I TERREMOTI
La parola “terremoto” evoca in molti immagini di rovine, di morte e
di sofferenze ma si tratta di sensazioni, per così dire, emotive che riducono
il fenomeno al suo aspetto violento nei confronti dell’uomo indifeso. Il
terremoto in realtà produce danni di ben più ampie proporzioni, e conseguenze
molto più preoccupanti di quello che comunemente la gente pensa: esso non
minaccia solo la vita dell’uomo e l’integrità delle sue opere e
dell’ambiente in cui vive ma interessa anche l’economia e
l’organizzazione sociale di una intera comunità. Il terremoto inoltre, come
una qualsiasi calamità naturale, incide sull’equilibrio mentale delle persone
coinvolte nella tragedia, creando in esse un disagio psichico che può condurre
alla superstizione e a credenze e rituali magici che, in tempi per fortuna
lontani, richiedevano ogni sorta di penitenze e sacrifici umani anche cruenti.
Ciò deriva dal fatto che l’uomo, in modo istintivo, ripone la massima fiducia
nella solidità della terra su cui poggia i piedi, salvo poi dovere constatare
di persona che la terraferma non è poi così ferma come egli aveva sempre creduto.
Per secoli gli scienziati hanno cercato di fare uscire questo fenomeno
dal regno degli indovini e degli astrologi per includerlo nell’ordine naturale
delle cose, ma la spiegazione scientifica del terremoto è venuta solo di
recente quando i geologi hanno potuto fare uso di strumenti in grado di misurare
i lenti movimenti cui è soggetta la crosta terrestre. Le scoperte sono state
sconcertanti: gli oceani si aprono e si chiudono, i continenti vanno alla deriva
separandosi da una parte e scontrandosi dall’altra in titaniche collisioni.
Nell’antichità il minimo movimento tellurico era considerato foriero
di disastri maggiori, quasi un preavviso che ben più dolorose calamità stavano
per abbattersi sulla Terra. Il segno infausto veniva esaminato ed interpretato
dagli indovini e dai sacerdoti i quali stabilivano penitenze e sacrifici per
scongiurare futuri cataclismi non solo di natura geologica ma anche di ordine
politico, sociale e militare. Quei popoli primitivi cercavano anche di dare una
interpretazione “logica” al fenomeno basata su criteri astronomici legati
all’origine della Terra e del Cosmo intero. I miti e le leggende parlano di
animali mostruosi simili a quelli a noi familiari che vivono sottoterra. La
mitologia indù ad esempio immaginava otto possenti elefanti a fare da pilastri
alla Terra; quando uno di loro si stancava scuoteva la testa (come in effetti
fanno questi pachidermi) causando il terremoto. Altri animali venivano deputati
a portare la Terra sul dorso: fra questi vi erano la tartaruga acquatica e un
enorme pesce-gatto che viveva nel fango sotterraneo dove ogni tanto si agitava
producendo un sussulto della Terra sovrastante. E fra tanti non poteva mancare
anche un mito di natura erotica legato ad un focoso gigante sotterraneo che
quando si accoppiava con la sua amata generava un terremoto.
Col passare del tempo in molte mitologie si venne affermando il concetto
di divinità con complicati attributi e motivazioni umane. I membri di
un’antica tribù peruviana pensavano che quando il loro dio visitava la Terra
per contare gli uomini presenti i suoi passi facevano tremare il suolo; per
abbreviarne il compito i cittadini uscivano di corsa dalle case gridando:
“Sono qui, sono qui!” introducendo nella mitologia il buon senso di
abbandonare le fragili abitazioni in caso di terremoto. Le divinità attraverso
interventi di questo tipo mostravano la loro attenzione e il loro interesse per
i fatti terreni.
Con l’avvento del Cristianesimo le cose non cambiarono, anzi
peggiorarono rafforzando l’alone di mistero e di magia che accompagnava il
fenomeno. Le cronache parlano di terremoti che seguirono al martirio di santi
durante le persecuzioni dei cristiani e si legge in scritti medioevali che la
morte e resurrezione di Gesù Cristo furono accompagnate da due violenti terremoti.
Nei Vangeli la stessa fine del mondo è preannunciata da profezie apocalittiche
collegate a sconvolgimenti tellurici.
Anche in epoca moderna, nonostante la sua spiegazione a livello
scientifico, il cataclisma sismico è rimasto circondato dal mistero e alcune
realtà culturali ancora oggi vedono in esso la collera della divinità stanca
dei peccati degli uomini. Il terremoto che colpì Lisbona il mattino del 1°
novembre 1755 scosse la Cristianità non meno di quanto fece sobbalzare il suolo
del Portogallo. I pii abitanti della capitale si trovavano in quel momento in
chiesa a celebrare il giorno di Ognissanti e la chiesa crollò loro addosso.
Coloro che si salvarono fuggirono sulla spiaggia giusto in tempo per essere
travolti da enormi ondate provenienti dall’Atlantico. Questo disastroso
terremoto accompagnato dal maremoto e concluso da un enorme incendio che mandò
in cenere meravigliosi tesori, magazzini ricolmi di preziosi abiti di seta,
mobili di pregio e dipinti di artisti famosi trovò infine d’accordo il potere
politico e quello religioso nell’istituire un “auto da fè” (atto di fede)
che consisteva nel macabro rituale, da parte dell’Inquisizione, di ardere a
fuoco lento alcuni eretici. 1.
CHE COS’È UN TERREMOTO
Per quanto terribile possa apparire il tremito della Terra a chi ne
faccia esperienza diretta esso in realtà è un evento naturale diffuso quanto
il vento e la pioggia. I terremoti non sono infatti fenomeni così rari come si
crede: quelli che si verificano ogni anno in tutta la Terra sono più di un
milione (in media tremila al giorno). Per contro, la maggior parte di essi è
quasi impercettibile e passerebbe inosservata se non ci fossero strumenti molto
sensibili in grado di rilevarne l’esistenza. Ogni anno però si verificano
anche alcuni terremoti di notevole intensità i cui effetti tuttavia non sono
sempre ugualmente catastrofici. Le conseguenze per l’uomo infatti dipendono
oltre che dall’intensità del sisma anche dalla natura del sottosuolo, dalla
densità della popolazione della zona colpita e dal tipo delle costruzioni in
cui la gente abita. Ad esempio il terremoto di Messina del 1908 causò più di
100.000 vittime mentre quello di S. Francisco di due anni prima, nonostante
fosse stato dieci volte più violento, fece solo 1000 morti.
Il terremoto (dal latino tèrrae mòtus = “movimento
della terra”) o sisma (dal greco seismós = “scossa”) è una
vibrazione brusca e violenta di parti più o meno estese della crosta terrestre
la quale trae origine da una zona del sottosuolo in cui si era andata nel tempo
accumulando dell’energia. Questa zona, che per comodità di calcolo viene
considerata un punto, è chiamata ipocentro (o fuoco) mentre il
punto della superficie terrestre posto sulla verticale di essa viene detto epicentro.
I terremoti possono originarsi a pochi kilometri di profondità ma anche a
profondità notevoli, fino ad oltre 700 kilometri sotto la superficie terrestre.
A parità di energia liberata l’ampiezza dell’area in cui il terremoto si
manifesta è tanto meno estesa quanto più è superficiale l’ipocentro. Con il
crescere della profondità dell’ipocentro gli spostamenti del terreno in
superficie si fanno sempre più lievi ma nello stesso tempo si estende l’area
in cui gli effetti del sisma si fanno sentire; da ciò si deduce che i terremoti
più violenti generalmente sono quelli con ipocentro poco profondo.
Lo studio sistematico della sismicità della Terra ha mostrato che la
distribuzione dei terremoti non è casuale ma gli stessi risultano allineati
secondo fasce ben definite geograficamente e ben caratterizzate dal punto di
vista geologico. Ciò era già stato notato verso la metà del Settecento dal
naturalista francese Georges Louis Leclerc de Buffon il quale esprimeva questo
convincimento con una frase rimasta famosa: “là où il a tremblé, il tremblera”,
cioè i terremoti tendono a prodursi sempre nei medesimi luoghi.
Le regioni più sismiche, quelle nelle quali il rischio del terremoto è
più alto, sono fondamentalmente due: il bordo dell’Oceano Pacifico (il
cosiddetto “anello di fuoco” perché in quella zona si realizza anche
un’intensissima attività vulcanica) che comprende da un lato Cile, Perù,
Equador, Columbia, America Centrale, Messico, California e Alaska e dall’altro
Russia, Giappone, Filippine, Nuova Guinea e Nuova Zelanda dove si verifica
l’80% dei terremoti e la fascia mediterranea (all’interno della quale è
inserita anche la nostra penisola) che si protende in Asia fino a congiungersi
con quella del Pacifico attraverso le Indie Orientali: qui si verifica il 15%
dei terremoti. Il rimanente 5%, distribuito nel resto della Terra, è
concentrato soltanto in ristrette aree, con prevalenza sulle creste delle
dorsali medio-oceaniche, mentre praticamente non si manifestano terremoti nel
corpo dei continenti e nei fondi oceanici che sono considerate le zone più
stabili della Terra.
Diverse possono essere le cause che generano il terremoto (ad esempio
eruzioni vulcaniche, collassi di caverne o impatti con meteoriti) ma le più
frequenti sono gli spostamenti reciproci delle zolle di cui è formata la crosta
terrestre. Come tutti possono osservare la crosta terrestre è contorta in
grandi pieghe ed è attraversata da faglie (cioè da spaccature del terreno) più
o meno profonde. Queste strutture non si creano dall’oggi al domani, ma sono
il risultato di piccoli movimenti delle zolle (o placche) in cui è suddivisa la
crosta terrestre. La pianura friulana ad esempio negli ultimi sessanta milioni
di anni si è avvicinata a quella austriaca di quasi 200 kilometri per la spinta
(che continua tuttora) della zolla africana contro quella europea.
Nella maggior parte dei casi i terremoti si generano quando due placche
litosferiche slittano lungo la superficie di separazione (detta piano di faglia)
in direzioni opposte. Normalmente l’attrito impedisce che le zolle si muovano
lungo la linea di contatto ma questa resistenza comporta un notevole accumulo di
tensione nei blocchi rocciosi che lentamente si deformano. Quando lungo il
margine delle placche a contatto le pressioni che si vengono a creare superano
la resistenza dovuta all’attrito, si verifica un improvviso e brusco movimento
reciproco. Un esempio di questo meccanismo di azione si ha in California dove la
gigantesca zolla del Pacifico, spinta dal magma che fuoriesce dalla dorsale
medio-oceanica, entra in contatto con la zolla del Nord-America lungo la famosa
e temutissima faglia di San Andreas: quando l’attrito che si genera fra questi
due enormi blocchi di crosta terrestre raggiunge il limite di resistenza
l’energia lentamente accumulata si scarica tutta insieme generando un
terremoto.
Terremoti si possono generare anche per effetto di moti compressivi che
si concludono con la frattura della roccia che ha superato il limite di
elasticità. Più o meno allo stesso modo si comporta una bacchetta di legno se
viene piegata lentamente ad arco tenendola per le estremità: dopo aver
sopportato a lungo la deformazione improvvisamente essa si spezza e i due
tronconi vibrano per un po’ nelle nostre mani. Dopo che l’equilibrio tra i
blocchi di roccia si è rotto la forma e la posizione reciproca degli stessi non
è più quella di prima. Questa spiegazione delle cause che determinano il
terremoto va sotto il nome di “teoria del rimbalzo elastico”.
A volte, invece che scontrarsi con sollevamento della crosta e
conseguente nascita di possenti catene montuose (come è avvenuto ad esempio per
le Alpi e l’Himalaia) una placca si infila sotto un’altra: il fenomeno si
chiama subduzione e rappresenta la causa principale dei fenomeni sismici che
tormentano l’arcipelago nipponico mettendo in pericolo costante e mortale una
delle zone a più alta concentrazione demografica del mondo. 2.
CAUSE E RIMEDI DEI FENOMENI TELLURICI La collera del dio offeso o altre ingenue storie mitologiche furono acriticamente accettate per millenni dai nostri antenati come cause fondamentali dei terremoti. Non tutti i popoli antichi si lasciarono però suggestionare da miti e leggende: i primi a cercare nella natura le cause dei terremoti furono gli astronomi babilonesi i quali credevano che ci fosse una relazione tra l’allineamento del Sole e delle stelle e l’incidenza dei sismi sulla Terra. Anche nella Grecia classica fu trattato a lungo il fenomeno sismico con l'intento di attribuirgli una spiegazione razionale. I filosofi greci, le cui osservazioni e interpretazioni furono ritenute valide fino a tempi molto recenti, individuavano nei quattro elementi la causa prima dei terremoti. Talete ad esempio immaginava che la Terra galleggiasse sull’acqua e quindi i terremoti non erano altro che il riflesso del moto ondoso. Per altri la causa dei terremoti era da ricercarsi nell’aria, nel fuoco interno al pianeta o nella secchezza della terra. Aristotele chiuse definitivamente la controversia sull’origine dei terremoti affermando che gli improvvisi movimenti della Terra erano provocati da esalazioni secche racchiuse al suo interno che cercavano con violenza una via d’uscita. L’autorità del grande maestro di Stagira era tale che le sue affermazioni rimasero indiscusse per secoli. Solo in anni molto recenti, grazie agli studi geologici conseguenti a misurazioni molto precise, si è chiarita l’origine dei terremoti ma già verso la metà del Settecento in seguito al terremoto di Lisbona si tentò di dare una giustificazione scientifica all’origine di questo fenomeno. Si scontrarono a quel tempo due orientamenti antitetici: quello dei “fuochisti” e quello degli “elettricisti”. Per i primi i terremoti erano determinati da fuochi di origine vulcanica, per i secondi invece erano prodotti da scariche elettriche. Fra i sostenitori di questa seconda ipotesi vi era Benjamin Franklin che dopo aver provato l’esistenza dell’elettricità nei temporali aveva inventato il parafulmine. Questa scoperta aveva irritato gli uomini di chiesa i quali ritenevano che in questo modo Dio non sarebbe stato più libero di far cadere i fulmini dove meglio credeva. Il terremoto era quindi il segno della disapprovazione divina attirata dalla selva di parafulmini sistemati sui tetti delle case.
Per quanto riguarda la previsione dei terremoti, molti dei segni
premonitori indicati dagli antichi erano riferibili alla superstizione e ad
antiche credenze popolari che oggi trovano spiegazione scientifica coerente.
L’acqua dei fiumi e delle sorgenti che si tramutava in sangue ad esempio non
era altro che un fenomeno di naturale arrossamento delle acque dovuto
all’eccezionale intorbidamento delle falde acquifere. Gli antichi erano anche
a conoscenza del fatto che gli animali percepiscono anticipatamente
l’avvicinarsi del terremoto e reagiscono tenendo un comportamento anomalo. La
scienza ufficiale non ha mai voluto tenere conto dell’insolito atteggiamento
degli animali prima di forti movimenti tellurici, ma ultimamente in Cina e in
Giappone questa osservazione è stata inserita nel novero degli eventi
precursori dei sismi con risultati confortanti. Si ritiene che con
l’approssimarsi di una forte scossa sismica la crosta terrestre liberi un gran
numero di particelle elettriche che in alcune persone creano soltanto una
sgradevole sensazione accompagnata da emicrania, nausea e irritabilità, mentre
negli animali, in cui la sensibilità è più sviluppata che nell’uomo, la
percezione è molto dolorosa.
Per quanto attiene invece ai rimedi escogitati dai nostri antenati per
scongiurare la drammatica pericolosità degli eventi sismici essi derivavano
principalmente dalle osservazioni e dalla esperienza pratica del fenomeno.
Nell’antichità, i sistemi di difesa erano sistemati su due piani: quello
religioso e quello strettamente pratico. Plinio, con buona dose di ironia,
suggeriva, in caso di terremoto, che il migliore rimedio era quello “della
fuga, quando vi è tempo”.
Sul piano religioso la salvezza contro il terremoto consisteva, a seconda
della cultura della popolazione colpita dall’evento sismico, in sacrifici
umani praticati dalle tribù primitive e successivamente anche dai Romani e da
molte altre popolazioni europee fino agli inizi dell’era cristiana.
Con l’avvento del Cristianesimo i riti propiziatori cambiarono anche
se, come abbiamo visto, restò forte la tentazione di ricorrere a pratiche
violente in casi estremi e molto gravi. Normalmente il terremoto veniva
esorcizzato con la preghiera, il digiuno, l’elemosina e qualche altra rinuncia
personale. Il fenomeno restava tuttavia all’interno di quella cultura non come
un evento naturale ma come una potenza terribile scatenata da Dio per punire gli
uomini dei loro peccati e non importa se fra tanti peccatori veniva colpita
anche qualche vittima innocente. Il clero per scongiurare il terremoto
raccomandava di cantare le Litanie del Santi ripetendo più volte
l’invocazione: ”A flagello terraemotus libera nos Domine” a cui seguiva
un’ulteriore richiesta qualora le distruzioni avessero innescato epidemie,
carestie e guerre; in tal caso l’invocazione sacra doveva continuare con la
recita: “A peste, fame et bello libera nos Domine”.
I sistemi pratici di difesa dal terremoto adottati nel passato erano
molto simili a quelli che ancora oggi vengono suggeriti. Fra questi vi era
quello di ripararsi sotto gli architravi dei muri portanti delle abitazioni, in
prossimità degli spigoli o sotto un robusto tavolo; a ciò oggi dovremmo
aggiungere la raccomandazione di tenere a portata di mano una torcia elettrica e il
telefonino cellulare. Passata la fase parossistica è buona norma chiudere i
rubinetti del gas e dell’acqua e staccare l’interruttore generale della
corrente elettrica quindi non accendere fiammiferi o apparecchi a fiamma libera:
se a causa della scossa si fossero verificate perdite di gas il gesto potrebbe
provocare un’esplosione. Nel caso in cui, durante il sisma, ci si trovasse
all’esterno si consiglia di evitare di fermarsi in prossimità di edifici o di
linee elettriche.
La difesa più sicura dai terremoti consiste tuttavia nella prevenzione
che si realizza con la costruzione di edifici antisismici. Anche nel passato
furono erette alcune costruzioni di questo tipo cioè case basse con fondamenta
profonde scavate in terreni compatti ed omogenei e non in corrispondenza di
faglie o di terreni di tipo diverso a diretto contatto, in cui le onde sismiche,
procedendo con velocità e ampiezza diverse, provocano la rottura e di
conseguenza il crollo dell’edificio. Charles Richter, il padre della sismologia
moderna, affermava che “non sono i terremoti che causano il maggior numero di
morti, ma le costruzioni degli uomini” e quindi raccomandava di sostituire o
di rinforzare le case prive di sicurezza soprattutto se ubicate in zone ad alto
rischio sismico. Bisogna però riconoscere che il suggerimento del geofisico
statunitense non è di facile applicazione, in particolare per quello che
riguarda i centri storici.
Alcuni sistemi di difesa del passato erano particolarmente singolari e
traevano origine dalle teorie sismiche al momento più accreditate. Dopo il
terremoto che devastò la Calabria nel 1783 si suggerì ad esempio di impiantare
nel terreno dei lunghi pali di ferro che terminassero all’esterno con una
serie di punte: essi avrebbero avuto lo scopo di scaricare direttamente
nell’atmosfera l’energia elettrica sovrabbondante contenuta in seno alla
Terra (una specie di parafulmini al contrario). 3.
LA PREVISIONE DEI TERREMOTI
Si possono prevedere i terremoti? Prima di rispondere a questa domanda
dobbiamo intenderci sul significato del verbo “prevedere”. Abbiamo visto che
in un anno si verifica mediamente un milione di scosse e che vi sono zone in cui la
sismicità è più intensa e frequente che in altre, quindi affermare ad esempio
che entro un anno in Giappone vi sarà una forte scossa non è affatto azzardato;
in realtà in quel Paese nell'arco di un anno si potranno verificare non una, ma almeno una
ventina di scosse di una certa intensità. Se però per “prevedere” si volesse intendere la precisione del tempo, dell’intensità e del luogo in cui si verificherà il sisma ciò è assolutamente impossibile (o quasi). Per chiarire il concetto facciamo un’analogia con le previsioni del tempo. Dire ad esempio che qui in Italia in autunno pioverà è una previsione che chiunque può fare anche senza essere un esperto meteorologo: se però si volesse dare un senso a questa previsione bisognerebbe specificare quando, per quanti giorni, in quale zona del Paese e con quale intensità cadrà la pioggia e ciò, come tutti sanno, è impossibile. La riprova della difficoltà di fare una previsione tanto precisa si è avuta di recente (agosto 2003) con un nubifragio di eccezionale intensità che ha prodotto danni enormi nel Friuli nord orientale. Si racconta che in seguito ad alcune scosse sismiche che all’inizio del 1700 interessarono Roma il papa facesse installare in Vaticano un apparecchio che nelle intenzioni del suo inventore avrebbe dovuto prevedere con qualche minuto di anticipo l’arrivo di un terremoto. Di ciò approfittarono alcuni lestofanti i quali sparsero la voce che entro poco tempo in città si sarebbe scatenato un altro terremoto. La gente angosciata dalle scosse già patite in precedenza abbandonò in tutta fretta le abitazioni che i ladri poterono visitare e ripulire dei beni più preziosi in esse custoditi. La cosa buffa è che ci volle tutta l’energia delle autorità civili e religiose per convincere le persone che si era trattato di una burla e che quindi potevano rientrare tranquillamente nelle loro case. Cronache anche molto antiche riferiscono di pretese previsioni di terremoti da parte dei saggi, attraverso l’analisi di fenomeni naturali che oggi vengono ritenuti poco significativi: molto probabilmente non si trattò di previsioni vere e proprie, ma solo di coincidenze fortuite. Di recente però la previsione sistematica e razionale dei terremoti è uscita dalla sfera della magia e della approssimazione per entrare in quella della sperimentazione scientifica ottenendo anche qualche discreto successo. Chiarito che l’analisi di alcuni fenomeni fisici come il ripetersi regolare dei sismi in una determinata località, l’allineamento dei pianeti o il comportamento strano di alcuni animali non poteva essere utilizzata per prevedere lo scatenarsi di un sisma, si pervenne al convincimento che fosse indispensabile raccogliere sul territorio dati fisici continuativi e molto precisi per centrare l’obiettivo. L’occasione per l’avvio di un lavoro meticoloso e scientificamente corretto venne fornita da due violenti terremoti che si abbatterono in un breve lasso di tempo a pochi kilometri di distanza l’uno dall’altro alla fine degli anni ’40 del secolo scorso nella regione meridionale dell’ex Unione Sovietica. Fu allora varato un piano di ricerca molto particolareggiato che richiedeva misure di gravità e di conducibilità elettrica delle rocce, rilevazione di onde sismiche di minima intensità e spostamenti anche insignificanti del terreno. Tutti questi dati vennero raccolti per molti anni di seguito e trasferiti ad un centro studi che aveva il compito di catalogarli e analizzarli. I risultati di questa operazione furono resi noti in occasione di un congresso internazionale che si tenne a Mosca agli inizi degli anni ’70. Il congresso ebbe il merito di diffondere un certo ottimismo fra i partecipanti tanto che da quel momento gli studi e le ricerche di quel tipo continuarono anche in altri Paesi. In particolare gli Americani non solo approfondirono le indagini sul campo ma le trasferirono in laboratorio dove le rocce vennero sottoposte a forti compressioni. Si notò in seguito a questi esperimenti che prima che si verificasse la frattura definitiva la roccia si dilatava per il formarsi di piccole crepe al suo interno. Questa dilatazione generava un aumento della conducibilità elettrica e un rallentamento delle onde ad alta frequenza. Gli stessi fenomeni vennero riscontrati sul territorio. Si formò quindi fra i fisici il convincimento che l’apertura di piccole fratture all’interno delle rocce avrebbe provocato l’infiltrazione di aria ed acqua con conseguente variazione di alcuni parametri fisici. L’aumento di volume delle rocce causato dalla fessurazione spiegava anche il sollevamento e l’inclinazione del terreno osservati prima del verificarsi di alcuni sismi. Si era anche notato, all’approssimarsi del terremoto, un aumento nell’aria di radon (un gas radioattivo prodotto dalla disintegrazione spontanea di alcuni metalli) la cui quantità evidentemente aumentava in seguito alla fessurazione che consentiva una più ampia fuga di questo elemento dalla roccia. Piccoli e semplici apparecchi posti ad un metro di profondità sono in grado di rilevare la presenza di radon contribuendo così ulteriormente alla previsione ravvicinata del sisma. 4.
SUCCESSI, DELUSIONI E SPERANZE La disponibilità di nuove tecniche di rilevamento e l’acquisizione di una teoria globale del fenomeno sismico consentirono agli Americani di azzardare una previsione precisa. In effetti furono previsti con congruo anticipo e precisione due terremoti nella zona della faglia di San Andreas che puntualmente si verificarono nel luogo e nel giorno indicato, e con l’intensità dichiarata. Il successo degli scienziati americani fu tuttavia di gran lunga superato dai fisici cinesi qualche anno più tardi. I Cinesi nel marzo del 1966 avevano subito due terremoti successivi che avevano creato danni incalcolabili in una regione molto popolosa posta a pochi kilometri a sud ovest di Pechino tanto che il presidente Chou En-lai, sconvolto per le sofferenze e per i danni subiti dalla sua gente, decise di organizzare un’intensa campagna per la previsione dei terremoti nelle regioni più a rischio del Paese. Venne istituito un gran numero di centri di rilevazione dati e mobilitato un esercito di osservatori fatto di contadini, studenti, operai, operatori delle radio locali, oltre che di tecnici esperti sismologhi. Vennero inoltre inclusi fra i segni premonitori alcuni fenomeni di cui gli osservatori occidentali non avevano tenuto conto. Si annotarono fra l’altro l’intorbidamento delle acque dei pozzi e dei canali di irrigazione, gli odori insoliti di acque di sorgente e il comportamento anormale di alcuni animali domestici poco prima del verificarsi di un evento sismico anche di piccola entità. L’Ufficio Sismologico Nazionale di Pechino nell’inverno del 1975 invitò con ogni mezzo (radio, altoparlanti, sirene) gli abitanti della zona circostante il grande porto industriale di Yingkow nella Cina settentrionale ad abbandonare in tutta fretta le abitazioni perché di lì a poco si sarebbe verificato un terremoto di forte intensità. In realtà l’evento era stato previsto da tempo e le autorità avevano preparato la popolazione con una campagna di educazione pubblica molto capillare. La previsione si dimostrò esatta e salvò migliaia di vite umane: se le persone fossero state sorprese dal sisma all’interno delle loro abitazioni (quasi tutte rase al suolo) ci sarebbe stata una strage. L’anno seguente in una regione posta a pochi kilometri di distanza furono osservati alcuni possibili segni premonitori ma nonostante la stretta sorveglianza e l’esperienza acquisita in precedenza non si riuscì a dare l’allarme con tempestività. Il terremoto si verificò all’improvviso devastando un’ampia regione fittamente abitata e provocando un numero di vittime che le autorità cinesi tentarono di tenere nascosto ma che presumibilmente fu di oltre 650.000 unità. L’insuccesso ridimensionò bruscamente la speranza di avere finalmente individuato e interpretato correttamente gli indizi che annunciano le scosse. Questo non fu l’unico fallimento di una previsione deterministica dei sismi ma gli scienziati di tutto il mondo non si lasciarono avvilire dalle numerose delusioni e le ricerche in quella direzione continuarono e continuano tuttora. L’ambizione massima dei sismologhi oggi sarebbe quella di esercitare un controllo diretto sulla natura. La possibilità di impedire i terremoti grazie ad interventi tecnologici su larga scala si è offerta per caso una quarantina d’anni fa. Si era notato già da lungo tempo che quando venivano riempiti d’acqua gli invasi sbarrati da grandi dighe si verificava una serie di scosse sismiche che in precedenza non avevano mai interessato la zona. Per molti anni gli esperti non riuscirono a comprendere il meccanismo nascosto dietro questo fenomeno fino a quando, agli inizi degli anni ’60, giunse notizia che l’iniezione di acque di scarico in pozzi profondi scavati in prossimità di una faglia attiva presso Denver nello stato del Colorado (USA) aveva provocato una serie di piccole scosse che terminavano quando si sospendeva il pompaggio dei liquidi all’interno del pozzo. Si pensò quindi che quando il liquido veniva immesso sotto pressione esso filtrava nelle fessure del terreno lubrificando per così dire le faglie e permettendo alle rocce di scivolare le une sulle altre. Per verificare questa ipotesi venne versata acqua in pozzi petroliferi abbandonati variando volume e pressione e registrando i risultati con una serie di sismografi posizionati nelle vicinanze. Si ebbe quindi la conferma che quando si iniettava in profondità acqua sotto pressione l’attività sismica aumentava per fermarsi del tutto quando si sospendeva l’erogazione del liquido. In questo modo i terremoti potevano essere “accesi” o “spenti” a piacimento. Estendere una tale operazione in corrispondenza di faglie attive potrebbe tuttavia avere conseguenze imprevedibili e inoltre i fisici fanno notare che l’energia liberata da tante piccole scosse è ben lontana da quella generata da un’unica grande scossa.
Nonostante qualche successo bisogna tuttavia riconoscere che la
previsione e il controllo dei terremoti hanno dato finora risultati deludenti e
contraddittori: si sono registrati casi in cui alcuni segni ritenuti premonitori
non hanno dato seguito ad alcun terremoto mentre altre volte si è verificato un
evento sismico di forte intensità senza che lo stesso sia stato preceduto da
alcun segno premonitore. La difesa dai terremoti, per il momento, rimane quindi
la prevenzione attraverso l’applicazione di norme antisismiche da osservare
scrupolosamente e la creazione fra la popolazione di una vera cultura del
terremoto intesa come capacità di convivere con questa manifestazione della
natura senza drammi e catastrofismi.
Sotto questo aspetto il Giappone è diventato il maggiore esperto
mondiale. Ogni anno l’arcipelago nipponico è colpito da un migliaio di scosse
percettibili, alcune delle quali di media o forte intensità ma i danni ai
manufatti e alle persone sono minimi (un terremoto come quello che nel 1976 in
Friuli fece mille morti e lasciò 32.000 persone senza tetto in Giappone non
avrebbe fatto vittime e poche sarebbero state anche le case danneggiate). Il nostro Paese è a rischio sismico ma non così elevato come molti pensano. Vi sono Stati come il Giappone e la California che corrono da questo punto di vista molti più pericoli di noi Italiani e la Cina quanto a numero di vittime detiene il record assoluto (un terremoto del 1556 sembra abbia procurato più di 800.000 morti).
I terremoti non minacciano solo le abitazioni e chi le occupa
ma anche la rete dei trasporti, delle comunicazioni e dei servizi pubblici.
Danni a queste strutture possono causare disordine provocando di conseguenza un
incremento del numero delle vittime. La rottura delle condutture dell’acqua ad
esempio impedisce la lotta contro il fuoco e l’interruzione delle linee
telefoniche può rendere più difficoltose le operazioni di soccorso. Per questo
motivo in Giappone si è provveduto a sistemare le condutture di utilità
pubblica sottoterra dove gli effetti distruttivi delle scosse sono più
attenuati; nello stesso tempo le strade strette e contorte delle città sono state sostituite da
larghi viali tali da non venire ostruiti da macerie in caso di terremoto
violento e contemporaneamente svolgere la funzione di frangifiamme in caso di incendi.
Una corretta educazione al fenomeno sismico dovrebbe finalizzare i propri
sforzi nel convincere la gente che il terremoto è un evento naturale come tanti
altri che si ripetono in modo più o meno regolare ma dal quale è anche
possibile difendersi. Naturalmente in questa opera di prevenzione la scuola
dovrebbe giocare un ruolo fondamentale. A partire dalle elementari ai bambini si
dovrebbe spiegare cosa sono i terremoti, perché si verificano e cosa si deve
fare nel caso in cui si dovesse verificare l’evento. La scuola, in accordo con la
Protezione civile, dovrebbe anche promuovere periodiche esercitazioni
d’emergenza e di evacuazione al fine di verificare sul campo il grado di
preparazione raggiunto. Naturalmente anche gli organi di informazione dovrebbero
fare la loro parte e partecipare attivamente ad una campagna di educazione di
massa; spesso invece all’indomani di un evento sismico i giornali e le
televisioni fanno a gara nel distorcere e nel gonfiare l’evento, esibendo
immagini di disperazione ed enfatizzando inutili casi singoli di eroismo,
spesso finiti male.
Per quanto riguarda la previsione e la prevenzione i sismologhi di tutto
il mondo si dicono ottimisti. Essi sono convinti che non è lontano il giorno in
cui la popolazione sarà avvertita per tempo dell’imminenza di un terremoto e
potrà portarsi all’aperto in luoghi sicuri donde, passata la scossa, potrà
fare ritorno nelle proprie case (che nella maggior parte delle situazioni non avranno
subito danni) e lì attendere in tutta tranquillità le consuete scosse di
assestamento. fine |