LA
FINE DEL MONDO Quale sarà il futuro e la fine dell’Universo? Dipende dal modello che
vogliamo considerare. Se, ad esempio, volessimo prestare fede al modello di
Universo stazionario (steady-state universe) di Fred Hoyle la risposta sarebbe
che il futuro sarà come il presente e che la fine non avverrà mai, perché
l'Universo è eterno. Nel
1948, a Cambridge, due profughi dall'Austria occupata dai nazisti, Herman Bondi
e Thomas Gold, avanzarono una teoria che in seguito verrà divulgata e ampliata
dall'astronomo inglese Fred Hoyle, secondo la quale l'Universo doveva apparire
grosso modo sempre uguale a sé stesso in qualsiasi tempo e in qualsiasi punto
dello spazio lo si osservasse. Il
modello fu detto «Universo allo stato stazionario» e non escludeva che fosse
in via di espansione (come evidenziavano le osservazioni relative al «red shift»,
cioè allo spostamento verso il rosso delle righe spettrali), ma prevedeva che,
a mano a mano che le galassie si allontanavano l'una dall'altra, nuova materia
avrebbe dovuto essere creata dal nulla in quantità esattamente sufficiente a
compensare la diminuzione della densità causata dall'espansione. Il modello non
convinse la comunità scientifica per una serie di motivi, a cominciare dalla
impossibilità di controllare la formazione di nuova materia che si sarebbe generata al ritmo di un atomo di idrogeno per metro cubo ogni miliardo di anni. Se
si scegliesse invece il modello del Big Bang proposto da George Gamow nel 1946,
allora sarebbe possibile prevedere una fine dell'Universo perché in questo caso
ci sarebbe stato un inizio. Il modello del Big Bang prevede infatti che
l'Universo sia comparso dal nulla, sotto forma di «particella
quantistica», circa 15 miliardi di anni fa e, subito dopo la nascita, abbia
cominciato ad espandersi e a riempirsi di materia ed energia.
Come evolverà questo Universo? Innanzitutto
vi è da dire che i corpi in esso presenti, col passare del tempo, si
raffredderanno sempre più. Si raffredderà la Terra e gli altri pianeti, si
raffredderà il Sole e le altre stelle, si raffredderà ogni cosa. Le stelle però
non si comporteranno tutte allo stesso modo: alcune si raffredderanno lentamente
e gradualmente, altre lo faranno passando attraverso una serie di processi di
trasformazione che ne cambieranno profondamente l'aspetto. Ma alla fine comunque
ogni cosa sarà fredda. Contemporaneamente
al raffreddamento dei corpi celesti, si verificheranno delle collisioni che
porteranno, in alcuni casi, alla frantumazione dei corpi più grandi in corpi più
piccoli e in altri casi alla cattura dei corpi più piccoli da parte di quelli
più grandi. Ora, poiché i corpi più massicci, a seguito della loro
aggregazione con quelli più piccoli, aumenteranno ulteriormente la loro massa e
quindi il raggio di azione della loro forza gravitazionale, si otterrà
l’effetto che i corpi piccoli diminuiranno di numero mentre aumenterà
progressivamente la massa di quelli più grandi. Ogni
corpo di piccola massa catturato da uno di massa maggiore, oltre che materia,
porta con sé anche energia cinetica (cioè energia conseguente al movimento)
che si convertirà in calore al momento dell'impatto. Questo calore dovrà
quindi essere smaltito unitamente a quello prodotto dalla stella a seguito delle
reazioni nucleari che avvengono al suo interno. Ciò provocherà un ulteriore
allungamento dei tempi di raffreddamento. Le
stelle sono delle enormi masse di gas destinate a contrarsi, sotto la spinta
della forza di gravità da loro stesse generata, fino a diventare più piccole
dei pianeti, se contemporaneamente, al loro interno, non avvenissero le reazioni
nucleari di fusione che sviluppano il calore necessario a mantenere espanso il
loro volume. Le reazioni nucleari che avvengono nel centro delle stelle
consumano idrogeno che si trasforma in elio e in altri elementi più pesanti.
Quando la riserva di idrogeno raggiunge certi valori minimi e le reazioni non
sono più sufficienti a creare il calore necessario ad opporsi alla forza di
gravità, questa ha il sopravvento e la stella collassa direttamente in un corpo
più piccolo se le sue dimensioni sono inferiori o pari a quelle del Sole,
oppure esplode prima di collassare se è di dimensioni maggiori. In quest'ultimo
caso il residuo della stella esplosa si trasforma in una pulsar o in un buco
nero, cioè in corpi estremamente densi e dotati quindi di una forza di
gravitazione intensissima capace di catturare qualsiasi cosa s'avvicini,
compresa la luce, nel caso dei buchi neri. Dopo
un certo tempo (diciamo 100 miliardi di anni, tanto per fissare una data), la
nostra Galassia, come tutte le altre, sarà piena di stelle collassate che
emetteranno poca luce (niente nel caso dei buchi neri) e corpi planetari freddi
e bui. Tutte queste galassie continueranno a girare su sé stesse come fanno
attualmente e ad allontanarsi da tutte le altre se la spinta propulsiva del Big
Bang continuerà a prevalere sull'attrazione gravitazionale da loro stesse
prodotta. All'interno
di ogni singola galassia continueranno nel frattempo le collisioni e i corpi di
massa maggiore attrarranno e cattureranno le polveri residue, i pianeti, i
frammenti di corpi celesti e le stelle collassate di piccole dimensioni,
diventando, in tal modo, ancora più grandi. A loro volta questi corpi
precipiteranno nei numerosi buchi neri di varie dimensioni che frattanto si
saranno formati dall'esplosione delle stelle più massicce. Ogni cosa, alla
fine, risentirà dell'attrazione gravitativa del buco nero più grande che
dovrebbe trovarsi al centro di ogni galassia. Gli astronomi ritengono infatti
che al centro della nostra Galassia e per analogia al centro di tutte le altre,
vi sia un enorme buco nero in costante crescita.
Alla
fine, l'Universo sarà pieno di galassie trasformate in giganteschi buchi neri
in allontanamento reciproco. Questo sarebbe lo scenario finale qualora
l'Universo dovesse essere «aperto» cioè in perpetua espansione, e i buchi
neri strutture stabili. Ma
forse le cose non andranno così perché l’Universo potrebbe non essere aperto
e i buchi neri potrebbero essere strutture precarie invece che stabili. Un tempo
i buchi neri erano ritenuti qualche cosa di definitivo da cui nulla poteva
uscire quando tutta la materia e l'energia esistente fosse stata catturata.
Recentemente però, il fisico inglese Stephen W. Hawking, applicando le leggi
della meccanica quantistica, ha scoperto che i buchi neri potrebbero «evaporare»,
cioè da essi potrebbe uscire materia sotto forma di particelle subatomiche
(elettroni e protoni) ed energia sotto forma di fotoni. Le
particelle subatomiche dopo essere uscite dai buchi neri, a loro volta,
dovrebbero decadere, cioè trasformarsi. Si sa da tempo che i neutroni, se non
sono associati ai protoni, cioè se non sono all’interno dei nuclei atomici,
sono instabili e si trasformano, nel giro di pochi minuti, in protoni ed
elettroni. Fino a poco tempo fa, tuttavia, si riteneva che i protoni fossero
particelle stabili e immutabili, cioè che avessero una vita infinita.
Recentemente invece sono state avanzate delle teorie sulle particelle elementari
secondo le quali i protoni dovrebbero essere instabili e quindi destinati a
decadere, anche se molto lentamente, in positoni, fotoni e neutrini. Se le cose
stessero effettivamente in questi termini, gli elettroni superstiti,
incontrandosi con i positoni di nuova formazione, dovrebbero annichilarsi
producendo energia pura sotto forma di fotoni. Si
calcola che trascorsi 10100 anni (un uno
seguito da cinque o sei righe di zeri, praticamente un tempo infinito)
l'Universo sarà ridotto ad un'enorme palla piena di fotoni, neutrini ed
antineutrini in perpetua espansione. Lo spazio sempre più ampio a disposizione
dell'energia e della miriade di corpuscoli di massa insignificante diventerà
qualche cosa che assomiglia sempre più al vuoto, proprio a quel vuoto da cui
l'Universo avrebbe preso l'avvio. Si può quindi immaginare che in un futuro
molto lontano si creeranno quelle condizioni di vuoto assoluto entro il quale le
fluttuazioni casuali potrebbero produrre quella particella quantistica che dette
inizio, miliardi e miliardi di anni prima, al nostro Universo. Quindi,
se vivessimo in un Universo in continua espansione la storia si ripeterebbe,
seppure in tempi estremamente lunghi. Ma cosa succederebbe se vivessimo in un
Universo «chiuso»? In
un Universo chiuso, cioè in un Universo nel quale prima o poi l'espansione si
esaurirà e comincerà la contrazione sotto l'azione della forza gravitazionale,
alla fine si dovrebbe assistere al collasso di tutta la materia e di tutta
l’energia esistente in una struttura compatta di densità infinita. Si
dovrebbe cioè verificare il cosiddetto «Big Crunch», o grande implosione che
porterebbe ogni cosa alla particella quantistica iniziale dalla quale potrebbe
scaturire un nuovo Universo. E così via Universo dopo Universo indefinitamente.
Questo
modo di vedere le cose è indubbiamente originale e, se non altro, avrebbe il
merito di mettere d’accordo coloro che immaginano l'Universo infinito e quelli
che invece lo preferiscono di dimensioni finite. Ma, a parte lo scopo pacificatore fra due tesi antitetiche, a che serve preoccuparsi del destino dell’Universo? La risposta è semplice e banale insieme: si tratta di un problema scientifico e l’uomo, per sua stessa natura, è alla ricerca incessante e quasi maniacale di nuovi problemi da risolvere e delle relative soluzioni da proporre. E l’esplorazione di nuovi ambiti, anche in questo caso, ha portato, e inevitabilmente porterà in futuro, a continui progressi nei più disparati settori del sapere che, direttamente o indirettamente, contribuiranno a migliorare la qualità della vita dell’uomo. fine |