4.4) Democrito

 

    Prima di parlare specificamente di Democrito dobbiamo fare una considerazione preliminare, in relazione al suo maestro, poiché, come è già stato sufficientemente rilevato ed evidenziato, Democrito è autore della Piccola cosmologia, la quale, nel riprendere le tesi esposte nella Grande da Leucippo, vi apporta alcune modifiche assai importanti. Sarebbe storiograficamente fondamentale poter effettuare qualche confronto tra le due, ma per fare ciò dovremmo disporre di frammenti omogenei, il ché non si dà, purtroppo. Della Grande abbiamo quel frammento resoci da Aezio che è abbastanza significativo, ma largamente incompleto, ed i frammenti di cui disponiamo relativi alla Piccola non permettono un confronto diretto, e tuttavia ci pare rendano bene la misura degli sviluppi democritei. Su Democrito i dati biografici sono abbastanza precisi (nato ad Abdera nel 460 circa e morto nel 370 a.C.circa) e le testimonianze sulla sua vita e sul suo pensiero piuttosto copiose (anche se largamente sofferenti della confusione/sovrapposizione già ricordata). Un’esposizione esauriente delle sue teorie ce la offre la vita di Diogene Laerzio, la quale, quantunque assai tarda, è sostanzialmente coerente con le testimonianze più antiche. Diogene afferma:

 

    (44) I punti fondamentali della sua dottrina sono i seguenti: i principi originari dell’universo sono gli atomi e il vuoto, tutte le altre cose sono mera opinione. I mondi sono infiniti, soggetti alla generazione e alla corruttibilità. Nulla diviene dal non essere e nulla perisce nel non essere. Gli atomi sono infiniti per grandezza e per numero; si muovono vorticosamente nell’universo e generano così tutte le cose composte, fuoco, acqua, aria e terra; perché anche queste sono unioni di determinati atomi, che per la loro solidità sono impassibili e incambiabili. Il sole e la luna sono costituiti di tali masse atomiche levigare e sferiche e così egualmente l’anima, che è identica alla mente. La nostra vista è una conseguenza della incidenza delle immagini sui nostri occhi. Tutto accade secondo necessità; egli chiama necessità il vortice che è la causa della genesi di tute le cose. [1]

 

Le “immagini sui nostri occhi” sono quegli eidola di cui Democrito è importante teorizzatore (ripresi poi da Epicuro) e che vanno a costituire l’elemento primo della teoria della conoscenza dell’Abderita.  Rispetto ad Aristotele che, come abbiamo visto, vedeva l’insanabile contraddizione tra la teorizzazione del caso come causa del cielo e della necessità come causa del mondo vivente, Diogene sembrerebbe (sei secoli dopo) non registrarla più. E in effetti (lo abbiamo visti al § 4.1) da un certo momento in poi il fattore “caso” in riferimento a Democrito viene perlopiù abbandonato e si parla soltanto più di necessità. Ma non si deve pensare che ciò dipenda da una sedimentazione conoscitiva, ma semmai proprio dal fatto che il caso, nel suo significato ontologico, viene proprio “espulso” dall’ambito della filosofia e confinato nell’oblìo. Ma sull’argomento fisico-cosmogonico non torneremo, concentrando invece la nostra attenzione sugli aspetti più originali della filosofia democritea, costituiti dalle sue teorie di carattere astronomico, biologico, fisiologico, antropologico, cognitivo ed etico. Aristotele che pure non è stato tenero con Democrito (ma assai più severo sarà Teofrasto in De sensu [49 e ss.]) doveva avere una certa stima di lui (almeno in campo biologico) quando scrive (Della generazione e corruzione, I (A), 2, 315 a 30-35): 

 

    A dirla in breve, nessun filosofo si è occupato di alcuna di queste questioni se non in modo superficiale, ove si eccettui Democrito; […] [2]

 

    Un resoconto sufficientemente ampio della Piccola cosmologia è quello resoci da Diodoro Siculo (che lo riprende da Ecateo di Abdera), il cui inizio ricalca un po’ quello leucippeo visto a suo tempo (Dox.289) ma senza alcun accenno al moto cosmogonico originario, per cui gli argomenti sembrano svilupparsi “a valle” di esso. Ma è proprio tale sviluppo a darci un’idea precisa dello spessore teorico della ricerca filosofica democritea, che appare il più grande naturalista teorico precedente Aristotele. Riferisce Diodoro (Bibliotheca historica I, 7, 1):

 

    (1) Conformemente alla mescolanza originaria di tutto il reale, la terra e il cielo condividevano un’unica forma, essendo mescolate le loro nature; in seguito, invece, con la separazione reciproca dei corpi, il cosmo venne ad abbacciare la struttura che lo configura e che è visibile attualmente in esso […] [3]   

 

Abbiamo qui una chiara esposizione di come il cosmo all’inizio si presentasse come una sorta di chàos esiodeo (che nel frammento leucippeo manca), un regno dell’indistinto dove tutto era mescolato. Ma in seguito le analogie si fanno stringenti:

 

    […] avvenne che l’aria assunse un moto continuo e le sue componenti ignee furono condotte nella sede atmosferica suprema, giacché la sua natura tendeva verso l’alto a motivo della propria intrinseca leggerezza [4]

 

Sono dal più al meno gli stessi termini del frammento riferito a Leucippo, ma dove la “leggerezza” viene da democrito riferita al fuoco. Il seguito, rispetto al maestro, non presenta importanti novità sino al punto in cui viene detto:

 

    (3) […] in molteplici luoghi si rigonfiarono bolle di umidità, intorno alle quali sorsero putredini circoscritte da sottili membrane, il ché è tutt’ora visibile nei luoghi melmosi e paludosi quando si verifichi simultaneamente il rafreddarsi della regione in questione e l’infuocarsi repentino dell’aria, anziché un suo mutamento progressivo e graduale di temperatura. [5]

 

Qui il distacco dal frammento leucippeo appare evidente, si parla di “putredini” e di “temperatura”, concetti non più puramente cosmogonici ma decisamente “biologici” e rivelativi di un’attenta attività osservativa a base della teoria. Ma occorre qui definire ciò che è all’origine della vita, che per Democrito è l’anima. Un concetto molto importante per l’abderita, per il quale però l’anima è principio vitale rigorosamente materiale (in quanto “soffio vitale” del corpo) secondo la miglior tradizione greca, ma anche centro della sensibilità e della nobiltà umana. Vediamo come Aristotele ci delinea l’anima democritea (De anima, I (A), 2, 404 a, 1-9):

 

    Onde Democrito afferma che essa è una sorta di fuoco o di calore: essendo infinite le “figure” o atomi, quelli sferoidali li chiama fuoco e anima (paragonabili a ciò che noi diciamo corpuscoli sospesi nel pulviscolo e che appaiono nei raggi di sole penetranti attraverso le imposte). L’intera riserva di tali semi dice che costituiscono gli elementi di tutta la natura (e lo stesso pensa Leucippo) e che gli atomi sferoidali costituiscono l’anima per la grandissima facilità di siffatte forme a penetrare dovunque e a muovere tutto il resto, essendo esse in movimento, giacché questi filosofi suppongono che l’anima imprime agli esseri il movimento. Perciò riguardano la respirazione come il criterio della vita. [6]

 

E segue un’ulteriore precisazione, dove Aristotele coglie un altro aspetto assai importante dell’anima democritea, ossia la sua coincidenza con l’attività pensante. Essa infatti non è più soltanto ciò che col suo soffio dà vita a un corpo, ma è il centro delle attività intellettive (la mente) (I (A), 2 405 a, 8-13):

 

[…] Ancor più sottilmente si è espresso Democrito dimostrando il perché di ciascuno di questi due caratteri: l’anima è lo stesso che intelletto, e consiste di corpi primi e indivisibili e può imprimere il movimento per la piccolezza e la forma delle parti: aggiunge che la forma più suscettibile di movimento è la sferoidale e che di atomi siffatti consistono l’intelletto e il fuoco. [7]

 

Veniamo ora ad un’altro aspetto estremamente interessante del pensiero di Democrito, che traiamo dal già citato frammento di Diodoro Siculo, quello concernente le sue considerazioni antropologiche:

 

    (8,1) […] riguardo agli uomini originari, si dice che conducevano una vita disordinata e selvaggia, disperdendosi a pascolare e a procurarsi le piante ritenute più confacente al proprio e i frutti che spuntavano spontaneamente sugli alberi. (8,2) Essendo sempre in lotta con le fiere, l’amor proprio fece loro imparare a soccorrersi a vicenda, mentre la paura li portò ad associarsi, e così col tempo appresero a riconoscersi tra loro tramite particolari dell’aspetto. (8,3) A poco a poco la loro voce smise di emettere suoni inarticolati e privi di significato e imparò ad articolare vere e proprie parole sino a che convenirono tra loro parole atte a simbolizzare ciascuna cosa da loro conosciuta e alla loro portata, determinando, così, il sorgere di una interpretazione globale del mondo. (8,4) Siccome siffatte comunità sorsero in ogni luogo abitato, la lingua o il dialetto non potevano essere per tutti identici, poiché accadeva che ciascuna comunità coniasse proprie parole. Conseguentemente, svariati e molteplici furono i caratteri di quei dialetti e le prime comunità sorte divennero le capostipiti di tutte le etnie. [8]

 

Abbiamo qui una chiara interpretazione dei primitivi problemi dell’uomo, della nascita delle prime comunità, dei differenti linguaggi e, sulla base di questi, dei primi gruppi etnici. Per Democrito è quindi il linguaggio a determinare l’identità sociale e non le ragioni razziali. Ma ecco il seguito:

 

(8,5) I primi uomini conducevano una vita faticosa, poiché non era stato scoperto ancora nulla di quanto giova al vivere; pertanto, erano nudi e privi di vesti, non abituati a vivere in abitazioni e a servisri del fuoco, e ignoravano anche che potesse esserci una forma non selvatica di nutrimento. (8,6)Infatti, ignorando che esistesse un modo per conservare il nutrimento che traevano dai campi, non si preoccupavano affatto di fare provviste di frutti in vista di momenti di indigenza e, così, in inverno molti di loro morivano a causa del freddo e della mancanza di cibo. [9]

 

Un’analisi antropologica ante-litteram, basata sulla pura riflessione filosofica, che doveva fare scuola, attraverso Epicuro e Lucrezio, fino a Giambattista Vico [10]. Così si chiude il brano:

 

(8,7) Non trascorse molto tempo, però, che questi uomini, giovandosi dell’insegnamento ricevuto dalle prove sperimentate, iniziarono a ripararsi in caverne durante l’inverno e a riporvi i frutti che potevano essere in esse conservati: Una volta che, poi, conobbero il fuoco e le altre cose che giovano al vivere, non passò lungo tempo che scoprirono le arti e tutte le altre cose utili al vivere comune. In generale, pertanto, per gli uomini fu maestra la necessità, che rese familiari tali tecniche a questo essere che è ben notato in sé di ausilii per tutti i suoi atti grazie al possesso delle mani, della ragione e di un’anima versatile. [11]

 

Qui la necessità assume il significato di “esperienza”, un’esperienza determinata “necessariamente” dalle condizione dell’uomo in un contesto dato; una necessità che attraverso l’esperienza forma la cultura. In questa evoluzione il fuoco occupa una posizione centrale, ma da un punto di vista zoologico le mani sono (insieme alla ragione e all’anima) un fattore determinante dell’evoluzione. L’esperienza è legata alle “sensazioni”, che non rivelano l’essenza della natura (gli atomi e il vuoto che li accoglie) ma il “modo” antropico di coglierli, di prenderne conoscenza e di trarne esperienza pratica.

 

Un’osservazione di Sesto Empirico (Contro i matematici IX, 24) completa il panorama dell’antropologia democritea:

 

    Vi sono taluni i quali ipotizzano che la nostra intuizione degli dèi sia sorta dallo stupore provato dinanzi a quanto avviene nel cosmo, e di questa opinione pare essere stato anche Democrito, il quale asserisce che gli antichi, osservando quegli eventi delle regioni celesti che l’uomo subisce, come i tuoni, i fulmini che lampeggiano, le congiunzioni astrali e le eclissi soli e lunari, terrorizzati credettero che fossero dèi le cause di questi fenomeni. [12]

 

Ci sia concessa una breve digressione (facendo un salto temporale di circa quindici secoli) per notare che questi “antichi” sembrano una pre-evocazione dei possessori di quelle “menti balorde de’ primi fondatori delle nazioni gentili, tutti robustissimi sensi e vastissime fantasie[13] in cui Giambattista Vico pone l’alba dell’umanità, i quali:

 

[…] così, raminghi e soli, dovettero produrre i figliuoli, con una ferina educazione, nudi d’ogni umano costume e privi d’ogni umana favella, e sì in uno stato di bruti animali. E tanto tempo appunto vi bisognò correre, che la terra, disseccata dall’umidore dell’universale diluvio, potesse mandare in aria delle esalazioni secche a potervisi ingenerare de’ fulmini, da’ quali gli uomini storditi e spaventati si abbandonassero alle false religioni di tanti Giovi […] [14]

 

Passiamo ora ad occuparci della teoria gnoseologica democritea sulla quale le maggiori informazioni ci vengono ancora da Sesto Empirico (Adv. Math. VII, 135, Д):

 

    Talora Democrito riconduce ciò che appare alle sensazioni, nelle quali afferma che non si manifesta alcunché di conforme al vero, bensì solo di conforme all’opinione, mentre la verità appartiene agli enti in quanto partecipano degli atomi e del vuoto. Infatti, Democrito sostiene che “ convenzionale è il dolce, convenzionale l’amaro, convenzionale il caldo, convenzionale il freddo, convenzionale il colore, mentre veri sono gli atomi e il vuoto». […] [15]

 

Il concetto di “convenzionalità” [16]delle sensazioni in Democrito era già stato messo in rilievo da Galeno (De elementis secundum Hippocratem, I, 2, e De medica empiria 1259, 8) ed è elemento definitorio di una conoscenza di grado inferiore. E poco dopo Sesto precisa (Ivi, VII, 138, B 8):

 

    Nei Canoni Democrito afferma che vi sono due forme di conoscenza, l’una che si compie grazie alle sensazioni e l’altra che si realizza tramite il pensiero razionale, e chiama quest’ultima “autentica”, riconoscendo che in essa si può confidare per giudicare della verità delle cose, mentre qualifica la prima come “inautentica”, negandole affidabilità nella conoscenza della verità. [17]

 

Eppure sarà proprio questa conoscenza inautentica ad avere fortuna negli sviluppi dell’atomismo ed a passare praticamente immutata nella filosofia di Epicuro come fonte unica del sapere. Ma qual è il processo fisico attraverso il quale si determinano le sensazioni? La soluzione è piuttosto originale: la sensazione è un fenomeno di “contatto” e si basa sulla dinamica degli “effluvi” [18]. Tali effluvi sono i veri agenti del contatto tra il soggetto percipiente e l’oggetto percepito ed essi vengono chiamati da Democrito eidola.  L’eidolon (lett: immagine) è un flusso di atomi che costituisce una sorta di simulacro dell’oggetto, che effluisce da esso e giunge agli organi di senso del percipiente, dando così luogo a quel tipo di conoscenza che riguarda i sensi. Tuttavia Democrito conduce la sua analisi gnoseologica distinguendo il fenomeno concernente i sensi dal processo intellettivo e razionale che eventualmente ne fa seguito. Il pensiero razionale va allora tenuto nettamente distinto dalla sensazione: l’esercizio della ragione, ponendo principi teorici e su di essi sviluppando l’approccio alla realtà, integra e supera il mondo dell’esperienza sensibile ed empirica verso una conoscenza “autentica”.

 

    Lasciamo ora il campo gnoseologico e passiamo ad occuparci delle concezioni etiche di Democrito, che non sono meno interessanti di quelle fisiche, cosmologiche, biologiche ed antropologiche appena esaminate e che ci rendono bene lo spessore interiore del personaggio. Cominciamo col vedere una testimonianza che ci riporta in qualche misura all’utilizzo di Empedocle degli dèi come metafora degli elementi (Etymologium Orionis 153, 5):

 

    Secondo Democrito la saggezza è denominata Atena tritogenia, poiché dal ragionare con saggezza derivano tre conseguenze: il retto volere, il retto parlare e il retto agire. [19] 

 

Aggiungiamo che qua e là Democrito usa l’aggettivo “divino” col significato di “igneo”. Atomi di fuoco sono infatti quelli che costituiscono i corpi più leggeri e sfuggenti, e tra questi l’anima. Un nemico del materialismo come Clemente Alessandrino (Stromateis II, 130) ci dà un parere interessante su Democrito, attribuendogli l’aver posto un principio etico fondamentale, che verrà poi ripreso da Epicuro in senso più spiccatamente edonistico: quello di felicità. Ma qui l’accento è messo sulla “disposizione d’animo” che la genera, piuttosto che sull’esperienza di essa:

 

    Anche gli Abderiti insegnano a proporsi un fine nella vita: Democrito, nel libro Sui fini, lo identifica con buona disposizione d’animo, che denomina anche felicità, soggiungendo spesso queste parole:«il diletto e il suo contrario costituiscono il discrimine di ciò che è da accogliere e di ciò che è da respingere». Questo fine, pertanto, è proposto come valido tanto per la vita dei giovani quanto per quella di chi è già vissuto a lungo.

 

Ci addentreremo ora nel campo che più specificamente sembra aver caratterizzato l’etica dell’Abderita, quello dell’aforistica. Ci troveremo a scegliere tra quasi trecento aforismi a lui attribuiti (alcuni simili) e riportati da vari autori; ci sofferemeremo però solamente su quelli che ci paiono più significativi od originali [20]. Cominciamo con quelli citati da un certo Democrate [21]:

 

38 - È cosa buona ostacolare coloro che compiono ingiustizie; se non si riesce nell’intento, è cosa buona non compiere ingiustizie con loro.

 

40 - Gli uomini non divengono felici né con i beni corporei né con il denaro, bensì con la rettitudine e una cospicua saggezza.

 

45 – È ben più infelice chi commette ingiustizia rispetto a chi la subisce.

 

50 – Non potrà mai essere retto chi si lascia completamente sopraffare dalle ricchezze.

 

60 – È meglio biasimare i propri errori che quelli altrui.

 

64 – Molte persone, pur essendo molto erudite, non hanno intelligenza.

 

65 – Si deve coltivare la ricchezza del pensiero e non l’erudizione. [22]

 

86 – È segno di arroganza mettere lingua in ogni questione e non volersi porre mai in ascolto degli altri.

 

98 – L’amicizia di una sola persona, che, però, sia intelligente, è migliore di quella di tutti gli uomini non intelligenti.

 

105 – La bellezza corporea è animalesca, se non è accompagnata dall’intelligenza.

 

Proseguiamo con Plutarco (De pueri educandis 14, 9, F):

 

145 – Infatti, secondo Democrito, la parola è ombra dell’azione.

 

Ed ora Porfirio (De abstinentia, 4, 21):

 

160 – Democrito ha detto che il vivere male, dissennatamente, senza temperanza e in modo empio «Non è tanto un vivere male, quanto un morire diluito ampiamente nel tempo».

 

Numerose sono le massime riportate da Giovanni Stobeo (Eclogae ethicae, II, 1, 12):

 

169 – un detto di Democrito: «Non bramare di saper tutto, affinché non ti succeda di trovarti a esser ignaro di tutto».

 

172 – Sentenza di Democrito: «La fonte da cui ci derivano i beni è la stessa da cui ci potrebbero provenire anche i mali, ma possiamo evitare questi ultimi senza rinunciare anche ai beni. Allo stesso modo, le acque profonde sono di grande utilità e, nel contempo, sono fonte di possibile danno: infatti, vi è il rischio concreto di affogare in esse: eppure esiste un mezzo per sfruttarne i benefici tutelandosi dal pericolo: imparare a nuotare»

 

176 – La sorte è magnanima nel donare, ma è incerta, mentre la natura è autosufficiente. Perciò, la natura vince, con il poco, ma certo, sul molto promesso dalla speranza nella sorte. [23]

 

179 – Sentenza di Democrito: «La cultura è un ornamento per coloro che godono di sorte favorevole, mentre è un rifugio per chi sopporta una sorte infausta».

 

181 - Sentenza di Democrito: «Appare più opportuno esortare alla virtù servendosi di ragionamenti persuasivi piuttosto che di costrizioni legali. È verosimile, infatti, che si lasci andare a compiere ingiustizia di nascosto chi è fermato, in pubblico, solo dalla legge, mentre non è verosimile che compia azioni che deroghino ai propri doveri né di nascosto né in pubblico chi sia persuaso a ben agire. Pertanto, chi agisce rettamente grazie al proprio giudizio e alla propria conoscenza diviene simultaneamente virtuoso e schietto».

 

187 - Sentenza di Democrito: «Per gli uomini conviene tenere in considerazione più l’anima che il corpo, poiché la perfezione della prima pone rimedio al cattivo stato del secondo, mentre la forza del corpo non apporta alcun miglioramento all’anima se non è accompagnata dalla capacità di ragionare».

 

190 - Sentenza di Democrito: «Non si devono spendere parole intorno alle azioni» [24]

 

191 - Sentenza di Democrito: «La buona disposizione d’animo si ingenera, negli uomini, dalla misura imposta al godimento e dall’armonia di vita: l’eccesso e il difetto, invece, amano l’instabilità e inducono grandi turbamenti nell’anima. Le anime perturbate dall’alterno prevalere di stati fra loro grandemente opposti non possono essere né equilibrate e stabili né ben disposte. Pertanto si deve indirizzare la propria attenzione alle cose possibili e ci si deve accontentare di ciò che è alla nostra portata, dandosi poco pensiero per gli uomini che vengono invidiati e ammirati e tanto meno ossessionandosi per la loro condizione. Al contrario, si deve osservare la vita di chi è afflitto da tribolazioni, riflettendo su ciò che questi patisce in forte misura, in modo che ti sembrino grandi e invidiabili le cose che sono alla tua portata e che possiedi e in modo che non ti accada di soffrire nell’anima, desiderandone di ulteriori. Infatti, chi ammira i facoltosi e le persone ritenute felici da gli altri uomini e si dà costantemente pensiero per loro sarà necessariamente spinto a intraprendere imprese sempre nuove, non escluso l’essere indotti dal desiderio a compiere azioni irreparabili e vietate dalla legge. Allora è opportuno non bramare di conseguire qualunque cosa, bensì ben disporsi nell’animo accontentandosi di ciò che si possiede, confrontando la propria vita con quella di chi ha una sorte peggiore, ritenendosi felici in rapporto ai patimenti sofferti da costoro e constatando quanto sia migliore la vita che si conduce. Divenendo consapevole di tutto questo, trascorrerai la vita con animo disposto in modo ancor più buono e respingerai con poche cause di rovina della vita, quali l’invidia, la malevolenza e l’animosità». [25]

 

201 - Sentenza di Democrito: «Gli stolti desiderano vivere a lungo, ma non sanno godere una lunga vita».

 

202 - Sentenza di Democrito: «Gli stolti aspirano ai beni che non sono presenti e, nel contempo, sperperano quelli presenti, anche se risultano più vantaggiosi di quelli passati»

 

203 - Sentenza di Democrito: «Gli uomini, fuggendo la morte, finiscono per inseguirla».[26]

 

219 - Ancora di Democrito: «Un desiderio di ricchezza che non venga mai limitato dalla sazietà è molto più difficilmente tollerabile della povertà estrema. Infatti i desideri più grandi rendono l’indigenza altrettanto grande».

 

221 - Sentenza di Democrito: «La speranza di un guadagno, anche se si sa che è il frutto di cattive azioni, è l’inizio di una perdita».

 

226 - Sentenza di Democrito: «La libertà di parola è parte della libertà personale, ma il rischio più reale concerne la capacità di individuare il momento giusto per parlare».

 

231 - Sentenza di Democrito: «Ricco di comprendonio è colui che non si doglie di ciò che non ha, ma che si contenta di ciò che ha».

 

234 - Sentenza di Democrito: «Gli uomini cercano di procacciarsi la salute dagli dèi con gli auspici, ignorando di avere in se stessi questa potenza; anzi, facendo, per intemperanza, le cose opposte a quelli che favorirebbero tale potenza, finiscono per tradire essi stessi la propria salute, a causa dei propri desideri». [27]

 

235 - Sentenza di Democrito: «A coloro che si volgono ai piaceri del ventre, avendo superato la misura conveniente sia nei cibi sia nelle bevande sia nei piaceri d’amore, i piaceri vengono decurtati in intensità e di breve durata, nel senso che durano soltanto finché banchettano e devono, mentre i dolori sono molti. Infatti, il desiderio di tali cose permane sempre e anche quando ottengono ciò che desiderano il piacere s’invola velocemente e non reca loro alcun giovamento, anzi, il godimento si abbrevia e hanno di nuovo spasmodico bisogno di quegli oggetti di piacere».

 

244 - Sentenza di Democrito: «Anche quando sei solo, non essere malvagio né nelle parole né nelle opere: impara, invece, a vergognarti molto più innanzi a te stesso che agli altri». [28]

 

247 - Ancora di Democrito: «Al sapiente ogni terra è accessibile, poiché tutto il cosmo funge da patria dell’anima che è buona». [29]

 

251 - Sentenza di Democrito: «La povertà in democrazia è ancora più auspicabile della cosiddetta felicità sotto il dispotismo, almeno quanto la libertà è più degna di scelta della schiavitù». [30]

 

255 – Quando coloro che non sono privi di mezzi ardiscono di mettere a disposizione degli indigenti le proprie sostanze, assistendoli e aiutandoli, già in questa scelta si palesano la compassione, la solidarietà e l’amicizia, nonché il soccorso vicendevole, la concordia cittadina e altri beni che nessuno riuscirebbe a elencare completamente. [31]

 

269 - Sentenza di Democrito: «L’audacia è principio di azione, la sorte è signora dell’esito dell’azione».

 

290 - Sentenza di Democrito: «Scaccia, con la riflessione, il dolore dell’anima, poiché quello, essendo libero da vincoli, finisce per addormentarla».

 

    Contrariamente a ciò che avviene nella convenzionale storicitica passata e corrente, con la quale si enfatizza il contenuto della fisica e della cosmologia democritee (in realtà sostanzialmente dipendenti da quelle di Leucippo e con sviluppi modesti rispetto ad esse), noi pensiamo sia venuto il momento di rivedere questo giudizio. Gli aforismi succitati ci dicono che l’etica atea di Democrito si lega direttamente alla sua cosmologia e al suo naturalismo, con quel tocco di saggia umanità ed ironia (in tal senso va intesa la sua fama di “philosophus ridens”) che gli permette di realizzare l’ideale dell’eutimìa. Essa è un’etica profonda, assai lontana dagli schematismi ideologici platonici e le scienze della natura si sposano coerentemente con criteri comportamentali assai avanzati (si pensi solo al cosmopolitismo) [32]. D’altra parte, la sua cultura era così enciclopedica (si dice abbia scritto settanta opere sui più vari argomenti), essendosi occupato persino di grammatica e di estetica, che ce n’è quanto basta per farne uno dei più grandi pensatori dell’antichità, senza dovergli attribuire quel che non gli compete [33].

    Se si considera che egli è contemporaneo di Socrate, altra straordinaria figura dell’epoca in campo etico (e attraverso Platone imposta come dominante alla cultura greca dell’epoca successiva) si può cogliere la sostanziale originalità “pragmatica” dell’etica democritea rispetto a quella più “idealistica” di Socrate (ma probabilmente assai “platonizzata” dal suo famoso allievo). Alla perentorietà del socratico “conosci te stesso”, a prescindere da ogni indagine che rapporti l’uomo alla natura in cui è inserito e di cui fa parte (come ci testimonia Senofonte), l’Abderita contrappone implicitamente un più cauto “conosci la natura per conoscere te stesso”, e come ci testimonia il frammento n° 176 di Stobeo (vedi sopra) l “autosufficienza della natura” va letta come l’orizzonte razionalmente corretto e pragmaticamente esauriente in cui inserire la riflessione sull’uomo, che in essa va compreso e non estratto come un’entità superiore, avulsa e indipendente. Agli stati mentali indotti dal divino demone socratico Democrito contrappone l’eutimia (εύθυμία)[34], la tranquillità d’animo che viene dalla riflessione sulla natura e sull’’uomo, al riparo dai turbamenti psichici. Va tuttavia notato che, sul piano degli atteggiamenti intimi e interpersonali, l’ironia del “non sapere”, tipica di Socrate, sembra appartenere anche al Nostro e renderli più vicini (vedi Gnomologium Vaticanum, 743  e  Greco-Syriaca dicta, 42). 

    Ci pare allora di poter dire, al di fuori dei vieti schemi consueti, che l’etica “laica” del V e del IV sec.a.C. nel mondo greco (fino alle scuole ellenistiche) sia largamente tributaria del pensiero democriteo. I concetti di felicità, di misura (o del giusto mezzo), della temperanza, dell’onestà morale, della ricerca psicologica, sono già tutti presenti in Democrito. Per di più l’immagine di filosofo enciclopedico che Aristotele incarnerà ha proprio nell’Abderita il più significativo precedente. Il dominio culturale di quel magnifico “pifferaio magico” che è stato Platone, di cui tutti abbiamo subito più o meno il fascino dialogico e mitico-letterario, forse andrebbe contemperato con una maggiore attenzione ad un pensiero un po’ più “secco”, meno sgargiante e affascinante, ma che, al contrario, cela assai più di quanto esibisca.

    Con Leucippo e Democrito non solo il materialismo atomistico riceve formulazione, ma anche l’ateismo teoretico in esso implicito acquista dignità filosofica. Ed esso viene delineato in un modo sufficientemente esauriente, tale da porsi come una vera e propria weltanschauung atea, comprendente una concezione generale del mondo fisico e biologico forse incompleta (e ovviamente dipendente delle scarse conoscenze del tempo) ma concettualmente significativa, unita ad un etica della ragionevolezza, dell’equilibrio, della modestia e del senso della libertà. A partire da queste premesse Epicuro porterà innovazioni importanti, sia sul terreno gnoseologico che su quello etico, ma ciò che sta alla base della sua fisica è tributario di Leucippo ed elementi importanti della sua leticagli derivano da Democrito.

 



[1] Diogene Laerzio  Vite dei filosofi – Laterza 1983 – vol.II, p.369.  

[2] Aristotele  Opere, vol.IV – Laterza 1983, p.8.

[3] Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.265.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, p.267.

[6] Aristotele  Opere – vol. IV – Laterza 1983 – p.105.

[7] Ivi - p.108.

[8] Atomisti antichi (a cura M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.267-269.

[9] Ivi,p.269.

[10] Dell’influenza dell’atomismo sulle opinioni del giovane ha parlato Fausto Nicolini nei Brevi cenni della vita e delle opere di Giambattista Vico, che fungeva da introduzione a La scienza nuova (vedi Laterza 1974, p. XII): «Dato tutto ciò [ovvero il suo rapporto e la sua frequentazione con gli esponenti della nuova cultura “anti-gesuitica napoletana della seconda metà del sec.XVII], è affatto naturale che anche il Vico fosse condotto a quel De rerum natura di Lucrezio, che allora faceva girare la testa a non pochi “jeunes fous” napoletani (come li chiamava Antonio Arnauld) non senza orientarne più di uno verso l’ateismo.». Il Vico nel 1693 aveva pubblicato una canzone dal titolo Gli affetti d’un disperato, di chiara ispirazione lucreziana.

[11] Atomisti antichi (cura M.Andolfo) – Rusconi 1999 - pp. 269.

[12] Ivi, pp.181.

[13] Giambattista Vico  La scienza nuova (Idea dell’opera) – Laterza 1974 - Vol.I - p.9.

[14] Ivi – (Libro I, 1, 9) – Vol.I - p.59

[15] Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p. 277.

[16] Il Gomperz accosta Democrito a Galilei nella suddivisione del conoscibile tra ciò che appartiene alla natura e ciò che appartiene alla convenzione umana. (Th.Gomperz  Pensatori greci, vol II, La Nuova Italia 1967, pp.70-73).

[17] Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p. 279.

[18] Secondo Platone (Menone 76 c) già Empedocle avrebbe teorizzato gli effluvi, ma sembra abbastanza probabile che egli accomunasse, generalizzando e indipendentemente dallo specifico, il pluralismo ontologico alla teoria degli effluvi.

[19] Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p. 261.

[20] La numerazione è quella progressiva del già citato Atomisti antichi (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 – da p.303 a p.367.

[21] Secondo il Mondolfo il nome Democrate sarebbe una corruzione di “Democrito” (E. Zeller – R. Mondolfo  La filosofia dei greci – vol.V – La Nuova Italia – Firenze 1969 – p. 282) e in questo caso il dossografo non sarebbe altri che il filosofo stesso.

[22] In questo aforisma e in quello precedente è dato cogliere la distinzione tra erudizione (πολυμαθία) e sapienza (σοφία) [vedi 216 Stobeo]. Va comunque rilevato che Democrito usa poco il termine sapienza e gli preferisce quello di saggezza (Φρόνησις) e quello di intelletto o prudenza (πολυφροσύνη) come nell’aforisma n°40.

[23] Questo aforisma è stato letto da Vittorio Enzo Alfieri in Atomos idea… (vedi nota 120 dell’Andolfo a p.515 del citato Atomisti antichi […]) come una negazione del caso a favore alla necessità. A me pare che tale  costante ricerca degli aspetti gnoseologici in un filosofo che su questo terreno riprende quasi integralmente Leucippo, mettendoci assai poco di suo, possa essere sviante. Penso invece che se ne dovrebbe cogliere il soggiacente significato etico, confermato dai numerosi aforismi concernenti l’accettazione di ciò che “la natura dà” (per es. il n°289) piuttosto che sulla speranza di ciò che “dovrebbe dare” secondo le umane aspettative.

[24] In modo più esplicito risulta qui espresso lo stesso pensiero del n° 145 (Plutarco).

[25] Questa lunga citazione, non priva di qualche oscurità e di qualche ripetizione, ci rende una sintesi dell’etica democritea che potrebbe essere così delineata: 1) il principio della “misura”, peraltro tipico di tutta la cultura greca, 2) il perseguimento della prudenza e della temperanza ad evitare turbamenti eccessivi, 3) perseguire ciò che è alla propria “portata”, senza inseguire velleitariamente gloria e successo, 4) astenersi dall’invidia di coloro che appaiono più fortunati, 5) controllare l’ambizione che può condurre a imprese negative e dannose per sé e per la comunità, 6) confrontare la nostra vita con chi ne ha una più difficile e non con chi l’ha più facile. In estrema sintesi evitare “invidia, malevolenza e animosità”. 

[26] Mi sembra completamente ignorata da parte degli esegeti “letterari” la profondità “biologica” di questo aforisma nel quale lapidariamente viene colto il rapporto indissolubile vita/morte, rispetto al quale solo stoltamente si può separare “psichicamente” la morte dalla vita fuggendola, come se così facendo fosse possibile perpetuare la vita al di là delle leggi biologiche. 

[27] Una professione di pragmatismo umanistico di straordinaria modernità. Una stigmatizzazione del “desiderio” irrazionale a cui Epicuro non aggiungerà nulla di nuovo.

[28] Solo apparentemente banale questa massima. Nella realtà è un puntuale richiamo all’autocoscienza, come tribunale etico delle proprie aspirazioni e delle proprie azioni.

[29] Una professione di cosmopolitismo e una straordinaria intuizione antropologica sulla “natura” dell’uomo e sulla sua “essenza”, al di là della contingenza di culture e razze.

[30]  Vale la pena di riflettere sulla chiarezza e semplicità di questa enunciazione rispetto alla fumosa e ideologica auspicabilità del platonico “governo dei filosofi” (Repubblica, IV, passim).

[31] Non il “buonismo” moralistico, ma l’”opportunità” sociale della solidarietà e della generosità per la realizzazione di un contesto sociale “pragmaticamente” concorde e basato sulla “reciprocità” dei benefici.

[32] Unico elemento negativo (e non di poco conto) appare la sua misoginia, quale emerge dagli aforismi n° 110 e n° 111 dell’elenco del cosiddetto Democrate (Atomisti antichi - Testimonianze e frammenti secondo la raccolta di H.Diels e W.Kranz (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 – p.313 e 315).

[33] Che Epicuro ignori completamente Leucippo al punto di fare soltanto riferimento a Democrito per le teorie atomistiche e che Aristotele non faccia distinzione tra i due, parlando sempre del secondo, può significare che in circolazione vi erano soltanto opere di Democrito e testimonianze su di lui. Ciò potrebbe aver determinato una situazione culturale contingente, dovuta anche all’evanescenza della figura di Leucippo, di cui si hanno probabilmente si avevano, già allora, elementi biografici scarsi e contraddittori.

[34] L’eutimia democritea e l’aponia (assenza di dolore) di Epicuro confluiranno nell’ atarassia (assenza di turbamento) della filosofia ellenistica in generale (epicureismo, stoicismo, scetticismo).