Tito Lucrezio Caro nacque probabilmente a
Roma nel 96 e vi morì nel 54 a.C. Non si
tratta di un filosofo, ma di un poeta, il
quale, ispirandosi alla filosofia epicurea
(non senza qualche originalità sul piano
interpretativo), ha scritto il poema didascalico
in sei libri De rerum natura (Sulla natura
delle cose) in cui esalta la figura di Epicuro
come liberatore dell’umanità dal
timore delle divinità e della morte. La grandezza
di Lucrezio sta nell’essere
riuscito a fare di un opera fondamentalmente
di tipo espositivo un poema di alta
poesia, traducendo le teorie e l’etica di
Epicuro in un prodotto estetico dove
il tormento esistenziale dell’autore domina
l’insieme dei sei libri,
introducendo un sottofondo pessimistico e
drammatico assente nel pensiero del
filosofo di Samo. Paradossalmente Lucrezio,
nel suo intento di dimostrare che la
filosofia di Epicuro è in grado di sollevare
l’uomo dalle sue paure e dalle sue
angosce, ci rende invece un poema pieno delle
sue inquietudini esistenziali
trasfigurate in poesia. Dal punto di vista
strettamente filosofico (quello di
cui ci occupiamo) l’opera di Lucrezio è tuttavia
importante, perché in un certo
senso sistematizza il pensiero epicureo,
già noto in ambiente romano ma in forme
spesso frammentarie. Il termine clinamen, con cui egli ha tradotto
la parola greca parenklisis, è entrato nel linguaggio filosofico
internazionale ad indicare uno degli aspetti
fondamentali del pensiero di
Epicuro.