro la densità diminuisce.
Quindi anche l'universo del Big Bang poteva essere infinito, ma
estremamente caldo ed estremamente denso.
Se si pensa ai multi-versi, cioè a più universi, allora io posso
avere un universo infinito nel tempo e nello spazio che genera qua e
là tanti mini-universi. Il nostro sarebbe uno di essi.
G.M. Pace - Forse
bisognerebbe farne un'altra di queste conversazioni su queste
visioni che turbano e confondono.
D - E altre civiltà
in questo universo infinito?
R - Giordano Bruno
aveva avuto una visione quando diceva che le stelle sono infiniti
soli come il nostro ed intorno ad essi orbitano altri pianeti su cui
ci saranno altri esseri come noi. Almeno per la prima parte aveva
visto giusto, perché oggi sappiamo che le stelle sono tanti soli
come il nostro Sole e molte di queste hanno dei sistemi planetari.
Se su questi altri pianeti ci sono esseri come noi forse non lo
sapremo mai.
Però la probabilità è che, essendoci miliardi e miliardi di
stelle, e quindi miliardi e miliardi di pianeti, miliardi di
galassie con centinaia e decine di migliaia di stelle, non è
statisticamente accettabileche ci sia solo la Terra con una civiltà
come la nostra.
Quindi può anche darsi che le civiltà molto avanzate siano rare -
perché sono necessarie molte condizioni concomitanti perché la
vita possa raggiungere un alto livello di sviluppo - però mi sembra
veramente assurdo che siamo soli.
Quindi è molto probabile che esistano altre civiltà.
D - Lei ha fatto la
sua spiegazione dell'universo partendo dal presupposto che il Big
Bang sia una teoria accettabile e credibile: la cosiddetta teoria
standard.
La domanda è se il Big Bang sia ancora una teoria valida, visto che
usa una sola forza per modellare l'universo: la gravità.
Gravità che gli scienziati non sanno neppure cosa sia, perché non
è stata definita e chi la definisce prende il premio Nobel.
Perciò il problema secondo me è quello di sapere se la teoria del
Big Bang è ancora valida. A mio avviso no.
R - Lei parla in
realtà di due teorie: quella dello stato stazionario di Herbert e
quella del Big Bang.
Quella del Big Bang ha trovato numerose conferme osservative: oltre
all'espansione dell'universo, la presenza della radiazione fossile e
le abbondanze cosmiche del deuterio e dell'elio.
Mentre la teoria dello stato stazionario tenta di spiegare la
radiazione fossile con l'ipotesi che il ferro espulso sotto forma
gassosa dalle supernove, dia luogo raffreddandosi a della limatura
di ferro che riprodurrebbe in parte la radiazione fossile osservata.
Questa spiegazione non serve perchè questa limatura di ferro che
circonderebbe la galassia, sarebbe un fenomeno solo locale, che non
è assolutamente in grado di riprodurre la perfezione con cui si è
osservata la radiazione fossile.
Io credo che lei si riferisse a questo.
G. M. Pace -
Grazie!
Giovanni Maria Pace