Gli Arredi Shakers
Questo spazio è dedicato ai famosi arredi shakers. Gran parte dei contenuti presenti sono già stati pubblicati su testate giornalistiche o su altri siti. L'intento è quello di fornire argomenti in lingua italiana riguardante questi arredi che hanno rivoluzionato l'architettura del mobile. Siamo lieti di riceve contenuti e segnalazioni di link per arricchire questo contenitore [Arredi_Shaker at libero.it]. Dove possibile sarà citata la fonte.
Il movimento Shaker (gli Shakers)
(dalla tesi "Design come mass-medium" di Sara Barbieri)
I prodotti della prima età industriale, rivelatisi poi importanti per la nostra epoca, sono frutto per lo più di una progettazione anonima; è il caso anche degli oggetti che gli Shakers crearono ispirandosi a principi religiosi. Tra le numerose comunità religiose fondate in America verso la fine del XVIII secolo, gli Shakers, il cui nome significa “agitatori” e tratto dalle loro frenetiche danze (fig. 15), sono particolarmente interessanti: essi avevano realizzato nel modo più coerente quell’idea di “comune” (fig 16) che non è uno slogan che compare oggi per la prima volta, ma al contrario ha esercitato il suo fascino anche su molti utopisti e moralisti dell’800. Dal punto di vista spirituale gli Shakers erano molto vicini ai Quaccheri ed ai French Prophets. La figura più significativa di questa setta fu Madre Ann Lee (1736-1783), la quale aveva aderito al movimento fondato in Inghilterra nel 1747 ed era successivamente emigrata in America nel 1774.
Nel 1787 a New York sorse la Shaker Community New Lebanon, che fu il centro dal quale in seguito furono fondate altre comunità, grazie ad una grandissima opera di predicazione e proselitismo. Gli Shakers che si separavano dal “mondo profano” per realizzare una forma cristiana di comunismo, vivevano secondo i rigorosi principi della loro fede. Il loro “regno di Dio sulla terra” presupponeva purezza dell’anima e comunanza dei beni, uguaglianza dei sessi e celibato quali forme di vita comune cui aspirare. Uno dei loro principi imponeva alla comunità di provvedere a soddisfare autonomamente tutti i propri bisogni. La convinzione che tutto fosse il superfluo e ogni forma di lusso fine a se stessa fosse peccaminosa e che l’elevata qualità del lavoro artigianale rappresentasse una possibilità di vivere in un mondo quasi perfetto, era la promessa del rifiuto dei metodi di produzione capitalistici imperanti nel XIX secolo. Al contrario delle aspirazioni riformatrici di Ruskin e Morris, essi erano comunque favorevoli alle innovazioni tecnologiche.
Nelle regole e nei principi degli Shakers si possono riconoscere anche i fondamenti religiosi e culturali più importanti che sono alla base del loro modo di produrre mobili: “la bellezza si basa sulla praticità”, “si può definire perfetto ogni oggetto che adempia rigorosamente allo scopo al quale è destinato”, “ogni forza produce una forma” proprio questa massima anticipa cento anni prima dell’affermazione di Sullivan, secondo cui “Form follows function”, i principi del funzionalismo. Nel 1825 erano già state fondate diciannove comuni autonome, che intorno al 1850 contavano un totale di circa 6000 adepti.
L’organizzazione economica, influenzata dai principi della fede e legata ad una condotta di vita di stampo puritano, condizionò anche il modo di concepire gli edifici (fig. 17) e gli ambienti interni (fig. 18) dove semplicità ed essenzialità regnavano ovunque. Essa stimolò anche lo spirito inventivo degli Shakers e determinò la precoce introduzione di procedimenti industriali e la semplicità delle suppellettili (fig. 19). Gli Shakers, con un incorrotto senso della forma, svilupparono la loro produzione standard di mobili ed arredi, estremamente semplici all’epoca dei pionieri americani, mentre per la fabbricazione valevano i principi della divisione del lavoro, nel senso della prima forma d’industrializzazione.
Questi ambienti nella loro semplicità, coerenza e funzionalità sono inconsueti ma sono esemplari per il XIX sec. L’interesse di questi deliziosi e ancora oggi funzionali mobili (fig. 20) (divanetti, sedie, letti, sedie a dondolo, tavoli)(figg. 21, 22, 23, 24, 25) studiati per corrispondere persino alle diverse “taglie” degli usufruttuari consiste proprio nella loro accettabilità come elementi di un arredamento attuale e non solo come cimeli di un lontano e bizzarro passato, ma deve essere sottolineato il peculiare aspetto che la riproposta di questi elementi d’arredamento può avere oggi. La messa in commercio, infatti, di taluni esemplari, realizzati con perfetta esecuzione artigianale, deve essere considerata come molto diversa da quella delle tante riproposte di alcuni prototipi di celebri maestri (Mies, Rietveld, Mackintosh, Breuer) perché, mentre in questi ultimi casi si partiva da una creazione già in partenza elitaria e che in seguito alle riedizioni era destinata a rimanere tale, qui si parte da modelli inizialmente ideati secondo un principio di economia fondata sul risparmio e la funzionalità.
Gli Shakers rappresentano con la loro utopia il contrario di quanto per decenni è stato chiamato “American Way of Life”, ovverosia quella tendenza dello spirito che ha richiamato negli Stati Uniti quanti erano “contro” l’accumulazione del capitale, contro la distruzione della natura, contro la vita nelle grandi città, e che vedevano in questo grande paese la possibilità di lavorare in comunità “autarchiche” vicine alla natura (fig. 26).
Come già accennato il design degli Shakers anticipa qualcosa che fu proprio del “funzionalismo”. Prima di “permettere” la produzione di uno strumento, gli Shakers ne esaminavano la possibile “utilità” ai fini della comunità. Durata e non consumo, produzione limitata e non espansione continua, verifica della qualità e processo di produzione, erano questi i loro criteri.
Una componente tutt’altro che irrilevante distingue però gli Shakers dai loro predecessori: la loro gioia manifesta. Gli oggetti dei “fratelli”, nella loro assoluta scarnificazione, non hanno nulla degli arredi conventuali di campagna; i loro colori (fig. 27) restano a dirci della felicità di chi li realizzò.
Secondo l’insegnamento di Mother Ann si credeva che l’apparenza esteriore delle cose ne rivelasse lo spirito più intimo. La creazione degli Shakers era dunque aliena dalle piaghe dello stile, della moda, del mondo. Elemento pervasivo ne era la pazienza; attraverso la pazienza gli Shakers arrivarono a reinventare la bellezza e giunsero ad un’insuperabile interpretazione del rapporto forma-funzione (fig. 28). Il materiale necessario alla costruzione dell’oggetto, il legno, profondamente amato e completamente rispettato, era economizzato al massimo grado nei montanti delle sedie, nei pioli dei portasciugamani, non certo per carenza, ma unicamente per amore. Gli oggetti assumevano una forte qualità impersonale. Erano destinati all’uso (fig. 29) di tutta una comunità che sentiva e viveva in profonda sintonia. In modo del tutto chiarificatore era definito atto di adulterio la pratica dell’impiallacciatura. Perché rivestire il legno di pino con il mogano?
Nascono così oggetti assolutamente straordinari: sedie con traverse digradanti in larghezza dall’alto verso il basso, al diminuire della funzione di appoggio; schienali inclinati all’interno, secondo un’ottimale linea di sostegno; mobili polifunzionali; panche allargate adatte a fungere da tavoli, tavoli bassi con credenze a cassetti al di sotto del piano. Tutto questo segnava il perimetro delle stanze Shakers secondo il principio che ogni oggetto deve essere costruito in modo tale che il suo senso e il suo scopo siano realizzati in maniera semplice e pura e che questo si integri nell’ordine unitario delle cose.
Senso e scopo di ogni oggetto risiedono nel suo uso. La perfezione di un oggetto è dunque raggiunta quando esso è utilizzabile in maniera perfetta. Gli Shaker non si proponevano come obiettivo la “forma”, ma l’utilizzabilità; la forma era intesa come il risultato di una modellazione che aveva raggiunto l’obiettivo della perfetta utilizzabilità dell’oggetto.