4.2 La questione leucippea.
La comparsa
della tesi atomistica sullo scenario della
filosofia greca assume il
significato di un irruzione di pluralismo
estremo nel panorama di una fisica e
di una metafisica dominate dalla pervicace
ricerca di un origine “unica” per
tutte le cose esistenti [1].
Un operazione di questo tipo deve aver generato
all’epoca uno sconcerto non
facilmente assorbibile, soprattutto nell’originaria
versione leucippea basata
su un casualismo ontologico che doveva apparire
intollerabile. Non meno
intollerabile di quanto non appaia anche
nei tempi moderni, a giudicare dal
pervicace e ripetuto tentativo di “addomesticare”
l’atomismo leucippeo
sostenendo, un impossibile e surrettizia
derivazione dall’eleatismo, sulla
base, come si è visto, di inconsistenti notizie
circa un alunnato di Leucippo
presso Zenone di Elea.
Ma non soltanto
di questo si tratta, infatti il problema
non è tanto biografico quanto
filosofico, e sotto due aspetti entrambi
fondamentali: quello del metodo e
quello del merito. Per quanto riguarda il
primo aspetto va detto che la
filosofia di Zenone si costituisce attraverso
un procedere logico-dialettico
che farà scuola e rimarrà esempio procedurale
per tutta la logica successiva.
Ma ciò è del tutto estraneo a Leucippo, e
non soltanto perché dai documenti che
ci informano sulla sua filosofia (e che verosimilmente
ne riprendono
l’argomentazione) è del tutto assente questo
modo di argomentare, ma perché
probabilmente per esporre la fisica degli
atomi sarebbe del tutto inefficace. È
infatti il discorso zenoniano un tipo di
discorso su base confutativa prima che
affermativa e quindi del tutto inutile per
proporre e descrivere una nuova
teoria fisica. Si aggiunga che sulla base
dei testi a nostra disposizione
appare in Zenone mancare completamente gli
argomenti fisico o cosmogonico e che
persino quello ontologico è reso pochissimo
e con poche tracce del tutto
insignificanti e tributarie di Parmenide
[2].
La filosofia di Zenone, d’altra parte,
si costituisce attraverso “ragionamenti”
logico-dialettici astratti (che
anticipano molti posteriori procedimenti
matematici), mentre quella leucippea è
fatta di descrizioni fisico-cosmologiche
concrete; perciò esse si muovono in
direzioni completamente differenti e sul
piano ontologico del tutto opposte. Ma
vi è poi un problema specifico di merito,
in quanto l’obbiettivo che si pone
Zenone è quello di dimostrare l’inesistenza
dell’infinito e della molteplicità,
mentre quella di Leucippo è quella di porre
un infinito (il vuoto) come
condizione dell’esistenza della molteplicità
degli atomi. C’è veramente da
domandarsi in virtu di quali stravaganti
supposizioni sia stato possibile
collegare tra loro posizioni filosofiche
così puntualmente contrarie ed
oppositive.
Tolto di mezzo
ogni riferimento all’eleatismo, in quanto
inconsistente e contraddittorio, la
domanda che ci si può porre è però se la
filosofia leucippea sia lo
straordinario frutto di un pensiero rivoluzionario
e innovativo oppure non
abbia trovato dei precedenti a cui appoggiarsi
od agganciarsi, e in tal caso
quali siano questi precedenti e come abbiano
potuto porsi come prodromi
dell’atomismo leucippeo. Ma se teniamo presente
che Leucippo è uno ionio
(probabilmente di Mileto) diventa immediatamente
chiaro come la sua filosofia
non sia che il coronamento di un lungo processo
evolutivo del pensiero
greco-ionio [3].
Della vita di
Leucippo si conosce poco o nulla (ne è stata
persino messa in dubbio la reale
esistenza) e non vi è nulla di certo per
poterne tracciare adeguatamente la
figura, la sua patria e le sue vere ascendenze
culturali. Le opere di lui sono
poi, come si è visto, spesso confuse (o fatte
confluire) con quelle del suo
allievo Democrito [4]. Le fonti
alle quali attingere sono pertanto costituite
dalla tarda biografia di Diogene
Laerzio e da un numero abbastanza limitato
di testimonianze che coprono un arco
di nove secoli. Sentiamo subito che cosa
dice Diogene (IX, 30 sgg., Vors. 67.A.1):
Leucippo nacque ad Elea; secondo certuni,
ad Abdera; secondo
altri, a Mileto. Fu scolaro di Zenone. Egli
affema che le cose sono infinite di
numero e si trasformano le une nelle altre;
e che l’universo consta di vuoto e
di pieno. […] [5]
Abbiamo fatto qui parlare per primo il biografo
per
eccellenza, in quanto estensore del testo
più corposo su Leucippo, ma non
dobbiamo dimenticare che Diogene scrive nel
III secolo; quindi non possiamo
esimerci dal chiederci quali elementi di
certezza egli potesse possedere per
affermare che Leucippo fosse di Elea (ed
in più allievo di Zenone) dal momento
che, per quanto ci risulti, prima di
lui soltanto lo Pseudo-Galeno (Historia philosopha, 3) e Clemente
Alessandrino (Stromata, I, 64) avevano affermato essere Leucippo
scolaro
di Zenone; affermazione ripetuta poi da Sant’Ippolito
(Refutatio I,12)
che verosimilmente lo desumeva dal testo
di Clemente di cui era certamente a
conoscenza. Quali elementi potessero avere
i sopra-citati per definire Leucippo
scolaro di Zenone non lo sappiamo, ma è certo
che questo alunnato di Leucippo
sotto il famoso eleate compare molto tardi
e paiono quindi legittimi seri dubbi
circa l’attendibilità di tale asserzione,
tra l’altro maturata in ambiti
piuttosto estranei alla fisica e alla cosmologia.
Infatti è solo nello scritto
psudo-galenico (verosimilmente nato in ambito
medico-filosofico e più tardo
rispetto agli autentici scritti di Galeno)
che compare questa assoluta novità.
Ciò poiché, in ordine di tempo, la testimonianza
più antica che possediamo su
Leucippo rimane ancora sempre quella di Aristotele,
il quale non cita mai la
patria d’origine di Leucippo né fa alcun
accenno a Zenone come suo maestro.
Piuttosto, nel considerarlo il fondatore
della scuola di Abdera (e
nell’accostarlo costantemente a Democrito)
se non ci lascia pensare che lo
ritenga abderita neppure ce lo fa escludere.
Nell’ordine temporale della
documentazione di cui disponiamo lo Stagirita
è seguito poi da Aezio (I sec.),
il quale invece sembra avere un idea molto
precisa di dove sia nato Leucippo,
laddove afferma (I, 3, 15, Dox.285, Vors. 67.A.12):
Leucippo di Mileto poneva quali
principi ed elementi del reale il pieno e
il vuoto. [6]
Ovviamente non è detto che Aezio, quattro
secoli dopo
Aristotele, avesse maggiori elementi per
definire la patria di Leucippo, ma è
importante notare che comunque, sino a questo
momento, né di un suo alunnato
presso Zenone e tanto meno di una sua provenienza
da Elea si parla.
Ma torniamo
alla già ricordata Historia philosopha (Hist. Philos., 3, Dox.601,
Vors. 67.A.5), uno scritto già attribuito a Galeno
e poi rivelatosi da
studi novecenteschi non di lui, nel quale
(parlando di Zenone) si afferma:
Leucippo di Abdera, scolaro di
costui [Zenone d’Elea], per primo arrivò alla scoperta degli atomi.
[7]
Quali elementi poteva avere questo misterioso
Pseudo-Galeno per rendere una simile affermazione?
Non possiamo saperlo come è
ignoto il personaggio, ma il fatto che nessuno
prima di lui ne avesse accennato
appare certamente molto significativo. Quel
che è certo è che tale
affermazione, ritenuta di Galeno e complice
il grande prestigio di lui
(ricordiamo che fu medico personale degli
imperatori Marco Aurelio e Commodo)
ha dato inizio a tutta una serie di deduzioni
circa Elea come luogo di nascita
di Leucippo che alla luce delle precedenti
testimonianze (verosimilmente più
attendibili) appaiono del tutto arbitrarie.
La notizia di un presunto alunnato
di Leucippo sotto Zenone nasce dunque in
ambito romano intorno al II-III sec. e
quindi almeno sei secoli più tardi dell’esistenza
reale di Leucippo.
Ma torniamo a
Diogene Laerzio per rilevare un particolare
non privo di significato, ovvero
che Diogene aggiunge quel «secondo certuni,
ad Abdera; secondo altri, a
Mileto».Ciò significa che egli sente il dovere
di citare anche l’esistenza di
voci difformi sulla patria di Leucippo e
si deve presumere che, se lo fa, è
perché ha qualche dubbio sulla veridicità
della sua affermazione, anche (e se
non altro) in relazione sia all’omissione
di Aristotele e sia alla precisazione
di Aezio. Se vogliamo poi completare il quadro
delle nostre testimonianze
abbiamo Sant’Epifanio che nel IV sec. (Adversus haereses, III, 2, 9, Dox.590,
Vors.67.A.33) parla di un «Leucippo di Mileto, o di Elea» [8]
e ancora più tardi (VI sec.) Simplicio, che
ci riferisce di un «[…]
Leucippo, di Elea o di Mileto (perché su
di lui c’è l’una e l’altra
tradizione), parteggiando per la filosofia
di Parmenide non seguì però la stessa
via di Parmenide e di Senofane […]» [9]
Dalle
osservazioni e dalle citazioni sopra fatte
ne emerge che non vi è nessuna buona
ragione storiografica per affermare che Leucippo
sia stato scolaro di Zenone,
poiché le testimonianze in tal senso sono
tutte molto tarde, essendo la più
recente in tal senso quella già citata dello
Pseudo-Galeno, che non sembra
poter risalire ad un epoca precedente la
seconda metà del II secolo o l’inizio
del III. In quanto a Diogene Laerzio, si
sa come egli sia uno straordinario
“raccoglitore” di notizie assai preziose,
ma che non pare sufficientemnte
critico nel selezionare le sue fonti di informazione,
le quali sono poi,
ricordiamolo, quelle del mondo greco-romano
in un pieno III secolo ormai
caratterizzato dalla forte presenza della
cultura cristiana e di quella
neoplatonica (ideologicamente nemiche e contrapposte,
ma, ovviamente, entrambe
del tutto aliene dall’occuparsi di un misterioso
filosofo ateo del V sec.a.C.
se non per condannarlo).
Ma ammettiamo che lo Pseudo-Galeno sia
personaggio credibile e che abbia qualche
buona ragione per indicare Zenone
come maestro di Leucippo, occorrerà allora
anche sottolineare il fatto che egli
definisce Leucippo come nativo di Abdera.
Dunque, secondo l’autore dell’Historia
philosopha Leucippo dovrebbe essere un abderita che
per qualche ragione si
sarebbe trasferito ad Elea, oppure che avesse
avuto qualche occasione di
prendere lezioni da Zenone in qualche altro
luogo. Ricordiamo che sino a questo
Pseudo-Galeno nessuno aveva mai parlato di
Zenone come maestro di Leucippo e
tanto meno che egli potesse essere nativo
di Elea; il ché avverà soltanto più
tardi con Diogene Laerzio. Ora, se ci vediamo
deduttivamente indotti ad
escludere ogni riferimento ad Elea come luogo
d’origine di Leucippo ci si deve
chiedere “come” e “dove” egli avrebbe
potuto prendere lezioni da Zenone fuori di
Elea. Abbiamo appreso nel Parmenide
(127 a-b) platonico che Zenone, al seguito
di Parmenide, avrebbe soggiornato ad
Atene in occasione di una ricorrenza quadriennale
delle Grandi Panatenee
[10].
Questa visita, in base ai dati biografici
e storici, avrebbe potuto avvenire
intorno alla metà del V sec.a.C. Bisognerebbe
allora presumere che: 1) Leucippo si trovasse ad Atene in quel
frangente e 2) Zenone vi tenesse lezioni
di filosofia. Supposizioni, entrambe,
assai problematiche; la prima perché non
abbiamo notizia alcuna di un soggiorno
di Leucippo ad Atene, la seconda perché sappiamo
che Parmenide e Zenone
sarebbero stati nella città attica per ragioni
eminentemente politiche e non
certo culturali.
Nella nostra
ricerca volta a definire con caratteri di
sufficiente probabilità la patria di
Leucippo ci restano ancora tre possibilità
di indagine che non lasceremo
cadere: a) quella storica, b) quella geografica
e c) quella antroponimica.
Relativamente alla a) noteremo allora che
Abdera sarebbe stata fondata, secondo
il mito, da Ercole, mentre in realtà è colonia
fondata e costituita da emigrati
di Clazomene verso la metà del VII sec.a.C.
Successivamente distrutta dai Traci
venne poi ricostruita da abitanti di Teo
(località poco a sud di Clazomene) in
fuga dall’avanzata dell’impero persiano;
sotto il cui dominio, comunque, Abdera
cadde nel 515, rimanendovi poi sino al 478
a.C., data alla quale entrò a far
parte della Lega delio-attica (rimanendovi
sino al 411). Sono proprio questi
gli anni, a cavallo della metà del V sec.,
in cui Leucippo, sempre che di
Abdera non sia nativo, è arrivato in questa
città, poiché Democrito (che vi
nasce nel 460 circa) potrebbe essere diventato
suo allievo dopo il 445.
L’insieme delle
circostanze storiche sopra ricordate ci lascia
pensare che Leucippo potrebbe
aver fatto parte della seconda ondata migratoria
dalle coste ioniche verso aree
della Grecia più lontane dal centro del dominio
persiano, ma comunque
raggiungibili abbastanza facilmente. Clazomene
e Teo sono città della Lidia,
che è regione confinante con la Caria, e
si trovano rispettivamente tra gli
ottanta e i settanta chilometri circa da
Mileto, che è una delle città più
citate come possibile patria di Leucippo,
sia pure soltanto da Aezio in poi. Il
quale, in ogni caso, precede di almeno due
secoli Diogene Laerzio che la indica
invece in Elea (sulla scorta dello Pseudo-Galeno),
ma che non va dimenticato
l’associa comunque anche ad Abdera («secondo
alcuni») e a Mileto («secondo
altri»). Ne consegue che Mileto assume un
grado di probabilità di essere patria
di Leucippo non molto inferiore a quella
di Abdera, in considerazione del fatto
che Aristotele, almeno in un caso (De caelo, III, Γ, 4, 303 a 4),
si preoccupa di aggiungere l’aggettivo “abderita”
al solo Democrito (οϊον
Λεύιππος
τε
καί Δημόκριτος
ό Άβδηρίτης) lasciandoci
in sospeso reltivamente a Leucippo. Non è
inprobabile che lo Stagirita fosse a
conoscenza di voci che non davano Leucippo
come nativo di Abdera e che in tale
occasione abbia voluto precisare il luogo
di nascita di Democrito, astenendosi
motivatamente dall’attribuire la stessa provenienza
al primo, in quanto non era
in possesso di elementi sicuri.
Per quanto
riguarda l’elemento b) geografico della nostra
analisi va notato che Abdera era
facilmente raggiungibile dalle località dell’Asia
Minore sia via mare sia via
terra in un tempo relativamente breve. E
d’altra parte la temperie storica in
cui si colloca la vicenda della nascita della
filosofia atomistica rende
possibile anche un eventuale trasferimento
di emergenza, senza grandi
difficoltà e in tempi abbastanza ristretti.
Si aggiunga che essendo Abdera
fondata da popolazioni ioniche, sia con la
prima ondata (da Clazomene) sia con
la seconda (da Teo), l’origine etnica della
popolazione ne faceva un contesto
in cui non solo si parlava lo stesso dialetto
delle città della Caria e delle
zone limitrofe, ma in cui anche relativamente
ad ascendenze storiche e culturali,
nonché usi e costumi, essa poteva rappresentare
un contesto sociale
relativamente famigliare sia per un lidio
che per un cario. All’opposto,
l’ipotesi di una provenienza italica di Leucippo
pare del tutto improbabile,
sia perché l’unica possibilità di trasferimento
era quella via mare, sia per la
grande distanza esistente tra la costa tirrenica
e le coste settentrionali
dell’Egeo e sia, infine, poiché non si vede
la ragione per cui un greco di Elea
avrebbe dovuto lasciare una patria che stava
attraversando un periodo di grande
prosperità (in seguito alla caduta di Sibari
e alle lotte con con Poseidonia e
Lao, nonché all’apertura dei commerci con
gli Etruschi (antichi nemici) per
cercare fortuna così lontano e in un area
funestata di recente dalle guerre persiane.
Rimane
l’elemento c) antroponimico, di per se stesso
di importanza non trascurabile,
ma che correlato agli elementi sopra esaminati
risulta rafforzativo delle
nostre tesi e per alcuni versi dirimente.
L’antroponimia è branca dell’onomastica che
stabilisce in termini
storici, contestuali e topologici, come un
nome proprio di persona sia nato, si
sia diffuso in una certa area e sia stato
usato in quella o in altre aree.
Leucippo è il nome proprio di molti personaggi
mitici appartenenti ad un areale
abbastanza vasto che copre il mondo ellenico
attorno al Mar Egeo,
concentrandosi tuttavia specialmente nell’area
peloponnesiaca meridionale e
sulle coste dell’Asia Minore. Va aggiunto
che, al femminile, il nome Leucippo
veniva declinato in Leucippe e che vi sono
numerose eroine mitiche con questo
nome, la prima delle quali (in una certa
tradizione) sarebbe stata moglie di
Laomedonte (uno dei primi re di Troia) e
quindi madre di Priamo. In altre
tradizioni Leucippe è moglie di Testio (eroe
etolo) e madre di Ificlo
(protagonista di leggende tessali), in altre
va riferita a Micene, in quanto
figlia di Testore e sorella di Calcante (il
mitico indovino omerico), in altre
ancora è madre di Euristeo (re di Tirinto,
Micene e Midea in Argolide).
Emergono qui una linea mitica principale,
quella del Peloponneso meridionale,
ed in subordine quella troiana e quella tessala.
In ogni caso nulla che possa
riferirsi al mondo tirrenico. Per quanto
riguarda il nome maschile Leucippo
abbiamo almeno nove linee mitologiche derivate
da altrettanti personaggi mitici
differenti. Li elenchiamo in successione:
1. E’ figlio di
Enomao (re dell’Elide) in una variante laconica
del mito di Dafne. Innamorato
della ninfa (e quindi concorrente di Apollo)
si travestì da ragazza per avvicinarla,
ma l’inganno gliela fece perdere definitivamente.
In un’altra versione più
cruenta Artemide venne a sapere dell’inganno
e lo uccise. In un’altra variante
ancora è un Apollo geloso che trova il modo
di toglierlo di mezzo provocando
l’ira delle compagne di Dafne.
2. Nipote di Eolo (re di Messene), figlio di
Periere e fratellastro di Tindaro. Fu padre
di Febe e Ilera, che andarono spose
a Castore e Polluce. La leggenda era diffusa
in ambito peloponnesiaco (Laconia
e Messenia) e collegata alle imprese dei
Dioscuri.
3. Figlio di Turimaco, re di Sicione (Argolide
settentrionale). La sua figlia Calchinia
venne ingravidata da Poseidone. Il
figlio che ne nacque (Perato) venne adottato
da Leucippo, che ne fece il suo
successore.
4. Figlio dell’eroe
cario Nasso (eponimo dell’isola di Nasso),
di cui Leucippo fu re. Sotto il
regno di suo figlio Smerdio si verifica l’episodio
dell’abbandono di Arianna da
parte di Teseo. E’ leggenda tipica dell’ambito
cario-egeo.
5. Figlio di
Xantio (discendente di Bellerofonte). Per
una maledizione di Afrodite si
innamorò della propria sorella e ne diventò
l’amante. In seguito a vicende
drammatiche legate al suo incesto passò in
Tessaglia e con dei tessali fondò
poi una colonia a Creta. Cacciato dai compagni
ritornò in Asia Minore e fondò
la città di Cretineone, nella regione di
Mileto. In una variante di questa
leggenda Leucofrine, figlia di Mandrolito
di Magnesia sul Menandro, aveva
tradito la propria patria per amore di Leucippo
(che era a capo di un esercito
nemico).
6. Uno dei figli
avuti da Eracle con una delle figlie di Tespio
(eroe eponimo della città beota
di Tespi). Eracle, come è noto, è capostipite
della stirpe dorica e quindi
appartenente ad una mitologia micenea e forse
pre-micenea. Tuttavia la sua diffusione
ne fa un personaggio mitologico quasi ubiquitario
di tutto il mondo ellenico e
quindi difficilmente riferibile ad una regione
in particolare.
7. Figlio di
Euripilo, personaggio mitico le cui leggende
si dispiegano tra la Tessaglia e
il Golfo di Patrasso. In altre varianti Euripilo
è un figlio di Posidone che
regnò su Cirene in Libia.
8. Figlio di
Pimandro, eroe beota fondatore della città
di Pimandria (poi Tanagra). Leucippo
venne ucciso involontariamente dal padre
con un sasso che era stato lanciato
contro il muratore Policrito che l’aveva
insultato durante la costruzione delle
mura della città. In seguito all’involontario
delitto Pimandro dovette
abbandonare la Beozia. Fu ospitato da Achille
che lo mandò in missione presso
Elefenore di Calcide, nell’isola di Eubea.
9. Leucippo è
figlia di Galatea [11],
una donna di Festo (Creta), sposata ad un
certo Lampro. Scopertasi incinta il
marito le esprime l’auspicio che ella partorisca
un maschio, nel caso di una
femmina avrebbe dovuto esporla e lasciarla
morire. Quando le nasce una bambina
Galatea la veste da maschio e le dà il nome
di Leucippo. Crescendo Leucippo
diventò però una bellissima ragazza, la quale,
timorosa del padre, si recò al
santuario di Latona, chiedendole di poter
cambiare sesso. Desiderio che venne
esaudito dalla dea [12].
Come si noterà
il nome Leucippo (così come nella versione
femminile Leucippe) ricorre in
un’area intorno al mar Egeo piuttosto vasta
e tuttavia circoscrivibile, che si
estende dall’Elide e dalla Messenia (a ovest)
alla Tessaglia (a nord) a Nasso e
alla Caria (a est) e a Creta (a sud). Non
esiste nessun riferimento al mondo
tirrenico né a quello più genericamente italico.
Noi riteniamo quindi che anche
questo elemento antroponimico possa costituire
l’ultimo tassello della nostra
analisi e ci permetta, insieme con gli altri
elementi emersi più sopra, di
giungere alla conclusione che con buona probabilità
Leucippo potrebbe essere
stato nativo della stessa Abdera o ivi trasferito
al seguito di correnti
migratorie, più o meno connesse alle guerre
persiane, provenienti da città
sulle coste dell’Asia Minore. Disponendo
però di alcune indicazioni (in
primis quella di Aezio) che indicano in Mileto
la sua città natale (cfr.
anche le leggende 4, 5 e soprattutto la 9)
ci sembra di poter ragionevolmente
concludere che Mileto potrebbe essere stata
la città natale di Leucippo o che
da essa potesse provenire la sua famiglia.
Se la nostra analisi è corretta la
provenienza da Elea va quindi recisamente
esclusa e con essa il suo non meno
improbabile alunnato presso Zenone.
4.3) Leucippo.
Ci è ora
possibile affrontare l’analisi della filosofia
leucippea in modo corretto,
avendo preliminarmente chiarito che si deve
escludere dal suo orizzonte il
fumoso e improbabile alunnato di Leucippo
presso Zenone di Elea, poiché non vi
è, a dispetto di tutte le forzature ermeneutiche
di cui ha sofferto, alcun
punto di contatto col pensiero parmenideo
e ancora meno con quello zenoniano,
che è incentrato su questioni logico-dialettiche
completamente estranee al
mondo ionico a cui Leucippo appartiene, nonché
all’indagine
fisico-naturalistica che lo guida. Siccome
però è difficile pensare Leucippo
come un fungo che spunta improvvisamente
nel bosco del pensiero greco, occorre
vedere se sia possibile individuare qualche
ascendenza della sua filosofia che
risulti più plausibile. Noi pensiamo che
non possano esserci dubbi sul fatto
che la filosofia leucippea si colleghi “direttamente”
a quella di Anassagora
(che la precede di non moti anni), della
quale costituisce una sorta di
affinamento speculativo, ma con la quale mantiene molti punti di
contatto, individuabili nell’analogia nous/movimento e in quella omeomerìe/atomi.
D’altra parte è solo il caso di ricordare
che entrambi i filosofi provengonono
dallo stesso contesto culturale, quello dell
Ionia [13],
che era già stata la culla del pensiero fisico-naturalistico
del VII e VI
sec.a.C.
E tuttavia vi è
in Leucippo una novità fondamentale rispetto
ad Anassagora ed è la
teorizzazione di un nuovo concetto fisico,
il vuoto [14],
in cui accade tutto ciò che di reale può
accadere e senza il quale non
accadrebbe nulla. Già i pitagorici avevano
parlato in qualche modo di vuoto, ma
esso era in un certo qual senso “incoerente”
con la teoria dei numeri e quindi
improprio in quel contesto. Per gli Eleati
poi, com’è noto, il vuoto era
concetto fuori causa, semmai relegabile nell’impossibilità
del non-essere.
Leucippo, invece, elegge proprio il vuoto a fondamento della propria
fisica, mettendo con ciò in mora quel concetto
di non-essere eleatico fino a
convertirlo (semmai ne avesse tenuto conto)
in origine e culla dell’essere
(quindi esso stesso elemento d’essere in
quanto lo rende possible). Ma, ed è
novità rivoluzionaria, il Nostro sostituisce
l’unità del cosmo con una dualità
strutturale, che è a sua volta origine di
una pluralità di costituenti
elementari indivisibili [15].
Una filosofia che quindi non può, come sostiene
qualcuno, partire dall’unità
eleatica per “salvare” la molteplicità dei
fenomeni, ma che parte da questa per
teorizzare il rapporto cosmogonico vuoto-movimento-atomi,
in modo completamente
avulso ed estraneo all’“essere” parmenideo.
Ma a ben vedere
il concetto di vuoto posto da Leucippo corrisponde
esattamente a quello di
spazio-vuoto in senso moderno, da ciò il
modo completamente nuovo con cui
questo ionio del V sec.a.C. concepiscela
realtà, con importantissime ricadute
anche nel campo scientifico. Aristotele (che
nega il vuoto sia perché esso sarebbe
infinito e sia perché in esso non ci sarebbero
“luoghi” reali e quindi sarebbe
impossibile il movimento) rimane invece concettualmente
“aldiquà” del vuoto
leucippeo [16], che mostra
di non comprendere, sostituendovi il suo
concetto di spazio, come sede del moto
dei corpi fisici in un universo statico ed
immutabile.
Il più
importante scritto di Leucippo, l’opera in
cui risultava esposta la sua teoria
fisico-cosmogonica è, come si è già visto
[17],
la Grande Cosmologia, che deve essere sempre tenuta ben distinta
dalla Piccola
Cosmologia, invece di Democrito. A causa di oscure
vicende, a cui si è già
accennato, quest’opera fondamentale della
filosofia greca è andata in gran
parte dispersa, venendo inoltre in seguito
perlopiù assegnata al più famoso e
assai meglio documentato allievo [18]. Fortunatamente una parte di essa ci è
pervenuta attraverso Aezio, dossografo non
sempre attendibile, ma che in questo
caso, per la coerenza discorsiva del frammento,
sembra doversi riferire a una
descrizione che potrebbe non scostarsi troppo
dall’originale. Si tratta del
frammento 289 dal Doxographi Graeci di Diels (più tardi 67.A.24 [19]
dei Vorsokratiker), che ci offre verosimilmente un passo importante
della Grande cosmologia, ma che si colloca sicuramente (si noti
l’inciso
“allora”) dopo un’esposizione preliminare
andata perduta nella quale dovevano
esser teorizzati il vuoto, gli atomi e l’infinità dei mondi
[20]
:
(1) Il cosmo, allora, si costituì configurandosi
secondo una
figura ricurva in questo modo: essendo gli
atomi soggetti a un moto casuale e
imprevedibile e muovendosi senza sosta e
velocemente, molti corpi si radunarono
in uno stesso luogo [e] per questo hanno
una tale varietà di configurazioni e
di grandezze. (2) Raccoltisi in un identico
luogo, quanti di loro erano più
grandi e più pesanti si collocarono nel punto
assolutamente più basso; quanti
di loro, invece, erano piccoli, rotondi,
lisci e scorrevoli, venivano espulsi
in corrispondenza del sopraggiungere degli
altri atomi e venivano sospinti in
alto, nella regione superiore. Allora, al
venire meno della potenza che li
sospingeva, sollevandoli verso l’alto, l’impulso
non li conduceva più verso la
regione superiore e per l’impedimento degli
atomi sottostanti non potevano
venir condotti neanche verso il basso, sicché
si piegarono a comprimersi nei
luoghi dove c’era possibilità di essere accolti.
Questi erano i luoghi
circostanti e in essi si dispose la moltitudine
degli atomi. Essendosi
intrecciati a vicenda lungo tutta la curvatura
di quei luoghi generarono il cielo.
[21]
Fin qui si possono evidenziare i seguenti
punti: a)
l’universo ha un “inizio”, b) ha una forma
“curva”, c) gli atomi si muovono di
“moto veloce e intermittente” [22],
d) questo moto è “casuale” [23],
e) gli atomi si stratificano nel vuoto in
base al loro “peso”. Ma proseguiamo:
(3) Essendo svariati gli atomi
della stessa natura, come sopra si è detto,
fuoriuscendo verso la regione più
alta, diedero compimento alla natura degli
astri. La quantità di atomi
fuoriusciti per evaporazione percosse l’aria
comprimendola. Quest’ultima allora
prese a soffiare secondo il movimento e trascinò
nel suo moto ventoso gli
astri, girando circolarmente con loro, e
tuttora ne custodisce il movimento. In
seguito, dagli atomi rimasti nella sede inferiore
fu generata la terra, mentre
dagli atomi presenti nella regione superiore
furono formati il cielo, il fuoco
e l’aria. (4) Essendo rimasta ancora molta
materia nella terra, materia che si
condensava sotto lo sferzare dei venti e
sotto l’influsso delle auree astrali,
si compresse tutta la configurazione delle
sue parti più piccole, generando la
natura umida: questa, per il suo carattere
fluido, fu portata verso il basso,
verso i luoghi cavernosi e idonei a recepirla
e a conservarla, oppure l’acqua
stessa rese certi luoghi cavi e idonei a
farle da recipiente. Le principali
parti del cosmo furono generate in questo
modo. [24]
Prosegue il criterio “densimetrico” di stratificazione
dei
corpi e la formazione del moto ventoso circolare
(il “vortice”), dove il vento
generatore è la forza che in un certo senso
ordina la struttura cosmica e
custodisce il movimento [25].
L’acqua si genera dalla terra “per compressione”
e va a riempire i bacini
naturali che l’accolgono mentre altri ne
genera con la sua erosione. Si noterà
che fin qui la moltitudine degli atomi pare
andare a costituire i classici
quattro elementi già visti in Empedocle;
il fuoco, l’aria, la terra e
l’acqua. Ma mentre nel filosofo di
Agrigento questi erano originari ed eterni,
in Leucippo non lo sono; essi sono
già infatti natura “secondaria”, di grado
derivato da quella originaria (gli
atomi) di cui sono soltanto aspetti macroscopici
percepibili.
Nei suoi
repertori documentali il Diels (Doxographi Greci del 1879 e Die
Fragmente der Vorsokratiker del 1903 e seguenti) ha posposto al frammento
da cui sono tratti i due passi che abbiamo
citato (e con lo stesso numero di
catalogo) un brano di provenienza completamente
diversa, che egli ha tratto
dall’Epistola a Pitocle di Epicuro resaci da Diogene Laerzio. Ancorché
tale associazione verrebbe a confermare la
nostra tesi, in quanto nella
penultima frase si esprime chiaramente contro
la necessità, affermando:
[…] Infatti non deve solo
generarsi un coacervo atomico né un vortice
nel cui vuoto venga per necessità
ricevuto il cosmo, affinché questo si generi,
come si opina comunemente, un
cosmo che poi si crescerebbe sino a venire
in urto con un altro, come
sostengono alcuni dei cosiddetti “fisici”.
Ciò, infatti, è in contrasto coi
fenomeni. [26]
ci sembra corretto non accettare questo “incollaggio”,
in
quanto si tratta di un testo epicureo e soltanto
in via induttiva riferibile ad
un precedente testo leucippeo. Anche se sembra
assai probabile la mala fede di
Epicuro nel negare l’esistenza di Leucippo
ciò non significa che egli, in
questo brano dell’Epistola a Pitocle, “ripeta” un passo della Grande
cosmologia, mentre è assai più probabile che egli faccia
riferimento alla Piccola
cosmologia di Democrito, certamente più nota all’epoca
e probabilmente
ancora in circolazione e di cui contesta
però la necessità causale a
fronte di un «come si opina comunemente»
e di un «come sostengono alcuni dei
cosiddetti “fisici”». Com’è noto Epicuro,
infatti, col concetto di
“declinazione” della caduta degli atomi (parenklisis-clinamen),
re-introduce il caso nella fisica atomistica. Proprio quel caso che
Democrito aveva espunto e sostituito con
la necessità.
Riteniamo qui
opportuna una breve digressione di carattere
scientifico, per sottolineare come
la teoria atomistica leucippea riveli sì
delle straordinarie intuizioni, ma
come rimanga comunque assai lontana dalla
realtà fisica che la scienza moderna
va evidenziando. L’atomo reale è, in effetti,
costituito di un minuscolo
“pieno” dotato di peso (il nucleo) e di un
(proporzionalmente) enorme “vuoto”,
che lo circonda e in cui si muovono gli elettroni
(che hanno peso quasi nullo).
L’atomo è quindi una struttura costituita
nella massima parte dal vuoto e con
al centro un nucleo infinitamente piccolo,
ma che può pesare anche
relativamente molto. C’è di più, il peso
è realmente un “pieno”; infatti un
atomo di piombo è più pieno di uno di ferro,
poiché il suo peso, ovvero la sua
massa, è 207 contro 56 circa, dove questa
massa è data dal numero di protoni e
neutroni che costituiscono il nucleo. Quanto
maggiore è il numero di queste
particelle pesanti tanto meno l’atomo è vuoto.
Presi due corpi standard di
eguale volume (per es. 1 dm) dei due
metalli, quello di piombo è realmente
“più pieno” di protoni e neutroni rispetto
a uno di ferro, ed inversamente
“meno vuoto”. Se prendiamo un atomo leggerissimo
come quello dell’idrogeno (che
ha massa 1) potremo dire che esso è 56 volte
più vuoto di quello del ferro e
207 volte più vuoto di quello del piombo.
Riteniamo pertanto che un
enunciazione della teoria di Leucippo che
non tenesse conto di queste nostre
precisazioni (e venisse gabellata tout court per “anticipazione” della
fisica moderna) potrebbe generare equivoci
gnoseologici assai gravi. Infatti,
gli atomi leucippei (a differenza di quelli
reali) sono “tutti pieni” e per di
più “forme” e non masse.
Concludiamo
l’analisi del frammento Dox. 289 della Grande Cosmologia per
ribadire (reperita juvant) come Democrito, introducendo e legando
assieme i due concetti di necessità e di vortice, per un verso
abbia effettuato una sostituzione della causa
cosmogonica “prima”, ma nello
stesso tempo, pur mettendo così in ombra
il caso, non si sia poi
peritato di negarlo chiaramente, lasciandolo
così sussistere “sullo sfondo”. Da
ciò il già citato equivoco aristotelico,
che imputava agli atomisti le
contraddizioni ben evidenziate nella Fisica (II, 4, 196 a 25-35) e da
ciò la sviante identificazione dell’atomismo
democriteo con quello del suo
maestro, le cui disastrose conseguenze cognitive
già abbiamo evidenziato al
paragrafo 3.1. Ovviamente potrebbe anche
risultare legittima la tesi che le
modificazioni portate da Democrito all’interno
dell’impianto leucippeo debbano
essere considerate come una evoluzione di
esso, nel senso che l’allievo abbia
cercato di delineare un passaggio dal caos
originario al relativo ordine del
mondo reale attraverso l’ “inserimento” della
necessità in termini di
cogenza (per salvaguardare il relativo ordine
del mondo reale). Ma anche
ammettendo ciò, in ogni caso, le due versioni
dell’atomismo differiscono per un
punto di partenza assai rilevante, che non
può essere omesso (come abbiamo già
sostenuto) in quanto concettualmente dirimente.
[27]
Come abbiamo
visto Aristotele mette insieme il caso leucippeo e la necessità democritea
come l’aspetto biunivoco di una teoria sì
interessante, ma fondamentalmente
incoerente:
Vi sono alcuni, al contrario che considerano
il caso come causa
di questo cielo e di tutti i mondi: ché dal
caso deriverebbero il vortice e il
movimento che separa e dispone il tutto secondo
quest’ordine. [28]
Ma ciò che è ancora più interessante è il
fatto che egli
ritenga qui che dal caso derivi, attraverso
il vortice e il movimento,
l’ordine. In altre parole, lo Stagirita ha
perfettamente tematizzato l’evidente
contraddizione caso/necessità insita nel “pasticcio” di cui è vittima
l’atomismo e la compone riconoscendo il caso come origine del vortice
e del movimento che crea l’ordine. Gli sfugge
però che l’ordine per Democrito è
diventato “necessitato” e che per una sortas
di feed back concettuale la
necessità va a sostiture il caso, contraddicendo con ciò
Leucippo. Aristotele evidentemente non possedeva
elementi storiografici che gli
lasciassero intravvedere la la dicotomia
esistente tra l’originaria cosmogonia
leucippea e le varianti democritee, ma non
era giunto al punto di mistificare i
dati al punto di minimizzare la teorizzazione
del caso, come una
sorta di appendice della necessità.
Gli atomi per
Leucippo erano delle pure “forme” della materia
e ad avere peso erano
unicamente i corpi da essi formati per aggregazione.
Tali elementi “primi” si
differenziano per “figura”, per “ordine”
e per “posizione”. L’importanza delle
teorizzazioni di Leucippo sono testimoniate
dalla presenza (più o meno
esplicita) di esse nelle trattazioni filosofiche
posteriori, specialmente in
quella di Aristotele. Si noti che persino
l’idealista e anti-atomista Platone
sembra quasi riprendere involontariamente
il concetto di vuoto leucippeo
là dove afferma (Timeo, 51 a, b):
[…] e v’è poi una specie sempre
esistente, quella dello spazio, la quale
è immune da distruzione, e dà sede a
tutte le cose che hanno nascimento, e si
può percepire senza il senso, per
mezzo d’un ragionamento bastardo [intermedio
tra ragione e percezione], ed è
appena credibile, guardando alla quale noi
sogniamo e diciamo esser necessario
che tutto quello che è e si trovi in qualche
luogo e che occupi qualche spazio,
e che quello che non è né in terra né
in qualche luogo del cielo, non è niente.
[29]
E poco più avanti (52 d, 53 e):
Ecco dunque in breve il mio ragionamento
secondo che io penso.
V’erano anche prima che esistesse il cielo
tre principi distinti, l’essere, lo
spazio e la generazione […] [30]
Ma che cosa sono questo “essere”, questo
“spazio” e questa
“generazione” se non dei corrispondenti del
“pieno”, del “vuoto” e del
“movimento” di Leucippo? E tuttavia, è in
Aristotele che noi ritroviamo
maggiore attenzione ai principi dell’atomismo.
Scrive egli nella Fisica
(IV, 6, 213 b 31 - 213 b 1-4):
Ora [parla di Anassagora e dei
suoi seguaci], non è questo che si deve mostrare,
ossia che l’aria è qualcosa,
ma che non vi è un intervallo diverso dai
corpi, né come separabile né come
esistente in atto, il quale separi ogni corpo
così da non essere continuo, come
affermano Democrito, Leucippo e molti altri
tra i fisiologi, o anche se sia
alcunché d’esterno a ogni corpo continuo.
Ebbene, costoro [Anassagora, ecc.]
non giungono neppure alle porte rispetto
al problema, ma [vi giungono]
piuttosto coloro che sostengono che [il vuoto]
esiste. [31]
Veniamo ora al passo della Metafisica (I, A, 4, 985
b, 4-10) dove egli afferma:
[…] Leucippo, invece, e il suo
compagno Democrito affermano che sono elementi
il pieno e il vuoto,
[considerando l’uno come essere, l’altro
come non-essere], identificando il
pieno e il solido con l’essere, il vuoto
col non-essere (perciò essi sostengono
anche che l’essere non esiste affatto più
del non-essere, giacché il vuoto è
reale come il corpo), e secondo loro queste
sono le cause della realtà, e cause
in senso materiale. [32]
Il passo è chiarissimo; se il vuoto e il
pieno hanno pari
dignità ontologica non si vede come il non-essere
parmenideo (ciò che non c’è,
ovvero ciò che è impossibile) possa diventare
il non-essere leucippeo (cio che
c’è, ed è reale). Eppure vi sono a tuttoggi
degli storici della filosofia che
(come abbiamo già sottolineato) osano ancora
sostenere che gli atomi leucippei
deriverebbero da un sorta di “frantumazione”
dell’essere eleatico; per cui
Leucippo non negherebbe il primato ontologico
dell’essere di Parmenide (il
tutto “pieno”) ma si muoverebbe ancora sempre
“all’interno” della sua ontologia
[33].
Come abbiamo già rilevato, la patente arbitrarietà
di una simile tesi è
evidente: non solo Leucippo si oppone all’ontologia
di Parmenide, ma la
rovescia completamente. Il vuoto leucippeo
(il non-essere) può essere infatti
inteso anche quale realtà primaria che “rende
possibile” qualcosa come l’essere
in atto; infatti, può esistere un “pieno”
poiché il vuoto genera (o almeno
consente) il movimento che lo crea; perciò
senza il vuoto il pieno
semplicemente non esisterebbe. Mentre, in
teoria, il vuoto (l’abisso di Esiodo
o anche il “nulla”) potrebbe esistere indipendentemente
dal pieno. Se la nostra
analisi è corretta l’essere (il pieno) non
è più “origine”, poiché è il vuoto
(il non-essere) a diventarlo, assumendo questo
pertanto una priorità ontologica
che risulta del tutto opposta rispetto alla
filosofia eleatica.
Ma è il caso di
soffermarci anche su un passo che incontriamo
poco dopo (I, A, 4, 985 b, 13-20) in cui Aristotele
muove
agli Atomisti il rimprovero di non aver approfondito
l’origine del moto:
[…] Essi riducono, tuttavia,
queste differenze a tre, ossia alla figura,
all’ordine e alla posizione,
giacché affermano che l’oggetto si distingue
per proporzione, per contatto e
per direzione; ma tra queste tre cose, la
proporzione si identifica con la
figura, il contatto con l’ordine, la direzione
on la posizione: difatti A
differisce da N per figura, AN da NA per
ordine, Z da N per posizione. Ma per
quel che concerne il movimento, ossia quale
sia la sua origine e quale sia il
modo in cui esso è presente nella realtà
delle cose, anche questi filosofi,
presso a poco come gli altri, hanno lasciato
correre per negligenza. [34]
Questo rimprovero non ci sembra giustificato,
poiché allo
Stagirita, in un eccesso di rigore analitico,
sembra sfuggire che il movimento
è intrinseco agli atomi e non una causa che
agisce su di essi. Gli atomi di
Leucippo sono tali in quanto dotati, come
abbiamo visto, di un movimento
intrinseco, continuo, casuale e imprevedibile.
Sarebbe come se noi volessimo
separare uno spin dallo spinning della particella elementare cui
afferisce. Se pure Democrito, come vedremo, sembra ritenere
questo moto
intrinseco non attribuibile al caso (ma ad una necessità interna
agli atomi stessi) rimane il fatto che questo
movimento primario degli atomi
(che Aristotele sembra confondere col moto
secondario dei corpi) non può venire
considerato a parte, essendo un attributo
“proprio” degli atomi, inscindibile
dal fatto stesso di “essere atomi”.
Ma Aristotele
coglie poi molto bene, e rende con chiarezza,
il pensiero atomistico
relativamente alla formazione e alle modificazioni
degli enti (Della
generazione e della corruzione I (A), 8, 324 b 35, passim sino a:
325 a 28) :
[…] Ma sono stati Leucippo e
Democrito quei pensatori che, partendo da
un principio conforme alla realtà
naturale, hanno dato le loro spiegazioni
con la massima correttezza
metodologica e mediante un unico procedimento
razionale che abbraccia tutti i
problemi.
Alcuni filosofi antichi [gli Eleati] reputarono,
invero, che
l’essere è necessariamente uno e immobile;
difatti, secondo loro, il vuoto non
esiste e il movimento non può, dal canto
suo, svilupparsi per il fatto che il
vuoto non ha esistenza separata, e neppure
esiste una pluralità di cose, perché
non esiste ciò che terrebbe disgiunta una
cosa dall’altra; […]
Leucippo, invece, credeva di essere in possesso
di
argomentazioni le quali, svolgendosi in accordo
con la percezione sensibile,
non avrebbe eliminato né la generazione né
la corruzione, e neppure il
movimento e la pluralità delle cose esistenti
[…] egli afferma che il vuoto è
non-essere e che nulla di ciò-che-è si identifica
col non-essere: difatti
l’essere nella sua più autentica accezione,
si identifica con
ciò-che-è-tutto-quanto-pieno. [35]
[1] Su questa nostra tesi non saranno ovviamente d’accordo gli studiosi della filosofia antica che definiremo genericamente “platonici”, come Giovanni Reale e molti altri prestigiosi esegeti (tra i quali includerei anche grandi studiosi del passato come lo Zeller, il Mondolfo e Vittorio Enzo Alfieri), che vedono nell’Atomismo, all’opposto di noi, una confema (o una semplice variante) del monismo eleatico.
[2] Diogene Laerzio è l’unico ad accennarne, in termini semplicistici, con le parole (IX, 29) «I punti fondamentli della sua dottrina sono i seguenti: i mondi sono molteplici, il vuoto non esiste.» proseguendo poi con: «La natura di tutte le cose deriva dal caldo e dal freddo e dal secco e dall’umido, che si mutano l’uno nell’altro. Gli uomini sono costituiti da terra e l’anima è una mescolanza degli elementi sopra detti, senza che nessuno di essi prevalga sugli altri.» (Diogene Laerzio Vite di filosofi, Laterza 1983, vol.II, p.363.)
[3] Siamo confortati nella nostra tesi dall’opinione di Theodor Gomperz, che nel suo Pensatori greci (La Nuova italia 1967, p.74) così si esprime sull’argomento: «Poiché qui come in altri punti, la loro teoria è, per così dire, la somma di tutto il lavoro compiuto dai loro prdecessori; l’atomistica è stata il frutto ormai venuto a maturazione dell’albero dell’antica dottrina della materia quale era stata concepita e sviluppata dai filosofi naturalisti della Jonia».
[4]
Hermann Diels, nel Vorsokratiker (II, 80), avendo raccolto testimonianze
nettamente divergenti su Leucippo, ne aveva
già concluso che la causa era da
imputarsi alla creazione nel IV sec. a.C.
del Corpus Democriteum, in
cui erano stati acriticamente messi insieme
scritti di Democrito e di Leucippo.
[5]
I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004,
p.643.
[6] Atomisti antichi (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.105.
[7] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004, p.646.
[8] Ivi, p.660.
[9] Ivi, p.650.
[10] Diogene Laerzio afferma invece: « […] Egli infatti amò la sua patria […] e la preferì all’inutile orgoglio degli Ateniesi, presso i quali non volle mai recarsi, rimanendo in patriaspe tutta la vita.».
[11] Esiste anche un’altra (e più nota) eroina mitica di nome Galatea (figlia di Nereo e amata da Polifemo) che appartiene alla mitologia della Sicilia. In questo caso però non appare nessun personaggio di nome Leucippo.
[12] Si ricorda che Latona (o Leto) è divinità originaria dell’Asia Minore e che secondo la leggenda si è unita con Zeus a Didima (località presso Mileto) e che da quel momento fu vittima della gelosia di Era. Da ciò il suo vagare in cerca di un posto sicuro (che sarà l’isola cicladica di Delo) dove partorirà Apollo e Artemide). Didima (16 km da Mileto) col suo santuario dedicato ad Apollo fu uno dei complessi cultuali più importanti della Grecia. Già attivo in epoca arcaica subì distruzioni e ricostruzioni fino all’erezione el grandioso tempio diptero in epoca ellenistica.
[13] Tra Clazomene e Mileto vi erano circa cento chilometri.
[14] Osserva l’Alfieri: «La premessa logica fondamentale dell’atomismo, per mettere il pensiero in accordo con l’esperienza, è l’affermazione della realtà, e quindi della pensabilità, del non-essere. E, posta l’identificazione eleatica, conforme all’indistinzione verità-realtà, tra essere e pieno, non-essere e vuoto, è così conquistata l’effettiva ed effettivamente pensabile esistenza del vuoto: che è il fondamento necessario per ammettere la molteplicità.» (E.V.Alfieri Atomos idea – Le Monnier 1953 – p.50).
[15] Nota il Farrington: «La logica richiedeva che alla base del mondo della mutabilità ci fosse qualche sostanza permanente. Il buon senso richiedeva che la chiara testimonianza dei nostri sensi relativa all’esistenza di un mondo molteplice e mutevole, non venisse sacrificata alle pretese della logica. La dottrina di Leucippo soddisfaceva entrambe le esigenze.» (Op.cit. p.48).
[16]
Va notato che il concetto di vuoto in Leucippo è molto significativo per
intuire l’assoluta grandezza di questo poco
conosciuto, trascurato ed
“equivocato” filosofo. Ma si equivocherebbe
ancor più se lo si considerasse
un’anticipazione del vuoto fisico reale (cosmico
e quantistico) quale ci viene
reso noto dalla scienza contemporanea. In
effetti questo è un “quasi–pieno” di
particelle “virtuali” (ma sperimentalmente
rilevabili) che, in un certo senso,
sono “in lista d’attesa” per divenire realtà.
Ciò che ha preceduto il big-bang
è proprio questa pseudo-realtà “non-ancora-reale”:
un vuoto quantistico in
attesa di dar vita a particelle elementari
di materia “reale”.
[17] Cfr. § 3.1 pp.98-99.
[18] Va comunque notato che gli esegeti moderni tendono a riattribuire la Grande Cosmologia a Leucippo. Anche lo Zeller era di questo avviso e sull’argomento ha scritto: «Il fondatore della dottrina atomistica è Leucippo. Le idee di questo filosofo ci sono tramandate però in modo incompleto, che tra esse e le opinioni del suo discepolo Democrito non potremo operare una distinzione nel corso della nostra esposizione. Da questa comunque risulterà che tutti i fondamenti del sistema sono già contenuti nelle teorie del maestro e che il suo famoso discepolo, come indagatore della natura, non fa che costruire le sue tesi su di essi, senza modificarli in alcun punto essenziale.» (E. Zeller – R. Mondolfo La filosofia dei greci – vol.V – La Nuova Italia – Firenze 1969 – pp. 137-140).
[19] Il Diels ha associato a questa prima parte della testimonianza una seconda parte, tratta dall’Epicurea dell’Usener, che noi riteniamo non riferibile a Leucippo e verosimilmente (ne ha tutti gli elementi) concernente ivece la fisica epicurea.
[20] È singolare come la tesi della pluralità dei mondi posta da Leucippo attraversi la storia della filosofia con numerosi ritorni (basti pensare a Giordano Bruno) per trovare conferma da parte di non pochi cosmologi moderni (Dennis Sciama, Andrei Linde, Lee Smolin e altri). La pluralità dei mondi è implicita anche nella cosiddetta Teoria delle Superstringhe ed è sottintesa nella teoria del Pre-big-bang che di essa è figlia, formulata all’inizio degli anni ’90 da Gabriele Veneziano (il “primo padre” della teoria delle stringhe). Secondo questo fisico teorico il big-bang che ha dato luogo al “nostro” universo non è che la fase esplosiva di un processo formativo nato da un buco nero di grandi dimensioni, a sua volta nato (insieme a molti altri) in un vuoto quantistico preesistente ed a causa di una perturbazione di esso (cfr. Le scienze - n°429 – maggio 2004 – pp.40-49).
[21] Atomisti antichi (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.113.
[22] Vittorio Enzo Alfieri individua nel suo Atomos idea (Le Monnier 1953 – p.84-85) tre specie di movimento impliciti nella teoria atomistica: 1) il movimento pre-cosmico, 2) il movimento cosmogonico e 3) il movimento degli atomi nel cosmo.
[23] La casualità può essere qui intesa nel senso posto dallo Zeller (E.Zeller-R.Mondolfo La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico – La Nuova Italia 1969 – p.189 e ssgg.), il quale però, stranamente, incorre, secondo noi, in qualche contraddizione, intendendo il “caso” come qualcosa di imputabile a cause non-naturali, ovvero come se si trattasse della divina Tyche: «Questo movimento si può chiamare casuale, solo se per casuale s’intende tutto ciò che non risulta da un’attività finalistica; ma se per casuale s’intende invece un evento che non procede da cause naturali, ciò non s’addice certo agli Atomisti, i quali invece affermano espressamente che nulla nel mondo avviene per caso e che tutto deriva necessariamente da cause precise;» e fin qui saremmo d’accordo anche noi, purché si sottolineasse che in tal caso (nella casualità) le cause “si sconnettono”, ovvero non sono linearmente conseguenti (cfr. Necessità e Libertà, § 3.3). Poi però lo Zeller aggiunge: «e del resto così anche Aristotele come i più recenti scrittori ammettono che gli Atomisti tengono fermo alla necessità di tutto ciò che accade senza eccezione, riconducendo anche ciò che sembra casuale alle sue cause naturali e riuscendo così a dare un’interpretazione rigorosamente fisica dei fenomeni naturali, con una coerenza sconosciuta ai loro predecessori.» e poi conclude con la frase più interessante (in cui noi cogliamo una patente contraddizione): « […]: la necessità naturale è per essi una forza che agisce ciecamente;». Infatti si dice proprio del caso che opera “ciecamente” e “senza necessità”; ma ci chiarisce poi appena dopo il suo punto di vista: «il loro sistema non conosce uno spirito creatore del mondo né una provvidenza nel senso più recente della parola;». Ma sia uno spirito creatore che la provvidenza non determinano forse “sempre” una “necessità” finalistica degli eventi naturali? E ciò non è forse messo in mora proprio dalla casualità?
[24] Atomisti antichi (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.113.
[25] Si notino le forti analogie col nous anassagoreo.
[26] Atomisti antichi (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.115.
[27] È interessante notare come lo Zeller, che parrebbe un convinto negatore del caso e invece assertore della necessità come principio-base dell’atomismo, si esprima nel seguente passaggio: «Essi [gli Atomisti] escludevano, d’altra parte, ogni spiegazione dei fenomeni naturali sulla base di concetti finalistici: la necessità naturale è per essi una forza che agisce ciecamente; […]» (E.Zeller-R.Mondolfo La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico – La Nuova Italia 1969 – p.191). Se non vi è finalismo e se una forza generatrice agisce “ciecamente” (al di là di come la si voglia chiamare) mi sembra difficile sostenere che tale forza non sia proprio… il caso.
[28] Aristotele Opere – vol.III, Fisica – Laterza 1983, p.37.
[29] Platone Opere complete, vol.6, Laterza p.406.
[30] Ivi p.407.
[31] Aristotele Fisica (a cura di M.Zanatta) – UTET – Torino 1999 – p.225.
[32] Aristotele Opere – vol.VI – Laterza 1973, Metafisica, p.19.
[33] Tesi espressa ripetutamente dagli ermeneuti idealisti del passato ed in tempi più recenti da Giovanni Reale.
[34] Aristotele Op. cit. ibidem
[35]
Aristotele Opere – vol.IV –
Laterza 1983, Generazione e corruzione, pp.43-45 passim.