I dati storici del rapporto fra Tolstoi e Gandhi sono ben conosciuti .
Gandhi lesse Il Regno di Dio è in voi, quando era in
Sud Africa nel 1894. Scriverà più tardi: «A quel tempo credevo
nella violenza, la lettura del libro mi guari dallo scetticismo e fece di me
un fermo seguace dell'ahimsa» (Gandhi, Antiche come le montagne,
ed. Comunità 1981, pag. 234).
Si tratta di una frase storica che ha indotto molti di noi dell'area nonviolenta
a mettersi in traccia del libro scomparso e riscoprire così Tolstoi.
Gandhi fece uno studio intenso dei libri di Tolstoi. E dopo aver letto Lettera
a un indù, gli scrisse quattro volte, fra il 1909 e il 1910, gli
chiese il permesso di tradurre quei testo, gli inviò il suo libretto:
Hind Swaraj. gli diede notizia delle sue lotte nel Transvaal. Tolstoi
rispose, ma la sua morte interruppe la corrispondenza. Nell'ultima lettera a
Gandhi (settembre 1910) Tolstoi scriveva: «La vostra attività nel
Transvaal, che ci pare ai confini della terra, è l'opera più centrale,
più importante, fra tutte quelle che si svolgono attualmente nel mondo».
Assai meno studiata e chiarita è la connessione fra il pensiero di Gandhi
e quello di Tolstoi; mentre, a nostro parere, è quasi impossibile comprendere
veramente il significato dell'opera di Gandhi prescindendo da questo collegamento.
Le basi teoriche della nonviolenza furono gettate da Tolstoi, e Gandhi si rifà
continuamente ad esse. Già se si confrontano le loro due personalità,
ci si accorge che esse sono interdipendenti e complementari (così come
sono complementari Marx e Lenin: l'uno filosofo, l'altro rivoluzionario militante).
Tolstoi è uno scrittore, un pensatore e un profeta, che ha messo in pratica
le sue teorie solo nella sua vita privata; Gandhi è un uomo d'azione,
un leader politico, un santo asceta, che ci ha lasciato anche un gran numero
di scritti. Tolstoi è un genio di una forza mentale incommensurabile,
ma Gandhi è superiore nel sacrificio personale fino all'offerta della
vita. Azione e martirio desiderati invano da Tolstoi: «Vorrei servire
Dio non con le parole, ma con i fatti, col sacrificio e non riesco» (Diari,
29 marzo 1884).
Rispetto a Gandhi, Tolstoi è più sensuale, peccatore, legato alla
carne; nella formulazione delle sue teorie è però, più
intransigente e radicale, più distaccato dalle contingenze storiche,
proteso verso il Regno futuro. Inversamente Gandhi è più ascetico
e rigoroso nella sua vita privata, ma più immerso nella storia, nella
sua vita pubblica, e quindi più portato ad inevitabili ammorbidimenti
e compromessi. Gandhi è mite, semplice, umile, si guarda dal ferire con
le sue parole, sa evitare o gestire i conflitti, ma è anche molto fermo,
ostinato quasi, viene chiamato dai discepoli «bapu», cioè
padre.
Tolstoi è più aggressivo ed irruente, fino a divenire offensivo
e farsi molti nemici, eppure assolutamente non autoritario, viene sentito da
noi come «un fratello» (Cfr. R. Rolland).
Tolstoi e Gandhi sono entrambi pensatori religiosi e coniugano religione e politica.
In entrambi il valore della nonviolenza è indissolubilmente legato a
quello della verità (satyagraha = forza della verità).
Concepiscono la vita come servizio. Li accomuna la fede nell'avvento di una
società migliore, di cui la Russia per Tolstoi, l'India per Gandhi, saranno
promotrici; il vegetarismo, la severa morale sessuale. Molte posizioni di Gandhi,
addirittura sue frasi e formule derivano direttamente da Tolstoi, fatto spesso
trascurato dai commentatori di Gandhi, che non hanno letto Tolstoi.
Gandhi mutua da Tolstoi, oltre ai fondamenti della nonviolenza, l'importanza
dell'opinione pubblica, la lotta contro l'alcoolismo e le droghe, la necessità
del lavoro manuale (che anche Gandhi chiama «lavoro per il pane»,
espressione usata da Tolstoi e prima da Bondarev), l'economia di villaggio,
la critica a S. Paolo ecc.
Tutta la critica alla società moderna, contenuta in Hind Swaraj
di Gandhi, non è che un'esposizione più sistematica delle idee
di Tolstoi (contro industrie, medicina e tribunali).
D'altro canto vi sono anche differenze importanti, di cui bisogna tener conto.
Se nella sua lettera a Tolstoi del 4 aprile 1910 Gandhi si definisce: «Vostro
umile seguace», più tardi (1931) rivendicherà una sua autonomia:
«Gli debbo molto. Lo vanto come uno dei miei maestri, ma con tutta umiltà
posso dire che non mi ha arrecato qualcosa di nuovo, ma ha fortificato certe
idee confuse in me» (Marcucci, Tolstoi e l'Oriente, pag. 19).
Non resistenza Tolstoiana e nonviolenza - ahimsa - gandhiana sono affini,
complementari anzi, crediamo, ma non identiche. Il nome stesso ha origine da
due culture diverse. Tolstoi lo prende da una frase del Vangelo, Gandhi dalla
tradizione induista. In Tolstoi la non resistenza al male è un elemento,
anche se di primaria importanza, del mutamento radicale nei rapporti umani e
nelle strutture sociali, che egli auspica, e rappresenta solo un aspetto della
sua ricerca fìlosofica, che spazia nei campi più vasti.
Gandhi prende questo singolo elemento e ne fa il perno della sua riflessione
e della sua azione politica contro gli inglesi. Anche se nei suoi scritti affronta
altri argomenti, come l'organizzazione della società o l'elevazione morale
del popolo, nella pratica, per l'urgenza della lotta politica, questi altri
elementi restano un po' in ombra.
Gandhi concepisce l’ahimsa soprattutto come lotta contro un avversario,
come attacco, anche se condotto con amore, sacrificio personale e con il fine
di convenire il nemico. Un suo principio-base è che «l'uomo e le
sue azioni sono due cose distinte [...] colui che compie l'azione, buona o cattiva
merita sempre rispetto o comprensione». Per poter condurre una lotta di
questo tipo mette a punto una serie di tecniche: digiuni, marce, boicottaggi,
arresti di massa ecc.
Tolstoi concepisce la non resistenza prevalentemente come un ritirarsi davanti
al malvagio, un non collaborare, se pure accompagnato da una forte denuncia
verbale dell'ingiustizia (da qui l'accusa di passivismo). Manifestazioni, azioni
dirette per Tolstoi non hanno senso. Come abbiamo visto, per lui la vera lotta
da compiere è la lotta contro il male, che è in noi; è
la nostra stessa conversione che dobbiamo cercare per prima cosa, da lì
muoverà ogni altro cambiamento; chiedere qualcosa ai governi, sarebbe
riconoscere la loro autorità. Mentre per Gandhi la purificazione personale
serve ad addestrare il combattente satyagraha, per Tolstoi essa è
già, per se stessa, un mezzo per sconfiggere il male esterno. Inoltre
in Tolstoi, restando la sua ricerca sul piano teorico, non vengono date indicazioni
su tecniche e azioni specifiche e concrete.
In pratica poi in ciascuno, queste varie posizioni non si presentano con confini
così netti, come abbiamo dovuto indicare schematicamente qui per brevità,
ma con varie sfumature; sarà soprattutto nei loro seguaci che queste
differenze si accentueranno. Le posizioni di Tolstoi appaiono più avanzate
e radicali, Gandhi ammette la violenza in qualche caso estremo, Tolstoi la rifiuta
in ogni caso; Gandhi auspica uno stato che governi poco, Tolstoi vuole abolirlo,
ecc. Questo è ovvio: Gandhi dovette mediare la nonviolenza, per passare
dalla teoria alla pratica della lotta politica. E solo attraverso la sua mediazione
la nonviolenza è potuta penetrare nella storia.
Crediamo che una migliore comprensione della nonviolenza ed una sua applicazione
pratica sempre più efficace potranno nascere solo da una lettura congiunta
di questi due suoi grandi interpreti, a cui non si può non aggiungere
il contributo apportato da Martin L. King, da Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto,
da Aldo Capitini.
A cura degli Amici di Tolstoi