MISURARE
IL TEMPO
La nozione di tempo, di un tempo che come un fiume scorre senza sosta e
inesorabilmente dal giorno della nascita a quello della morte, forse è sempre
esistita nella mente dell'uomo, ma l'esigenza di misurarne la durata deve essere
sorta in un momento successivo e cioè solo quando, dopo essersi organizzato in
gruppi, l’uomo sentì la necessità di ripartire la giornata tra il periodo da
riservare al lavoro e quello da dedicare alle cerimonie religiose e al riposo.
L'uomo, allora, si deve essere guardato intorno alla ricerca di qualche
fenomeno naturale che, evolvendo in modo ritmico ed uniforme, potesse essere
utilizzato come indicatore del tempo che passa. E' noto che qualsiasi evento che
si ripeta con regolarità nel corso di lunghi periodi, o qualsiasi meccanismo
naturale o artificiale che si muova di moto uniforme, può essere utilizzato per
misurare lo scorrere del tempo: potrebbe andar bene allo scopo, ad esempio,
l'oscillare di un pendolo, il sorgere e il tramontare periodico del Sole, il
defluire dell'acqua entro una clessidra, o il semplice battito del cuore.
Ora, fra tutti i fenomeni naturali, con i quali l’uomo primitivo era
quotidianamente a contatto, il moto regolare della volta celeste sembrava essere
il più evidente indicatore dello scorrere del tempo. Ancora oggi infatti accade
che quando una persona si abitua a non portare l'orologio al polso, il modo più
naturale e spontaneo per sapere l'ora, sia quello di guardare il cielo. Il moto
degli astri, e del Sole in particolare, deve aver quindi rappresentato per
l'uomo primitivo una specie di orologio naturale sempre disponibile e della cui
immutabilità poteva essere certo. Da questo orologio era possibile trarre, in
modo diretto, un'unità di misura del tempo: essa, senza dubbio, all'inizio, fu
il «giorno», un lasso di tempo che oggi possiamo definire in due modi diversi
a seconda del punto di riferimento che si adotta per misurarlo. Vediamo allora
come si può fare per determinarne la durata. 1. IL GIORNO SIDEREO E IL GIORNO SOLARE
Se in una notte serena si guarda in alto in cielo, verso nord, per un
tempo sufficientemente lungo, ci si accorge che le stelle si muovono, tutte
insieme, intorno ad un punto, coincidente, quasi esattamente, con la Stella
Polare. Il «Piccolo Carro», ad esempio, gira intorno alla Stella Polare, che
è la prima del suo timone, come fosse la lancetta di un orologio (in verità
molto originale) che si muove però in senso contrario a quello delle lancette
dei nostri orologi. Quando il Piccolo Carro, insieme alle altre stelle, ha
compiuto un giro completo attorno alla Stella Polare (che, come sappiamo,
rappresenta il punto d’incontro del prolungamento dell’asse terrestre con la
volta celeste) noi diciamo che è trascorso un giorno. Per determinare però, con precisione, la nostra
unità di misura, è indispensabile individuare in cielo il cosiddetto meridiano
del luogo: l'operazione non è difficile. Si segna, innanzi tutto, il punto
che si trova esattamente sulla verticale dell'osservatore: quel punto si chiama zenit da un termine arabo che significa "sopra la testa".
Si traccia quindi, idealmente, una semicirconferenza che da nord passando per lo
zenit arrivi a sud. Questa linea che divide il cielo in due metà uguali è
denominata meridiano, termine che
deriva da una parola latina che significa, letteralmente, "metà del
giorno", perché quando è attraversata dal Sole, a metà del suo viaggio
diurno da est ad ovest, è, per l'appunto, metà del giorno, ossia
"mezzogiorno". Anche gli altri astri, nel loro spostarsi da oriente ad
occidente, attraversano quella linea a metà del loro cammino. La Stella Polare,
invece, sta permanentemente su quella linea, ad un’altezza, alle nostre
latitudini, intermedia fra l’orizzonte e lo zenit.
Una volta individuato il meridiano del luogo, possiamo definire con
rigore quello che viene chiamato il giorno
sidereo, ossia il giorno determinato con riferimento ad una stella. Esso è
l'intervallo di tempo che intercorre fra due passaggi successivi della stessa
stella sul meridiano del luogo. Questo lasso di tempo dura esattamente 23 ore,
56 minuti primi e 4 minuti secondi (23h 56’ 4”).
Prima di continuare, è bene chiarire che il moto delle stelle intorno ai
poli è solo un moto apparente perché ciò che si muove realmente è la Terra
intorno al proprio asse. Quindi il giorno sidereo in realtà non è altro che il
tempo impiegato dalla Terra per compiere una rotazione completa su sé stessa, e
questo movimento, come abbiamo appena detto, può considerarsi di durata
praticamente costante.
Ma l'uomo, di notte, generalmente dorme e se non dorme difficilmente si
sofferma a guardare le stelle, quindi il giorno sidereo non viene utilizzato
dalla gente comune come misuratore del tempo che passa. La vita civile oggi,
come in passato, normalmente si svolge di giorno ed è quindi regolata dal
movimento del Sole e non da quello delle stelle.
Ora viene da chiedersi: se per definire la durata del giorno anziché far
riferimento ad una stella qualsiasi ci si rivolgesse al Sole, si otterrebbe lo
stesso risultato? In altri termini, il giorno misurato rispetto ad una stella
lontana ha la stessa durata del giorno misurato rispetto al Sole?
Prima di rispondere vediamo di definire il giorno rispetto al Sole così
come si è fatto rispetto ad una stella lontana. In questo caso diremo che il giorno
solare è l'intervallo di tempo che intercorre fra due passaggi successivi
del Sole sul meridiano del luogo. La sorpresa si ha quando si va a misurare
questo intervallo di tempo: si scopre innanzitutto che esso dura circa 24 ore,
quindi circa quattro minuti in più del giorno sidereo e poi che non ha sempre
la stessa durata nel corso dell’anno. Come mai queste differenze? Il motivo della discordanza fra giorno solare e
giorno sidereo risiede nel fatto che la Terra, mentre ruota su sé stessa, si
muove anche, e nello stesso senso antiorario, intorno al Sole, spostandosi,
rispetto ad esso, in modo apprezzabile. La Terra non si sposta invece, nel corso
dell’anno, in modo apprezzabile, rispetto alle stelle fisse, le quali, essendo
lontanissime, appaiono occupare sempre la stessa posizione quando vengono
osservate dai diversi punti nei quali si viene a trovare il nostro pianeta nel
suo viaggio intorno al Sole. A causa del movimento di rivoluzione della Terra,
un osservatore vede il Sole cambiare posizione, giorno dopo giorno, rispetto
allo sfondo delle stelle fisse. Per la verità le stelle, in pieno giorno, non
sono visibili, però è ugualmente possibile conoscere la loro posizione anche
quando il Sole illumina il cielo. Al mattino presto, ad esempio, poco prima
dell’alba, o alla sera tardi, poco dopo il tramonto, è possibile osservare
nel corso dell’anno le diverse stelle che stanno vicino al Sole; ricercando
quindi gli stessi raggruppamenti di stelle sulle mappe del cielo notturno, si
possono identificare anche quelle che si trovano in pieno giorno immediatamente
dietro ad esso. Ebbene, questo sfondo di stelle, sul quale si staglia il Sole,
cambia gradualmente durante l'anno. Per la precisione, in 365,2422 giorni solari
(365 giorni e 6 ore circa), il Sole percorre il circuito completo del cielo
(conseguenza del movimento della Terra intorno ad esso), cioè copre un arco di
360° (alla velocità di circa un grado al giorno: 360°:365g
≈1° al giorno). Durante questo viaggio la Terra avrà ruotato su sé
stessa un po’ più di 366 volte: saranno in pratica passati esattamente
366,2422 giorni siderei. In altre parole, in circa 365 giorni la Terra ruota su
sé stessa un po’ più di 366 volte.
Per capire bene il motivo della differenza di durata fra giorno sidereo e
giorno solare, immaginiamo di vedere, a mezzogiorno, insieme al Sole che passa
(o "culmina", come anche si dice) sul meridiano del luogo, una stella
che gli stia esattamente sopra la testa, e quindi anch'essa sullo stesso
meridiano. Dopo un giorno sidereo, cioè dopo che la Terra avrà effettuato una
rotazione completa su sé stessa, la stella ripasserà esattamente sul meridiano
del luogo (dove si trovava il giorno prima), ma non ripasserà per quel punto il
Sole perché in ritardo: esso si trova infatti spostato di circa un grado verso
est (si tratta, come abbiamo detto più volte, di un moto apparente perché è
la Terra che in realtà si è spostata avendo percorso, nel tempo di una
rotazione su sé stessa, un breve tratto della sua orbita intorno al Sole). La
Terra dovrà quindi girare su sé stessa ancora di circa 1 grado (e lo farà in
circa 4 minuti) per potersi riallineare con il Sole. Il giorno seguente, per
trovarsi di nuovo allineata con il Sole, dopo la culminazione della nostra
stella di riferimento sul meridiano del luogo, la Terra dovrà spostarsi di due
gradi sull'orbita e per farlo impiegherà circa 8 minuti, perché ora dovrà
girare su sé stessa di ulteriori due gradi, e così via. Dopo sei mesi, quando
rispetto alla nostra stella di riferimento sarà mezzogiorno, e cioè quando
questa stella culminerà sul meridiano del luogo, rispetto al Sole sarà
mezzanotte, e cioè esso culminerà sul meridiano opposto (quello che a
mezzogiorno sta alle nostre spalle). Dopo un anno, la Terra avrà fatto una
rotazione in più su sé stessa rispetto a quelle necessarie per mantenersi in
sintonia con il Sole. La conseguenza di tutto ciò è che l'anno consiste di
366,2422 giorni siderei, ma di soli 365,2422 giorni solari.
Per
chiarire ancor meglio il concetto facciamo un esempio concreto immaginando che
la giornata lavorativa si fondi sul tempo sidereo anziché sul tempo solare. Che
cosa accadrebbe se, per contratto, venisse stabilito che il lavoro debba
iniziare alle 8 del mattino (ora siderea)? Succederebbe che il primo giorno si
andrebbe al lavoro effettivamente allo spuntare del Sole ma, dopo sei mesi, le 8
del mattino(?) capiterebbero al calare della notte. Ciò sarebbe, per l'appunto,
conseguenza del fatto che l'orologio sidereo è un po’ più veloce
dell'orologio solare perché le ore, i minuti e i secondi dell’orologio
sidereo sono un po’ più brevi di quelli dell’orologio solare. Per la
precisione, ad ogni giorno che passa, l'orologio sidereo guadagna circa 4 minuti
su quello solare e alla fine dell'anno avrà guadagnato un giorno intero (4' x
365g = 1.460' = 24 ore circa). Con questo esempio si chiarisce anche
il motivo per il quale la misurazione del tempo debba necessariamente fondarsi
sul movimento del Sole, e non su quello delle stelle.
Successivamente vedremo di spiegare il motivo della diversa durata del
giorno solare nel corso dell’anno. 2. UN PO' DI STORIA
Fin dai tempi antichi il giorno venne diviso in 12 parti, ciascuna delle
quali, a sua volta, in 30 frazioni. Furono i Sumeri, il popolo che 3.000 anni
prima di Cristo viveva sulle rive dei fiumi Tigri ed Eufrate, a suddividere il
giorno in questo modo; essi, in precedenza, avevano già diviso l'anno in 12
mesi e i mesi in 30 giorni. Per
quale motivo i Sumeri scelsero proprio i numeri 12 e 30 per dividere periodi di
tempo più lunghi? La risposta va ricercata innanzitutto in motivi di ordine
pratico, ma forse alla decisione hanno contribuito anche ragioni di carattere
religioso. Il 12 e il 30 sono due numeri particolari in quanto, caso unico, si
lasciano dividere in vario modo in parti più piccole senza lasciare resto e
questo fatto, per un popolo che non aveva tanta dimestichezza con il calcolo
delle frazioni, doveva essere molto vantaggioso. Quelle popolazioni forse
pensarono anche che fossero stati gli dei a creare quei numeri proprio perché
venissero adoperati dagli uomini con facilità. Il 12 infatti è divisibile,
senza lasciare resto, per 2, 3, 4 e 6 e nessun altro numero così piccolo si
lascia dividere in tante parti dando sempre valori interi. Analogamente il 30 si
lascia dividere, dando sempre numeri interi, per 2, 3, 5, 6, 10 e 15.
Successivamente gli Egizi decisero che era più utile, ai fini pratici,
suddividere il giorno in 24 ore invece che in 12. Il giorno egiziano, tuttavia,
pur essendo diviso in 24 ore era profondamente diverso da quello odierno.
Innanzitutto in esso si distinguevano le ore di luce che erano 10, da quelle di
buio che erano 12 ed oltre a queste 22 ore venivano conteggiate altre due ore a
parte per i crepuscoli: un'ora per l'alba ed un'altra per l'imbrunire. Adottando
questo sistema, le ore del giorno finivano per avere durata diversa nel corso
dell’anno in quanto, dovendo essere ciascuna di esse pari ad un decimo delle
ore di luce totale, diventavano più lunghe d'estate (circa 75 minuti) e più
brevi d'inverno (circa 45 minuti), quando le giornate, come tutti sanno per
esperienza, sono più corte (circa 15 ore di luce d’estate contro solo 9
d’inverno). Di conseguenza, anche la durata delle ore notturne e quella dei
crepuscoli variava lungo l’anno.
Il sistema di misura del tempo in uso fra gli Egizi era obiettivamente
complicato e alla fine si decise di semplificarlo dividendo tanto le ore di luce
quanto quelle di buio per12, eliminando in questo modo le ore dell'alba e quelle
del crepuscolo serale. Le ore variavano sempre in lunghezza da stagione a
stagione, ma ora le variazioni erano uniformi. Si pensa che questa
semplificazione sia stata la conseguenza dell'invenzione dei primi orologi che
non dipendevano direttamente dal moto degli astri.
Questi nuovi orologi erano le «clessidre ad acqua», congegni molto
semplici che misuravano il passare del tempo vuotando o riempiendo di acqua un
recipiente. Fino a quel momento il tempo era stato sempre misurato osservando il
movimento degli astri e in particolare, durante il giorno, quello del Sole. Gli
antichi sapevano quanto noi come fosse pericoloso per la vista osservare
direttamente gli spostamenti del Sole in cielo, ma impararono ben presto che era
possibile seguire i suoi movimenti anche senza guardarlo direttamente. Piantando
un bastone a terra era possibile conoscere la posizione del Sole osservando lo
spostamento dell’ombra proiettata dal legno. Ora, tutto sarebbe molto semplice
se il Sole percorresse in cielo sempre la stessa traiettoria, mentre sappiamo
che, alle nostre latitudini, esso rimane basso sull'orizzonte d'inverno e si
alza d'estate, descrivendo archi sempre più ampi sui nostri orizzonti;
pertanto, da un giorno all'altro, alla stessa ora, l'ombra del bastone non avrà
né la stessa lunghezza, né la stessa direzione.
In seguito il rudimentale bastone divenne un'asta
(la cui estremità era detta gnomone,
da un termine greco che significa "uno che sa") fissata ad una coppa
dotata di piedistallo. Sul bordo della coppa erano incisi dei numeri che
indicavano le ore del giorno e poiché a metà giornata, quando il Sole è alto
in cielo, le ombre si muovono con maggior lentezza, sul bordo della coppa i
numeri relativi alle ore meridiane risultavano sistemati più vicini gli uni
agli altri, mentre quelli che indicavano le ore della mattina presto o del tardo
pomeriggio erano più distanziati fra loro. Questo strumento per la misura del
tempo fu chiamato meridiana. 3. GLI OROLOGI
La parola “orologio” deriva da due termini greci: hour
che significa “stagione”, e logos
che significa “discorso”, quindi l’orologio sarebbe un “discorso sulla
stagione” con chiaro riferimento al fatto che la durata degli intervalli di
tempo segnati da questi strumenti originariamente era diversa nelle diverse
stagioni.
Come vedremo subito, per molti secoli gli unici strumenti per misurare il
tempo restarono le meridiane e le clessidre, orologi noti fin dalla più remota
antichità.
Di meridiane, che sarebbe più corretto chiamare «orologi solari» o «quadranti
solari», ne furono costruiti diversi modelli: con il quadrante orizzontale, con
il quadrante opportunamente inclinato, oppure con il quadrante verticale,
orientato a sua volta verso sud, verso est o verso ovest. Anche l'asta dello
gnomone cambiò posizione e, da verticale che era all'inizio, divenne parallela
all'asse terrestre: in questo modo, durante l'anno, la sua ombra continuava a
variare in lunghezza, ma non più in direzione e quindi le ore apparivano tutte
della stessa durata.
La punta dell'asta degli orologi solari, in alcuni casi, fu sostituita da
un piccolo foro praticato spesso sul tetto di un edificio in una posizione tale
da lasciare passare direttamente i raggi del Sole a mezzogiorno: questi raggi, a
loro volta, formavano una macchia luminosa sul pavimento all'interno
dell'edificio. Un interessante esempio di questo tipo di orologio si trova nella
Basilica di S. Petronio a Bologna dove, incastonata nel pavimento, si può
vedere una lunga barra bronzea che ha la funzione di materializzare la linea
meridiana. A mezzogiorno, quando il Sole culmina, i suoi raggi passano
attraverso il foro praticato sul tetto, entrano nella chiesa, e vanno a cadere
sulla barra bronzea in un punto diverso a seconda dei giorni dell'anno.
Quest'orologio venne progettato e realizzato, nel 1655, da Gian Domenico Cassini
(capostipite di una famiglia di astronomi di origine italiana che operò
soprattutto in Francia) e serve, com'è evidente, solo per individuare il
mezzogiorno vero, cioè quello indicato direttamente dal Sole. A rigore,
pertanto, solo a questo tipo di orologio si dovrebbe dare il nome di meridiana
riservando quello di orologio solare o quadrante solare a quegli strumenti che
segnano anche le altre ore del giorno. La meridiana, come si è già detto
implicitamente, oltre al mezzogiorno del luogo, indica anche il mese e il giorno
corrispondenti perché la posizione che assume la macchia luminosa lungo la
barra sistemata sul pavimento, si sposta nel corso dell’anno.
L'orologio solare funziona solo di giorno e solo se il cielo è sereno.
Per segnare il tempo di notte o quando il cielo è nuvoloso andrebbe bene la clessidra,
parola di origine greca che significa "ladra d'acqua". Si tratta, come
si ricorderà, di uno strumento molto semplice che misura il passare del tempo
facendo sgocciolare dell'acqua, attraverso un foro, da un contenitore ad un
altro.
L'invenzione della clessidra svincolò il computo del tempo dalla diretta
e continua osservazione del cielo, ma consentì anche una sua diversa
valutazione. Gli orologi solari e stellari indicavano infatti un “preciso
istante”, ovvero il momento in cui un determinato evento si verificava. Le
clessidre, invece, attraverso il lento svuotamento (o riempimento) di un
recipiente (che presentava eventualmente incise all'interno delle tacche di
riferimento), mostravano con chiarezza gli “intervalli di tempo”, ossia
misuravano la durata di un determinato evento o fenomeno. Da questo punto di
vista possiamo quindi ritenere che solo con l'invenzione della clessidra nacque
l'effettiva misurazione del tempo.
Tuttavia come le nuvole rendevano inutilizzabili gli orologi solari, così
il gelo rendeva inutilizzabili le clessidre ad acqua, benché nei paesi freddi,
bastasse sostituire l'acqua con della sabbia per fare funzionare le clessidre
anche d'inverno. Si trattava, tutto sommato, di apportare una piccola modifica
alle clessidre esistenti, eppure, sembra incredibile, si è dovuto aspettare
fino al 1300 per vedere in azione le prime clessidre a sabbia di cui vennero
costruiti diversi modelli in grado di misurare intervalli di tempo variabili da
pochi secondi a ventiquattro ore. Svariati furono anche gli utilizzi di tali
orologi. Essi erano usati sulle navi dove non si potevano imbarcare orologi di
altro tipo, nei tribunali per misurare il tempo da concedere agli avvocati per
la difesa dei loro assistiti, nelle officine e, fino al 1800, per sentire il
polso dei malati. Oggi le clessidre a sabbia sono considerate per lo più
oggetti decorativi, tuttavia vi è ancora qualcuno un po’ snob che le utilizza
per la cottura delle uova alla coque, o per misurare il tempo che passa al
telefono.
Bisognerà aspettare fino alla fine del XIII secolo per vedere la nascita
di un nuovo tipo di orologio, il cosiddetto orologio
meccanico, un marchingegno piuttosto complicato e ingombrante che implicava
il lavoro sincrono di molti elementi. A muovere il tutto provvedeva un peso
legato ad una corda avvolta intorno ad un asse orizzontale, o
"tamburo". Via via che il peso si portava verso il basso la corda
costringeva l'asse a girare su sé stesso. Quest’asse rotante, a sua volta,
metteva in azione una serie di ingranaggi i quali erano collegati ad una
lancetta che indicava le ore o a dei campanelli che suonavano ad intervalli di
tempo regolari. Naturalmente quando la corda si era completamente srotolata dal
tamburo, bisognava riavvolgerla: più che di un orologio si trattava quindi di
una specie di argano.
Per rallentare la discesa del peso era necessaria la presenza di un
apposito meccanismo, altrimenti il peso scendendo avrebbe tirato con forza la
corda che si sarebbe srotolata velocemente dall'asse esaurendo in breve tempo il
moto degli ingranaggi. Il meccanismo con il compito di controllare la velocità
di discesa del peso era chiamato «scappamento» e aveva la funzione, per mezzo
di due nottolini che si inserivano alternativamente fra i denti di una ruota, di
consentire alla stessa di girare a un dente per volta. Con questo sistema,
l'energia prodotta dal peso che scendeva non si liberava velocemente, tutta
insieme, ma "scappava" un po' per volta: da qui il nome del
meccanismo.
Gli orologi meccanici, all'inizio, erano molto imprecisi (certamente più
imprecisi delle clessidre e degli orologi solari), e per essi era normale
l’errore anche di un'ora al giorno. Nonostante la qualità piuttosto scadente
degli orologi in uso, già da lungo tempo si era tuttavia affermata l'abitudine
di suddividere l'ora in 60 parti più piccole, tutte uguali, ciascuna delle
quali veniva chiamata in latino pars
minuta prima che significa "prima piccola parte", poi abbreviata
in «minuto»; e queste, a loro volta, venivano suddivise in altre 60 parti
ancora più piccole, ciascuna delle quali era chiamata, sempre in latino, pars
minuta secunda (seconda piccola parte), poi abbreviata in «secondo». Anche
in questo caso la scelta del numero 60 viene fatta risalire ai Sumeri, i quali
avevano diviso il cerchio in 360 parti uguali, ciascuna delle quali in seguito
venne chiamata grado, da un termine
latino che significa "passo, scalino". Il 60 e il 360 erano
considerati anch'essi numeri "magici" concessi all'uomo dagli dei
perché facilmente divisibili in tanti modi diversi senza lasciare resto. A
proposito di questa suddivisione in sessantesimi sia dei gradi della
circonferenza che delle ore del giorno, soprattutto per i non addetti ai lavori,
il parlare di minuti e di secondi sia riferendosi al tempo, sia riferendosi agli
angoli, può rappresentare motivo di confusione.
Nel 1581, all'età di soli 17 anni, Galileo Galilei scoprì che
l'oscillazione naturale di un pendolo avviene ad intervalli regolari di tempo, e
ciò indipendentemente dall'ampiezza dell'oscillazione stessa. In altre
parole, il tempo impiegato dal pendolo per andare e tornare in un viaggio di
oscillazione completa è sempre lo stesso, tanto per l’oscillazione molto
ampia quanto per quella poco ampia. La cosa non è affatto ovvia perché
l'intuizione ci porterebbe a credere che le oscillazioni ampie debbano durare di
più di quelle strette, invece Galilei notò che quando l'ampiezza era grande il
moto era veloce, mentre quando era piccola il moto era lento e quindi il tempo
per completare l’oscillazione in definitiva era lo stesso. (Oggi sappiamo che
non è esattamente così, ma la differenza è veramente minima e per molti
aspetti insignificante.)
La storia vuole che lo scienziato pisano arrivasse a questa scoperta
osservando una lampada oscillare, sotto la spinta di una corrente d'aria, nella
cattedrale della sua città, mentre assisteva ad una funzione religiosa. Si dice
anche che per controllare l'isocronismo delle oscillazioni della lampada il
giovane Galilei, a quel tempo studente di medicina, si sia avvalso delle
pulsazioni del proprio polso.
Il «pendolo» (dal latino pendulus,
"che oscilla") sarebbe quindi un orologio perfetto, ma Galilei non
riuscì a trasferire questa sua scoperta nel meccanismo di un orologio. In realtà
egli ci provò, ma solo alla fine della sua vita, quando, ormai vecchio e
sfiduciato, era anche diventato quasi cieco. Il primo orologio a pendolo verrà
costruito invece dal fisico e astronomo olandese Christiaan Huygens, intorno
alla metà del XVII secolo, pochi anni dopo la morte di Galilei.
Il pendolo non oscilla per tempi infiniti, ma a causa dell'attrito
dell'aria e di alcuni contatti meccanici che non possono essere evitati,
rallenta la sua corsa e alla fine si ferma. Occorre allora dargli ogni tanto una
piccola spinta per mantenerne le oscillazioni. A ciò provvede un motore a peso,
come si può vedere ancora oggi in molti orologi a pendolo delle nostre case,
oppure un motore di altro tipo, ad esempio a molla o elettrico, come è nei
modelli più moderni e sofisticati. L'orologio a pendolo si dimostrò dieci
volte più preciso del precedente orologio meccanico.
Nonostante la sua aria tranquilla il pendolo, tuttavia, non è imperturbabile:
se non è sistemato in posizione perfettamente verticale l'oscillazione si
altera e il meccanismo si può anche fermare. Nemmeno il suo ritmo è così
costante come immaginava Galilei: impiega infatti un po' più di tempo nelle
oscillazioni lunghe e un po' meno in quelle corte e questa impercettibile
variazione di velocità, alla lunga, si fa sentire.
Sarà il fisico inglese Robert Hooke (1635-1703) a trovare la soluzione
inventando il bilanciere a spirale, ossia una molla avvolta a spirale che muove
alternativamente una rotellina prima in un senso e poi nell'altro. La sua
funzione è uguale a quella del pendolo, però il suo ritmo non viene più
modificato dalle variazioni di ampiezza e dai cambiamenti di posizione. Esso
funziona altresì quando è sistemato in posizione orizzontale e può essere
costruito anche di dimensioni ridotte. Grazie a questa nuova scoperta fu
possibile realizzare il primo esemplare di orologio
da tasca. In realtà qualche problema questo tipo di orologio ancora lo
creava, perché la forza trasmessa dalla molla era irregolare: massima quando
era completamente carica e via via minore a mano a mano che si allentava. Per
ovviare a questo inconveniente fu escogitato un complicato congegno con una
corda metallica che si avvolgeva intorno al cilindro dove era alloggiata la
molla. Per questo motivo, nonostante il congegno sia ormai scomparso da tempo, a
volte si sente ancora dire, con riferimento alla carica, "dare la
corda" all'orologio, oppure "è giù di corda" quando si allude a
qualcuno che è senza energia. Per avere l'orologio da polso bisognerà invece
attendere addirittura l'inizio del ventesimo secolo.
Frattanto, l'orologio a pendolo veniva sempre più perfezionato
utilizzando leghe d'acciaio indeformabili e sistemandolo all'interno di un
ambiente in cui veniva creato il vuoto per proteggerlo da variazioni di
temperatura, dalla polvere e dall'attrito dell'aria. L'orologio a pendolo
diventava, in questo modo, uno strumento di grande precisione, adatto a
misurazioni scientifiche.
La prossima innovazione si avrà con i cosiddetti orologi
a quarzo i quali sfruttano una particolare proprietà di questi minerali che
viene detta «piezoelettricità» (piezo
è una parola greca che significa “comprimere”). Il fenomeno venne scoperto,
nel 1880, dal chimico francese Pierre Curie (il marito di Marie, entrambi premi
Nobel per le ricerche sul fenomeno della radioattività) il quale notò che
quando un cristallo di quarzo subisce una pressione lungo un determinato asse di
simmetria emette una debole corrente elettrica. Inversamente, se un cristallo di
quarzo viene sottoposto all'azione di un campo elettrico, prodotto ad esempio da
una piccola pila a secco, il cristallo si mette a vibrare come si trattasse di
un diapason. E come con il diapason è possibile costruire orologi di alta
precisione, altrettanto si può fare con i cristalli di quarzo i quali vibrano
ad un ritmo più elevato e quindi sono ancora più precisi di quelli a diapason.
Il primo orologio a quarzo fu costruito nel 1927 da due tecnici inglesi
di nome W. A. Marrison e J. Horton e si dimostrò subito un meccanismo quasi
perfetto in grado di garantire una precisione di 1/1.000 di secondo al giorno.
Esso sostituirà gradualmente gli orologi che portiamo al polso e raggiungerà
ben presto una perfezione di funzionamento tale da consentire all'astronomo
inglese H. Spencer Jones di verificare che il tempo di rotazione della Terra
intorno al proprio asse non è così preciso come si era sempre ritenuto che
fosse. 4. DAL GIORNO SIDEREO AL GIORNO
SIDERALE
Abbiamo detto che il giorno sidereo, definito come il tempo intercorrente
fra due passaggi successivi di una stella al meridiano del luogo (che poi in
realtà non è altro che il tempo che impiega la Terra a ruotare su sé stessa),
è un lasso di tempo che si può considerare uniforme e costante. Ora dobbiamo
precisare che non è proprio così perché la Terra, al contrario di come può
sembrare ad una osservazione poco attenta, non gira in modo regolare intorno al
proprio asse.
La Terra girerebbe intorno al proprio asse con moto invariabile e per
l'eternità se fosse una sfera perfetta, rigorosamente omogenea, esattamente
simmetrica, assolutamente rigida e perfettamente isolata nello spazio. Ma la
Terra non è nulla di tutto ciò e quindi oscilla.
Prima che siano individuati i motivi per i quali l'asse di rotazione del
nostro pianeta non è stabile, è necessario definire in modo più rigoroso
quello che abbiamo chiamato il «giorno sidereo».
Sappiamo che, in generale, per definire la posizione di un punto nello
spazio occorre trovare qualche cosa di fisso a cui fare riferimento. Ma esiste
nell'Universo qualche cosa di veramente fisso? La risposta è no. Nell'Universo
tutto è in movimento e quando scegliamo un sistema di riferimento rispetto al
quale studiare i moti di altri corpi celesti, sappiamo già in partenza che quel
sistema è a sua volta in moto rispetto a tutto il resto. Noi tuttavia ci
preoccupiamo di utilizzare come sistema di riferimento un insieme di corpi che
sia sì in movimento, ma di moto ordinato, retto da leggi precise che, una volta
individuate, ci consentano di prevederne l'andamento.
Per quanto riguarda il moto di rotazione della Terra su sé stessa, in un
primo tempo si pensò di definirlo rispetto ad una generica stella fissa, poi
però, in seguito alla scelta di un sistema di riferimento più generale per la
determinazione della posizione dei corpi celesti, si rese necessario riferirlo
rispetto al cosiddetto punto vernale.
Il punto vernale (da "ver" un termine indoeuropeo con il quale si
indicava la primavera), detto anche punto d'Ariete o punto gamma, è un punto
del cielo ben preciso che corrisponde all'intersezione dell'eclittica (cioè del
piano su cui giacciono Sole e Terra) con l'equatore celeste che non è altro che
il prolungamento di quello terrestre. Questo punto non è attribuibile ad un
oggetto che esiste materialmente, come per esempio ad una stella, ed inoltre si
sposta in continuazione dalla sua posizione. La cosa tuttavia non è così grave
perché le leggi che regolano i suoi movimenti, a differenza dei movimenti delle
cosiddette stelle fisse, sono tutte note.
Per capire dove si trova esattamente il punto vernale, e come si sposta
nel tempo, sono indispensabili alcune conoscenze di quella parte dell'astronomia
classica detta «astronomia sferica». Questa insegna che il piano definito
dall'orbita della Terra intorno al Sole si chiama piano dell'eclittica (in
pratica, come abbiamo detto, è il piano su cui giacciono Terra e Sole) mentre
si chiama piano equatoriale celeste il prolungamento del piano equatoriale
terrestre fino ad incontrare la volta celeste. Il piano dell'eclittica è
inclinato, rispetto al piano equatoriale celeste, di circa 23 gradi e mezzo.
A causa della posizione inclinata, di un piano rispetto all’altro, un
osservatore che sta sulla Terra, vede il Sole, nel suo moto apparente sul piano
dell'eclittica, viaggiare per 6 mesi stando al di sopra del piano equatoriale e
per 6 mesi stando al di sotto di esso: e' evidente, allora, che due volte
all'anno il Sole si troverà nei punti di intersezione del piano equatoriale con
quello della eclittica. I due punti d'intersezione sono detti «punti
equinoziali» (dal latino aequa nox
che vuol dire “notte uguale”, sottinteso per tutta la Terra, perché nei due
giorni dell'anno in cui il Sole viene a trovarsi nei punti suddetti la durata
della notte, o meglio, la durata delle ore di buio, è la stessa in ogni località
della Terra ed è anche uguale a quella del dì, ossia delle ore di luce). Uno
di questi punti d'intersezione è quello in cui transita il Sole all'inizio
della primavera e si chiama, come abbiamo detto, punto vernale. A volte questo
punto è contrassegnato con la lettera greca gamma (g),
l'antico simbolo dell'Ariete, in quanto, circa 2.000 anni fa, all'inizio della
primavera, il Sole appariva proiettato nella costellazione dell'Ariete. Come
si sa le costellazioni sono raggruppamenti apparenti di stelle; le dodici nelle
quali si staglia il Sole nel corso dell’anno sono dette costellazioni dello zodiaco.
Distingueremo quindi il «giorno sidereo», dal «giorno siderale» che
definiremo come l'intervallo di tempo compreso fra due passaggi consecutivi del
punto gamma (e non di una stella qualsiasi) sul meridiano del luogo. Il giorno
siderale risulta più corto (di circa un centesimo di secondo) del giorno
sidereo e quindi non corrisponde più ad una rotazione completa della Terra su sé
stessa. Questa piccola differenza è conseguenza del fatto che il punto gamma
non è fisso in cielo, ma si sposta leggermente nella direzione della rotazione
diurna della sfera celeste e quindi appare, sul meridiano del luogo, prima che
si sia completata la rotazione della Terra su sé stessa. 5. LA TERRA NON GIRA REGOLARMENTE
Torniamo ora alla Terra e al suo moto di rotazione incostante. Oggi, l'asse intorno a cui ruota il nostro
pianeta è quasi esattamente diretto verso la stella Polare, ma duemila anni fa
lo era molto di meno e sappiamo che in futuro si allontanerà sempre più dalla
posizione che occupa attualmente. Fra circa 13.000 anni, si verrà a trovare
nella direzione più lontana rispetto a quella odierna e punterà verso Vega, la
stella più luminosa della costellazione della Lira. Ciò dipende dal fatto che
la Terra è schiacciata ai poli e leggermente rigonfia all'equatore e, a causa
di questa forma non perfettamente sferica, il Sole e la Luna esercitano sul
rigonfiamento equatoriale un'attrazione maggiore di quella che esercitano
sulle zone prossime ai poli. La conseguenza di tutto ciò è che l'asse presenta
un lento movimento conico che si completa in 26.000 anni circa.
E' lo stesso fenomeno che si può notare nella trottola la quale, quando
ruota velocemente, mantiene il suo asse perfettamente verticale, ma quando
rallenta, e si piega lateralmente, richiamata dalla forza di gravità, pur
continuando a girare intorno all'asse, inizia anche un'altra rotazione, molto più
lenta, rappresentata da un movimento conico dell'asse stesso intorno alla
verticale che passa per il punto di appoggio al terreno.
Qualcosa di simile alla trottola che rallenta il suo moto avviene per la
Terra la quale tuttavia non si ribalta lateralmente, perché non vi è nulla che
la richiami verso il basso. Vi è al contrario qualcosa che tende a farla
raddrizzare, ossia a costringerla a sistemare l'asse perpendicolarmente al piano
dell'eclittica. Questo qualcosa sono il Sole e la Luna i quali, agendo con
maggior forza sul piano equatoriale (a loro più vicino) che non sulle zone
polari (più lontane), la invitano a "mettersi in piedi". Poiché però
la Terra, ruotando velocemente su sé stessa, pone resistenza a questa azione
combinata di Sole e Luna, l'asse è costretto ad effettuare quel lentissimo
movimento conico di cui si è detto in precedenza che si compie in circa 26.000
anni.
A causa di questo movimento dell'asse terrestre, cambia la linea
d'intersezione del piano equatoriale con il piano dell'eclittica e di
conseguenza cambia anche la posizione dei punti equinoziali (detti anche nodi)
determinando in questo modo, anno dopo anno, un piccolo anticipo dell'inizio
della primavera e dell'autunno. Questo fenomeno si chiama precessione
(cioè arretramento) degli equinozi, e
venne scoperto da Ipparco di Nicea, uno dei più geniali astronomi greci
dell'antichità, già due secoli prima di Cristo.
Più di duemila anni fa quindi gli antichi astronomi greci, all'inizio
della primavera, quando il Sole si veniva a trovare nel punto gamma, lo vedevano
proiettato sullo sfondo delle stelle fisse entro la costellazione dell'Ariete;
oggi, in conseguenza della precessione degli equinozi, quando il Sole si trova
nel punto gamma (ed è sempre, ovviamente, l'inizio della primavera), dalla
Terra lo si vede proiettato nella costellazione dei Pesci, cioè nella
costellazione dello zodiaco che sta immediatamente prima di quella dell'Ariete.
Abbiamo detto che l'asse intorno al quale ruota il nostro pianeta si
sposta descrivendo un cono; in realtà si tratta di un doppio cono, con il
vertice al centro della Terra e con la superficie laterale non perfettamente
liscia come dovrebbe apparire se il movimento di quest’asse fosse del tutto
regolare. L'aspetto leggermente ondulato della superficie laterale del cono è
determinato dal fatto che l'attrazione lunisolare varia leggermente con il tempo
a causa della distanza dei due astri i quali a volte si trovano più vicini alla
Terra e a volte più lontani. Questa seconda oscillazione dell'asse terrestre fu
scoperta, nel 1748, dall'astronomo inglese James Bradley e venne chiamata nutazione,
da un termine latino che significa "annuire" perché l'asse terrestre,
mentre compie l'ampio movimento conico, sembra anche andare avanti e indietro
come a volte si fa con la testa quando ci si trova d'accordo con ciò che dice
il nostro interlocutore. A causa della nutazione, nel corso di circa 18 anni e
mezzo, la posizione del punto vernale, sull'equatore celeste, si scosta di poco
più di un secondo d'arco in avanti o indietro, rispetto ad una posizione
intermedia determinata dalla sola azione della precessione.
Ma esiste anche un terzo movimento dell'asse terrestre ipotizzato già
nel 1765 dal matematico svizzero Leonhard Euler, meglio noto con il nome di
Eulero. Egli affermò che se la Terra fosse un corpo rigido, come in effetti
appariva dalle rilevazioni di quel tempo, i poli avrebbero dovuto muoversi su
piccoli cerchi nel corso dell'anno. Questo presunto movimento dei poli (e quindi
dell'asse), quasi insignificante, non poteva essere rilevato facendo uso degli
strumenti dell'epoca, ancora piuttosto imprecisi. In seguito però gli strumenti
di misura si perfezionarono e si raffinarono al punto da rendere possibile la
registrazione delle supposte fluttuazioni dell’asse terrestre previste da
Eulero. La misurazione fu effettuata per la prima volta, e lo spostamento
rilevato, da uno scienziato americano di nome Seth C. Chandler: la nuova
scoperta prese quindi il nome di «oscillazione chandleriana».
Sennonché, le oscillazioni misurate da Chandler erano superiori a quelle
previste dai calcoli di Eulero, ed inoltre apparivano alquanto irregolari. Ciò
dipendeva sicuramente dal fatto che la Terra in realtà non è un corpo
perfettamente rigido, paragonabile ad una sfera d'acciaio, come l'aveva
considerata Eulero, ma forse anche da qualche altra causa.
Si pensò allora, in un primo momento, a spostamenti di masse di magma
all'interno della Terra causate da terremoti o da altri fenomeni endogeni, ma
poi si scoprì che, in massima parte, queste oscillazioni aggiuntive dell'asse
terrestre erano dovute a spostamenti stagionali di masse d'aria. La vera causa
dell’oscillazione chandleriana era quindi il vento, il quale, variando di
direzione e di intensità con le stagioni, produceva attrito sulle terre emerse
e quindi accelerava o ritardava la rotazione della Terra. Ora, poiché le terre
emerse sono più estese nell'emisfero settentrionale che in quello meridionale
l'azione dei venti, nel corso dell'anno, non era bilanciata e di conseguenza
l'asse oscillava in modo imprevedibile.
Anche l'acqua forse gioca un ruolo importante in questo fenomeno. Durante
l'inverno milioni di tonnellate di acqua si spostano, sotto forma di ghiaccio e
neve, dagli oceani alle calotte polari e ai rilievi più alti delle zone
temperate. In questo processo si abbassa il livello del mare e si alza quello
delle terre emerse producendo un leggero rallentamento della rotazione terrestre
come si può osservare anche quando la ballerina, allargando le braccia,
sposta il peso del corpo all'esterno per frenare la propria rotazione.
Naturalmente, l'aumento di acqua gelata sulle terre emerse del nord dovrebbe
essere bilanciato da una diminuzione della stessa entità sulle terre emerse
del sud per il fatto che quando nell'emisfero settentrionale è inverno, in
quello meridionale è estate, e viceversa. Per giustificare la mancata
compensazione degli effetti del fenomeno, bisogna però tenere presente, ancora
una volta, l'asimmetrica distribuzione delle terre e dei mari sulla superficie
del globo.
Queste fluttuazioni sono insignificanti e irregolari, ma comunque
sufficientemente rilevanti così da mascherare una variazione della rotazione
terrestre di gran lunga più piccola, ma di natura costante e quindi tendente ad
accumularsi nel tempo. Si tratta del rallentamento dovuto alle maree.
I geofisici erano da lungo tempo convinti che lo spostamento dell'acqua
causato dalle maree sui fondali marini poco profondi potesse frenare leggermente
la rotazione terrestre (e di conseguenza allungare la durata del giorno), ma non
erano riusciti ad individuare un sistema idoneo a misurare il fenomeno. Per
farlo sarebbe stato infatti necessario tenere sotto controllo la durata del
giorno, facendo uso di orologi molto precisi e per tempi molto lunghi: ma
orologi della precisione necessaria a quel tempo non erano disponibili.
Come abbiamo detto, il rallentamento della rotazione terrestre dovuto
agli attriti delle maree è minimo (10 o 15 milionesimi di secondo all'anno), ma
si accumula nel tempo così che nei secoli diventa rilevante (2 ore in 2.000
anni). Gli scienziati hanno recentemente scoperto due fenomeni naturali che
consentono di misurare il rallentamento della rotazione della Terra provocato
dall’azione delle maree.
La prima prova viene fornita dalle antiche cronache delle eclissi o di
altri fenomeni astronomici i quali, dai calcoli odierni, sembrano essere
avvenuti in punti della Terra diversi da quelli segnalati. La mancata
concordanza fra le località descritte dalle antiche cronache e quelle calcolate
sulla base dell'attuale velocità di rotazione della Terra, non può che
dipendere dal fatto che il nostro pianeta, in tempi lontani, ruotava a velocità
diversa da quella attuale.
Ma vi è un'altra osservazione che induce a pensare che in tempi molto
lontani la Terra doveva ruotare su sé stessa più velocemente di quanto non
faccia oggi. Si tratta dello studio effettuato su alcuni coralli fossili
risalenti al periodo Devoniano, quindi di età compresa fra i 350 e i 400
milioni di anni. Questi fossili presentano degli anelli di crescita in numero
maggiore di quelli che si possono contare su coralli simili che vivono
attualmente nei mari caldi del sud. In effetti, è possibile osservare nei
coralli, all'interno degli anelli annuali di crescita, una serie fittissima di
striature che vengono interpretate come anelli di crescita giornalieri. Ebbene,
queste leggere striature si contano in numero di circa 400 nei coralli fossili
del Devoniano e di circa 365 in quelli attuali. Questo potrebbe dipendere dal
fatto che nel Devoniano i giorni dell'anno erano circa 400 e quindi la Terra
girava su sé stessa più velocemente di quanto non faccia oggi in cui i giorni
dell'anno sono solo 365. Se l'interpretazione del fenomeno è corretta, vi è da
ritenere che dal Devoniano ad oggi la durata del giorno si è notevolmente
allungata e in futuro potrebbe allungarsi ulteriormente fino a diventare uguale
al periodo di rivoluzione della Terra intorno al Sole (un giorno durerebbe
allora un anno). A quel punto il nostro pianeta mostrerebbe al Sole sempre la
stessa faccia, come fa attualmente la Luna rispetto alla Terra.
La cosa, però, che più interessa, dal nostro punto di vista, è che la
Terra non ruota su sé stessa in modo uniforme, e poiché proprio il moto di
rotazione della Terra è stato scelto come base della misura del tempo, né il
giorno sidereo, né il giorno siderale, possono essere considerati delle unità
di misura precise e immutabili. Per l'astronomia sarebbe invece di grande utilità
poter disporre di un'unità di misura temporale di assoluta precisione per
mettere in accordo i movimenti orbitali dei corpi celesti ottenuti dalle
osservazioni, con quelli calcolati attraverso le leggi della meccanica. Ma dove
andarla a cercare questa unità di misura tanto precisa? 6. IL GIORNO SOLARE MEDIO
E il giorno solare? E' almeno il giorno solare una misura di tempo
uniforme e costante? La risposta, anche in questo caso, è: no. E ciò non è
difficile da capire se si riflette sul fatto che il giorno solare, in
definitiva, dipende anch'esso dalla rotazione della Terra, la quale, come
abbiamo appena visto, è tutt’altro che perfetta. Ma, dal punto di vista
dell'accuratezza, il giorno solare è molto più variabile di quello sidereo (o
siderale) perché alle oscillazioni irregolari dell’asse si devono aggiungere
le anomalie derivate dal movimento incerto del pianeta intorno al Sole.
Eppure sarebbe molto utile che il giorno solare avesse la stessa durata
nei vari periodi dell'anno, perché le attività dell'uomo sono legate proprio
al movimento del Sole. Non sarebbe tuttavia impossibile, almeno in linea di
principio, creare un giorno solare di durata costante, basterebbe infatti che il
Sole si muovesse in cielo con moto regolare ed uniforme e il gioco sarebbe
fatto. Ovviamente non possiamo modificare la velocità del Sole tuttavia
possiamo immaginarne uno artificiale che si sposta con regolarità intorno alla
Terra durante il giorno e nel corso dell’anno.
Abbiamo detto che il Sole si muove intorno alla Terra, perché in effetti
così sembra, ma dobbiamo tenere sempre presente che è la Terra in realtà a
muoversi, sia ruotando su sé stessa, sia girando intorno al Sole e pertanto
quelli del Sole sono solo moti apparenti. Premesso ciò, per comprendere il
motivo per il quale il giorno solare non è un intervallo di tempo preciso e
costante, ci sono da considerare, oltre ai motivi già esposti, il fatto che la
Terra non descrive un cerchio perfetto intorno al Sole, ma un'ellisse, cioè
percorre un'orbita che la porta a volte ad essere più vicina e a volte più
lontana dal Sole stesso. Se la Terra percorresse un'orbita perfettamente
circolare essa non solo si manterrebbe sempre alla stessa distanza dall'astro
centrale ma, com'è facilmente intuibile, viaggerebbe anche sempre alla stessa
velocità, mentre proprio a causa dell’orbita ellittica che è costretta a
seguire, viaggia nel corso dell’anno a velocità variabile.
Il primo a scoprire che l'orbita descritta dalla Terra, nel suo movimento
intorno al Sole, è un'ellisse e non una circonferenza, fu Johann Keplero, un
astronomo tedesco nato nel Württemberg nel 1571 e morto nel 1630. Egli osservò
anche che, a causa di questo percorso ellittico, la velocità variava; e
precisamente quando la Terra si trovava più vicina al Sole si muoveva più
velocemente, e quando si trovava più lontana si muoveva più lentamente.
La Terra si trova più vicina al Sole o, come suol dirsi, in perielio,
intorno alla data del 3 gennaio e nel punto più lontano, ossia in afelio, intorno al 3 luglio. Quando la Terra si trova in vicinanza
del perielio viaggia alla velocità massima, che è di circa 110.000 km all'ora,
quando invece si trova in prossimità dell’afelio viaggia alla velocità
minima, che è di circa 105.000 km all'ora.
Il moto di rivoluzione non uniforme della Terra ci fa percepire lo
spostamento discontinuo del Sole rispetto allo sfondo delle stelle fisse, e cioè
esso appare muoversi più velocemente in inverno e più lentamente in estate. In
conseguenza dello spostamento apparente del Sole a velocità variabile, la
Terra, giorno dopo giorno, per potersi riallineare con esso, è costretta a
ruotare, intorno al proprio asse, per frazioni di tempo diverse a seconda del
periodo dell'anno (o, se si preferisce, a seconda della posizione occupata
sull’orbita in quel momento) e precisamente, in inverno per un tempo più
lungo e in estate per un tempo più breve. Pertanto, in inverno, i giorni
risultano un po' più lunghi della media, e in estate un po' più corti della
media. (Quando si parla di estate e d'inverno, ci si riferisce ovviamente
all'emisfero settentrionale; nell'emisfero meridionale, come si è già
accennato, le stagioni sono invertite.)
La differenza fra il giorno più lungo che, come abbiamo detto, capita
intorno al 3 gennaio (Terra in perielio) e quello più corto che capita intorno
al 3 luglio (Terra in afelio), è di soli 15 secondi. Bisogna però tenere conto
del fatto che questa piccola differenza giornaliera si va accumulando con il
passare dei giorni così che, sommando il contributo di tanti giorni tutti più
lunghi e quello di tanti giorni tutti più corti, si arriva ad una differenza di
oltre 7 minuti (in anticipo o in ritardo) dell'ora solare con il tempo medio.
Una seconda causa di fluttuazioni più o meno irregolari è individuabile
nel fatto che il Sole non si muove lungo l'equatore, ma lungo l'eclittica; però
il quadrante celeste su cui si contano le ore è l'equatore e non l'eclittica.
Ora, poiché la linea dell'equatore è inclinata di circa 23 gradi e mezzo
sull'eclittica, la velocità apparente del Sole sull'eclittica non si mantiene
identica quando la stessa viene trasferita sull'equatore e, per questo motivo,
alla durata del giorno, si va ad aggiungere un altro elemento di imperfezione.
In questo caso la differenza fra il giorno più lungo e quello più corto
dell'anno arriva complessivamente a circa 40 secondi.
Queste due irregolarità non hanno la stessa ampiezza, né sono fra loro
in fase per cui il risultato finale non è dato semplicemente dalla loro somma.
La loro combinazione, invece, fa sì che la differenza fra il più lungo giorno
solare, che capita a metà dicembre, e il più corto, che capita a metà
settembre, assommi a circa 52 secondi. Ora però l'effetto cumulativo di tutti i
giorni con l'anticipo e di tutti quelli con il ritardo dà luogo ad uno
sfasamento massimo di circa 15 minuti di anticipo, che si raggiunge verso il 10
febbraio e altrettanti di ritardo, che si raggiunge verso il 4 novembre. In
altre parole, un orologio solare (cioè in pratica una meridiana) anticipa o
ritarda, durante l'anno, di un quarto d'ora al massimo rispetto ad un orologio
che segna il tempo in modo uniforme (in pratica quello che portiamo al polso).
Per concludere, il Sole non è un buon orologio, perché a volte procede
troppo velocemente e a volte troppo lentamente e guai se gli orologiai dovessero
fabbricare orologi con le lancette obbligate a muoversi al passo con gli
spostamenti reali dell’astro.
Come fare allora per uniformare la misurazione dello scorrere del tempo?
Gli astronomi, come abbiamo già
detto, hanno pensato di correggere a tavolino il movimento del Sole creandone
uno artificiale che si muove in cielo con moto perfettamente regolare e costante
e che a volte precede il Sole vero e a volte lo segue, ma che alla fine del
viaggio arriva alla pari con esso. Questo ipotetico Sole è stato chiamato «Sole
medio» e, a ben pensarci, non sarebbe altro che il riflesso di una Terra che
gira intorno al Sole su un'orbita perfettamente circolare e su sé stessa
intorno ad un asse di rotazione assolutamente stabile e sistemato in posizione
verticale in modo da far coincidere il piano dell’eclittica con il piano
equatoriale.
Con l'introduzione del Sole medio si pensò di essere entrati finalmente
in possesso di un intervallo temporale rigorosamente preciso e costante. Questo
intervallo di tempo è stato chiamato «giorno solare medio» e può essere
definito come il tempo che intercorre fra due successive culminazioni del Sole
medio sul meridiano del luogo. Il giorno solare medio rappresenta la media
aritmetica di tutti i giorni di un anno e dura esattamente 24 ore ma, come
vedremo, nemmeno questo è quell’intervallo di tempo preciso e accurato che ci
si era illusi di avere individuato.
Dal giorno solare medio si è passati, nel 1820, alla definizione di
quella che sarebbe rimasta, per più di cento anni, l'unità fondamentale di
misura del tempo nel «Sistema Assoluto delle Misure», vale a dire il secondo.
Esso, su proposta di un comitato di scienziati francesi, venne definito come la
86.400ª parte del giorno solare medio (24 ore x 60 minuti x 60 secondi = 86.400
secondi, in un giorno).
Nel corso dell'anno, il «tempo solare vero» (che è dato, come si è
detto, dal Sole vero che si muove in modo irregolare) un po' è in anticipo e un
po' è in ritardo rispetto al «tempo solare medio» (che è dato invece da un
Sole fittizio che si muove uniformemente lungo l'equatore celeste) e solo in
quattro giorni dell'anno i due tempi coincidono. La differenza, positiva o
negativa, fra tempo vero e tempo medio si chiama «equazione del tempo» ed è
stata calcolata per tutte le ore della giornata e per tutti i giorni dell'anno,
tuttavia di solito viene fornita solo per il mezzogiorno e sotto forma di
grafico che viene chiamato analemma,
da un termine greco che significa "riassunto". Si tratta in pratica di
un diagramma a forma di sinusoide che rappresenta una sintesi del divario fra il
mezzogiorno vero e quello medio nei diversi giorni dell'anno. In esso si possono
notare due massimi (+3,8 minuti il 14 maggio e +16,4 minuti il 3 novembre), due
minimi (-14,4 minuti il 12 febbraio e -6,4 minuti il 26 luglio) e quattro valori
nulli in cui, evidentemente, il «Sole vero» e il «Sole medio» coincidono (16
aprile, 14 giugno, 1° settembre e 25 dicembre). Per la precisione, occorre dire
che gli scarti variano leggermente di anno in anno, perché l'anno civile non
inizia mai in perfetta coincidenza con quello astronomico, tuttavia i valori che
abbiamo riportato sopra possono essere ritenuti sufficientemente indicativi. Un
esempio di analemma si trova alla base della meridiana situata sulla parete
laterale del Duomo di Gorizia.
A volte, sulle meridiane, ossia su quelle linee sulle quali, al
mezzogiorno vero, cade il raggio di luce solare, viene disegnata una strana
figura a forma di "otto", che un matematico chiamerebbe "lemniscata".
Essa non è altro che un modo diverso di rappresentare, sotto forma di grafico,
la equazione del tempo. In essa sono infatti indicati, per ciascun mese
dell'anno e per i vari giorni del mese, le correzioni da apportare all'ora
segnata dalla meridiana stessa per ottenere il mezzogiorno solare medio (che in
definitiva, come abbiamo più volte detto, è quello segnato dall’orologio che
portiamo al polso). 7. IL TEMPO DELLE EFFEMERIDI
Anche se il giorno solare medio si avvicina di molto ad un intervallo di
tempo costante e regolare, nemmeno esso, in realtà, è un'unità di misura
sufficientemente precisa e tale da soddisfare le esigenze di una società
moderna fondata prevalentemente sulla ricerca scientifica e tecnologica. Per
queste attività sarebbe infatti necessario disporre di un'unità di misura di
altissima precisione che il movimento della Terra su sé stessa non è in grado
di garantire. Questa nuova unità di misura alla fine fu individuata nel
cosiddetto «tempo delle Effemeridi» (T.E.) una misura del tempo fissa e
immutabile, così denominata perché è impiegata per il calcolo delle posizioni
dei corpi del sistema solare.
Le effemeridi (dal greco: epi = sopra e hemera = giorno)
non sono altro che delle tabelle in cui vengono riportate, ad intervalli di
tempo costanti e regolari (per esempio per tutti i giorni), le posizioni che
assumeranno in cielo i principali corpi celesti come la Luna, il Sole, i pianeti
e i loro satelliti, oltre alle comete più note e ai più grossi asteroidi,
calcolate a partire dalle posizioni che gli stessi occupano in un preciso
istante, e dalle velocità con le quali viaggiano. Ma non è di questo che
dobbiamo occuparci, bensì del modo in cui si è arrivati alla definizione del
cosiddetto “tempo delle Effemeridi”.
Scartato il moto di rotazione della Terra come fenomeno di riferimento
per la determinazione dell’unità di misura temporale, si andò in cerca di
qualche altro fenomeno, sempre legato al movimento della sfera celeste, che
desse maggiori garanzie di regolarità e stabilità. Non si sarebbe infatti
neppure potuto prendere in considerazione l’ipotesi di svincolare
completamente la misura del tempo dal riferimento al moto apparente del Sole,
perché la vita di tutti i giorni, come abbiamo più volte fatto notare, è
scandita proprio dal sorgere e dal tramontare di quest'astro.
Alla fine la scelta cadde sull'altro movimento della sfera celeste legato
al ciclo solare e cioè sul periodo di rivoluzione della Terra intorno al Sole.
Venne pertanto assunto come base per la misura del tempo, non più la durata del
giorno, bensì quella dell'anno. Più precisamente, si decise di prendere in
considerazione la durata dell'anno tropico che corrisponde al tempo che impiega
il Sole a ritornare, un anno dopo, al punto vernale dal quale era partito
l’anno prima.
Il nome di «anno tropico» (dal greco tropos = ribaltamento,
rivolgimento, con riferimento al moto del Sole il quale sembra fermarsi nei
giorni dei solstizi e quindi invertire la marcia dopo aver raggiunto in cielo il
punto più alto in estate e, rispettivamente, il punto più basso in inverno),
deriva dalla definizione che anticamente veniva data al periodo di tempo
impiegato dal Sole, nel suo moto apparente, per tornare, dopo un anno, al
solstizio con lo stesso nome.
Ora è evidente che anche l'anno tropico (come già il giorno siderale)
non è un intervallo di tempo costante e inalterabile, perché il punto vernale
si muove e anche in modo non del tutto uniforme. Quindi per poter definire un
periodo di tempo fisso e costante, come richiesto dalla ricerca scientifica,
era necessario specificare, oltre al periodo, anche l'anno al quale far
riferimento. La scelta, alla fine, cadde sull'anno che iniziava il 31 dicembre
1899 a mezzogiorno (corrispondente al giorno 0 gennaio 1900, ore 12) e terminava
alla stessa ora del 31 dicembre del 1900. Da questa unità di misura si ricavò
il «secondo delle Effemeridi» il quale, di conseguenza, diventava un tempo
ideale che si sarebbe mantenuto, per definizione, fisso e immutabile per sempre.
Gli astronomi, come si sarà notato, numerano i giorni e gli anni in modo
diverso da quello in uso per gli scopi civili: per essi non solo esiste il
giorno zero, ma anche l’anno zero che, per razionalità algebrica, è stato
assegnato a quello che gli storici hanno chiamato anno 1 avanti Cristo.
Così, nel 1960, su proposta dell'Unione Astronomica Internazionale (IAU)
in occasione dell'XI Conferenza Generale dei Pesi e Misure, dopo avere
determinato con precisione la durata del primo anno tropico del secolo scorso
che risultò essere di 31.556.925,9747 secondi, si decise di assumere, come unità
di misura del tempo, il valore che si ricava dalla frazione 1/31.556.925,9747.
Questa frazione dell’anno tropico venne chiamata «Secondo di Tempo delle
Effemeridi».
Nei calcoli e nelle misure temporali di precisione oggi si usa quindi il
secondo delle Effemeridi che è un’unità di tempo la quale viene scandita con
la massima regolarità e precisione dai cosiddetti orologi atomici, i
"marcatempo" più affidabili attualmente in uso e dei quali parleremo
in seguito.
L'unità di misura del tempo oggi corrisponde, pertanto, a un campione
fisico perfettamente stabile e riproducibile in laboratorio. Questo intervallo
di tempo, praticamente invariabile, tanto a lungo cercato e finalmente
determinato con la massima precisione, per ironia della sorte si dimostra ora
troppo preciso. La contraddizione dipende dal fatto che i tempi della vita
civile continuano ad essere regolati dal corso non del tutto uniforme del Sole e
non da quello estremamente preciso e regolare degli orologi atomici. Per questo
motivo, il tempo dato dall'orologio atomico, che poi, in definitiva, è quello
che segnano gli orologi che portiamo al polso, di quando in quando, deve essere
corretto perché sia rimesso al passo con il tempo solare, che rimane il vero
punto di riferimento sia per gli impieghi civili sia per le attività
scientifiche.
Fra la durata del Tempo delle Effemeridi e quella del Tempo solare medio
esiste infatti una piccola differenza, che va aumentando con il passare degli
anni e che, dal 1900 ad oggi, è diventata di poco più di 80 secondi. Si
tratta, tutto sommato, di poca cosa (un secondo ogni 15 mesi circa) che
costringe tuttavia i tecnici a regolare il tempo civile aggiungendo, ogni tanto,
un secondo ai nostri orologi: il risultato si ottiene arretrando di un secondo
le lancette dell’orologio che portiamo al polso. Pertanto, il giorno in cui si
effettua la correzione invece che contare 86.400 secondi ne conta 86.401. Per
convenzione, nel 1958 tempo atomico e tempo astronomico furono fatti coincidere,
ma da allora la Terra ha continuato imperturbabile a “perdere giri”.
Gli orologi atomici sono entrati in uso nel 1955 e si sono subito
dimostrati più precisi di quelli a quarzo che, a causa di variazioni anche
minime dei componenti del circuito elettrico che stimola il cristallo, e
dell'invecchiamento del cristallo stesso, provocavano, a lungo termine, una
leggera variazione della frequenza.
Gli orologi atomici non hanno invece di questi problemi e sono quindi
degli apparecchi di grande precisione che tuttavia non segnano le ore e i
minuti, come fanno gli orologi normali, ma scandiscono semplicemente i secondi
con un ritmo che, come abbiamo visto, si mantiene costante per tempi
lunghissimi. Il loro funzionamento si basa sulle vibrazioni naturali delle
radiazioni elettromagnetiche emesse o assorbite dagli atomi. Le radiazioni
elettromagnetiche sono delle onde che viaggiano nello spazio alla velocità
della luce, che è essa stessa una radiazione elettromagnetica.
Gli atomi, come è noto, sono costituiti di elettroni in rapidissimo
movimento intorno ad un nucleo centrale formato di protoni e neutroni. Gli
elettroni viaggiano, in condizioni normali, su determinati livelli energetici,
dai quali possono spostarsi solo se vengono investiti da una qualche forma di
energia. Tutte le volte che un elettrone viene colpito da una radiazione
elettromagnetica di determinata lunghezza d'onda, salta su un livello energetico
superiore dal quale però immediatamente dopo ricade su quello da cui era
partito, emettendo a sua volta radiazioni elettromagnetiche. Questi salti
compiuti dagli elettroni sono estremamente precisi e ad ogni specifica
transizione corrisponde una precisa e calibrata quantità di energia, ossia una
radiazione di determinata lunghezza d'onda. Gli elettroni, oltre che girare
intorno ai nuclei girano anche su sé stessi e come una certa quantità di
energia può spostare un elettrone da un’orbita ad un’altra, allo stesso
modo una certa quantità di energia può far cambiare senso di rotazione
all’elettrone stesso.
Ogni transizione fra i livelli energetici di qualsiasi atomo potrebbe
essere utilizzata, in linea di principio, come orologio atomico. Tuttavia, per
motivi tecnici sui quali non vale la pena di soffermarsi, la scelta alla fine
cadde sul cesio che è un metallo piuttosto raro e il cui atomo presenta
l'elettrone più esterno che può ruotare su sé stesso sia in un senso che
nell'altro. Ora, a seconda del senso di rotazione, l'energia differisce
leggermente e nel passaggio da uno stato all'altro l'elettrone emette o assorbe
questa piccola quantità di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica
di determinata lunghezza d’onda o, se si preferisce, di determinata frequenza.
La frequenza di un’onda rappresenta il numero delle oscillazioni (dette anche
cicli) dell’onda stessa nell’unità di tempo. Ebbene, il cesio o, più
precisamente, l'isotopo 133 di quell’elemento, emette radiazioni con una
frequenza di 9.192.631.770 cicli al secondo ad ogni inversione di rotazione
dell'elettrone più esterno.
Nel 1967 la XIII Conferenza Generale dei Pesi e Misure adottò la
seguente definizione di secondo: "Il secondo del Sistema Internazionale di
Unità (S.I.) è la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione dovuta alla
transizione fra due livelli energetici iperfini dello stato fondamentale
dell'isotopo 133 del cesio". Questo significa che oggi l’anno non è più
lungo 365,242199 giorni, ma oltre 290 milioni di miliardi di oscillazioni del
cesio. Per la precisione 290.091.200.500.000.000. La precisione di questi
orologi è talmente raffinata da rendere evidenti gli effetti relativistici
delle teorie di Einstein di cui si è detto sopra. Ad esempio su una montagna
dove la distanza dal centro di gravità è maggiore che in pianura,
l’attrazione gravitazionale sarà minore e il tempo accelererà secondo quanto
previsto dalla teoria relativistica. Proprio al fine di eliminare possibili
piccole differenze dovute a situazioni locali l’ora del nostro pianeta è una
media statistica delle diverse ore registrate da 200 orologi al cesio
distribuiti in 50 laboratori sparsi in tutto il mondo. Per questa ragione il
tempo su cui viene calcolata l’ora locale è chiamato UTC (Tempo Universale
Coordinato). Si chiama Universale perché è accettato da tutti i Paesi e
coordinato perché tutti i laboratori del mondo si sono accordati per fornire
segnali di tempo con lo stesso margine di incertezza.
Oggi la precisione prevede un margine di errore di un decimiliardesimo di
secondo al giorno, il che significa che questi orologi per sgarrare un secondo
impiegherebbero trenta milioni di anni. Ma è in allestimento un orologio
atomico ancora più preciso che funziona contando le oscillazioni della luce
emessa da un laser mantenuto in risonanza con le vibrazioni di un singolo atomo
di mercurio. Con questo orologio il margine di errore si ridurrà ulteriormente
fino a un secondo ogni 15 miliardi di anni, la durata dell’intera vita
dell’Universo.
A cosa serve tanta precisione? A nessuno interessa arrivare ad un
appuntamento con la puntualità del miliardesimo di secondo. Le applicazioni
sono in realtà tante anche se molte riguardano solamente la scienza. I sistemi
di telecomunicazione, ad esempio, non potrebbero funzionare con regolarità se
non venisse misurato con precisione il tempo che impiega un segnale per
viaggiare fra satellite e ricevitore. Anche le imprese spaziali non sarebbero
possibili senza questi orologi atomici molto precisi. Per i satelliti
artificiali e le sonde la misura del tempo equivale a conoscere la loro
posizione nello spazio e di conseguenza la posizione in mare di un natante o di
una struttura geologica a terra. 8. IL TEMPO VERO E IL TEMPO CIVILE
Finché l'uomo si spostava a piedi, o tutt'al più a cavallo, e le
comunicazioni a distanza erano praticamente inesistenti, non aveva alcuna
importanza conoscere l'ora delle località lontane dal proprio luogo di
residenza. Anche per questo motivo, ancora nel XVIII secolo, gli orologi non
erano molto diffusi fra la gente comune e le uniche persone veramente
interessate all'uso di questi strumenti per la misura del tempo erano i marinai,
i quali se ne servivano per determinare la longitudine nella quale si trovava la
loro nave, nonché gli scienziati per ottenere le misure di precisione.
Nemmeno per stabilire l’inizio della giornata vi era accordo: presso
alcuni popoli questo coincideva con il tramonto del Sole, presso altri con il
sorgere. Anche in Italia, fino alla fine del 1800, il conteggio delle ore
iniziava al tramonto del Sole. Oggi, in tutto il mondo, nel computo civile del
tempo, l'inizio del giorno è fissato a mezzanotte anche per evitare il
cambiamento di data durante le ore di luce, ma gli astronomi, che di solito
lavorano di notte, per motivi analoghi preferivano considerare l'inizio del
giorno a mezzogiorno. Solo dal 1° gennaio 1925 gli astronomi, sulla base di un
accordo internazionale, hanno deciso di uniformare il loro computo del tempo a
quello civile.
Poiché il Sole, nel suo moto apparente, si muove da est verso ovest,
passa prima sui meridiani dei luoghi posti più ad oriente e poi via via su
quelli dei luoghi posti più ad occidente, conseguentemente tramonta, ad
esempio, prima a Trieste e poi a Genova. Per questo motivo, ad una certa ora di
una sera di primavera, che sappiamo essere la stessa in tutta Italia, a Trieste
sarebbe già buio, mentre a Genova il Sole non sarebbe ancora tramontato e se in
quel momento ci si trovasse a Genova, mentre il giorno prima si era a Trieste,
guardando l’orologio, si avrebbe la sensazione di una giornata più lunga.
Naturalmente, osservando il sorgere del Sole invece che il tramonto, si
arriverebbe a conclusioni opposte. In realtà, fra Trieste ad est e Genova ad
ovest del nostro Paese, vi è una differenza di tempo solare di una ventina di
minuti.
Con l'avvento della ferrovia e del telegrafo i rapporti e gli scambi di
informazioni fra paesi lontani si fecero più rapidi e la situazione cambiò
radicalmente rendendo necessaria l'adozione di ore convenzionali estese su zone
molto ampie. In un primo tempo molti Stati ricorsero alla cosiddetta «Ora
nazionale». Essi decisero cioè di adottare per tutto il loro territorio un'ora
convenzionale unica, corrispondente, in genere, a quella vera della capitale. Ma
anche facendo ricorso a questo artifizio non fu possibile superare alcuni
inconvenienti legati da un lato al fatto che nel passare da uno Stato all'altro
si potevano avere differenze non solo di ore (come d'altra parte avviene
attualmente con il sistema dei fusi orari), ma anche di minuti e di secondi, e
dall'altro alla grande estensione in longitudine di alcune Nazioni nelle quali
finivano per avere la stessa ora luoghi in cui, nello stesso momento, il Sole
appariva ad altezze molto diverse sull'orizzonte. La stessa Italia, alla fine
dell’Ottocento, aveva ben tre ore nazionali: una per la Sardegna basata sul
meridiano di Cagliari, una per la Sicilia basta sul meridiano di Palermo e una
per la penisola basta sul meridiano di Roma.
Si decise quindi di adottare un sistema più pratico e di uso generale
detto «a zone orarie» che era stato elaborato, nel 1859, dall'astronomo
italiano Quirico Filopanti (pseudonimo di Giuseppe Barilli, 1812-1894). Questi era partito dalla
osservazione che il Sole
si muove (apparentemente) intorno alla Terra compiendo un giro completo di 360°
in 24 ore, viaggiando quindi alla velocità angolare di 15° all'ora (360° : 24h
= 15° all'ora). Pertanto, dividendo la Terra in 24 spicchi tutti uguali, di
ampiezza pari a 15° di longitudine, detti fusi
orari, e assegnando a ciascuno di essi un'ora diversa, si sarebbe ottenuto
il risultato di vedere attribuita a tutte le località, poste all'interno dello
stesso fuso, la medesima ora, mentre, le località poste entro fusi diversi,
avrebbero avuto ovviamente ore diverse. Per la precisione, se ci si fosse
spostati verso est, passando da un fuso all'altro, si sarebbe dovuto far
avanzare di un'ora le lancette dell'orologio ad ogni cambiamento di fuso,
mentre, se ci si fosse spostati verso ovest, si sarebbe dovuto operare al
contrario facendo cioè arretrare le lancette dell'orologio di un'ora ogni volta
che si fosse passati da un fuso al successivo.
Il sistema venne discusso nei congressi internazionali di Roma nel 1883 e
di Washington nel 1884 dove fu anche deciso di adottare il meridiano che passa
per l'Osservatorio astronomico di Greenwich (sobborgo alle porte di Londra),
come meridiano di riferimento fondamentale per la localizzazione dei fusi. La
sistemazione dei fusi sulla superficie terrestre, infatti, è un'operazione
convenzionale in quanto nessun meridiano presenta caratteristiche tali da
poter fungere da sistema di riferimento naturale (al contrario di ciò che
avviene per i paralleli dove invece l'equatore svolge questa funzione per la
sua equidistanza dai poli). In realtà, il meridiano che passa per l'osservatorio
astronomico di Greenwich fu scelto, in quell'occasione, sia come sistema di
riferimento per la determinazione dell'ora convenzionale internazionale sia per
la determinazione delle longitudini le quali, da quell'anno, si contarono a
partire proprio da quel meridiano.
Oggi l'Osservatorio di Greenwich non è più in funzione, ma dall'anno
della sua fondazione, avvenuta nel 1675, e fino alla metà del secolo che si è
appena concluso, quando è stato spostato a sud dell'Inghilterra in cerca di
cieli più puliti, è stato di fondamentale importanza per lo studio del
problema relativo alla determinazione della longitudine in mare. Vi è da dire
tuttavia che nonostante gli innegabili meriti scientifici di quella Nazione, non
tutti i Paesi presenti alla conferenza di Washington erano d'accordo con la
scelta di Greenwich come meridiano fondamentale per il computo delle ore in
quanto, secondo loro, la scelta equivaleva a imporre a tutta la Terra l'ora
nazionale inglese. Vi si oppose fermamente la Francia, ritenendo quella
decisione come l’ennesimo tentativo egemonico dell’Inghilterra sulle altre
Nazioni europee. L’Inghilterra, nella seconda metà dell’Ottocento, era
considerata il centro del mondo grazie al suo vasto impero e la Francia, per
alcuni anni, con ostinato orgoglio, mantenne l’ora di Parigi (diversa da
quella di Greenwich di 9 minuti e 21 secondi) come ora nazionale. Alla fine, però,
accettò anch’essa il cambiamento.
La Terra risulta quindi attualmente divisa, per convenzione, in 24 fusi
orari ciascuno dei quali misura 15° in longitudine e il Sole medio, per
percorrerne l’ampiezza, impiega esattamente un'ora. Pertanto, tutte le località
che si trovano entro lo stesso fuso hanno la medesima ora e precisamente quella
che, in quel momento, segna l’orologio posto sul suo meridiano centrale. Il
fuso orario fondamentale (fuso 0) è quello tagliato a metà dal meridiano che
passa per l'Osservatorio di Greenwich e si estende quindi per 7°30' ad est e
per 7°30' ad ovest di tale meridiano. Il tempo civile del meridiano di
Greenwich, considerato come riferimento, viene detto Tempo
Universale (TU), o anche tempo del
meridiano di Greenwich (G.M.T.= Greenwich Mean Time). Gli altri fusi sono
numerati progressivamente, fino al ventitreesimo, procedendo verso est.
In Europa, al fuso 0 corrisponde quella che viene anche detta «ora
dell'Europa occidentale»; al fuso 1, al quale appartiene anche l'Italia,
corrisponde la cosiddetta «ora dell'Europa centrale», al fuso 2 l'«ora
dell'Europa orientale» e al fuso 3 l'«ora di Mosca». L'ora civile in ogni
istante e in ogni fuso è, quindi, quella del meridiano fondamentale del fuso 0,
aumentata di un numero di ore pari al numero del fuso a cui ci si riferisce. Ad
esempio, quando a Londra (fuso 0) sono le ore 16 e 35 minuti ad Atene (fuso 2)
sono le ore18 e 35 minuti e a New York (fuso 19) sono le 11 e 35 del mattino (16h
35m + 19 = 35h 35m – 24h = 11h
35m).
Una volta numerati i fusi e assegnata l'ora alle località che si trovano
al loro interno, i governi delle singole Nazioni decisero, con apposita legge,
l’adesione al sistema internazionale e, contemporaneamente, provvidero a
fissare l'ora da adottare. In alcuni casi fu accettata quella del fuso di
appartenenza, in altri casi si optò per quella di un fuso vicino. Di norma
l'ora venne fissata tenendo conto del fuso orario in cui si trovava la Nazione o
buona parte di essa. L'Italia, ad esempio, aderì alla convenzione il 1°
novembre 1893 e decise di adottare l'ora corrispondente al fuso di appartenenza
(fuso 1) cioè un'ora in più rispetto a quella segnata dal fuso centrato sul
meridiano fondamentale (fuso 0).
Non tutti gli Stati, tuttavia, aderendo alla convenzione, adottarono
l'ora del fuso entro il quale si trova il loro territorio. La Francia e la
Spagna, ad esempio, nel dopoguerra, decisero di assumere l'ora del fuso 1,
quello dell'Europa centrale, e di abbandonare quello di naturale appartenenza,
che sarebbe stato il fuso 0. La scelta è stata determinata, in questo caso, da
motivi di ordine pratico per fare in modo, cioè, che le attività
amministrative e produttive, fossero ritmate sullo stesso orario degli altri
Paesi del Mercato Comune Europeo (MEC).
L'ora adottata dalle diverse Nazioni, come abbiamo visto, è un'ora
convenzionale stabilita per legge e per tale motivo dovrebbe essere definita ora
legale. Tuttavia normalmente quest'ora viene chiamata ora solare, riservando il termine di ora legale a quella che viene adottata d'estate per allungare le ore
di luce serali. Naturalmente l'ora estiva è anch'essa un'ora legale in quanto
stabilita per legge e pertanto, sotto questo aspetto, non diversa dall'altra.
Per ragioni di praticità la forma dei fusi risulta quasi sempre
irregolare perché i limiti che separano i fusi stessi coincidono con i
meridiani solo sui mari o in zone scarsamente abitate, mentre sui continenti
essi seguono i confini fra gli Stati. Le Nazioni di grande estensione, come gli
Stati Uniti d'America o l'attuale Russia, hanno il loro territorio diviso in più
fusi orari.
Infine si osserva che alcuni Stati non hanno aderito alla convenzione per
motivi culturali o di altro tipo. L'India, ad esempio, il cui territorio
dovrebbe essere attraversato da ben tre fusi orari, adotta invece un'unica ora
nazionale, corrispondente a 5 ore e mezza in più rispetto a quella del primo
fuso orario.
Molto diffuso, in questi ultimi anni, è diventato l'uso della cosiddetta
ora legale (o ora estiva), cioè l'adozione, durante l'estate, non più dell'ora
del fuso di appartenenza, ma di quella del fuso posto immediatamente ad est: ciò
equivale a mettere le lancette dell'orologio avanti di un'ora. In questo modo si
viene a trasferire alla sera un'ora di luce del mattino, generalmente poco
usata. Questa pratica si dimostra particolarmente efficace nelle zone urbane
dove le industrie possono risparmiare energia elettrica e la gente può
beneficiare di un'ora di luce in più la sera. Essa però non ha senso nelle
regioni poste molto a nord dove d'estate le giornate sono molto lunghe e le
notti brevi o nelle zone tropicali dove le ore di luce e quelle di buio sono più
o meno uguali in tutto l’anno. L'ora legale è in adozione in Italia dal 1966,
ma era già stata instaurata, per la prima volta, nel 1916 e successivamente per
gran parte del secondo conflitto mondiale e per alcuni anni dell'immediato
dopoguerra. Dal 1980 è stata definitivamente accolta da tutti i Paesi europei a
partire dalle ore 2 dell’ultima domenica di marzo fino alle ore 3
dell’ultima domenica di ottobre. 9. LA LINEA DEL CAMBIAMENTO DI DATA
Come abbiamo detto, ogni volta che si attraversa un fuso, si deve
spostare l'orologio di un'ora avanti o indietro a seconda della direzione in cui
si viaggia. Se si viaggia verso ovest, passando da un fuso all'altro, si deve
mettere l'orologio indietro di un'ora; viaggiando invece verso est si deve fare
l'operazione contraria e cioè, passando da un fuso a quello successivo, mettere
l'orologio avanti di un'ora. Se si facesse il giro del mondo, a che ora e in che
giorno ci si ritroverebbe al punto di partenza?
Per rispondere alla domanda immaginiamo di fare un viaggio in aereo
intorno alla Terra partendo da Roma alle sei di sera di una bella giornata
primaverile quando il Sole è prossimo al tramonto e di dirigerci proprio in
quella direzione (verso ovest) ad una velocità tale da neutralizzare il suo
moto apparente. Immaginiamo, in altri termini, che il nostro aereo si muova alla
stessa velocità di rotazione della Terra, ma nel senso contrario. In queste
condizioni noi vedremmo, per tutta la durata del viaggio, il Sole davanti agli
occhi come era al momento della partenza e si avrebbe la stessa sensazione che
si ha quando si sale una scala mobile, ma dalla parte sbagliata. Nel caso del
nostro esempio, se si salissero gli scalini ad una velocità tale da compensare
il moto meccanico della scala in discesa, si rimarrebbe praticamente sempre
fermi nello stesso posto e si avrebbe, davanti agli occhi, sempre la stessa
visuale.
Oggi, un viaggio in aereo intorno al mondo senza scalo, a parte forse il
problema del rifornimento di carburante, sarebbe anche concretamente
realizzabile. Basterebbe infatti che il nostro aereo viaggiasse lungo il
parallelo corrispondente alla latitudine di Roma ad una velocità di poco
superiore a quella del suono (circa 1200 kilometri all’ora). Partendo allora
da Roma alle 18 e viaggiando verso ovest, si vedrebbero passare successivamente,
sotto l'aereo, le città di New York, S. Francisco, Tokyo, Pechino e Teheran
mentre si continuerebbe a vedere il Sole sempre nella stessa posizione, cioè
davanti agli occhi, basso sull'orizzonte, là dove era al momento della partenza
da Roma. Durante il viaggio il nostro orologio, naturalmente, mostrerebbe il
passare del tempo e cioè, un'ora dopo la partenza, indicherebbe le diciannove,
poi le venti, le ventuno e così via. Volendo però restare in sintonia con il
Sole il quale, come abbiamo detto, rimane fermo sempre nello stesso punto,
saremmo costretti, di tanto in tanto, a portare indietro l'orologio che verrebbe
quindi messo continuamente in orario in modo da segnare costantemente le sei di
sera, come d'altra parte ci rammenta il Sole che si mantiene sempre nella stessa
posizione in prossimità del tramonto come era al momento della partenza.
Completato il giro della Terra si atterrerebbe a Roma che sarebbero
ovviamente le sei di sera, col Sole prossimo al tramonto quindi esattamente
nella stessa posizione in cui si trovava al momento della partenza. Sarà anche
lo stesso giorno? Evidentemente no, in quanto il viaggio è durato 24 ore e
infatti a Roma sono sì le sei di sera, ma del giorno seguente a quello della
partenza del nostro aereo. Evidentemente, durante il viaggio, oltre a cambiare
in continuazione l'ora avremmo dovuto, ad un certo punto, cambiare anche la data
e mettere quella del giorno dopo. Qual era il momento più opportuno per
cambiare la data? Prima di rispondere vediamo che cosa succederebbe se il
viaggio venisse effettuato nell'altro senso, cioè sfuggendo il Sole invece che
andandogli incontro.
Se ci si dirigesse, sempre in aereo e sempre alla velocità di circa 1200
km/h verso oriente, pertanto in direzione Teheran, Pechino, Tokyo, San
Francisco, New York, Roma, ci si sposterebbe nel senso della rotazione terrestre
e quindi, in questo caso, alla velocità dell'aereo, si sommerebbe quella di
rotazione della Terra come avviene quando sulla scala mobile al movimento
meccanico si aggiunge quello della persona che sale gli scalini: si ottiene
l'effetto di arrivare più velocemente in cima alla scala.
Nel nostro viaggio si vedrebbe il Sole allontanarsi velocemente verso
occidente (cioè alle nostre spalle) e sorgere per due volte, davanti agli
occhi, prima di arrivare a destinazione. Si tornerebbe quindi a Roma alle sei di
sera, convinti che siano passati due giorni da quello della partenza, ma in
realtà solo uno dei due sarebbe stato speso per il viaggio, mentre l'altro
sarebbe passato a causa del moto di rotazione della Terra.
In effetti, in entrambi i casi (viaggio verso occidente e viaggio verso
oriente), avremmo compiuto il nostro giro intorno alla Terra in un sol giorno.
Pertanto, volendo tornare a Roma in accordo con la data locale, si sarebbero
dovute cambiare, durante il viaggio, non tanto le ore sull'orologio che in realtà
sono rimaste le stesse, quanto piuttosto la data sul calendario e precisamente,
nel primo caso (viaggio verso ovest), si sarebbe dovuto aumentare di un giorno
la data della partenza; nel secondo caso (viaggio verso est) sarebbe stato
necessario diminuire di un giorno la data della partenza e quindi ripetere due
volte lo stesso giorno perché, in questo secondo viaggio, si sarebbe avuta
l'illusione di aver vissuto un giorno in più.
Vediamo ora quale sarebbe il momento più opportuno per cambiare data.
Immaginiamo allora di trovarci sul meridiano di Greenwich a mezzogiorno di una
domenica qualsiasi, e chiederci che ora è in quel preciso istante
sull'antimeridiano, cioè dall'altra parte della Terra. Ovviamente si risponderà
mezzanotte. Giusto, ma mezzanotte fra domenica e lunedì o mezzanotte fra sabato
e domenica?
Come abbiamo visto, tutto dipende dal modo in cui si arriva
sull'antimeridiano: se cioè avanzando lungo i fusi da est verso ovest o
viceversa.
Se ci si arrivasse procedendo verso ovest, cioè mettendo indietro l'orologio di
un'ora ad ogni passaggio di fuso, si arriverebbe all'antimeridiano di Greenwich
che sarebbe mezzanotte fra sabato e domenica (per la precisione sarebbero le 24
di sabato o, se si preferisce, le 0 di domenica: giorno, quest'ultimo, che
sarebbe quindi appena iniziato); se ci si arrivasse procedendo verso est, cioè
mettendo avanti l'orologio di un'ora ad ogni passaggio di fuso, si arriverebbe
all'antimeridiano di Greenwich che sarebbe mezzanotte fra domenica e lunedì
(per la precisione sarebbero le 24 di domenica o, se si preferisce, le 0 di
lunedì).
L'antimeridiano di Greenwich ha quindi una strana caratteristica: separa
due zone che hanno la stessa ora, ma date diverse. Per la precisione, le località
ad est di quel meridiano si trovano nella giornata precedente a quella delle
località poste ad ovest. E quindi proprio l'antimeridiano di Greenwich
corrisponde al luogo sul quale deve avvenire il cambiamento di data. Infatti
questo meridiano si chiama «linea internazionale del cambiamento di data», ed
è in realtà una linea sinuosa tracciata in quel modo al fine di evitare isole
ed arcipelaghi sui quali, in caso contrario, emergerebbero problemi legati alla
presenza contemporanea di due date diverse per luoghi limitrofi.
Proprio per evitare di avere sullo stesso territorio date diverse la
linea di cambiamento di data passa in mezzo all'Oceano Pacifico lasciando ad
oriente i possedimenti americani e ad occidente quelli asiatici. E' evidente,
infatti, che la scelta del meridiano di Greenwich quale sistema di riferimento
dell'ora internazionale, come si ricorderà, è stata determinata indubbiamente
da motivazioni di carattere politico, ma anche perché il suo antimeridiano
passa attraverso l'Oceano Pacifico, cioè attraverso una zona scarsamente
abitata.
Si provi a pensare che cosa accadrebbe qualora la linea di cambiamento
di data passasse attraverso una
zona abitata, magari proprio per il centro di una città. Succederebbe che per
metà degli abitanti di quella città sarebbe un certo giorno della settimana e
per l'altra metà un altro. Non è difficile immaginare i disagi organizzativi
e di altro genere derivanti da questo fatto; disagi che si farebbero sentire
soprattutto a fine settimana quando metà della città si sveglierebbe per
ritornare al lavoro dopo la domenica di riposo e l'altra metà rimarrebbe a
letto a poltrire nel giorno di festa.
E' evidente che la linea di cambiamento di data non si attraversa solo a
mezzanotte: l'attraversamento potrebbe infatti avvenire a qualsiasi ora del
giorno. In ogni caso però, varcando quella linea, si passerebbe al giorno
successivo se ci si dirigesse verso ovest (dalle Americhe verso l'Asia) e si
ripeterebbe lo stesso giorno se ci si dirigesse verso est (dall'Asia verso le
Americhe). Infatti, come abbiamo visto, girando intorno alla Terra, una volta in
un senso e una volta nell'altro, si arriva al fuso che contiene
l'antimeridiano di Greenwich sempre alla stessa ora, ma in due date diverse.
Il fatto di contare un giorno in più o un giorno in meno, quando si
compie il giro della Terra, non dipende ovviamente dalla divisione della stessa
in fusi orari perché, come si sarà capito, lo scompenso di un giorno è
causato unicamente dalla direzione che si segue nel compiere il periplo della
Terra e non dal fatto che la stessa sia stata divisa in fusi.
Nel secolo scorso Jules Verne, proprio pochi anni prima che fosse
introdotto il sistema dei fusi orari, scrisse il famosissimo "Giro del
mondo in ottanta giorni" un libro che meglio di qualsiasi testo scolastico
spiega come funzioni la questione del cambiamento di data. Nel libro il
protagonista, Phileas Fogg, che aveva scommesso di riuscire a compiere il giro
del mondo in 80 giorni, viaggiando verso est, alla fine ritorna in Inghilterra
convinto di aver viaggiato per 81 giorni (quanti in effetti ne aveva contati
segnandosi scrupolosamente tutte le levate del Sole) e quindi rassegnato ad aver
perso la scommessa. Egli invece, rispetto ai londinesi che erano rimasti a casa
loro, aveva contato un giorno in più, quindi in realtà aveva viaggiato solo
per 80 giorni e infatti vinse la scommessa e ritirò il premio.
Un caso analogo, ma in senso opposto, avevano già sperimentato i marinai
di Magellano i quali avevano impiegato tre anni a fare il giro intorno al mondo
viaggiando sempre verso ovest. Essi al ritorno toccarono la costa spagnola
quando il loro giornale di bordo segnava la data di sabato 5 settembre 1522
mentre, per gli abitanti del luogo, era già domenica 6 settembre. I giorni
contati dai marinai di Magellano (il quale, per sua sventura, era stato ucciso
durante il viaggio) e registrati con scrupolo dal vicentino Antonio Pigafetta,
erano uno in meno rispetto a chi era rimasto a casa perché viaggiando verso
ovest si sfugge dal Sole e quindi in un giro completo intorno alla Terra si vede
il Sole sorgere una volta di meno rispetto a chi sta sempre fermo nello stesso
posto. 10. LA MISURA DEL TEMPO E LA
NAVIGAZIONE
Come abbiamo già detto, fino all’Ottocento la necessità di disporre
di uno strumento in grado di misurare con precisione il tempo non era così
importante per la gente comune, come invece lo è oggi: nessuno doveva prendere
il treno alle 17.02 e nessuno doveva firmare il cartellino alle 7.45. La vita
giornaliera di quei tempi lontani era molto semplice, e il fatto di non
possedere un orologio non causava alcun disagio.
Non era così invece per gli scienziati per i quali avere a disposizione
strumenti di misura molto precisi comportava la possibilità di fare misurazioni
altrettanto precise e poter quindi penetrare nei più profondi misteri della
natura. Ma ancor di più questa esigenza era sentita dai capitani di lungo
corso, per i quali possedere un orologio più o meno preciso poteva
rappresentare addirittura una questione di vita o di morte.
Come tutti sanno, la posizione in mare di una nave, come d'altra parte di
un qualsiasi oggetto sulla superficie terrestre, è determinata con precisione
quando, di quella posizione, siano note la latitudine e la longitudine. Per quel
che riguarda la latitudine non vi erano problemi di sorta in quanto, già dal
tempo degli antichi greci, si sapeva che l'altezza delle stelle e del Sole
sull'orizzonte cambiava non solo con le stagioni ma anche con la latitudine, cioè
spostandosi verso le zone polari o verso quelle equatoriali. Per misurare la
latitudine non si doveva far altro, quindi, che determinare l'angolo che la
visuale ad una stella (o al Sole) formava con l'orizzonte.
La determinazione della longitudine era invece tutt'altro discorso. In
questo caso, nonostante ci si potesse arrivare anche attraverso l'osservazione
dei corpi celesti, i calcoli erano molto complicati e difficile era soprattutto
compiere misurazioni sufficientemente precise dal ponte di una nave in movimento
e magari sballottata dalle onde di un mare in tempesta. Ma spesso i metodi
proposti erano addirittura fantasiosi e, in ogni caso, privi di punti materiali
di riferimento: la conseguenza di tutto ciò era che le navi finivano spesso
incagliate sui bassi fondali o contro gli scogli.
In realtà, a quel tempo, il problema essenziale per la determinazione
della longitudine in mare era di aver ben presente, in ogni momento del viaggio,
l'ora locale del porto di partenza. Questo dato, unitamente alla misurazione
dell’altezza del Sole sull’orizzonte, avrebbe permesso di stabilire lo
spostamento in longitudine della nave e quindi la sua esatta posizione in mare.
Ma per avere l'ora locale del porto di partenza era indispensabile possedere un
orologio che segnasse con precisione il tempo. «Tutto quello che occorre, per
risolvere il problema del calcolo della longitudine - diceva Isaac Newton,
consulente scientifico del governo britannico - è un buon orologio che segni
l'ora con precisione».
Poiché, come abbiamo visto, la Terra gira su sé stessa alla velocità
angolare di 15° all'ora, e quindi di riflesso il Sole e le stelle si muovono
alla stessa velocità, ma in senso contrario, per conoscere la differenza di
longitudine fra due località qualsiasi sarebbe stato sufficiente conoscere, di
quelle due località, la differenza di orario in un determinato momento. Questa
differenza di ora, moltiplicata per 15, avrebbe fornito quindi la differenza di
longitudine, in gradi, fra le stesse due località.
Disponendo quindi di un orologio che indicasse il tempo locale di un
punto qualsiasi preso come riferimento (per esempio quello del porto di partenza
della nave, come si faceva quando il sistema dei fusi orari non era stato ancora
introdotto), determinare la longitudine sarebbe stato altrettanto facile che
determinare la latitudine. Sarebbe bastato infatti determinare l'istante del
mezzogiorno del luogo in cui ci si trovava e confrontarlo con quello segnato,
nello stesso istante, dall’orologio riferito al luogo di partenza. Se ad
esempio nel luogo preso a riferimento fossero state le 9 del mattino, quando in
quello in cui ci si trovava in quel momento erano le 12, ci si sarebbe trovati
tre ore ad est del luogo di riferimento, corrispondente ad una longitudine di 45°
est (3h x 15° = 45°).
Oggi, come abbiamo detto, tutte le longitudini si riferiscono al tempo
medio di Greenwich e non è difficile conoscerne l’ora: basta accendere la
radio e sintonizzarsi su una delle numerose stazioni che forniscono il tempo
medio del meridiano fondamentale (o puntare le più moderne apparecchiature
verso i numerosi satelliti adibiti allo scopo), ma nel 1700 la radio non era
disponibile (e tanto meno lo erano i satelliti artificiali), né erano
disponibili orologi sufficientemente precisi da installare a bordo delle navi.
Le clessidre erano degli orologi molto imperfetti e sulla nave, sballottata
dalle onde, diventavano ancora più inaffidabili. Per quanto riguarda gli
orologi a pendolo, bastava molto meno di un mare in tempesta per metterli fuori
uso; non rimaneva che affidarsi alle stelle, o meglio, seguire il moto dei
pianeti e dei loro satelliti la cui posizione appare differente quando sono
osservati da punti diversi della Terra.
E in effetti il problema relativo alla determinazione della longitudine
in mare, soprattutto dopo che i viaggi fra l'Europa e le Americhe si fecero più
frequenti, divenne urgente e assillante tanto che di quell'argomento finirono
per occuparsi un po' tutti, e non solo i geografi e i navigatori come era stato
fino ad allora.
Si interessò del problema anche Galilei il quale aveva pensato di
sfruttare il moto dei satelliti di Giove da lui stesso scoperti pochi anni
prima: essi potevano essere osservati contemporaneamente da luoghi posti anche a
notevole distanza, dai quali, ovviamente, i satelliti stessi sarebbero apparsi
in posizioni diverse. Se fosse stato quindi possibile prevedere con precisione
istante per istante, e per molti mesi dell'anno, la posizione dei satelliti di
Giove, i navigatori avrebbero avuto a disposizione un'effemeride dettagliata di
questi astri.
Le difficoltà di applicabilità del metodo erano molteplici.
Innanzitutto non poteva funzionare con il cielo coperto di nubi che avrebbe
impedito di osservare gli astri; tuttavia non era questa l’unica difficoltà
che si poteva incontrare. Anche con il cielo sereno non era facile osservare,
attraverso il telescopio, dal ponte di una nave in movimento, oggetti celesti
così poco luminosi come sono i satelliti di Giove. Vi era inoltre il problema
dei calcoli che apparivano piuttosto complicati.
Anche Newton propose una soluzione astronomica per la determinazione
della longitudine in mare, utilizzando la Luna invece che i satelliti di Giove.
L'osservazione della Luna che si sposta rispetto allo sfondo delle stelle fisse,
dal ponte di una nave in movimento, è in effetti più agevole (sempre che il
cielo sia sereno) di quella dei satelliti di Giove. Rimaneva tuttavia, anche in
questo caso, la difficoltà legata ai calcoli, un problema tanto difficile da
causare il mal di testa, per sua stessa ammissione, perfino al grande
matematico inglese.
Pochi anni più tardi, tuttavia, lo scienziato svizzero Eulero, già
citato in precedenza, scoprì nuove tecniche matematiche che consentivano di
semplificare notevolmente i calcoli. Ma proprio nel momento in cui sembrava
utilizzabile la Luna come orologio astronomico, un'invenzione meccanica determinò
l'abbandono del metodo. 11. LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA DELLA
LONGITUDINE
Tutto iniziò nel 1707 quando, a causa di un grossolano errore nella
valutazione della posizione in mare, un'intera flotta della marina inglese andò
a finire contro gli scogli delle isole Scilly subendo il più grande naufragio
in tempo di pace che la storia ricordi. In quell’occasione affondarono quattro
navi e perirono circa 2.000 uomini, fra i quali lo stesso ammiraglio. Il
disastro fu causato in realtà da un errore nella misurazione della latitudine,
e non della longitudine, tuttavia era noto a tutti che le difficoltà maggiori
nella navigazione derivavano dall'impossibilità di determinare con precisione
la longitudine di un punto.
In seguito a quella tragedia, il problema venne affrontato con decisione
dal Parlamento inglese il quale, nel 1714, stabilì di assegnare un premio di
20.000 sterline (pari a circa 10 miliardi di lire odierne) a chi fosse riuscito
a trovare un metodo di facile utilizzo e impiego (la dizione esatta era "useful
and practicable", cioè utile e realizzabile) per la determinazione della
longitudine in mare, con un margine di errore non superiore al mezzo grado.
Si instaurò allora una specie di sfida fra l'accademico tedesco Tobias
Mayer il quale, utilizzando le tecniche matematiche suggerite da Eulero, si
impegnò in una serie di calcoli che gli consentirono di pubblicare, nel 1752,
le effemeridi della Luna in una forma adatta alla determinazione della
longitudine in mare, e un certo John Harrison, un orologiaio figlio di un
carpentiere dello Yorkshire, il quale invece si cimentò nella costruzione di un
orologio in grado di segnare con precisione le ore anche a bordo di una nave in
navigazione con mare agitato.
La sfida alla fine fu vinta da Harrison il quale costruì un «cronometro»
(dal greco khronos = tempo e metron
= misura) che si dimostrò subito molto preciso, tanto che già al primo viaggio
superò la prova con tale sicurezza da far pensare a qualche errore di misura o,
peggio ancora, a degli imbrogli nelle rilevazioni. Naturalmente, il comitato di
esperti preposto alla valutazione dei risultati prese la palla al balzo e, nel
dubbio, si rifiutò di pagare il premio all’esterrefatto orologiaio inglese.
Harrison, tuttavia, non si perse d'animo di fronte alla prima delusione e
costruì, nei venticinque anni che seguirono, altri tre orologi, l'ultimo dei
quali, quello contrassegnato con la sigla H4, si dimostrò talmente preciso che
in un viaggio di prova di cinque mesi, fino a Giamaica, superò l'esame con una
precisione superiore ai 30" d'arco. In alcuni viaggi successivi la
precisione fu ancora maggiore, tuttavia il governo inglese non si decideva a
pagare il premio perché riteneva che l'orologiaio, per aver diritto al
compenso, avrebbe dovuto fornire anche gli schemi della costruzione del
cronometro, mentre egli si ostinava a tenerli segreti.
La clausola che dava diritto al premio prevedeva infatti che il metodo
per la determinazione della longitudine dovesse essere oltre che praticabile
anche utile e senza poter disporre dei progetti di costruzione i commissari
reputavano che il cronometro costruito da Harrison non potesse essere pienamente
utilizzabile. Alla fine, dopo quarant'anni di discussioni e rinvii, John
Harrison (che nel frattempo aveva anche rivolto una petizione personale a re
Giorgio III) ormai vecchio e sfiduciato, nel 1773, ottenne finalmente il premio.
Tre anni dopo morì.
Al tedesco Mayer andò anche peggio: egli pensava che per nulla al mondo
l'Inghilterra avrebbe consegnato un premio in denaro ad uno straniero e quindi
non si fece mai soverchie illusioni. In realtà, il metodo della determinazione
della longitudine attraverso gli spostamenti della Luna richiedeva osservazioni
molto precise e calcoli molto complicati che, anche facendo uso delle tavole
predisposte dallo scienziato, impegnavano una persona esperta per molte ore.
Mayer morì nel 1762 senza vedere il becco di un quattrino mentre i suoi eredi,
dopo molte peripezie giudiziarie, riuscirono finalmente a farsi corrispondere
dal governo inglese 3.000 sterline: circa un terzo del premio previsto dal
regolamento per la determinazione meno precisa.
In verità il premio pagato a Mayer fu molto basso perché il governo
inglese ritenne che i calcoli eseguiti dallo scienziato tedesco, per la
preparazione delle sue tavole, non avrebbero mai potuto essere condotti a buon
fine senza far uso delle eleganti equazioni di Eulero al quale, forse anche per
giustificare l'esigua somma consegnata agli eredi di Mayer, venne corrisposto un
modesto premio di 300 sterline. fine |