IL
VUOTO 1. COSA ERA IL VUOTO Il concetto di vuoto è cambiato profondamente
nel corso del tempo: per Aristotele, ad esempio, il vuoto non esisteva affatto.
"La natura - egli diceva - aborre il vuoto". Il filosofo greco era
giunto a questa conclusione dopo aver osservato che quando da un luogo veniva
tolta tutta la materia, producendo appunto il vuoto, immediatamente nuova
materia vi si precipitava a colmarlo; per Aristotele quindi la materia doveva
essere ovunque. Ancora oggi, nella pratica di tutti i giorni,
definiamo il vuoto come il nulla. Se ad esempio un bicchiere contiene solo aria
diciamo che è vuoto, pur sapendo che l'affermazione non è corretta, perché
l'aria è materia anch'essa, seppure molto poco densa. Il fatto che l'aria abbia una massa e sia quindi
soggetta all'attrazione gravitazionale terrestre fu riconosciuto solo verso la
metà del diciassettesimo secolo quando il fisico italiano Evangelista
Torricelli (1608-1647) eseguì il famoso esperimento del tubo di vetro pieno di
mercurio con l'estremità aperta posta all’interno di una vaschetta, anch'essa
piena di mercurio. Fino a quel tempo era rimasta in auge la teoria aristotelica
dell'«horror vacui». Questa, come abbiamo detto, sosteneva che il
vuoto non poteva esistere e che ovunque si fosse tentato di crearlo,
immediatamente quel luogo sarebbe stato invaso dalla materia. In realtà molti
fatti dell'esperienza quotidiana confermavano questa teoria, ma ogni tanto
appariva qualche fenomeno al quale la stessa teoria non era in grado di dare
risposta. Uno di questi era la mancata estrazione
dell'acqua da pozzi molto profondi per mezzo delle pompe aspiranti che erano
costituite da un cilindro all'interno del quale, mosso da una leva, era libero
di scorrere uno stantuffo che aderiva perfettamente alle pareti del suo
contenitore. Abbassando la leva della pompa lo stantuffo veniva tirato verso
l'alto lasciando uno spazio vuoto nella parte inferiore del cilindro. Pertanto,
poiché la natura ha orrore del vuoto, se il tubo fosse stato collegato con una
cisterna piena d'acqua, quest'ultima avrebbe dovuto innalzarsi in esso. E in
effetti l'acqua si precipitava nel vuoto creato dallo stantuffo che si era
alzato ma, qualora il dislivello fra l'acqua contenuta nella cisterna e la
sommità del tubo fosse stata superiore ai 10 metri, l'acqua non sarebbe
riuscita a superarlo, anche se la macchina aspirante fosse stata in perfetto
stato e l’operatore si fosse impegnato a pompare con forza e a lungo. Per quanto la cosa fosse nota da tempo, l'uomo
prese coscienza di questa anomalia solo agli inizi del Seicento quando se ne
occupò Galileo Galilei. L'occasione gliela offrì, nell'estate del 1630, un
certo Giambattista Buliani, il quale gli scrisse da Genova per chiedergli lumi
su di un fatto che gli era capitato di osservare. Egli raccontò in quella
lettera di aver costruito un sifone che doveva servire per portare l'acqua al di
là di un monte, ma questo sifone non funzionava. Riempitolo d'acqua, infatti,
la stessa poi ricadeva da ambo le parti del tubo ricurvo, lasciando un vuoto
all'interno della zona superiore, il quale non veniva più riempito dall'acqua. Galilei gli rispose che a lui era capitato di
assistere a qualche cosa di simile e che se gli fosse stato chiesto il parere
prima della costruzione dell'impianto, avrebbe potuto fargli risparmiare la
spesa, mostrandogli "l'impossibilità del quesito". In realtà lo scienziato pisano, per spiegare
l'anomalia del fenomeno osservato, aveva elaborato una teoria (sbagliata) la
quale null’altro era che un ampliamento dell'idea aristotelica dell'«horror
vacui». Egli pensava infatti che una colonna d'acqua troppo alta tendeva a
spezzarsi sotto l'azione del suo stesso peso, così come si spezza una fune di
materiale poco resistente quando, fissata in alto, viene tirata dal basso. Fu
quindi proprio questa analogia fondata sull'esperienza osservativa a portare il
Galilei fuori strada. La questione venne risolta, come abbiamo
accennato, qualche anno più tardi da un discepolo di Galilei, il fisico
Evangelista Torricelli, il quale, in seguito alla sua famosissima “esperienza
dell'argento vivo, ebbe concetto" che la forza che reggeva la colonna di
mercurio all'interno del tubo di vetro non fosse dovuta all'«horror vacui», ma
al peso dell'aria che gravava sul mercurio contenuto nella vaschetta
sottostante. Allo stesso modo, l'acqua che sale nel tubo dal quale viene
aspirata l'aria, vi sale non già perché deve andare a colmare il vuoto che la
natura teme, ma perché viene spinta dalla pressione dell'aria che agisce
sull'acqua contenuta nel pozzo. Poiché si trattava semplicemente di stabilire
un’uguaglianza tra pesi Torricelli pensò che non fosse indispensabile usare
l’acqua e infatti giudicò più comodo sperimentare con il mercurio: riempì
quindi con questa sostanza una provetta lunga un metro e con la sezione di un
centimetro quadrato che poi rovesciò, tenendola ben chiusa con il pollice, in
una vaschetta piena dello stesso metallo liquido. Tolto il dito dall’apertura
del tubo, il mercurio scese fino a raggiungere l’altezza di circa 75 cm. Nei
restanti 25 centimetri della provetta si era creato il vuoto, quello che ancora
oggi si chiama “vuoto torricelliano”, anche se non si tratta di un vuoto
vero e proprio poiché quello spazio contiene una piccola quantità di vapori di
mercurio. Torricelli non si limitò tuttavia a proporre una
nuova ipotesi per spiegare il fenomeno che aveva osservato, ma suggerì anche un
esperimento (che poi verrà realizzato da altri), che avrebbe potuto avvalorare
o falsificare la sua idea. L'esperimento consisteva nel misurare l'altezza del
mercurio all'interno del tubo di vetro in alta montagna. Se era vero che era
l'aria che premeva sul mercurio contenuto nella vaschetta ad innalzare quello
presente nel tubo di vetro, diminuendo il peso dell'aria sovrastante avrebbe
dovuto diminuire anche il livello del mercurio all'interno del tubo di vetro.
L'esperimento venne realizzato per la prima volta nel 1648 dal matematico
francese Blaise Pascal e confermò la previsione del fisico italiano. Questo è il vero significato che una nuova
teoria scientifica deve contenere: essa non solo deve spiegare in modo chiaro e
coerente i fatti da cui ha tratto origine, ma deve anche poter avanzare
previsioni su comportamenti che saranno eventualmente verificati in un secondo
momento. Con la nuova teoria proposta da Torricelli l'uomo fu in grado di
giustificare correttamente i fenomeni fino ad allora conosciuti e inoltre di
spiegarne un numero sempre più vasto di nuovi. 2. COSA E’ OGGI IL VUOTO Oggi l’idea di una natura che ha orrore del
vuoto è cambiata radicalmente: la natura non aborre affatto il vuoto anzi,
l’Universo è quasi ovunque vuoto ed è semmai
la materia che ora costituisce l’eccezione. In verità è la materia stessa
praticamente vuota essendo la sua massa quasi interamente concentrata nei
piccolissimi nuclei degli atomi che la costituiscono. Non solo, ma la vecchia
idea di vuoto che veniva assimilato al nulla è cambiata pure essa. La meccanica quantistica, ossia la teoria che
descrive il comportamento originale e imprevedibile delle particelle subatomiche
(elettroni, fotoni, quark, ecc.) ha una visione del tutto nuova di vuoto: essa
lo immagina pervaso da continue fluttuazioni energetiche dalle quali si genera
materia. Si può dunque dedurre che la materia e l’energia derivino dal nulla?
Sì, purché materia ed energia che emergono dal nulla in modo spontaneo e senza
motivo un istante dopo essere apparse vengano distrutte e ritornino nel nulla.
Come è possibile? Uno dei risultati più straordinari della fisica
del microcosmo è l’avere scoperto che lo spazio vuoto non è affatto vuoto:
appare tale solo perché la creazione e la distruzione incessante di particelle
ed altre strane entità si verifica in esso su intervalli temporali brevissimi e
tali comunque da non lasciare allo sperimentatore il tempo materiale per la loro
rilevazione. Il vuoto sembra tranquillo e calmo su scala macroscopica come
appare piatto e uniforme il mare visto da un aereo che vola ad alta quota mentre
se si stesse su una barchetta esso si mostrerebbe ben diverso, con onde e flutti
anche di notevoli proporzioni. Allo stesso modo, se lo potessimo guardare da
vicino, il vuoto apparirebbe un mare in tempesta ribollente di ogni sorta di
manifestazioni stravaganti, fenomeni che avverrebbero da sempre e in ogni dove.
Oggi si ritiene non solo che la natura non abbia affatto paura del vuoto, ma che
ogni cosa che esiste e che esisterà in futuro è stata ed è tuttora presente
in forma virtuale nel nulla dello spazio. Questa incredibile proprietà del vuoto
scaturisce dalla combinazione della meccanica quantistica con la relatività di
Einstein. Una conseguenza diretta della meccanica quantistica (o fisica dei
quanti) è il principio di indeterminazione di Heisenberg il quale afferma che
il mondo microscopico possiede un’incertezza di fondo: l’impossibilità di
determinare con precisione assoluta i parametri fisici delle particelle di
piccole dimensioni. Nel vuoto questa incertezza si manifesta sotto forma di
piccole fluttuazioni energetiche che vanno e vengono senza sosta e che in parte
si convertono in entità materiali. La teoria della relatività, attraverso la
famosa equazione E=mc² (energia uguale massa per velocità
della luce al quadrato), suggerisce infatti che l’energia possa
trasformarsi in materia e viceversa. Per la precisione la materia si genera a
partire dall’energia sotto forma di particella e antiparticella (ad esempio
elettrone e positone insieme) dalla vita brevissima: per tale motivo esse
vengono chiamate “virtuali”. Le particelle virtuali quanto più sono grandi
tanto meno vivono, ma in quel breve lasso di tempo potrebbero anche diventare
reali (cioè particelle effettive) se potessero disporre di una fonte di energia
adeguata. Ma se le particelle virtuali non possono essere viste come facciamo a
sapere che esistono? Ce lo garantisce la teoria, ancorché per la scienza la
teoria non basti. L’esistenza di coppie effimere
particella-antiparticella nel vuoto può essere verificata sia pure
indirettamente mediante esperimenti di alta precisione: è indispensabile
innanzitutto cercare uno spazio vuoto entro il quale condurre l’esperimento.
Il vuoto che riusciamo a creare con le tecniche disponibili non è sufficiente
perché quello spazio non è affatto vuoto. Con la classica pompa per vuoto, in
funzione nei gabinetti scientifici di molte scuole, si ottiene solo aria
rarefatta. Un risultato migliore si ottiene con pompe rotative o con le più
moderne pompe criogeniche che condensano i gas su superfici freddissime e poi li
eliminano. Tuttavia, per quanto ci si impegni, all’interno del recipiente nel
quale si cerca di creare il vuoto resterebbero sempre alcune decine di migliaia
di particelle per centimetro cubo, poche rispetto ai miliardi di miliardi che
affollano lo stesso volume in condizioni normali ma sempre troppe per
considerare vuoto quello spazio. Per ottenere qualche cosa di meglio ci si
dovrebbe trasferire nello spazio dove il vuoto è molto più spinto di quello
ottenibile in qualsiasi laboratorio terrestre. Anche il vuoto cosmico tuttavia
non è del tutto vuoto: qualche elettrone, qualche atomo o rari granellini di
polvere finissima si incontrano anche da quelle parti. Tuttavia nello spazio
interstellare vi è molto poca materia tanto che per raggranellarne un grammo si
dovrebbe rastrellare uno spazio grande come il nostro pianeta. Per il nostro esperimento nemmeno lo spazio
cosmico andrebbe bene: servirebbe un vuoto assoluto e uno spazio con quelle
caratteristiche è stato individuato all’interno dell’atomo le cui
particelle costitutive (nucleo ed elettroni che gli girano intorno) sono
migliaia di volte più piccole dell’atomo intero: ragione per cui l’edificio
nel suo complesso appare vuoto. Ebbene, proprio nel vuoto presente fra il nucleo
centrale e gli elettroni che si muovono intorno ad esso si vengono a creare
particelle virtuali che, come abbiamo detto, è impossibile vedere direttamente
ma i cui effetti sono misurabili sugli elettroni periferici dell’atomo stesso. L’esperimento venne portato a termine,
nell’immediato dopo guerra, utilizzando alcune tecniche di precisione che
furono messe a punto nel corso del secondo conflitto mondiale dal fisico
sperimentale Willis Lamb. Egli misurò piccole variazioni orbitali
dell’elettrone dell’atomo di idrogeno le quali venivano poi confrontate con
i calcoli teorici basati sulla elettrodinamica quantistica. Se i calcoli non
avessero tenuto conto della comparsa e della successiva scomparsa di una coppia
particella-antiparticella virtuale, ci sarebbe stata discordanza fra predizioni
teoriche e osservazioni sperimentali. Questa discordanza invece non c’era e
l’orbita dell’elettrone calcolata sulla carta si accordava perfettamente con
le misurazioni effettuate da Lamb a dimostrazione del fatto che le particelle
virtuali che affollano il vuoto producono effetti reali sulla materia. Una seconda convalida del nuovo modo di concepire
il vuoto si ebbe all’interno dei ciclotroni, le macchine nelle quali vengono
accelerate le particelle subatomiche per poi farle scontrare fra di loro.
Lanciando gli uni contro gli altri, elettroni e positoni, (cioè materia ed
antimateria) l’energia che scaturisce dalla loro annichilazione è sufficiente
per rendere reali le particelle virtuali fluttuanti nel vuoto. In questo modo
venne creato uno dei tre quark esistenti (il charm) con il corrispondente
antiquark. I fisici confidano con queste tecniche di tirare fuori dal vuoto
nuove forme di materia ancora sconosciute. Dal vuoto sarebbe addirittura nato l’Universo
intero. Non è infatti da escludere che anche il Cosmo si sia materializzato dal
nulla in seguito ad una gigantesca fluttuazione quantistica del vuoto: le leggi
della fisica, come abbiamo visto, non escludono una simile eventualità. fine |