La Satira:: Petronio____ [Tematiche][La
lingua e lo stile][Il genere letterario][Destinazione
e pubblico]
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q) Il senso della vita.
Il "Satyricon" deve molto alla narrativa per trama e struttura del
racconto, e qualcosa alla tradizione menippea, per la tessitura formale: ma
trascende, in complessità e ricchezza di effetti, entrambe le tradizioni.
Il tratto più originale della poetica di Petronio è forse la forte
carica realistica. Nel vorticoso avvicendarsi di disavventure luoghi e personaggi,
al di là dell’intento di divertire il lettore e di divertirsi raccontando,
sembra emergere – d’altra parte - un senso di precarietà
e d’insicurezza, una visione della vita multiforme e frantumata, dominata
da una fortuna imprevedibile e capricciosa, e oscurata dal pensiero sempre incombente
della morte (si pensi, ad esempio, alla considerazione di Trimalchione sulla
durata del vino, che vive più a lungo dell’uomo, e al suo commuoversi
al pensiero della propria morte; nonché alla legge della vita, che prevale
sempre sulla dura realtà della morte, nella novella della matrona d’Efeso).
r) Il realismo e il distacco.
Petronio, dunque, presenta e ritrae un mondo corrotto, popolato da personaggi
squallidi e anonimi, che traggono soddisfazione solo dai piaceri più
essenziali ed immediati. Insomma, egli raffigura una fascia sociale che non
sembra animata da alcuna aspirazione ideale e che nella cultura del tempo non
trovava evidentemente spazio. Eppure Petronio fa ciò senza compiacimento,
anzi quasi con distacco, prendendo le dovute distanze, ma non senza ironia e
malizia: egli, cioè, non offre ai suoi lettori nessun strumento di giudizio,
e non potrebbe essere altrimenti, in una narrazione condotta in prima persona
da un personaggio che è dentro fino al collo in quel mondo sregolato.
L’originalità del realismo di Petronio sta così non tanto
nell’offrirci frammenti di vita quotidiana, ma nell’offrirci una
visione del reale che è critica quanto spregiudicata e disincantata:
ma di una critica "estetica", e non di natura sociale o politica,
senza le stilizzazioni e le convenzioni tipiche della commedia e senza i filtri
moralistici propri della satira: ciò che egli veramente disapprova è
soltanto il cattivo gusto.
s) La critica ai filosofi.
Semmai, più evidente è l’attacco nei confronti dei filosofi
contemporanei, primo fra tutti Seneca: vengono ridicolizzati nella loro ansia
di rinnovamento, nel loro predicare la virtù e sognare un mondo migliore;
e ad essi, Petronio contrappone realisticamente quell’umanità bassa
e desolata, che è la vera protagonista del romanzo.
Anche la lingua di Petronio è un fatto composito: l’autore sa servirsi, a seconda delle situazioni e delle sue intenzioni parodiche o ironiche, di tutti i registri linguistici, sa piegare l’espressione ai modi e alle necessità dell’epica, è capace di ricreare la prosa ciceroniana o il classicismo di Virgilio, ma quella che prevale nell’opera è una lingua nuova, moderna, assai più vicina ad una forma parlata, che egli consapevolmente immette nella lingua letteraria. Il linguaggio e lo stile sono, insomma, straordinariamente duttili e "mimetici", e divengono il mezzo principale di caratterizzazione degli ambienti e, soprattutto, dei personaggi: dallo stile generalmente piano colloquiale e disinvolto del narratore, si passa al "sermo vulgaris" di Trimalchione, alla magniloquenza di altri personaggi; in certi casi, poi, il linguaggio del narratore e dei personaggi colti si eleva notevolmente, facendosi eccessivamente elaborato ed enfatico, con intenti ironici e parodistici.
7) Il genere letterario in cui si inserisce il Satyricon:
Queste le principali ipotesi avanzate dalla critica e le obiezioni che ad esse sono state mosse:
t) Il Satyricon sarebbe una parodia del “romanzo” greco d’amore e d’avventura, un genere di gran moda nel periodo ellenistico, caratterizzato da un’estrema ripetitività di trame e di situazioni e da un’idealizzazione dell’amore che non ha precedenti nella letteratura greca, soprattutto per quanto riguarda il rispetto della castità e della reciproca fedeltà, sentiti come valori fondamentali per la vita di coppia (soprattutto per la donna). Petronio avrebbe costruito un romanzo antifrastico rispetto a questo genere, con l’intento di ridicolizzarlo e di smascherarne la povertà inventiva (la stessa operazione tentata da Lucano nei confronti dell’epos e, in epoca più recente, da Cervantes nei confronti del romanzo cavalleresco con il “Don Chisciotte”). Obiezioni: il Satyricon non ricalca tutti i tòpoi del romanzo greco (sia pure in chiave parodica); due esempi: la coppia Encolpio-Gìtone appare quasi sempre insieme, mentre nel romanzo greco è di regola separata dal destino e si ricongiunge soltanto alla fine; la struttura narrativa del romanzo greco è del tipo lineare, “a superamento di ostacoli”, mentre quella del Satyricon è labirintica, “a trappole”, in quanto ogni apparente superamento di ostacolo si rivela come una nuova trappola. Inoltre il Satyricon, se Petronio è da identificare con il cortigiano di Nerone, è anteriore rispetto a quasi tutti i romanzi greci a noi noti: la maggior parte di essi, infatti, appartiene al II sec. d.C. (seppure siano stati scoperti frammenti di un paio di romanzi di epoca precedente). L’ipotesi sarebbe dunque da respingere quanto meno per ragioni cronologiche.
u) Il Satyricon sarebbe da inserire, come le Metamorfosi di Apuleio, nel genere della fabula Milesia una forma narrativa anch’essa molto in voga nel periodo ellenistico, alla quale aveva conferito dignità letteraria Aristìde di Mileto (II a.C.), e che era stata introdotta in Roma da Cornelio Sisenna (II-I a.C.). Si trattava di “short stories” di contenuto per lo più osceno, agli antipodi del romanzo greco per quanto riguarda la concezione dell’amore e del sesso: qualcosa di molto simile alle novelle del “Decameron” di Boccaccio. Dunque si tratterebbe di una ripresa consapevole e “seria” di un genere escluso dalla cultura ufficiale in quanto troppo scandaloso, una sorta di anticipazione di quella che sarà la successiva letteratura “picaresca” (cfr. il “Lazarillo de Tormes”, di autore anonimo). Obiezioni: il Satyricon ha un’estensione incommensurabile rispetto alla fabula Milesia; inoltre, mentre nelle Metamorfosi e nel “Decameron” è evidente la funzione di “cornice” assegnata alla narrazione principale (una cornice che, comunque, ha un’importanza molto maggiore in Apuleio che in Boccaccio), nulla di simile sembra trasparire dal frammento del Satyricon in nostro possesso: da esso si ricava anzi che la vicenda centrale, quella alla quale l’autore riservava l’attenzione di gran lunga maggiore, è proprio quella del protagonista-narratore Encolpio. La Milesia è un genere che Petronio conosce ed apprezza, ma che cita solo occasionalmente e sporadicamente: da nessun punto di vista si può affermare che il racconto complessivo risulti da una serie di Milesiae legate fra loro da una sorta di fil rouge. Occorre tuttavia osservare che di recente sono stati scoperti frammenti di interi romanzi osceni (cfr. quello di Lolliano di Efeso), che probabilmente coesistevano con quelli “casti” d’amore e d’avventura. Quindi l’ipotesi conserva, nonostante tutto, una sua plausibilità.
v) Il Satyricon sarebbe una satira menippea, come l’Apokolokyntosis di Seneca: infatti, la forma prosimetrica, l’alternanza dei registri stilistici, la varietà dei tipi umani, la struttura narrativa “a blocchi” sono tratti che rimandano inequivocabilmente a tale genere letterario. Obiezioni: se è certamente vero che Petronio si riallaccia formalmente al genere della “menippea”, è però altrettanto vero che, sul piano dei contenuti e della struttura narrativa globale (non foss’altro per l’estensione dell’opera), se ne discosta decisamente; manca inoltre un elemento fondamentale della “menippea”, e cioè un’intenzione satirica unificante; non esiste, in altre parole, un unico bersaglio satirico.
w) Il Satyricon potrebbe configurarsi come un ardito esperimento letterario che preluderebbe in qualche modo all’Ulyxes di Joyce: si tratterebbe infatti, secondo alcuni critici, di un rifacimento ironico dell’Odissea, con tanto di persecuzione da parte della divinità offesa, naufragi, incontri con grandi seduttrici (cfr. Circe, alla quale Encolpio si presenta con lo pseudonimo di Polièno, che è uno degli epiteti fissi di Odisseo), etc. L’eroe, però, è tanto amèchanos quanto invece Odisseo è ingegnoso e padrone della situazione: la sua impotenza fisica starebbe quindi a simboleggiare una situazione globale di impotenza a fronteggiare il proprio destino. Obiezioni: la prospettiva, per quanto affascinante, appare riduttiva; il Satyricon non è solo, e comunque non è principalmente, una parodia dell’Odissea: come spiegare ad esempio, in quest’ottica, la cena di Trimalchione?
In conclusione: allo stato attuale delle nostre conoscenze, il Satyricon non è riconducibile ad alcun genere letterario in particolare; potrebbe tuttavia configurarsi come una geniale e consapevole rielaborazione di diversi generi.
8) Qual era la destinazione del Satyricon? Per quale pubblico fu scritto?
Va scartata subito l’ipotesi che esso sia stato scritto per il grosso pubblico: si tratta di un’opera troppo colta ed allusiva per essere compresa e goduta dalle “persone comuni”.
Le ipotesi si riducono dunque a due, e per di più opposte:
x) Il Satyricon è stato scritto per la corte neroniana. Ammesso che l’autore sia il cortigiano di Nerone, troppo spesso ci si lascia condizionare dalla sua morte e si dà per scontato che egli sia sempre stato, in segreto, un oppositore di Nerone. Questo potrebbe non essere vero, e comunque non va dimenticato un dato di fatto: Petronio era l’elegantiae arbiter alla corte del princeps, con il quale lo accomuna un’evidente tendenza a concepire la vita in chiave estetizzante;
y) Il Satyricon fu scritto per l’élite degli intellettuali dell’opposizione, che vi avrebbero decifrato allusioni satiriche all’ambiente della corte neroniana (per esempio nella cena di Trimalchione). Bisogna però ammettere che riesce davvero arduo immaginare gli esponenti dell’opposizione stoica alle prese con una materia così scabrosa.
9) Esiste nel Satyricon un messaggio? Qual è il significato dell’opera?
Sono state proposte dalla critica le seguenti ipotesi:
z) Si tratterebbe di una satira della società contemporanea; in particolare, c’è chi ha visto in Trimalchione la controfigura di Nerone. Se così fosse, si tratterebbe di una satira mutila della sua componente principale: un ideale positivo da contrapporre alla negatività sociale; non sembra infatti che traspaia dal Satyricon il benché minimo intento di edificazione morale.
aa) Il romanzo potrebbe avere, come le Metamorfosi di Apuleio e la “Divina Commedia” di Dante, una duplice chiave di lettura: fruibile anche come semplice e spensierato racconto d’avventure e di sesso da parte di chi non intenda scendere al di sotto della superficie del testo, potrebbe avere un significato allegorico più profondo, comprensibile solo a lettori forniti di determinati strumenti interpretativi. Se anche così fosse, però, lo stato lacunoso del testo ci impedisce di formulare qualsiasi ipotesi attendibile circa questo presunto significato allegorico.
bb) Il significato dell’opera si ridurrebbe tutto ad una gigantesca parodia della vita e della letteratura (di qui le allusioni cólte): una parodia terribilmente ambigua, enigmatica, dalla quale non si ricaverebbe altro messaggio se non quello dell’assoluta insensatezza di tutto ciò per cui l’uomo vive.
cc) Il si tratterebbe di un puro divertissement letterario: un lusus raffinato, espressione della straordinaria fantasia di un autore di genio. Esso non intenderebbe trasmettere alcun messaggio e non avrebbe altro significato che quello della propria straordinaria godibilità.
La vicenda è narrata in prima persona da un giovane di nome Encolpio, che rievoca le avventure e le peripezie di un viaggio compiuto in compagnia di un bellissimo giovinetto, Gitone, di cui è innamorato. All’inizio del primo frammento troviamo Encolpio alle prese con un retore, di nome Agamennone, che disserta sulla decadenza dell’eloquenza. Una parte della declamazione di Agamennone è in versi (coliambi poi esametri), e ci offre il primo esempio di quella commistione di prosa e poesia che caratterizza il Satiricon, facendolo rientrare, almeno entro certi limiti, nel genere della satira menippea. Encolpio torna poi alla locanda che ospita, insieme a lui e a Gitone, il giovane Ascilto, suo compagno di ribalderie e rivale nell’amore di Gitone. I tre vivono di espedienti nei bassifondi di una Graeca urbs della Campania (forse Napoli o Pozzuoli). Una donna di nome Quartilla, sacerdotessa di Priàpo (dio della fecondità e della sessualità), li accusa di aver violato i sacri misteri del dio e li obbliga, per rimediare al sacrilegio, a partecipare ad un’orgia nel corso della quale vengono sottoposti ad una serie di estenuanti sevizie erotiche. Ha quindi inizio il racconto della cena a cui i 3 partecipano, insieme ad Agamennone e a molti altri convitati, nella cassa del ricchissimo liberto Trimalchione. Tale racconto occupa quasi la metà di tutto ciò che si è conservato dell’opera. In una serie di scene che rappresentano i momenti successivi di un interminabile banchetto, il padrone di casa esibisce la sua ricchezza e il suo sfarzo nei modi più spettacolari e grotteschi, sorprendendo i commensali con le trovate più stravaganti, ma disgustando Encolpio con la smaccata ostentazione di un lusso pacchiano, all’insegna del cattivo gusto tipico di un parvenu. Dopo la cena, riprendono i litigi fra Encolpio e Ascilto a causa di Gitone, che lascia il primo preferendogli il secondo. Poco dopo il protagonista incontra in una pinacoteca un vecchio letterato e avventuriero, Eumolpo, il quale, vedendo il giovane intento ad osservare un quadro rappresentante la presa di Troia, gliene offre una descrizione in versi: è la cosiddetta Triae halosis, che con i suoi 65 trimetri giambici, costituisce, dopo il Bellum civile, il brano poetico più lungo del Satiricon. Encolpio ed Eumolpo diventano poi compagni di viaggi, e sono coinvolti, insieme al ritrovato Gitone, in una serie di rocambolesche avventure, complicate dalla gelosia di Encolpio che scopre in Eumolpo un nuovo rivale. Scampati ad un naufragio, i 3 giungono a Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed Encolpio e Gitone si fingono i sui servi: in questo modo essi scroccano pranzi e regali ai cacciatori di eredità. Troviamo quindi (in un nuovo frammento) Eumolpo intento ad illustrare i requisiti che deve avere la poesia elevata e ad esemplificare la sua poetica con un vasto brano epico di ben 295 esametri, sul Bellum civile fra Cesare e Pompeo. Nell’ultima parte, conservata molto frammentariamente, Encolpio, divenuto impotente per la collera del dio Priàpo, è vittima dell’ira di una ricca amante che si crede da lui disprezzata; egli tenta di recuperare la virilità perduta ricorrendo, tra l’altro, ance alla magia. È impossibile dire se l’episodio di Crotone fosse l’ultimo, o se seguissero nuove avventure, di cui non rimane traccia.
dd) Encolpio. E’ un giovane pieno di talento e di ingegno, sensibile all’arte e amante delle belle lettere, una sorte di intellettuale vagante, coraggioso fustigatore dei vizi che compromettono una buona formazione artistica, buon giudice di poesia e non privo di cultura; tuttavia, la sua perversione morale e sessuale, nonché la sua insanabile gelosia nei confronti di Gitone, spesso lo portano ad atteggiamenti riprovevoli. Forse, nel corso di tutto il romanzo, è il vero alterego di Petronio.
ee) Trimalchione. E’ il villano per eccellenza, perciò in tutte le sue manifestazioni tradisce la bassezza della sua origine, la volgarità della sua educazione, la grossolanità dei suoi gusti: qualcuno ha voluto vedere in lui la personificazione di Nerone, ma è piuttosto da vedere la satira feroce di tutti quei liberti imperiali che erano riusciti ad ammassare ricchezze favolose. Eppure, Trimalchione è uomo che ha le sue particolari "qualità": ha l’arte di condurre in porto gli affari (anche quelli meno limpidi), conosce il mondo, e soprattutto è ottimista ad oltranza e, come tutti i grandi affaristi, mai si lascia scoraggiare dai rovesci della sorte. Tenace, costante, bonario, a differenza dei suoi simili ci tiene a ricordare le sue basse e crasse origini, e nei confronti di alcuni schiavi sa mostrare simpatia e partecipazione. Anche se immerso nel più plateale edonismo, ha le sue paure: gli astri e le arti magiche, così come si intenerisce davanti al pensiero della sua morte.
ff) Ermerote. Uno degli invitati della cena, puntiglioso, permaloso e saccente.
gg) Seleuco. Altro convitato che si lascia andare ad amare considerazioni sulla vita e sulla morte.
hh) Abinna. Intimo amico di Trimalchione, marmista (ha il compito di realizzare il monumento sepolcrale dell’amico) che si dà arie di alto magistrato.
ii) Fortunata. Moglie di Trimalchione, esemplare tipico delle mogli degli arricchiti, è sì premurosa della casa e specialmente del suo vizioso marito, ma è grossolana e volgarissima in tutti i suoi gesti (ad es., l’affettuosità con l’amica Scintilla).
jj) Scintilla. Stupida e boriosa moglie di Abinna.
Per una raccolta completa visita il sito web: http://www.biblio-net.com/lett_cla/petronio.htm
L’ingresso di Trimalchione
Eravamo fra queste leccornie, quand’ecco lui, Trimalchione, portato a suon di musica. Come fu deposto fra cuscini tipo mignon, fece sbuffare a rudere chi non se l’aspettava. Infatti, da un manto scarlatto faceva sporgere la testa rapata, e intorno al collo infagottato dall’abito si era avvolto un tovagliolo listato di porpora, a frange penzoloni qua e là. Al dito mignolo della mano sinistra aveva un anellone dorato, nell’ultima falange del dito seguente invece un anello più piccolo, d’oro massiccio mi pareva, ma chiaramente con stelle di ferro saldate sopra. E per non sgargiare solo di queste ricchezze, denudò il bicipite destro adorno di un bracciale d’oro e d’un cerchio d’avorio chiuso intorno ad una lamina rilucente.
Dopo essersi scavato i denti con uno stecchino d’argento, “Amici” disse “non mi garbava ancora venire nel triclinio, ma per non esservi d’indugio mentre m’aspettavate, mi sono negato il piacer mio. Permettetemi, tuttavia, di finire la partita”. Lo seguiva uno schiavetto con una scacchiera di terebinto[1] e dadi di cristallo, e notai un particolare raffinatissimo: invece delle pedine bianche e nere c’erano monete d’oro e d’argento. Intanto, mentre lui preso dal gioco consuma tutto il lessico dei carrettieri, mentre noi ci gustavamo ancora l’antipasto, fu portato un vassoio con sopra una cesta contenente una gallina di legno ad ali spalancate a cerchio, nella posizione consueta quando covano le uova. Lo abbordano subito due schiavi e mentre scoppia una salva musicale si danno a frugare tra la paglia, ed estratti un uovo di pavone dopo l’altro ne fanno omaggio ai convitati. Trimalchione volge il capo a questo colpo di scena, e spiega: “Amici, uova di pavone ho fatto mettere sotto la gallina. Ma, miseriaccia boia, ho paura che ci sia già dentro il pulcino. Ad ogni modo proviamo se sono ancora succhiabili. Sì, si possono succhiare”. Ci vengono distribuiti dei cucchiaini di non meno di mezza libbra, e rompiamo quelle uova rivestite di pasta frolla. Io quasi buttai via la mia parte, che mi pareva essersi già formato dentro il pollastrello. Ma poi, come sentii un convitato che li era un abitué: “Qui ci deve essere un non so che di buono”, faccio un sondaggio con la mia mano e ci trovo un beccafico ben grasso dentro un tuorlo pepato.
Già Trimalchione, smessa la partita, si era fatto anche lui una porzione di tutto, e aveva autorizzato a gran voce chi ne avesse voglia a prendere ancora vino mielato, quando all’improvviso l’orchestra da un segnale e nello stesso tempo quelli del coro cantando sparecchiano via gli antipasti. Ma in qual trambusto, essendo caduto un piatto e avendolo uno schiavetto raccolto da terra, Trimalchione se ne accorse, e ordinò di castigare a schiaffi il ragazzo e di ributtare a terra il piatto. Viene difilato un cameriere e si mette a spazzare quel pezzo d’argenteria fra le altre immondizie. Entrano poi subito due Etiopi dalla gran capigliatura con delle piccole otri, simili a quelle con cui di solito nell’anfiteatro innaffiano l’arena, e versano vino sulle mani; di acqua, neanche l’ombra. Lodato per la sua raffinatezza: “Marte” spiega il padrone “ama l’uguaglianza. Perciò ho ordinato che ognuno avesse il suo tavolo personale, così nello stesso tempo questi schiavi fetenti ci terranno meno caldo con la loro ressa”.
L’ingresso di Trimalchione
Nel passaggio viene descritta la cena a casa di Trimalchione, personaggio che i protagonisti avevano conosciuto alle terme. Il brano può essere diviso in tre sequenze: nella prima viene fornita una descrizione del padrone di casa che fa il suo ingresso quando la cena è già cominciata; nella seconda vengono descritte le portate e le stramberie presentate dai camerieri agli invitati; nell’ultima viene sparecchiata la tavola, non senza colpi di scena. Ciò che più colpisce è decisamente il tono ironico del testo: la descrizione di Trimalchione mantiene un tono serio ma ha un intento apertamente comico, mette in ridicolo il personaggio che non fa altro che mostrare la sua falsa ricchezza, tutto sembra indicare la sua raffina volgarità, dall’anello d’oro massiccio “…con le stelle di ferro saldate sopra”, allo stecchino d’argento con cui si “…scava i denti”. Tutto è raffinatamente volgare, perfino le uova di pavone che ormai non possono più essere “…succhiate”, perché hanno già al loro interno il pulcino.
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[1] Legno Pregiato