UN
TIMORE INUTILE Il 2 marzo 1972 è stato lanciato nello spazio il
primo veicolo, costruito dall'uomo, destinato a lasciare il sistema solare per
spingersi negli spazi interstellari. Si tratta del Pioneer 10 (in italiano Pioniere)
il quale, dopo aver completato una serie di osservazioni e misurazioni su Giove
e Saturno, ha già oltrepassato l'orbita di Nettuno e si sta avvicinando a
quella di Plutone, ultimo pianeta del sistema solare. L'orbita di Plutone verrà
raggiunta e superata nel 1998, quindi la corsa proseguirà verso le stelle più
vicine della nostra galassia. Il Pioneer reca a bordo un messaggio che la
nostra civiltà ha voluto destinare a civiltà extraterrestri. Questo messaggio
è rappresentato da una lastra rettangolare di alluminio dorato, fissata
all'esterno, in posizione ben visibile, sulla quale sono state incise varie
figure e simboli che dovrebbero segnalare, a chi la trovasse, la nostra
posizione nell'Universo e le nostre migliori qualità di esseri intelligenti. Ciò
ha creato preoccupazione in molta gente. Il Pioneer, inoltre, è un oggetto destinato a
durare a lungo perché nello spazio interstellare, dove ormai rimarrà per
sempre, non sono presenti l'ossigeno né altri elementi chimici che potrebbero
corrodere la sua struttura. Negli spazi cosmici l'erosione potrebbe derivare
solamente dalla presenza di polvere la quale, tuttavia, essendo estremamente
rarefatta (un granellino impalpabile ogni 250 m), sarebbe in grado di produrre
solo un effetto abrasivo di minima entità. Si calcola che il veicolo spaziale
potrà sopravvivere, praticamente intatto, almeno il tempo necessario per una
rivoluzione completa della nostra galassia intorno al proprio asse, cioè per
circa 250 milioni di anni. Il fatto che il Pioneer porti con sé
informazioni relative alla nostra posizione all'interno della galassia che ci
ospita, come dicevamo, ha spaventato molta gente che è convinta che ciò possa
rappresentare un rischio. Se il veicolo venisse effettivamente avvistato da
qualche civiltà extraterrestre che riuscisse anche a decifrare ciò che è
scritto sulla targhetta posta al suo esterno, questa civiltà potrebbe essere
tentata di dirigersi verso la Terra per sottometterla. L'idea dello
straniero-nemico è molto radicata nella nostra cultura dove si sa che tutte le
società più avanzate e potenti hanno sempre dominato le altre. Chi teme che
l'operazione prodotta con il Pioneer possa rappresentare un pericolo per gli
abitanti della Terra non comprende bene le dimensioni dell'Universo né il modo
in cui è distribuita la materia al suo interno. L'Universo in realtà è immenso e le distanze
fra le stelle sono enormi: esso è ben più grande del nostro sistema solare col
quale molti ancora, inconsciamente, lo identificano e contiene centinaia di
miliardi di galassie, ognuna delle quali è formata da centinaia di miliardi di
stelle. Una singola galassia ha le dimensioni di miliardi
di miliardi di kilometri e per quanto contenga un numero elevatissimo di stelle
queste si incontrano, al suo interno, molto di rado. Si dice comunemente che il
cielo è pieno di stelle, ma per rendere più realistica la visione
dell'Universo si dovrebbe dire che il cielo è pieno di vuoto, mentre le stelle
rappresentano una rarità. Le distanze fra le galassie sono ancora più
grandi, inimmaginabili per la maggior parte delle persone (compreso il
sottoscritto), e inoltre le galassie stesse si vanno allontanando le une dalle
altre, diluendo quindi ulteriormente lo spazio cosmico. Per farsi un'idea delle
distanze che intercorrono fra le galassie possiamo immaginare di ridurre la
nostra Via Lattea alle dimensioni di una cittadina del nord d'Italia, ebbene,
Andromeda, che è la galassia a noi più vicina, sarebbe un paese dell’estremo
sud. Il sistema solare, all'interno della nostra
galassia (o Via Lattea) occupa una zona molto limitata dello spazio cosmico e
coincide praticamente con la regione immediatamente a ridosso del Sole. Se si
riducesse il sistema solare alle dimensioni di un tavolo, la stella più vicina,
che possiamo immaginare anch'essa con uno sciame di pianeti che le gira intorno,
sarebbe sistemata, sempre su un tavolo, alla distanza di una decina di
kilometri. Gli spazi fra le stelle sono quindi enormi
rispetto alle loro dimensioni. Per rendere ancora più comprensibili le distanze
cosmiche si rifletta sul fatto che il diametro del Sole è di circa un milione e
mezzo di kilometri mentre la sua distanza dalla Proxima Centauri, la stella ad
esso più vicina e più o meno anche delle sue stesse dimensioni, è di circa
40.000 miliardi di kilometri, quindi fra le due stelle vi è uno spazio di
decine di milioni di volte superiore alle dimensioni delle stelle stesse. La distanza fra le stelle si misura normalmente
in anni luce. Il che significa che per spostarsi da una stella all'altra si
impiegherebbero degli anni anche procedendo alla velocità della luce che è la
massima velocità raggiungibile.
Ma il Pioneer non sta viaggiando alla velocità
della luce, anzi ne è ben lontano. Esso, sfruttando l'effetto fionda
dell'attrazione gravitazionale di Giove, raggiunse la più alta velocità mai
ottenuta da un veicolo terrestre ed ora procede, influenzato sempre meno dal
campo gravitazionale del Sole, alla rispettabile velocità di 40.000 km all'ora.
Questa velocità è destinata ad aumentare ulteriormente anche se di poco ma,
nonostante l'accelerazione, il Pioneer impiegherebbe quasi 80.000 anni per
arrivare in vicinanza della Proxima Centauri. Abbiamo usato il condizionale perché, in
effetti, la nostra sonda non è diretta verso quella stella, ma verso una zona
di cielo stranamente vuota di stelle. Un tempo di 80.000 anni tuttavia è un
tempo enorme, soprattutto se rapportato alla storia dell'uomo il quale è
comparso sulla Terra, con le caratteristiche che gli riconosciamo, da non più
di 50.000 anni. Si calcola che nel 25.773 (esattamente fra 23.772
anni) la sonda si troverà ad un anno luce (cioè a quasi 10.000 miliardi di
kilometri) dal Sole, e tuttavia sarà ancora così vicina ad esso da risentire
della sua influenza gravitazionale. Al di là di Plutone (a 6 miliardi di
kilometri da noi) è possibile che esistano ancora uno o due altri pianeti, ma
finora non abbiamo alcun segno della loro presenza. Quello invece che sappiamo
per certo è che alla distanza di circa un anno luce da noi si trova la
cosiddetta nube di Oort, uno sciame di comete, scoperte dall'astronomo olandese
Jan Hendrik Oort, morto di recente all'età di 92 anni. Il volume della nube è
talmente immenso che, nonostante vi siano al suo interno oltre cento miliardi di
corpi ghiacciati, le comete in attesa della partenza, è certo che un oggetto di
piccole dimensioni come la nostra sonda, che dovesse attraversarlo, ne uscirebbe
indenne. Dopo aver viaggiato per un milione di anni (si
rifletta: abbiamo detto un milione di anni), il Pioneer si troverà a circa
cinquanta anni luce da noi, ma tuttavia non si sarà allontanato molto dalla
Terra. Cinquanta anni luce, infatti, è una distanza cosmica relativamente
modesta e rappresenta appena un passo fuori dell'uscio di casa per una persona
che si apprestasse ad intraprendere il giro del mondo. Il Pioneer, inoltre, in
tutto questo lungo viaggio, durato, ripetiamo, un milione di anni, non si sarà
mai trovato ad una distanza inferiore di alcune migliaia di miliardi di
kilometri da una stella, quindi ben lungi da un eventuale pianeta. Non essendosi mai avvicinato sensibilmente ad un
pianeta (sempre ammesso che intorno alle altre stelle vi siano pianeti), la
probabilità che un alieno possa notare un piccolo satellite artificiale che
procede silenzioso nello spazio immenso è praticamente nulla. A ciò si
aggiunga il fatto che da lungo tempo ormai la sonda non manderebbe più segnali
verso la Terra e forse sulla Terra, nel frattempo, non ci sarebbe nemmeno più
nessuno pronto a riceverli. Si potrebbe obiettare che la velocità raggiunta
dalla sonda statunitense, tutto sommato, non è eccessiva e che si potrebbero
ottenere velocità maggiori. In tal caso i tempi del viaggio potrebbero
accorciarsi. In effetti, dopo il Pioneer 10, vennero lanciate nello spazio altre
sonde molto più veloci, alcune delle quali, anzi, hanno già raggiunto e
superato la prima navetta, tuttavia anche con questi mezzi è certo che non si
otterranno risultati migliori. Nemmeno se si riuscisse a lanciare nello spazio
una sonda in grado di raggiungere la velocità della luce si otterrebbe qualche
successo apprezzabile. In realtà, sonde in grado di viaggiare alla
velocità della luce sono irrealizzabili, tuttavia, qualche cosa che viaggia
veloce come la luce esiste ed è già stato inviato nello spazio. Si tratta
delle onde radio, ossia di radiazioni della stessa natura della luce e che
quindi viaggiano anche alla sua stessa velocità. Ebbene, gli esperti calcolano
che queste radiazioni dovrebbero viaggiare per centinaia e forse per migliaia di
anni per poter sperare di incontrare qualcuno in grado di raccogliere e
interpretare i messaggi che esse contengono. Dobbiamo pertanto convincerci che
l’impegno profuso nella costruzione delle navette spaziali e nella emissione
di messaggi radio, è risultato del tutto vano: le informazioni che questi due
mezzi contengono non arriveranno mai a destinazione. Ma allora ci si chiede: per quale motivo ci si
affanna tanto in operazioni che non andranno mai a buon fine? Qualcuno fa notare che i messaggi, più che agli
extraterrestri, sono diretti a noi stessi. In essi, infatti, a ben leggere, non
vi è scritto ciò che siamo, ma ciò che vorremmo essere. Nei messaggi offriamo
cioè di noi un'immagine di esseri pacifici e ospitali e non diciamo nulla delle
nostre debolezze e dei nostri limiti. Non diciamo ad esempio che ci facciamo la
guerra, né che lasciamo morire di fame i nostri simili. Non diciamo nemmeno che
stiamo depredando il nostro pianeta di ogni sua ricchezza e che lo stiamo
rendendo inospitale inquinandolo irrimediabilmente. L'invio di messaggi verso improbabili civiltà
extraterrestri, rappresenta, come già abbiamo avuto modo di dire, un'operazione
oltre che sterile anche illogica. Essa tuttavia ha almeno il merito di
costringerci a riflettere sul modo in cui vorremmo essere considerati in un
contesto di dimensioni cosmiche. fine |