LA MATERIA OSCURA E LA MASSA MANCANTE
1. MATERIA
INVISIBILE Non tutto ciò che esiste è visibile. Come tutti sanno, un oggetto perché sia visibile
deve emettere delle particolari radiazioni, che vengono dette “onde
elettromagnetiche”. Gli scienziati sono convinti che nell'Universo esista
qualche cosa che non emette onde elettromagnetiche quindi né luce, né
radiazioni di altro tipo, come ad esempio onde radio, raggi X o gamma che, se
non con gli occhi, potrebbero essere tuttavia captate con strumenti adeguati:
nell’Universo esisterebbe pertanto qualche cosa di assolutamente invisibile,
che per tale motivo viene chiamato "materia oscura". Ma se questa materia non è visibile in alcun
modo, né con gli occhi, né facendo uso degli opportuni strumenti di
rilevazione, come facciamo a sapere che esiste? Risponderemo alla domanda
ripercorrendo la storia della sua scoperta. Il primo a cui venne il dubbio che nel cosmo
potesse esserci della materia non visibile fu l'astronomo americano Fritz Zwicky
il quale, nel 1933, studiando i moti relativi delle galassie che formano il
cosiddetto ammasso della Chioma di Berenice, notò che queste si muovevano molto
in fretta. L'ammasso della Chioma di Berenice è un gruppo
di galassie situato in una zona compresa fra i duecento e i quattrocento milioni
di anni luce dalla Terra, il quale dà l'impressione di essere ben compatto.
Zwicky però quando andò a misurare la massa totale del sistema, sommando il
materiale galattico visibile, si accorse che questo era troppo scarso per creare
la forza di gravità necessaria a impedire al gruppo di disperdersi nello
spazio, in seguito alle notevoli velocità con cui si muovevano le galassie al
suo interno. Se l'ammasso fosse stato effettivamente instabile, esso si sarebbe
dovuto disgregare già da tempo; se ciò non era avvenuto, voleva dire che
esisteva della materia aggiuntiva, oltre a quella visibile, che lo teneva
insieme. In altre parole, Zwicky calcolò che la materia
contenuta nel gruppo di galassie osservate, doveva essere almeno 20 volte
maggiore di quella corrispondente alle stelle e ai gas visibili, altrimenti le
galassie non avrebbero potuto restare unite perché la velocità che le animava
era tale che avrebbe dovuto disperderle nello spazio. Zwicky era una persona geniale ma un po'
stravagante e le sue intuizioni non venivano mai prese troppo sul serio. Anche
in questa occasione la sua conclusione che potesse esistere tra le galassie
della materia non visibile non venne tenuta nella giusta considerazione, ma
studi successivi, condotti su altri ammassi di galassie, hanno rivelato
caratteristiche analoghe a quelle riscontrate da Zwicky nella Chioma di
Berenice. Più di recente si sono andati moltiplicando gli
indizi in favore dell'esistenza della materia oscura la quale, oltre che negli
ammassi, sarebbe presente anche nelle singole galassie. Negli anni Settanta,
l'astrofisico americano Jim Peebles della Princeton University scoprì che la
maggior parte delle galassie sembrava possedere un gigantesco alone invisibile
esteso a così grande distanza nello spazio da fondersi con quegli analoghi
delle galassie vicine. Negli stessi anni in cui Jim Peebles compiva le
sue ricerche il fisico David Schramm, dell'Università di Chicago, riuscì a
fornire la prova che anche nella nostra galassia doveva esserci molta più
materia di quella che si riusciva a vedere direttamente. Egli misurò la massa
della Via Lattea sommando la quantità totale di luce emessa e quindi valutò
gli effetti gravitazionali che questa materia avrebbe dovuto esercitare sulla
vicina galassia di Andromeda. La conclusione fu che la nostra galassia dovrebbe
avere una massa dieci volte maggiore di quella accertabile visivamente. Infine, Vera Rubin del Carnegie Institution di
Washington, un'astronoma che ha dedicato gran parte della sua carriera di
ricercatrice più che trentennale allo studio del moto di rotazione delle
galassie, misurò la velocità delle stelle e dei gas più esterni di alcune di
esse, fra cui Andromeda, notando delle anomalie. Si sapeva che le galassie girano intorno ad
un'asse che attraversa il loro centro, dove è concentrato il maggior numero di
stelle, allo stesso modo in cui i pianeti girano intorno al Sole, cioè più
velocemente quelli vicini all’astro centrale, più lentamente quelli lontani.
La scienziata americana notò invece che le stelle più esterne delle galassie
osservate ruotavano all'incirca alla stessa velocità di quelle più interne,
anzi, a volte questa velocità era anche leggermente superiore. Il fenomeno non poteva essere spiegato in altro
modo se non ammettendo che la massa delle stelle visibili nel centro non era
tutto ciò che effettivamente esisteva nella galassia: di conseguenza, doveva
esserci della materia che non si riusciva a vedere, ma che produceva i suoi
bravi effetti gravitazionali. Un insieme di osservazioni faceva quindi ritenere
che nell'Universo dovesse esserci materia in quantità maggiore di quella che si
riusciva a vedere attraverso gli strumenti di osservazione, e ad essa, come
abbiamo già detto, fu dato il nome di "materia oscura" (in inglese
Dark Matter). Essa avrebbe dovuto essere presente sia alla periferia delle
singole galassie, sia intorno alle galassie aggregate in ammassi e poteva essere
rivelata solo registrando la forza di gravità che essa stessa generava. Si è calcolato inoltre che la materia oscura non
è poca cosa in quanto dovrebbe rappresentare almeno 10 volte di più di quello
che si riesce a vedere attraverso la luce e le altre radiazioni
elettromagnetiche che la materia ordinaria invia agli strumenti di rilevazione.
In altre parole, almeno il 90% della massa delle galassie non emetterebbe alcuna
forma di luce visibile né radiazioni elettromagnetiche di altro tipo captabili
con strumenti adatti. Di che tipo di materia potrebbe trattarsi? 2. I CANDIDATI PER LA MATERIA OSCURA La risposta più semplice sarebbe quella di
immaginare che all'interno (e all'esterno) delle galassie vi sia materia
ordinaria, cioè materia del tipo di quella che già conosciamo, ma che emette
radiazioni molto deboli e quindi è invisibile a grande distanza. Questa materia
non visibile, ma pesante, potrebbe essere costituita, ad esempio, da pianeti,
satelliti, asteroidi e meteoriti, cioè da materia del tipo di quella che
gravita intorno al nostro Sole. Che vi possano essere, sparsi nell'Universo,
altri sistemi solari simili al nostro, è un'idea che per secoli è stata
accarezzata dagli astronomi e che in questi ultimi tempi si è ancor più
rafforzata in seguito alla scoperta di movimenti anomali di alcune stelle che
potrebbero essere causati da piccoli corpi orbitanti intorno ad esse. Eventuali
pianeti e satelliti di altri Soli non sarebbero visibili nemmeno usando gli
strumenti più potenti di cui disponiamo, ma comunque la materia che cerchiamo
non può essere di questo tipo. I pianeti, i satelliti, gli asteroidi, le meteore
e la polvere cosmica, ossia tutto ciò che ruota intorno al nostro Sole,
rappresenta ben poca cosa rispetto alla massa dell'astro centrale. Tutto il
materiale che gravita intorno al nostro Sole costituisce infatti appena lo 0,1%
della massa totale, l'altro 99,9% risiede nel Sole stesso. Quindi, anche se
intorno ad altre stelle vi fossero pianeti, satelliti e altri corpi non visibili
a grande distanza, questa materia rappresenterebbe una percentuale talmente
irrisoria della massa totale da poter essere tranquillamente trascurata. La
materia oscura non va quindi cercata intorno alle stelle. Si è pensato allora che il cielo potesse essere
pieno di "nane brune", ossia di stelle cento volte più piccole del
nostro Sole, e quindi più simili a grossi pianeti come Giove che a stelle vere
e proprie. Queste tipo di stelle effettivamente esiste e alcune di esse sono
state anche individuate: si tratta di corpi celesti la cui massa, molto ridotta,
non è sufficiente a creare le condizioni adatte all'innesco delle reazioni
nucleari che le renderebbero splendenti come le altre stelle. Se fossero in gran
numero, queste stelle potrebbero fare al caso nostro e rappresentare la massa
mancante ma, come vedremo meglio, nemmeno questa sembra essere la soluzione
giusta. Si è pensato anche a pesantissimi buchi neri
costituiti da masse corrispondenti a miliardi di stelle concentrate in
pochissimo spazio, o a gas di vastissime estensioni che avvolgerebbero le
galassie, oppure a solidi di idrogeno ed elio (le cosiddette "palle di
neve") o ancora a grossi pianeti fatti esclusivamente di metalli. Tutte
queste ipotesi non risolvono il problema della massa mancante: vediamo di
spiegarne il perché. La cosmologia insegna che la materia ordinaria,
ossia quella formata di protoni, neutroni ed elettroni, non può esistere in
quantità superiore ad un certo limite. Questo limite è imposto da ciò che
sappiamo sulla formazione degli atomi nei primi minuti della vita dell'Universo.
La teoria del Big Bang suggerisce infatti che in un breve lasso di tempo, quando
l'Universo aveva un'età di circa tre minuti, avvenne il fenomeno della
nucleosintesi, cioè l'unione di protoni e neutroni dalla quale si formarono i
nuclei degli atomi più leggeri. Questo fenomeno di fusione di particelle
subatomiche non avrebbe potuto realizzarsi prima di quel tempo, né avrebbe
potuto proseguire in tempi successivi perché solo in quel brevissimo lasso di
tempo si realizzarono le condizioni adatte. Prima di quel tempo, la temperatura
era troppo elevata perché si potessero unire stabilmente protoni e neutroni e
dopo quel tempo, a causa dell'espansione in atto, la densità si ridusse in
misura tale che le collisioni fra nuclei i quali si erano già costituiti non
potevano avvenire con energia sufficiente per causarne la rottura nei
costituenti primitivi. Quindi il periodo ottimale in cui le collisioni fra
protoni e neutroni furono tali da consentire la formazione di un numero
considerevole di nuclei resi stabili dalle condizioni di temperatura che
impedirono la scissione dei nuclei
già formati, fu un periodo breve stimato dai fisici intorno ai tre minuti
dall'inizio del Big Bang. Oggi è possibile riprodurre in laboratorio le
condizioni che portarono alla nucleosintesi e quindi valutare le probabilità
che le collisioni possano formare un certo nucleo. In questo modo siamo venuti a
conoscenza ad esempio di quanto elio deve essersi formato nell'Universo
primitivo e sappiamo pure quanto se ne è formato successivamente all'interno
delle stelle. Ebbene, l'osservazione dell'elio attualmente presente
nell'Universo è esattamente quella prevista; se nell'Universo vi fosse solo il
2 o 3 per cento di elio in più di quello previsto (e osservato), la teoria del
Big Bang perderebbe validità. La verifica può essere ripetuta anche su altri
elementi come il deuterio, il litio o l'elio-3. Tutto concorda con le
osservazioni e la teoria del Big Bang viene puntualmente confermata. Per quanto
riguarda il deuterio, in particolare, sappiamo per certo che questo isotopo
dell'idrogeno si è potuto formare solo nei primi tre minuti di vita
dell'Universo, perché successivamente, in nessun luogo, si sono più create le
condizioni idonee per una sua formazione. Siamo quindi certi che tutto il
deuterio esistente, compreso quello che forma l'acqua pesante sul nostro
pianeta, è stato prodotto quando l'Universo stava nascendo. In verità, il fatto che nell’Universo vi siano
idrogeno, elio e deuterio nella quantità prevista dalla teoria del Big Bang
rappresenta una prova a favore della teoria, ma non la prova che nell’Universo
non possa esserci altra materia ordinaria oltre a quella visibile. Se
all’inizio dei tempi vi fossero stati a disposizione più neutroni e protoni
di quelli indispensabili alla creazione dei nuclei degli atomi osservati, la
produzione di materia sarebbe stata maggiore e allora, ciò che non si vede,
potrebbe essere benissimo materia ordinaria sotto forma di stelle, pianeti e
buchi neri e così via. Vi è però una serie di osservazioni che depone contro
questa ipotesi, a cominciare dalla uniformità della radiazione di fondo a 3 K
sulla quale non possiamo soffermarci. Ma anche i corpi stessi, formati da questo
materiale (gas, palle di neve, piccole stelle, buchi neri, ecc.), se esistessero
dovrebbero in qualche maniera dare un segnale della loro presenza, e questi
segnali non ci sono. Scartata quindi l'idea che la materia oscura
possa essere costituita da materia ordinaria, si è passati ad analizzare il
mondo subatomico per vedere se da quelle parti poteva esserci qualche corpuscolo
adatto a rappresentare la materia oscura. Si è pervenuti quindi al
convincimento che i neutrini potrebbero rappresentare un candidato possibile al
ruolo di materia oscura. Il neutrino è una particella di piccolissime
dimensioni e priva di carica elettrica la quale si forma durante le reazioni
nucleari e la cui esistenza fu postulata prima della sua effettiva osservazione.
L'esistenza dei neutrini fu prevista teoricamente nel 1931, ma quei corpuscoli
sono stati osservati materialmente per la prima volta nel 1956, all'interno dei
reattori nucleari dove vengono prodotti in grande quantità. Oggi non è difficile osservare i neutrini, ma è
difficilissimo misurare la loro massa. Invece determinare la massa del neutrino
è di fondamentale importanza perché questa, anche se fosse minima,
consentirebbe di considerare quel piccolo corpuscolo come il rappresentante
della materia oscura che stiamo cercando. Nei primi attimi del Big Bang avvennero molte
reazioni nucleari e molte di queste reazioni generarono neutrini. Si calcola che
per ogni particella dotata di massa (protone o neutrone che sia) si formarono
100 milioni di neutrini. Pertanto, anche se ogni singolo neutrino possedesse una
massa infinitesimale (alcuni calcoli portano ad un valore pari a 1/10.000 della
massa dell'elettrone), tutti insieme i neutrini rappresenterebbero la massa
sufficiente per giustificare la materia oscura. A tutt’oggi gli scienziati sono ancora dubbiosi
del fatto che il neutrino abbia effettivamente una massa perché gli esperimenti
condotti portano a risultati contraddittori. Essi invece sono indotti a ritenere
che, anche se i neutrini avessero una massa, questa dovrebbe essere irrilevante
e quindi non più interessante dal nostro punto di vista. 3. I CANDIDATI ESOTICI Oggi si è propensi a pensare che i neutrini
potrebbero, tutt'al più, rappresentare solo una frazione di tutta la materia
oscura. E' necessario quindi cercare il resto da altre parti. Esisterebbero in
verità anche altri candidati al ruolo di materia oscura. Si tratta di
particelle che hanno nomi strani come fotino, assione, anti-quark, superstringa
e monopolo magnetico. Queste particelle esotiche non sono mai state viste e
forse neppure verranno mai viste in futuro, ma sono ipotizzate da alcune teorie
sulla costituzione intima della materia e sulla unificazione delle forze. Alcune delle particelle che abbiamo nominato
sopra, derivano da una teoria moderna indicata comunemente con la sigla TOE (Theory
of Everyting = Teoria del tutto) la quale suggerisce che all'inizio dei tempi
tutte le particelle elementari costituenti la materia fossero unite in un'unica
particella. Come è noto, la meccanica quantistica divide le
particelle elementari in due famiglie: i fermioni e i bosoni. Le
prime, che prendono il nome da Enrico Fermi, sono i quark (i costituenti
fondamentali di protoni e neutroni) e gli elettroni, cioè in pratica quelle
particelle che stanno alla base della materia solida. I bosoni, che prendono il
nome dal fisico indiano Satyendra Bose, non fanno invece parte della struttura
solida della materia ma volteggiano fra le particelle materiali, creando le
forze che le tengono insieme (o talvolta le dividono). Il bosone più famigliare
è il fotone, il portatore di luce, il quale, quando viene scambiato fra due
particelle cariche di elettricità, per esempio fra l’elettrone e il nucleo
atomico, genera la forza elettrica che unisce i due costituenti fondamentali
dell’atomo. Così analoghe particelle chiamate gluoni, tengono uniti i
costituenti del nucleo. Fermioni e bosoni sono molto diversi fra loro:
per esempio, i fermioni sono individualisti nel senso che non possono
associarsi, mentre possono farlo i bosoni, che mostrano un comportamento
ondulatorio sia a livello microscopico sia a livello macroscopico. Invece le
onde di materia associate agli elettroni (che come abbiamo visto sono fermioni),
non si manifestano come onde su scala macroscopica. Ora, nonostante vi sia una specie di muro
divisorio invalicabile fra i due tipi di particelle, se si volesse costruire una
teoria unificata coerente bisognerebbe immaginare che i fermioni possano
trasformarsi in bosoni e viceversa. Ebbene, lo sforzo della fisica teorica di
questi ultimi anni è stato proprio quello di riunire in un quadro unitario
tutte queste particelle. Alcuni passi verso l’unificazione sono stati già
compiuti, ma per avere una visione d’insieme generale è indispensabile
sperimentare con energie molto elevate che le tecnologie attualmente disponibili
non sono in grado di realizzare. Tali energie si sono però prodotte nei
primissimi istanti di vita dell’Universo e possono aver lasciato segni tuttora
presenti nel Cosmo. Si tratta quindi di individuarli per dare credito alla
teoria e in tal modo risolvere anche il mistero della materia oscura. 4. ALTRA MATERIA Ma per quanto riguarda la materia oscura le
sorprese non finiscono qui: forse esiste ancora più materia di quella che le
osservazioni (comprese quelle relative alla materia oscura) mettono in evidenza.
Come ci si è formati questo convincimento? Oggi sappiamo che l'Universo si sta espandendo,
ma continuerà ad espandersi per sempre o un giorno inizierà a contrarsi?
Dipende, ovviamente, dalla quantità complessiva di materia che vi è contenuta:
se questa è abbondante fermerà l'espansione, se invece è scarsa non riuscirà
ad opporsi all'espansione, che quindi durerà per sempre. Per chiarire il concetto ricorriamo ad un esempio
famigliare. Che cosa succede quando si lancia in alto un sasso? Questo prima
sale velocemente, poi rallenta, e infine, richiamato dalla gravità terrestre,
torna indietro. Se però si riuscisse ad imprimere al sasso una notevole velocità
iniziale, esso, pur rallentando la corsa, finirebbe tuttavia per sfuggire
definitivamente alla forza di richiamo prodotta dalla gravità terrestre. La
velocità iniziale che porta gli oggetti in orbita, detta velocità di fuga, è
di 11,2 kilometri al secondo e va diminuendo a mano a mano che un oggetto si
allontana dalla Terra, ma anche la forza gravitazionale che lo richiama verso il
basso si indebolisce di pari passo, fino al punto di non essere più in grado di
riportarlo indietro. Il destino del nostro Universo, come quello del
sasso lanciato in aria, dipende dalla violenza con cui ha avuto inizio
l'espansione. Ma mentre nel caso del sasso lanciato in aria conosciamo la massa
della Terra e possiamo quindi calcolarne la velocità di fuga, nel caso della
fuga delle galassie conosciamo la velocità con cui si allontanano, ma non
conosciamo la massa della materia che le frena. Tuttavia, anche senza queste conoscenze, possiamo
lo stesso determinare quale sarà l'evoluzione dell'Universo confrontando il suo
ritmo attuale di espansione con la densità media della materia che vi è
contenuta. Se la densità attuale della materia presente nell'Universo è
superiore ad un certo valore critico, la gravità finirà per prevalere sul
ritmo di espansione il quale rallenterà sempre più fino al punto in cui
l'Universo comincerà a collassare come la pietra che, raggiunta la massima
altezza, inverte il suo moto e ricade a terra. In questo caso si dice che
l'Universo è “chiuso”. Se la densità attuale della materia presente
nell'Universo è inferiore al valore critico l'Universo si espanderà per sempre
e quindi continuerà ad esistere in eterno: in questo caso si dice che
l'Universo è “aperto”. La densità critica dell'Universo è la densità
minima necessaria per arrestare l'espansione e dipende dall’attuale velocità
di fuga delle galassie. Questo ritmo di espansione è stato determinato e
risulta tale che l'Universo dovrebbe raddoppiare le sue dimensioni ogni 10
miliardi di anni circa. Questa velocità di espansione comporta che la materia
in esso contenuta presenti una densità di circa 10-29 grammi per
centimetro cubo. Il rapporto della effettiva densità della
materia all'interno dell'Universo attuale e la densità critica viene indicato
con la lettera greca Ω (omega). Ora, riformulando le sorti possibili
dell'Universo in termini di Ω, possiamo dire che l'Universo è aperto se
Ω è minore di 1, l'Universo è chiuso se Ω è maggiore di 1 e infine
è piatto, cioè destinato ad espandersi per sempre ma a ritmo sempre minore, se
Ω è proprio uguale ad 1. Ebbene, in base alle misurazioni più accurate,
la densità effettiva dell'Universo attuale è di circa 10-30 grammi
per centimetro cubo, ossia un decimo del valore critico. Omega, in questo caso,
varrebbe quindi 0,1. Se sono esatte queste misure il nostro Universo dovrebbe
pertanto essere aperto. Se si tenesse conto esclusivamente della materia
visibile la densità dell'Universo sarebbe di circa 10-31 grammi per
centimetro cubo; prendendo in considerazione anche la materia oscura, cioè
quella che viene determinata tenendo conto della forza di gravità, la densità,
come abbiamo appena detto, sarebbe di circa 10-30 grammi su
centimetro cubo. La questione tuttavia non si esaurisce qui perché
vi è un modello di Universo il quale prevede che la materia contenuta in esso
debba essere ancora maggiore. Prima di parlarne dobbiamo chiarire che la quantità
di materia contenuta nell'Universo non può essere superiore ad un certo limite.
Se infatti la materia fosse molto abbondante, questa avrebbe già frenato da
lungo tempo l'espansione e l'Universo si sarebbe chiuso prima di dar modo alla
nostra Terra di sviluppare la vita. Si calcola che se Ω fosse stata di poco
maggiore di 2 l'età dell'Universo sarebbe stata inferiore all'età della Terra,
pertanto noi non saremmo qui. Per concludere possiamo quindi dire che il valore
di Ω dovrebbe essere quasi sicuramente compreso fra 0,1 e 2. Gli astronomi tuttavia sono molto interessati a
sapere se omega è effettivamente uguale ad 1. Esiste, come dicevamo prima, un
modello di Universo, detto "Universo inflazionario" il quale prevede
che omega sia esattamente uno. Qualora si riuscisse a valutare il valore di
omega con precisione si potrebbe decidere se il modello dell'Universo
inflazionario, il quale fra l'altro spiega molte proprietà dell'Universo che un
tempo dovevano essere accettate senza una spiegazione plausibile, è vero o
falso. La massa ancora da scoprire per rendere
verosimile il modello di Universo inflazionario si chiama “massa
mancante". Riassumendo, la materia luminosa che possiamo
osservare con gli apparecchi a disposizione fornisce una quantità di materia
sufficiente a dare di omega il valore di circa 0,01; la "materia
oscura" cioè la materia che siamo riusciti a rilevare attraverso i suoi
effetti gravitazionali, spiega un altro fattore 10 della massa, il quale
incrementa il valore di omega a 0,1. Infine i fautori del modello di Universo
inflazionario, che richiede un omega uguale a 1, per giustificare la loro
ipotesi, sono impegnati ad individuare fra le stelle una quantità di materia
ancora 10 volte maggiore. fine |