4.4) Democrito
Prima di
parlare specificamente di Democrito dobbiamo
fare una considerazione
preliminare, in relazione al suo maestro,
poiché, come è già stato
sufficientemente rilevato ed evidenziato,
Democrito è autore della Piccola
cosmologia, la quale, nel riprendere le tesi esposte
nella Grande da
Leucippo, vi apporta alcune modifiche assai
importanti. Sarebbe
storiograficamente fondamentale poter effettuare
qualche confronto tra le due,
ma per fare ciò dovremmo disporre di frammenti
omogenei, il ché non si dà,
purtroppo. Della Grande abbiamo quel frammento resoci da Aezio
che è abbastanza significativo, ma largamente
incompleto, ed i frammenti di cui
disponiamo relativi alla Piccola non permettono un confronto diretto, e
tuttavia ci pare rendano bene la misura degli
sviluppi democritei. Su Democrito
i dati biografici sono abbastanza precisi
(nato ad Abdera nel 460 circa e morto
nel 370 a.C.circa) e le testimonianze sulla
sua vita e sul suo pensiero
piuttosto copiose (anche se largamente sofferenti
della
confusione/sovrapposizione già ricordata).
Un’esposizione esauriente delle sue
teorie ce la offre la vita di Diogene Laerzio, la quale, quantunque
assai tarda, è sostanzialmente coerente con
le testimonianze più antiche.
Diogene afferma:
(44) I punti fondamentali della sua dottrina
sono i seguenti: i
principi originari dell’universo sono gli
atomi e il vuoto, tutte le altre cose
sono mera opinione. I mondi sono infiniti,
soggetti alla generazione e alla
corruttibilità. Nulla diviene dal non essere
e nulla perisce nel non essere.
Gli atomi sono infiniti per grandezza e per
numero; si muovono vorticosamente
nell’universo e generano così tutte le cose
composte, fuoco, acqua, aria e
terra; perché anche queste sono unioni di
determinati atomi, che per la loro
solidità sono impassibili e incambiabili.
Il sole e la luna sono costituiti di
tali masse atomiche levigare e sferiche e
così egualmente l’anima, che è
identica alla mente. La nostra vista è una
conseguenza della incidenza delle
immagini sui nostri occhi. Tutto accade secondo
necessità; egli chiama
necessità il vortice che è la causa della
genesi di tute le cose. [1]
Le “immagini sui nostri occhi” sono quegli
eidola
di cui Democrito è importante teorizzatore
(ripresi poi da Epicuro) e che vanno
a costituire l’elemento primo della teoria
della conoscenza dell’Abderita. Rispetto ad Aristotele che, come abbiamo
visto, vedeva l’insanabile contraddizione
tra la teorizzazione del caso
come causa del cielo e della necessità come causa del mondo vivente,
Diogene sembrerebbe (sei secoli dopo) non
registrarla più. E in effetti (lo
abbiamo visti al § 4.1) da un certo momento
in poi il fattore “caso” in
riferimento a Democrito viene perlopiù abbandonato
e si parla soltanto più di necessità.
Ma non si deve pensare che ciò dipenda da
una sedimentazione conoscitiva,
ma semmai proprio dal fatto che il caso, nel suo significato
ontologico, viene proprio “espulso” dall’ambito
della filosofia e confinato
nell’oblìo. Ma sull’argomento fisico-cosmogonico
non torneremo, concentrando
invece la nostra attenzione sugli aspetti
più originali della filosofia
democritea, costituiti dalle sue teorie di
carattere astronomico, biologico,
fisiologico, antropologico, cognitivo ed
etico. Aristotele che pure non è stato
tenero con Democrito (ma assai più severo
sarà Teofrasto in De sensu [49
e ss.]) doveva avere una certa stima di lui
(almeno in campo biologico) quando
scrive (Della generazione e corruzione, I (A), 2, 315 a 30-35):
A dirla in breve, nessun filosofo si è occupato
di alcuna di
queste questioni se non in modo superficiale,
ove si eccettui Democrito; […] [2]
Un resoconto
sufficientemente ampio della Piccola cosmologia è quello resoci da
Diodoro Siculo (che lo riprende da Ecateo
di Abdera), il cui inizio ricalca un
po’ quello leucippeo visto a suo tempo (Dox.289) ma senza alcun accenno
al moto cosmogonico originario, per cui gli argomenti
sembrano
svilupparsi “a valle” di esso. Ma è proprio
tale sviluppo a darci un’idea
precisa dello spessore teorico della ricerca
filosofica democritea, che appare
il più grande naturalista teorico precedente
Aristotele. Riferisce Diodoro (Bibliotheca
historica I, 7, 1):
(1) Conformemente alla mescolanza originaria
di tutto il reale,
la terra e il cielo condividevano un’unica
forma, essendo mescolate le loro
nature; in seguito, invece, con la separazione
reciproca dei corpi, il cosmo
venne ad abbacciare la struttura che lo configura
e che è visibile attualmente
in esso […] [3]
Abbiamo qui una chiara esposizione di come
il cosmo
all’inizio si presentasse come una sorta
di chàos esiodeo (che nel
frammento leucippeo manca), un regno dell’indistinto
dove tutto era mescolato.
Ma in seguito le analogie si fanno stringenti:
[…] avvenne che l’aria assunse un moto continuo
e le sue
componenti ignee furono condotte nella sede
atmosferica suprema, giacché la sua
natura tendeva verso l’alto a motivo della
propria intrinseca leggerezza [4]
Sono dal più al meno gli stessi termini del
frammento
riferito a Leucippo, ma dove la “leggerezza”
viene da democrito riferita al
fuoco. Il seguito, rispetto al maestro, non
presenta importanti novità sino al
punto in cui viene detto:
(3) […] in molteplici luoghi si rigonfiarono
bolle di umidità,
intorno alle quali sorsero putredini circoscritte
da sottili membrane, il ché è
tutt’ora visibile nei luoghi melmosi e paludosi
quando si verifichi
simultaneamente il rafreddarsi della regione
in questione e l’infuocarsi
repentino dell’aria, anziché un suo mutamento
progressivo e graduale di
temperatura. [5]
Qui il distacco dal frammento leucippeo appare
evidente,
si parla di “putredini” e di “temperatura”,
concetti non più puramente
cosmogonici ma decisamente “biologici” e
rivelativi di un’attenta attività
osservativa a base della teoria. Ma occorre
qui definire ciò che è all’origine
della vita, che per Democrito è l’anima.
Un concetto molto importante per
l’abderita, per il quale però l’anima è principio
vitale rigorosamente
materiale (in quanto “soffio vitale” del
corpo) secondo la miglior tradizione
greca, ma anche centro della sensibilità
e della nobiltà umana. Vediamo come
Aristotele ci delinea l’anima democritea
(De anima, I (A), 2, 404 a,
1-9):
Onde Democrito afferma che essa è una sorta
di fuoco o di
calore: essendo infinite le “figure” o atomi,
quelli sferoidali li chiama fuoco
e anima (paragonabili a ciò che noi diciamo
corpuscoli sospesi nel pulviscolo e
che appaiono nei raggi di sole penetranti
attraverso le imposte). L’intera
riserva di tali semi dice che costituiscono
gli elementi di tutta la natura (e
lo stesso pensa Leucippo) e che gli atomi
sferoidali costituiscono l’anima per
la grandissima facilità di siffatte forme
a penetrare dovunque e a muovere
tutto il resto, essendo esse in movimento,
giacché questi filosofi suppongono
che l’anima imprime agli esseri il movimento.
Perciò riguardano la respirazione
come il criterio della vita. [6]
E segue un’ulteriore precisazione, dove Aristotele
coglie
un altro aspetto assai importante dell’anima
democritea, ossia la sua
coincidenza con l’attività pensante. Essa
infatti non è più soltanto ciò che
col suo soffio dà vita a un corpo, ma è il
centro delle attività intellettive
(la mente) (I (A), 2 405 a, 8-13):
[…] Ancor più sottilmente si è espresso Democrito
dimostrando il perché di ciascuno di questi
due caratteri: l’anima è lo stesso
che intelletto, e consiste di corpi primi
e indivisibili e può imprimere il
movimento per la piccolezza e la forma delle
parti: aggiunge che la forma più
suscettibile di movimento è la sferoidale
e che di atomi siffatti consistono
l’intelletto e il fuoco. [7]
Veniamo ora ad un’altro aspetto estremamente
interessante
del pensiero di Democrito, che traiamo dal
già citato frammento di Diodoro
Siculo, quello concernente le sue considerazioni
antropologiche:
(8,1) […] riguardo agli uomini originari,
si dice che
conducevano una vita disordinata e selvaggia,
disperdendosi a pascolare e a
procurarsi le piante ritenute più confacente
al proprio e i frutti che
spuntavano spontaneamente sugli alberi. (8,2)
Essendo sempre in lotta con le
fiere, l’amor proprio fece loro imparare
a soccorrersi a vicenda, mentre la
paura li portò ad associarsi, e così col
tempo appresero a riconoscersi tra
loro tramite particolari dell’aspetto. (8,3)
A poco a poco la loro voce smise
di emettere suoni inarticolati e privi di
significato e imparò ad articolare
vere e proprie parole sino a che convenirono
tra loro parole atte a
simbolizzare ciascuna cosa da loro conosciuta
e alla loro portata,
determinando, così, il sorgere di una interpretazione
globale del mondo. (8,4)
Siccome siffatte comunità sorsero in ogni
luogo abitato, la lingua o il
dialetto non potevano essere per tutti identici,
poiché accadeva che ciascuna
comunità coniasse proprie parole. Conseguentemente,
svariati e molteplici
furono i caratteri di quei dialetti e le
prime comunità sorte divennero le
capostipiti di tutte le etnie. [8]
Abbiamo qui una chiara interpretazione dei
primitivi
problemi dell’uomo, della nascita delle prime
comunità, dei differenti
linguaggi e, sulla base di questi, dei primi
gruppi etnici. Per Democrito è
quindi il linguaggio a determinare l’identità
sociale e non le ragioni
razziali. Ma ecco il seguito:
(8,5) I primi uomini conducevano
una vita faticosa, poiché non era stato scoperto
ancora nulla di quanto giova
al vivere; pertanto, erano nudi e privi di
vesti, non abituati a vivere in
abitazioni e a servisri del fuoco, e ignoravano
anche che potesse esserci una
forma non selvatica di nutrimento. (8,6)Infatti,
ignorando che esistesse un
modo per conservare il nutrimento che traevano
dai campi, non si preoccupavano
affatto di fare provviste di frutti in vista
di momenti di indigenza e, così,
in inverno molti di loro morivano a causa
del freddo e della mancanza di cibo. [9]
Un’analisi antropologica ante-litteram, basata
sulla pura riflessione filosofica, che doveva
fare scuola, attraverso Epicuro e
Lucrezio, fino a Giambattista Vico [10].
Così si chiude il brano:
(8,7) Non trascorse molto tempo,
però, che questi uomini, giovandosi dell’insegnamento
ricevuto dalle prove
sperimentate, iniziarono a ripararsi in caverne
durante l’inverno e a riporvi i
frutti che potevano essere in esse conservati:
Una volta che, poi, conobbero il
fuoco e le altre cose che giovano al vivere,
non passò lungo tempo che
scoprirono le arti e tutte le altre cose
utili al vivere comune. In generale,
pertanto, per gli uomini fu maestra la necessità,
che rese familiari tali
tecniche a questo essere che è ben notato
in sé di ausilii per tutti i suoi
atti grazie al possesso delle mani, della
ragione e di un’anima versatile. [11]
Qui la necessità assume
il significato di “esperienza”, un’esperienza
determinata “necessariamente”
dalle condizione dell’uomo in un contesto
dato; una necessità che
attraverso l’esperienza forma la cultura.
In questa evoluzione il fuoco occupa
una posizione centrale, ma da un punto di
vista zoologico le mani sono (insieme
alla ragione e all’anima) un fattore determinante
dell’evoluzione. L’esperienza
è legata alle “sensazioni”, che non rivelano
l’essenza della natura (gli atomi
e il vuoto che li accoglie) ma il “modo”
antropico di coglierli, di prenderne
conoscenza e di trarne esperienza pratica.
Un’osservazione di Sesto Empirico (Contro i matematici IX,
24) completa il panorama dell’antropologia
democritea:
Vi sono taluni i
quali ipotizzano che la nostra intuizione
degli dèi sia sorta dallo stupore
provato dinanzi a quanto avviene nel cosmo,
e di questa opinione pare essere
stato anche Democrito, il quale asserisce
che gli antichi, osservando quegli
eventi delle regioni celesti che l’uomo subisce,
come i tuoni, i fulmini che
lampeggiano, le congiunzioni astrali e le
eclissi soli e lunari, terrorizzati
credettero che fossero dèi le cause di questi
fenomeni. [12]
Ci sia concessa una breve digressione (facendo
un salto
temporale di circa quindici secoli) per notare
che questi “antichi” sembrano
una pre-evocazione dei possessori di quelle
“menti balorde de’ primi
fondatori delle nazioni gentili, tutti robustissimi
sensi e vastissime fantasie”
[13]
in cui Giambattista Vico pone l’alba dell’umanità,
i quali:
[…] così, raminghi e soli,
dovettero produrre i figliuoli, con una ferina
educazione, nudi d’ogni umano
costume e privi d’ogni umana favella, e sì
in uno stato di bruti animali. E
tanto tempo appunto vi bisognò correre, che
la terra, disseccata dall’umidore
dell’universale diluvio, potesse mandare
in aria delle esalazioni secche a
potervisi ingenerare de’ fulmini, da’ quali
gli uomini storditi e spaventati si
abbandonassero alle false religioni di tanti
Giovi […] [14]
Passiamo ora ad occuparci della teoria gnoseologica
democritea sulla quale le maggiori informazioni
ci vengono ancora da Sesto
Empirico (Adv. Math. VII, 135, Д):
Talora
Democrito riconduce ciò che appare alle sensazioni,
nelle quali afferma che non
si manifesta alcunché di conforme al vero,
bensì solo di conforme all’opinione,
mentre la verità appartiene agli enti in
quanto partecipano degli atomi e del
vuoto. Infatti, Democrito sostiene che “
convenzionale è il dolce,
convenzionale l’amaro, convenzionale il caldo,
convenzionale il freddo,
convenzionale il colore, mentre veri sono
gli atomi e il vuoto». […] [15]
Il concetto di “convenzionalità” [16]delle
sensazioni in Democrito era già stato messo
in rilievo da Galeno (De
elementis secundum Hippocratem, I, 2, e De medica empiria 1259, 8)
ed è elemento definitorio di una conoscenza
di grado inferiore. E poco dopo
Sesto precisa (Ivi, VII, 138, B 8):
Nei Canoni Democrito afferma che vi sono due forme di
conoscenza, l’una che si compie grazie alle
sensazioni e l’altra che si
realizza tramite il pensiero razionale, e
chiama quest’ultima “autentica”,
riconoscendo che in essa si può confidare
per giudicare della verità delle
cose, mentre qualifica la prima come “inautentica”,
negandole affidabilità
nella conoscenza della verità. [17]
Eppure sarà proprio questa conoscenza inautentica
ad avere
fortuna negli sviluppi dell’atomismo ed a
passare praticamente immutata nella
filosofia di Epicuro come fonte unica del
sapere. Ma qual è il processo fisico
attraverso il quale si determinano le sensazioni?
La soluzione è piuttosto
originale: la sensazione è un fenomeno di
“contatto” e si basa sulla dinamica
degli “effluvi” [18]. Tali
effluvi sono i veri agenti del contatto tra
il soggetto percipiente e l’oggetto
percepito ed essi vengono chiamati da Democrito
eidola. L’eidolon (lett: immagine) è un
flusso di atomi che costituisce una sorta
di simulacro dell’oggetto, che
effluisce da esso e giunge agli organi di
senso del percipiente, dando così
luogo a quel tipo di conoscenza che riguarda
i sensi. Tuttavia Democrito
conduce la sua analisi gnoseologica distinguendo
il fenomeno concernente i
sensi dal processo intellettivo e razionale
che eventualmente ne fa seguito. Il
pensiero razionale va allora tenuto nettamente
distinto dalla sensazione:
l’esercizio della ragione, ponendo principi
teorici e su di essi sviluppando
l’approccio alla realtà, integra e supera
il mondo dell’esperienza sensibile ed
empirica verso una conoscenza “autentica”.
Lasciamo ora il
campo gnoseologico e passiamo ad occuparci
delle concezioni etiche di
Democrito, che non sono meno interessanti
di quelle fisiche, cosmologiche,
biologiche ed antropologiche appena esaminate
e che ci rendono bene lo spessore
interiore del personaggio. Cominciamo col
vedere una testimonianza che ci
riporta in qualche misura all’utilizzo di
Empedocle degli dèi come metafora
degli elementi (Etymologium Orionis 153, 5):
Secondo Democrito la saggezza è denominata
Atena tritogenia,
poiché dal ragionare con saggezza derivano
tre conseguenze: il retto volere, il
retto parlare e il retto agire. [19]
Aggiungiamo che qua e là Democrito usa l’aggettivo
“divino” col significato di “igneo”. Atomi
di fuoco sono infatti quelli che
costituiscono i corpi più leggeri e sfuggenti,
e tra questi l’anima. Un nemico
del materialismo come Clemente Alessandrino
(Stromateis II, 130) ci dà
un parere interessante su Democrito, attribuendogli
l’aver posto un principio
etico fondamentale, che verrà poi ripreso
da Epicuro in senso più spiccatamente
edonistico: quello di felicità. Ma qui l’accento
è messo sulla “disposizione
d’animo” che la genera, piuttosto che sull’esperienza
di essa:
Anche gli Abderiti insegnano a proporsi un
fine nella vita:
Democrito, nel libro Sui fini, lo identifica con buona disposizione
d’animo, che denomina anche felicità, soggiungendo
spesso queste parole:«il
diletto e il suo contrario costituiscono
il discrimine di ciò che è da accogliere
e di ciò che è da respingere». Questo fine,
pertanto, è proposto come valido
tanto per la vita dei giovani quanto per
quella di chi è già vissuto a lungo.
Ci addentreremo ora nel campo che più specificamente
sembra aver caratterizzato l’etica dell’Abderita,
quello dell’aforistica. Ci
troveremo a scegliere tra quasi trecento
aforismi a lui attribuiti (alcuni
simili) e riportati da vari autori; ci sofferemeremo
però solamente su quelli
che ci paiono più significativi od originali
[20].
Cominciamo con quelli citati da un certo
Democrate [21]:
38 - È cosa buona ostacolare
coloro che compiono ingiustizie; se non si
riesce nell’intento, è cosa buona
non compiere ingiustizie con loro.
40 - Gli uomini non divengono
felici né con i beni corporei né con il denaro,
bensì con la rettitudine e una
cospicua saggezza.
45 – È ben più infelice chi
commette ingiustizia rispetto a chi la subisce.
50 – Non potrà mai essere retto
chi si lascia completamente sopraffare dalle
ricchezze.
60 – È meglio biasimare i propri
errori che quelli altrui.
64 – Molte persone, pur essendo
molto erudite, non hanno intelligenza.
65 – Si deve coltivare la
ricchezza del pensiero e non l’erudizione.
[22]
86 – È segno di arroganza
mettere lingua in ogni questione e non volersi
porre mai in ascolto degli
altri.
98 – L’amicizia di una sola
persona, che, però, sia intelligente, è migliore
di quella di tutti gli uomini
non intelligenti.
105 – La bellezza corporea è
animalesca, se non è accompagnata dall’intelligenza.
Proseguiamo con Plutarco (De pueri educandis 14, 9,
F):
145 – Infatti, secondo
Democrito, la parola è ombra dell’azione.
Ed ora Porfirio (De abstinentia, 4, 21):
160 – Democrito ha detto che il
vivere male, dissennatamente, senza temperanza
e in modo empio «Non è tanto un
vivere male, quanto un morire diluito ampiamente
nel tempo».
Numerose sono le massime riportate da Giovanni
Stobeo (Eclogae
ethicae, II, 1, 12):
169 – un detto di Democrito:
«Non bramare di saper tutto, affinché non
ti succeda di trovarti a esser ignaro
di tutto».
172 – Sentenza di Democrito: «La
fonte da cui ci derivano i beni è la stessa
da cui ci potrebbero provenire
anche i mali, ma possiamo evitare questi
ultimi senza rinunciare anche ai beni.
Allo stesso modo, le acque profonde sono
di grande utilità e, nel contempo,
sono fonte di possibile danno: infatti, vi
è il rischio concreto di affogare in
esse: eppure esiste un mezzo per sfruttarne
i benefici tutelandosi dal
pericolo: imparare a nuotare»
176 – La sorte è magnanima nel
donare, ma è incerta, mentre la natura è
autosufficiente. Perciò, la natura
vince, con il poco, ma certo, sul molto promesso
dalla speranza nella sorte. [23]
179 – Sentenza di Democrito: «La
cultura è un ornamento per coloro che godono
di sorte favorevole, mentre è un
rifugio per chi sopporta una sorte infausta».
181 - Sentenza di Democrito:
«Appare più opportuno esortare alla virtù
servendosi di ragionamenti persuasivi
piuttosto che di costrizioni legali. È verosimile,
infatti, che si lasci andare
a compiere ingiustizia di nascosto chi è
fermato, in pubblico, solo dalla
legge, mentre non è verosimile che compia
azioni che deroghino ai propri doveri
né di nascosto né in pubblico chi sia persuaso
a ben agire. Pertanto, chi
agisce rettamente grazie al proprio giudizio
e alla propria conoscenza diviene
simultaneamente virtuoso e schietto».
187 - Sentenza di Democrito:
«Per gli uomini conviene tenere in considerazione
più l’anima che il corpo,
poiché la perfezione della prima pone rimedio
al cattivo stato del secondo,
mentre la forza del corpo non apporta alcun
miglioramento all’anima se non è
accompagnata dalla capacità di ragionare».
190 - Sentenza di Democrito:
«Non si devono spendere parole intorno alle
azioni» [24]
191 - Sentenza di Democrito: «La
buona disposizione d’animo si ingenera, negli
uomini, dalla misura imposta al
godimento e dall’armonia di vita: l’eccesso
e il difetto, invece, amano
l’instabilità e inducono grandi turbamenti
nell’anima. Le anime perturbate
dall’alterno prevalere di stati fra loro
grandemente opposti non possono essere
né equilibrate e stabili né ben disposte.
Pertanto si deve indirizzare la
propria attenzione alle cose possibili e
ci si deve accontentare di ciò che è
alla nostra portata, dandosi poco pensiero
per gli uomini che vengono invidiati
e ammirati e tanto meno ossessionandosi per
la loro condizione. Al contrario,
si deve osservare la vita di chi è afflitto
da tribolazioni, riflettendo su ciò
che questi patisce in forte misura, in modo
che ti sembrino grandi e
invidiabili le cose che sono alla tua portata
e che possiedi e in modo che non
ti accada di soffrire nell’anima, desiderandone
di ulteriori. Infatti, chi
ammira i facoltosi e le persone ritenute
felici da gli altri uomini e si dà
costantemente pensiero per loro sarà necessariamente
spinto a intraprendere
imprese sempre nuove, non escluso l’essere
indotti dal desiderio a compiere
azioni irreparabili e vietate dalla legge.
Allora è opportuno non bramare di
conseguire qualunque cosa, bensì ben disporsi
nell’animo accontentandosi di ciò
che si possiede, confrontando la propria
vita con quella di chi ha una sorte
peggiore, ritenendosi felici in rapporto
ai patimenti sofferti da costoro e
constatando quanto sia migliore la vita che
si conduce. Divenendo consapevole
di tutto questo, trascorrerai la vita con
animo disposto in modo ancor più
buono e respingerai con poche cause di rovina
della vita, quali l’invidia, la
malevolenza e l’animosità». [25]
201 - Sentenza di Democrito:
«Gli stolti desiderano vivere a lungo, ma
non sanno godere una lunga vita».
202 - Sentenza di Democrito:
«Gli stolti aspirano ai beni che non sono
presenti e, nel contempo, sperperano
quelli presenti, anche se risultano più vantaggiosi
di quelli passati»
203 - Sentenza di Democrito:
«Gli uomini, fuggendo la morte, finiscono
per inseguirla».[26]
219 - Ancora di Democrito: «Un
desiderio di ricchezza che non venga mai
limitato dalla sazietà è molto più
difficilmente tollerabile della povertà estrema.
Infatti i desideri più grandi
rendono l’indigenza altrettanto grande».
221 - Sentenza di Democrito: «La
speranza di un guadagno, anche se si sa che
è il frutto di cattive azioni, è
l’inizio di una perdita».
226 - Sentenza di Democrito: «La
libertà di parola è parte della libertà personale,
ma il rischio più reale
concerne la capacità di individuare il momento
giusto per parlare».
231 - Sentenza di Democrito:
«Ricco di comprendonio è colui che non si
doglie di ciò che non ha, ma che si
contenta di ciò che ha».
234 - Sentenza di Democrito:
«Gli uomini cercano di procacciarsi la salute
dagli dèi con gli auspici,
ignorando di avere in se stessi questa potenza;
anzi, facendo, per
intemperanza, le cose opposte a quelli che
favorirebbero tale potenza,
finiscono per tradire essi stessi la propria
salute, a causa dei propri
desideri». [27]
235 - Sentenza di Democrito: «A
coloro che si volgono ai piaceri del ventre,
avendo superato la misura
conveniente sia nei cibi sia nelle bevande
sia nei piaceri d’amore, i piaceri
vengono decurtati in intensità e di breve
durata, nel senso che durano soltanto
finché banchettano e devono, mentre i dolori
sono molti. Infatti, il desiderio
di tali cose permane sempre e anche quando
ottengono ciò che desiderano il
piacere s’invola velocemente e non reca loro
alcun giovamento, anzi, il
godimento si abbrevia e hanno di nuovo spasmodico
bisogno di quegli oggetti di
piacere».
244 - Sentenza di Democrito:
«Anche quando sei solo, non essere malvagio
né nelle parole né nelle opere:
impara, invece, a vergognarti molto più innanzi
a te stesso che agli altri». [28]
247 - Ancora di Democrito: «Al
sapiente ogni terra è accessibile, poiché
tutto il cosmo funge da patria
dell’anima che è buona». [29]
251 - Sentenza di Democrito: «La
povertà in democrazia è ancora più auspicabile
della cosiddetta felicità sotto
il dispotismo, almeno quanto la libertà è
più degna di scelta della schiavitù».
[30]
255 – Quando coloro che non sono
privi di mezzi ardiscono di mettere a disposizione
degli indigenti le proprie
sostanze, assistendoli e aiutandoli, già
in questa scelta si palesano la
compassione, la solidarietà e l’amicizia,
nonché il soccorso vicendevole, la
concordia cittadina e altri beni che nessuno
riuscirebbe a elencare
completamente. [31]
269 - Sentenza di Democrito:
«L’audacia è principio di azione, la sorte
è signora dell’esito dell’azione».
290 - Sentenza di Democrito:
«Scaccia, con la riflessione, il dolore dell’anima,
poiché quello, essendo
libero da vincoli, finisce per addormentarla».
Contrariamente
a ciò che avviene nella convenzionale storicitica
passata e corrente, con la
quale si enfatizza il contenuto della fisica
e della cosmologia democritee (in
realtà sostanzialmente dipendenti da quelle
di Leucippo e con sviluppi modesti
rispetto ad esse), noi pensiamo sia venuto
il momento di rivedere questo
giudizio. Gli aforismi succitati ci dicono
che l’etica atea di Democrito si
lega direttamente alla sua cosmologia e al
suo naturalismo, con quel tocco di
saggia umanità ed ironia (in tal senso va
intesa la sua fama di “philosophus
ridens”) che gli permette di realizzare l’ideale
dell’eutimìa. Essa è
un’etica profonda, assai lontana dagli schematismi
ideologici platonici e le
scienze della natura si sposano coerentemente
con criteri comportamentali assai
avanzati (si pensi solo al cosmopolitismo)
[32].
D’altra parte, la sua cultura era così enciclopedica
(si dice abbia scritto
settanta opere sui più vari argomenti), essendosi
occupato persino di
grammatica e di estetica, che ce n’è quanto
basta per farne uno dei più grandi
pensatori dell’antichità, senza dovergli
attribuire quel che non gli compete [33].
Se si considera
che egli è contemporaneo di Socrate, altra
straordinaria figura dell’epoca in
campo etico (e attraverso Platone imposta
come dominante alla cultura greca
dell’epoca successiva) si può cogliere la
sostanziale originalità “pragmatica”
dell’etica democritea rispetto a quella più
“idealistica” di Socrate (ma
probabilmente assai “platonizzata” dal suo
famoso allievo). Alla perentorietà
del socratico “conosci te stesso”, a prescindere da ogni indagine che
rapporti l’uomo alla natura in cui è inserito
e di cui fa parte (come ci
testimonia Senofonte), l’Abderita contrappone
implicitamente un più cauto “conosci
la natura per conoscere te stesso”, e come ci testimonia il frammento n°
176 di Stobeo (vedi sopra) l “autosufficienza
della natura” va letta come
l’orizzonte razionalmente corretto e pragmaticamente
esauriente in cui inserire
la riflessione sull’uomo, che in essa va
compreso e non estratto come un’entità
superiore, avulsa e indipendente. Agli stati
mentali indotti dal divino demone
socratico Democrito contrappone l’eutimia
(εύθυμία)[34],
la tranquillità d’animo che viene dalla riflessione
sulla natura e sull’’uomo,
al riparo dai turbamenti psichici. Va tuttavia
notato che, sul piano degli
atteggiamenti intimi e interpersonali, l’ironia
del “non sapere”, tipica di
Socrate, sembra appartenere anche al Nostro
e renderli più vicini (vedi Gnomologium
Vaticanum, 743 e Greco-Syriaca dicta, 42).
Ci pare allora
di poter dire, al di fuori dei vieti schemi
consueti, che l’etica “laica” del V
e del IV sec.a.C. nel mondo greco (fino alle
scuole ellenistiche) sia
largamente tributaria del pensiero democriteo.
I concetti di felicità, di
misura (o del giusto mezzo), della temperanza,
dell’onestà morale, della
ricerca psicologica, sono già tutti presenti
in Democrito. Per di più
l’immagine di filosofo enciclopedico che
Aristotele incarnerà ha proprio
nell’Abderita il più significativo precedente.
Il dominio culturale di quel
magnifico “pifferaio magico” che è stato
Platone, di cui tutti abbiamo subito
più o meno il fascino dialogico e mitico-letterario,
forse andrebbe
contemperato con una maggiore attenzione
ad un pensiero un po’ più “secco”,
meno sgargiante e affascinante, ma che, al
contrario, cela assai più di quanto
esibisca.
Con Leucippo e
Democrito non solo il materialismo atomistico
riceve formulazione, ma anche
l’ateismo teoretico in esso implicito acquista
dignità filosofica. Ed esso
viene delineato in un modo sufficientemente
esauriente, tale da porsi come una
vera e propria weltanschauung atea, comprendente una concezione generale
del mondo fisico e biologico forse incompleta
(e ovviamente dipendente delle
scarse conoscenze del tempo) ma concettualmente
significativa, unita ad un
etica della ragionevolezza, dell’equilibrio,
della modestia e del senso della
libertà. A partire da queste premesse Epicuro
porterà innovazioni importanti,
sia sul terreno gnoseologico che su quello
etico, ma ciò che sta alla base
della sua fisica è tributario di Leucippo
ed elementi importanti della sua
leticagli derivano da Democrito.
[1]
Diogene Laerzio Vite dei filosofi
– Laterza 1983 – vol.II, p.369.
[2] Aristotele Opere, vol.IV – Laterza 1983, p.8.
[3] Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.265.
[4] Ibidem.
[5] Ivi, p.267.
[6] Aristotele Opere – vol. IV – Laterza 1983 – p.105.
[7] Ivi - p.108.
[8] Atomisti antichi (a cura M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.267-269.
[9] Ivi,p.269.
[10] Dell’influenza dell’atomismo sulle opinioni del giovane ha parlato Fausto Nicolini nei Brevi cenni della vita e delle opere di Giambattista Vico, che fungeva da introduzione a La scienza nuova (vedi Laterza 1974, p. XII): «Dato tutto ciò [ovvero il suo rapporto e la sua frequentazione con gli esponenti della nuova cultura “anti-gesuitica napoletana della seconda metà del sec.XVII], è affatto naturale che anche il Vico fosse condotto a quel De rerum natura di Lucrezio, che allora faceva girare la testa a non pochi “jeunes fous” napoletani (come li chiamava Antonio Arnauld) non senza orientarne più di uno verso l’ateismo.». Il Vico nel 1693 aveva pubblicato una canzone dal titolo Gli affetti d’un disperato, di chiara ispirazione lucreziana.
[11] Atomisti antichi (cura M.Andolfo) – Rusconi 1999 - pp. 269.
[12] Ivi, pp.181.
[13]
Giambattista Vico La scienza nuova (Idea
dell’opera) – Laterza 1974 - Vol.I - p.9.
[14] Ivi – (Libro I, 1, 9) – Vol.I - p.59
[15] Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p. 277.
[16] Il Gomperz accosta Democrito a Galilei nella suddivisione del conoscibile tra ciò che appartiene alla natura e ciò che appartiene alla convenzione umana. (Th.Gomperz Pensatori greci, vol II, La Nuova Italia 1967, pp.70-73).
[17] Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p. 279.
[18] Secondo Platone (Menone 76 c) già Empedocle avrebbe teorizzato gli effluvi, ma sembra abbastanza probabile che egli accomunasse, generalizzando e indipendentemente dallo specifico, il pluralismo ontologico alla teoria degli effluvi.
[19]
Atomisti antichi - (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.
261.
[20] La numerazione è quella progressiva del già citato Atomisti antichi (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 – da p.303 a p.367.
[21] Secondo il Mondolfo il nome Democrate sarebbe una corruzione di “Democrito” (E. Zeller – R. Mondolfo La filosofia dei greci – vol.V – La Nuova Italia – Firenze 1969 – p. 282) e in questo caso il dossografo non sarebbe altri che il filosofo stesso.
[22] In questo aforisma e in quello precedente è dato cogliere la distinzione tra erudizione (πολυμαθία) e sapienza (σοφία) [vedi 216 Stobeo]. Va comunque rilevato che Democrito usa poco il termine sapienza e gli preferisce quello di saggezza (Φρόνησις) e quello di intelletto o prudenza (πολυφροσύνη) come nell’aforisma n°40.
[23] Questo aforisma è stato letto da Vittorio Enzo Alfieri in Atomos idea… (vedi nota 120 dell’Andolfo a p.515 del citato Atomisti antichi […]) come una negazione del caso a favore alla necessità. A me pare che tale costante ricerca degli aspetti gnoseologici in un filosofo che su questo terreno riprende quasi integralmente Leucippo, mettendoci assai poco di suo, possa essere sviante. Penso invece che se ne dovrebbe cogliere il soggiacente significato etico, confermato dai numerosi aforismi concernenti l’accettazione di ciò che “la natura dà” (per es. il n°289) piuttosto che sulla speranza di ciò che “dovrebbe dare” secondo le umane aspettative.
[24] In modo più esplicito risulta qui espresso lo stesso pensiero del n° 145 (Plutarco).
[25] Questa lunga citazione, non priva di qualche oscurità e di qualche ripetizione, ci rende una sintesi dell’etica democritea che potrebbe essere così delineata: 1) il principio della “misura”, peraltro tipico di tutta la cultura greca, 2) il perseguimento della prudenza e della temperanza ad evitare turbamenti eccessivi, 3) perseguire ciò che è alla propria “portata”, senza inseguire velleitariamente gloria e successo, 4) astenersi dall’invidia di coloro che appaiono più fortunati, 5) controllare l’ambizione che può condurre a imprese negative e dannose per sé e per la comunità, 6) confrontare la nostra vita con chi ne ha una più difficile e non con chi l’ha più facile. In estrema sintesi evitare “invidia, malevolenza e animosità”.
[26] Mi sembra completamente ignorata da parte degli esegeti “letterari” la profondità “biologica” di questo aforisma nel quale lapidariamente viene colto il rapporto indissolubile vita/morte, rispetto al quale solo stoltamente si può separare “psichicamente” la morte dalla vita fuggendola, come se così facendo fosse possibile perpetuare la vita al di là delle leggi biologiche.
[27] Una professione di pragmatismo umanistico di straordinaria modernità. Una stigmatizzazione del “desiderio” irrazionale a cui Epicuro non aggiungerà nulla di nuovo.
[28] Solo apparentemente banale questa massima. Nella realtà è un puntuale richiamo all’autocoscienza, come tribunale etico delle proprie aspirazioni e delle proprie azioni.
[29] Una professione di cosmopolitismo e una straordinaria intuizione antropologica sulla “natura” dell’uomo e sulla sua “essenza”, al di là della contingenza di culture e razze.
[30] Vale la pena di riflettere sulla chiarezza e semplicità di questa enunciazione rispetto alla fumosa e ideologica auspicabilità del platonico “governo dei filosofi” (Repubblica, IV, passim).
[31] Non il “buonismo” moralistico, ma l’”opportunità” sociale della solidarietà e della generosità per la realizzazione di un contesto sociale “pragmaticamente” concorde e basato sulla “reciprocità” dei benefici.
[32] Unico elemento negativo (e non di poco conto) appare la sua misoginia, quale emerge dagli aforismi n° 110 e n° 111 dell’elenco del cosiddetto Democrate (Atomisti antichi - Testimonianze e frammenti secondo la raccolta di H.Diels e W.Kranz (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 – p.313 e 315).
[33] Che Epicuro ignori completamente Leucippo al punto di fare soltanto riferimento a Democrito per le teorie atomistiche e che Aristotele non faccia distinzione tra i due, parlando sempre del secondo, può significare che in circolazione vi erano soltanto opere di Democrito e testimonianze su di lui. Ciò potrebbe aver determinato una situazione culturale contingente, dovuta anche all’evanescenza della figura di Leucippo, di cui si hanno probabilmente si avevano, già allora, elementi biografici scarsi e contraddittori.
[34] L’eutimia democritea e l’aponia (assenza di dolore) di Epicuro confluiranno nell’ atarassia (assenza di turbamento) della filosofia ellenistica in generale (epicureismo, stoicismo, scetticismo).