I NUMERI
"Dio creò i numeri, tutto il resto è opera
dell'uomo". Questa è l'opinione di Leopold Kronecker, un matematico
tedesco vissuto nell'Ottocento. L'affermazione è perentoria e sembra quasi
invitarci a non indagare troppo sulla natura dei numeri. Noi invece vogliamo
disattendere il pensiero di Kronecker perché siamo convinti che il Padreterno
può aver creato tutt'al più le pecore e tutte le altre cose del mondo, ma non
i numeri i quali invece sono stati inventati dall'uomo proprio per poter contare
le pecore e tutte le altre cose create da Dio. Cominciamo allora con l'osservare che il sistema
di numerazione che usiamo abitualmente è quello decimale, cioè contiamo e
scriviamo i numeri per decine; ciò potrebbe non essere casuale.
L'uomo primitivo, per contare, potrebbe essersi servito di parti del
proprio corpo, per esempio delle mani e delle relative dita. Tutti abbiamo
sperimentato che il modo più naturale di contare è quello di chiudere le mani
(o anche una sola mano) a pugno e quindi sollevare un dito per volta in
corrispondenza di ogni oggetto dell'insieme che si vuol contare. Se l'evoluzione
avesse sviluppato solo quattro dita per mano, l'uomo avrebbe probabilmente
elaborato un sistema di numerazione «quaternario» o «ottale», cioè a base
quattro o a base otto. Questo convincimento poggia anche sul fatto che
sono esistiti in passato ed esistono anche attualmente, presso alcune
popolazioni, conteggi e registrazioni dei numeri basati sulle dita di una sola
mano (sistema di numerazione «quinario»), o sulle venti dita complessive delle
mani e dei piedi (sistema di numerazione «vigesimale»). La numerazione
celtica, ad esempio, era una numerazione a base venti e i francesi, nella loro
lingua, conservano il ricordo del modo di indicare i numeri di quell'antica
popolazione. Per dire ad esempio ottanta, i francesi dicono quatre-vings, cioè
quattro volte venti. Esistono anche delle basi di numerazione che non
derivano dall'anatomia del nostro corpo, ma dall'astronomia, come le numerazioni
per dozzine o per sessantine, che si usano ad esempio quando si conteggia il
tempo, dove, come tutti sanno, sessanta secondi sono un minuto e sessanta minuti
sono un'ora e dove un giorno è fatto di ventiquattro ore e in un anno vi sono
dodici mesi. 1. LA FANTASTICA STORIA DEI NUMERI I Caldei, gli antichi abitanti della Mesopotamia,
avevano osservato che il Sole sorgeva, nei vari periodi dell'anno, in punti del
cielo via via diversi e che dopo un anno, cioè dopo circa 360 giorni, il ciclo
ricominciava. Essi notarono anche che la Luna riduceva le sue dimensioni giorno
dopo giorno per poi ritornare a crescere ed assumere nuovamente l'aspetto di
"Luna piena" dopo 30 giorni circa. Ora, 360 diviso 30 fa 12 e 12 erano
appunto le costellazioni dello zodiaco, ossia i settori del cielo occupati da
stelle che la fantasia degli antichi assimilava prevalentemente ad animali,
entro i quali trovava sistemazione il Sole nei dodici periodi nei quali era
stato diviso l'anno. L'anno in realtà non dura 360 giorni, ma 365 e 6
ore circa, né vi sono 12 "lune", cioè 12 mesi di trenta giorni in un
anno, e quindi la divisione dell'anno suggerita dai Caldei dovette essere
successivamente corretta, ma rimase inalterata la suddivisione della
circonferenza in 360 parti, chiamate «gradi». La ripartizione della
circonferenza in gradi è legata quindi alla divisione della linea
dell'orizzonte in 360 parti, e pertanto ha origine astronomica. Trecentosessanta
però è un numero troppo grande per servire come unità di misura e i
Caldei preferirono, come base per una numerazione, la sua sesta parte, cioè il
numero sessanta. Una volta risolto il problema di come contare
rimaneva quello di registrare i numeri, cioè di scrivere ciò che si era
contato. I primi simboli, utilizzati per scrivere i numeri, erano delle
raffigurazioni schematiche dette cuneiformi perché venivano ottenute
affondando, su tavolette d'argilla, la punta di uno stilo metallico. Essi furono
introdotti dai Babilonesi circa tremila anni prima di Cristo. Successivamente,
vennero utilizzati anche dagli Egizi che per scrivere i numeri adottarono un
sistema a base decimale. Vi era un simbolo speciale per ogni potenza del dieci e
per scrivere gli altri numeri si ricorreva ad una legge additiva che consisteva
nel ripetere più volte lo stesso simbolo (al massimo però fino a nove volte,
perché poi c'era un apposito simbolo per scrivere il numero superiore). I Greci furono pessimi matematici pur essendo
stati ottimi geometri tanto che la geometria che si studia oggi nelle scuole è
la cosiddetta geometria euclidea, formulata dal greco Euclide circa 300 anni
prima di Cristo. I greci, per scrivere i numeri, si avvalsero di diversi
sistemi, tutti molto approssimativi e di difficile impiego. Il più diffuso
utilizzava le lettere dell'alfabeto che, a quel tempo, era costituito di
ventisette simboli. Il motivo per il quale i greci erano piuttosto
arretrati nella scrittura dei numeri e conseguentemente nella pratica del
conteggio risiede nel fatto che nella loro cultura le arti pratiche, cioè le
attività di cui si occupavano i commercianti e gli artigiani, erano considerate
attività di minor valore rispetto a quelle prive di fini utilitaristici come la
filosofia e la poesia alle quali si dedicava la classe dirigente. Questa
specie di indifferenza o addirittura di disprezzo verso il "far di
conto" si protrarrà, nei Paesi d'Europa, per tutto il Medioevo e, secondo
alcuni, dura tutt'oggi. I Romani adottarono un sistema di numerazione a
base decimale i cui simboli, i cosiddetti «numeri romani», erano una
modificazione dei simboli adoperati dagli Etruschi, gli antichi abitanti
dell'Italia centrale, i quali si ispirarono, per la loro rappresentazione, alla
forma delle mani e delle dita. I primi tre simboli della numerazione romana
rappresentano una (I), due (II) o tre (III) dita distese della mano, il cinque
(V) ravvisa il disegno schematico della mano aperta e il dieci (X) potrebbe
essere la rappresentazione approssimativa di due mani aperte e congiunte,
attraverso i polsi, in senso opposto. I Romani, per scrivere i numeri, riuscirono ad
utilizzare meno simboli dei loro predecessori in quanto si avvalsero sia
dell'addizione che della sottrazione. Quando i simboli si susseguivano da
sinistra a destra in ordine di valore crescente allora si sommavano, se invece
una cifra di minor valore precedeva una di maggior valore allora veniva
sottratta. Così, ad esempio, "XVI" significava dieci più cinque più
uno, cioè sedici, mentre "IV" significava cinque meno uno, cioè
quattro. 2. LE DIFFICOLTA' DEL "FAR DI CONTO" Le numerazioni dell'antichità non erano molto
adatte per fare calcoli, e specialmente non lo era quella romana. Immaginiamo di
dover sommare il numero XVI al numero IV o peggio ancora di dover moltiplicare
il primo per il secondo senza trasformarli prima nel sistema decimale.
L'operazione, come è facile comprendere, risulta tecnicamente pressoché
impossibile. Gli antichi, in verità, per fare i calcoli,
usavano i cosiddetti «abachi», cioè tavolette divise in scomparti nei quali
venivano sistemati dei sassolini che corrispondevano alle cifre di cui erano
composti i numeri; essi funzionavano un poco come funzionano i pallottolieri. In
ciascun scomparto veniva sistemata una serie di sassolini a seconda delle unità,
delle decine, delle centinaia e così via, di cui era composto il numero. Negli
stessi scomparti, in modo coerente, venivano aggiunti i sassolini corrispondenti
al numero che doveva essere sommato. Si contavano quindi tutti i sassolini
presenti nel comparto delle unità e, se superavano il dieci, si lasciavano solo
quelli eccedenti tale numero, mentre, nel secondo scomparto, quello delle
decine, si aggiungeva un sassolino che valeva pertanto quanto dieci del primo
scomparto. Si raggruppavano quindi i sassolini dello scomparto delle decine e,
come nel caso precedente, se superavano il dieci, se ne toglieva appunto tale
numero lasciandone il resto e si aggiungeva quindi un sassolino nello scomparto
delle centinaia e così di seguito. Successivamente, vennero introdotti dei simboli
speciali per ciascun numero da 1 a 9. Con l'introduzione dei nuovi simboli che
probabilmente arrivarono dall'India, e furono chiamati «numeri d'abaco»,
invece che sistemare negli scomparti i sassolini corrispondenti al numero che si
voleva rappresentare, si piazzava direttamente il simbolo equivalente a quella
cifra. In questo modo si arrivò praticamente all'introduzione del sistema
moderno di numerazione. Il sistema moderno di numerazione è detto
posizionale perché ogni cifra di un numero ha un certo significato a seconda
della posizione che occupa all'interno del numero stesso. L'adozione del sistema
posizionale riduce la quantità dei simboli necessari per rappresentare i
numeri. Senza questo artifizio la registrazione di un numero non sarebbe niente
di più di una specie di stenografia, cioè una sequenza di simboli senza senso
logico che certamente non avrebbe consentito alla matematica alcun progresso. 3. LO ZERO Mancava, tuttavia, per arrivare alla scrittura
moderna dei numeri, un perfezionamento di non secondaria importanza:
l'introduzione dello zero, una cifra alla quale nessuno, fino a quel tempo,
aveva ancora pensato. Lo zero venne introdotto, come simbolo della
numerazione, dai mercanti indiani del IX secolo dopo Cristo, i quali si erano
accorti che lasciando degli spazi vuoti, nella scrittura dei numeri, c'era il
rischio di incorrere in equivoci molto seri. Due cifre, per esempio l'uno e il
due, potrebbero indicare, nella numerazione decimale, numeri diversi a seconda
della posizione assunta dai simboli stessi. Essi potrebbero indicare, ad
esempio, il numero 12, ma anche il numero 102 se rimanesse vuoto uno spazio fra
le due cifre. Il pericolo maggiore di errore si sarebbe verificato tuttavia se
gli spazi vuoti fossero stati quelli finali, quindi ad esempio per i numeri 120
o 1200. I mercanti indiani, che erano gente pratica che
non andava troppo per il sottile, al contrario di quanto avveniva per i filosofi
greci per i quali la scienza era un raffinato gioco intellettuale, introdussero,
senza farsi troppi scrupoli, un simbolo specifico per indicare il vuoto. Del
nuovo modo di scrivere i numeri vennero a conoscenza gli Arabi, i quali, essendo
anch'essi dei mercanti, assimilarono immediatamente l'innovazione indiana, e
successivamente la diffusero anche in Europa. Come mai ci volle tanto tempo per capire che lo
zero rappresentava una cifra fondamentale per la scrittura dei numeri? Il fatto
è che i numeri vennero introdotti per contare gli elementi di una collezione e
lo zero, all'interno di questa operazione, rappresenta il nulla, il vuoto. Era
quindi difficile pensare allo zero come a qualche cosa di concreto. Prima dell'invenzione dello zero fu introdotto,
in verità, il punto per indicare lo spazio vuoto. Il punto è il simbolo
visibile di più piccole dimensioni che si possa utilizzare per mostrare qualche
cosa di immateriale e quindi era ciò che più si avvicinava al concetto di
niente. Il punto però non rappresentava un numero, e quindi non poteva dare una
risposta concreta ad un'operazione matematica del tipo, ad esempio, di due meno
due. 4. I SISTEMI DI NUMERAZIONE EXTRAEUROPEI A questo punto, per non essere tacciati di
eurocentrismo, dovremmo occuparci anche dei sistemi di numerazione in uso presso
le altre popolazioni della Terra. Gli eurocentristi sono coloro i quali
ritengono che l'Europa (ma in questo caso sarebbe più giusto dire il bacino del
Mediterraneo) sia al centro del mondo e che la cultura e la civiltà sia un
prodotto esclusivo dei popoli di queste terre e che da qui si sia poi irradiata
nel resto del mondo. Ma non è così. Le popolazioni degli altri continenti come ad
esempio i cinesi, gli indiani (dei quali, per la verità, abbiamo già fatto
cenno), o gli antichi abitanti delle Americhe (i Maya, gli Aztechi, gli Incas)
avevano una loro civiltà e una loro cultura che nulla aveva da invidiare alla
nostra, anzi, per molti aspetti, ne era anche superiore. Per quanto riguarda la matematica, ad esempio, i
Maya, gli antichi abitanti dello Yucatàn, erano in possesso di un sistema di
numerazione essenziale, ma molto efficace. Si trattava di un sistema in base
venti che si fondava su soli tre simboli, il punto per indicare l'1, il trattino
per indicare il 5 e il cerchietto per indicare lo zero. Essi conoscevano quindi
lo zero prima degli europei e grazie ad esso erano in grado di utilizzare il
sistema posizionale per scrivere i numeri. Solo di recente sono venuti alla luce i ruderi
dell'antica civiltà Maya distrutta dai conquistadores
spagnoli del Cinquecento, e si è potuta quindi ricostruire la lingua e la
cultura di quelle antiche popolazioni. Gli europei hanno indubbiamente molti meriti per aver
costruito e diffuso in tutto il mondo una cultura ed una civiltà ricca di
valori, ma purtroppo hanno anche qualche colpa da farsi perdonare. Una di queste
è proprio quella di aver sterminato antiche civiltà del continente americano arrestando, in questo
modo, la loro crescita civile e culturale. 5. SCRIVERE I NUMERI Con l'introduzione dello zero fu quindi possibile
scrivere i numeri senza fare più uso degli abachi. Oggi i numeri vengono
scritti come somme di potenze successive. Pertanto, nella numerazione decimale,
che è quella che ci è più familiare, la prima cifra a destra di un numero a
più cifre, indica quante unità vi sono in quel numero; la seconda cifra indica
quante decine bisogna aggiungere alle unità espresse dalla prima cifra, la
terza cifra indica quante decine di decine (cioè centinaia) bisogna
ulteriormente aggiungere e così via. Il numero 243, ad esempio, può essere scritto
nel modo seguente: 2·102 + 4·x101 + 3·100
che fa appunto 243. La potenza 100, come qualsiasi altro
numero elevato alla zero (escluso lo zero), fa 1. Scrivere un numero, nel
sistema decimale, corrisponde quindi a scrivere una somma ordinata di potenze
decrescenti del 10: si inizia dalla potenza più alta che corrisponde al numero
delle cifre di cui è formato il numero meno una, e poi si cala gradualmente
fino alla potenza zero. Il sistema di numerazione decimale viene detto pertanto
«sistema di base 10». Ma il 10, come abbiamo fatto osservare, non è un
numero che rappresenta qualche proprietà matematica speciale. Esso è
semplicemente una caratteristica anatomica del nostro corpo. Pertanto, il metodo
che abbiamo usato per scrivere un numero di base 10 può essere adattato, senza
alcuna variazione concettuale, per scrivere un numero a base qualsiasi, per
esempio a base 5, o 20, o altro. Se noi, ad esempio, utilizzassimo il sistema di
numerazione quinario, scrivendo il numero 243 intenderemmo esprimere la quantità
seguente: 2·52 + 4·51 + 3·50 che corrisponde
al numero 73 nel sistema di numerazione decimale. Il numero 243 in un sistema di
numerazione a base sessanta vorrebbe invece significare: 2·602 + 4·601
+ 3·600 e rappresenterebbe, verosimilmente, un'indicazione di tempo,
quindi da leggersi 2 ore, 4 minuti e 3 secondi (602 = 3600
sono i secondi in un'ora e 601 = 60 sono i secondi in un
minuto). Uno stesso numero, come abbiamo visto, può corrispondere a quantità
diverse (e a concetti diversi) a seconda del sistema di numerazione utilizzato
per esprimerlo. E' interessante notare che il numero dei «segni»,
cioè il numero delle cifre che può essere utilizzato nei diversi sistemi di
numerazione, è sempre uguale al valore della base. Così ad esempio, nel
sistema di numerazione decimale le cifre che possono venire utilizzate sono
dieci e vanno da 0 a 9. Nel sistema di numerazione a base cinque, analogamente,
avremo solo le cifre 0,1,2,3,4, e il numero 5 verrebbe scritto 10, il numero 6
verrebbe scritto 11, il numero 7, 12 e così via. Allo stesso modo è facile
verificare che maggiore è la base di numerazione minore è il numero delle
cifre necessario per indicare lo stesso numero. Ad esempio il numero 100 che nel
sistema di numerazione decimale richiede tre cifre per essere rappresentato, nel
sistema di numerazione binario necessita di ben sette cifre dovendosi scrivere
1100100, mentre, in un sistema di numerazione per esempio a base 16, ne
richiederebbe due sole e si scriverebbe infatti 64. Il più semplice sistema di numerazione che si può
immaginare è quello binario, cioè a base 2. In esso esistono due sole cifre,
lo zero e l'uno. Il 2 si scrive quindi 10, il 3 si scrive 11, il 4 si scrive
100, e così via. Si noti che il numero 10 rappresenta sempre il simbolo della
base della numerazione che si adotta e quindi vale 2 nel sistema di numerazione
in base due, vale 5 nel sistema in base cinque, vale 10 nel sistema in base
dieci e via dicendo. Prendiamo un numero qualsiasi scritto nel sistema
binario, ed analizziamolo nelle sue parti: scegliamo per esempio il numero 1101.
A quale valore, nel sistema decimale, corrisponde questa scrittura? Il numero
che abbiamo scelto può essere scritto nel modo seguente: 1·23 + 1·22
+ 0·21 + 1·20. Esso, nel sistema di numerazione
decimale, vale quindi 13. 6. NUMERI E COMPUTER Il sistema di numerazione binario ha assunto, in
questi ultimi tempi, notevole importanza a causa del suo impiego nei calcolatori
elettronici, meglio conosciuti con il nome di «computer». I computer (termine
inglese che deriva dal latino "computare", cioè contare) sono appunto
macchine per contare, e sono costituiti da una serie di elementi che possono
assumere solo due posizioni stabili, ad esempio "aperto" o
"chiuso", oppure "passa" o "non passa" (la
corrente elettrica). Questi apparecchi quindi, per contare, possono utilizzare
due sole cifre rappresentate dai due soli stati fisici possibili di cui
dispongono. Il termine binario deriva dal latino
"bis" che significa due volte. In inglese, cifra binaria si dice «binary
digit» da cui l'abbreviazione "bit". Nel linguaggio dei calcolatori
elettronici il bit rappresenta l'unità minima di informazione che il
calcolatore può riconoscere ed è rappresentato dall'assenza o dalla presenza
di un impulso elettronico, cioè da 0 o da 1. Ciascun numero, lettera o simbolo, come ad
esempio $, / o &, battuto sulla tastiera di un computer, viene trasformato
in un gruppo di bit disposti in modo opportuno, chiamato "byte". I
byte sono di diverse grandezze; in codice ASCII (American Standard Code for
Information Interchange = codice standard americano per lo scambio di
informazioni) la grandezza del byte è di 7 bit. Il byte che esprime per esempio
la A maiuscola, in codice ASCII, è 1000001, mentre, per il numero 1, è
0110001. Ogni cifra del byte ha un preciso significato che dipende dalla
posizione che occupa all'interno del numero a sette cifre. Nel codice ASCII, ad
esempio, l'1 iniziale vuol dire che si tratta di una lettera dell'alfabeto,
mentre lo 0 iniziale vuol dire che non si tratta di una lettera
dell'alfabeto. Il byte esprime l'unità di misura della capacità di memoria di
un calcolatore, e i suoi multipli sono il kilobyte (k o kbyte) e il megabyte (M
o Mbyte), pari rispettivamente a mille e a un milione di byte. 7. LA NOTAZIONE SCIENTIFICA Spesso, nella descrizione dei fenomeni naturali,
è necessario far uso di numeri molto grandi o molto piccoli. Queste grandezze
sono del tutto diverse da quelle con le quali siamo abituati a ragionare nella
vita di tutti i giorni, e quindi sfuggono alle capacità immaginative delle
persone comuni. A poco servono espressioni del tipo: miliardi di
miliardi di miliardi, ecc. usate a volte per dare l'idea della grandezza di un
numero, né si otterrebbero risultati migliori scrivendo il numero a molte cifre
per esteso. Quale idea ci si potrebbe fare, ad esempio, leggendo un numero del
tipo: 602.200.000.000.000.000.000.000 se non quella, generica, che
si tratta di un numero molto grande? Come fare allora per rendere semplice e chiaro un
numero a molte cifre e nello stesso tempo comprensibili e veloci le operazioni
di calcolo in cui quel numero eventualmente fosse implicato? Gli scienziati hanno individuato un modo per
scrivere i numeri molto grandi o molto piccoli che si chiama «notazione
scientifica». Con questo metodo di scrittura il numero viene diviso in due
parti, di cui una indica la sua grandezza complessiva ed è chiamata
"ordine di grandezza", mentre l'altra si limita a specificare con
precisione il valore del numero stesso. E più sono le cifre che contiene
quest'ultimo numero, maggiore è la precisione con cui viene definito il numero
complessivo. Per esempio, il numero 149.600.000 che è la
distanza media in kilometri (scritto con il k in linguaggio scientifico
rigoroso) della Terra dal Sole, in notazione scientifica, verrebbe scritto nel
modo seguente: 1,496ּ108 Questa forma, non solo è più economica, ma è
anche più significativa, almeno per gli addetti ai lavori, i quali ne colgono
il contenuto a "colpo d'occhio". L'ordine di grandezza, infatti,
chiarisce subito quanto rilevante è la distanza fra la Terra e il Sole (108
vuole dire centinaia di milioni di km), mentre il pre-fattore 1,496 specifica,
con la precisione massima con cui può essere misurata, il valore di detta
distanza. Il fattore decimale viene trascurato quando si
giudica di secondaria importanza la conoscenza esatta della grandezza di un
valore, mentre la potenza del 10 è già sufficiente per dare un'idea chiara e
concreta delle dimensioni del numero. Dunque possiamo affermare che, quando si
analizza un argomento di carattere scientifico, per dare un senso alle nostre
conoscenze, è importante sapere e ricordare soprattutto gli ordini di grandezza
e le unità di misura. 8. «NUMERI GRANDISSIMI» E «NUMERI PICCOLISSIMI» Quando si tratta di problemi di dimensioni
cosmiche, i numeri molto grandi sono proverbiali. A volte è anche necessario
eseguire delle operazioni con questi numeri, per esempio delle moltiplicazioni,
che, se dovessero essere effettuate applicando le normali regole del calcolo
potrebbero anche metterci in imbarazzo. Per esempio, le stelle contenute mediamente in
una galassia, si contano a centinaia di miliardi, un numero che, trascurando il
pre-fattore, si scrive 1011; e anche le galassie esistenti si calcola
siano centinaia di miliardi (1011). Per indicare quindi il numero
complessivo di stelle presenti nell'Universo intero bisogna moltiplicare cento
miliardi per cento miliardi che fa diecimila miliardi di miliardi, un numero di
23 cifre. Questo valore, scritto per esteso, difficilmente riuscirebbe a dare
un'idea concreta del numero delle stelle presenti nel Cosmo, mentre, in
notazione scientifica, lo stesso numero si ottiene facendo semplicemente la
somma degli esponenti delle potenze di base 10 che esprimono il numero delle
stelle e delle galassie di tutto l'Universo. Quindi basta scrivere: 1011
∙ 1011 = 1022 Il numero delle stelle presenti nell'Universo,
scritto usando le potenze del dieci, sembra un numero molto grande, ma è ancora
poca cosa se paragonato ad altre grandezze fisiche che hanno bisogno di numeri
ben più grandi per essere rappresentate. Per esempio, il numero degli atomi
(principalmente d'idrogeno) che formano una stella grande come il Sole è di 1057,
mentre 1080 è il numero di atomi di cui è costituito l'universo
intero. Che senso avrebbe scrivere quest'ultimo numero facendo seguire all'1
ottanta zeri? E che senso avrebbe ripetere la parola "miliardo" per
nove volte nel tentativo di dare un'idea concreta della grandezza del numero? In modo analogo si possono rappresentare i numeri
più piccoli dell'unità. Prendiamo, per fare un esempio, il numero che esprime
la massa in grammi di una molecola di acqua: questo numero è 2,989∙
10-23.
Se ora dividiamo la massa dell'acqua contenuta in un cucchiaio da cucina, circa
18 grammi, per la massa di una singola molecola otteniamo: 18
g : (2,989∙10-23) g = 18∙3,3456∙1022
= 6,022∙1023, che prende il nome di «Numero
di Avogadro» e rappresenta il numero di particelle presenti in una «mole» di
qualsiasi sostanza. Abbiamo scelto infatti, per fare l'esempio, un cucchiaio che
contenesse proprio 18 g di acqua, ovvero - direbbe un chimico - 1 mole di H2O.
(La mole di una sostanza è il numero di grammi pari al peso molecolare di
quella sostanza; il peso molecolare dell’acqua è 18 quindi 18 grammi di acqua
corrisponde ad una mole di acqua) Quest'ultimo esempio ci permette di farci un'idea
concreta delle dimensioni veramente esigue delle molecole. Se consideriamo che
il numero delle molecole presenti in un cucchiaio d'acqua, cioè in un solo
sorso di questo prezioso liquido, è di un ordine di grandezza superiore al
numero delle stelle presenti in tutto l'universo (÷1022), non
dovrebbe essere difficile rendersi conto di quanto sono piccoli i costituenti
ultimi della materia. fine |