Anno 2 Numero 45 Mercoledì 12.02.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati
 

 

A CASA NELL’UNIVERSO

di Stuart Kauffman
Postfazione di Roberto Panazarani
(Editori Riuniti – 2001)

Gli ultimi decenni del XX secolo hanno visto emergere una nuova rivoluzione scientifica. Alla sua base sta la scoperta di un ordine che regola in profondità i sistemi più complessi e apparentemente caotici, dalle origini della vita agli andamenti dell’economia. Con A casa nell’universo, uno dei protagonisti di questa rivoluzione offre una straordinaria visione d’insieme della nuova scienza della complessità, capace di introdurre il lettore non specialista in uno degli ambiti di ricerca intellettualmente più esaltanti del nostro tempo. Ciò che stiamo scoprendo, afferma Kauffman, è che l’ordine è in grado di sorgere spontaneamente in situazioni finora insospettate, e che l’auto-organizzazione è di fatto uno dei grandi principi che regolano la natura. Analizzando le condizioni nelle quali agglomerati di elementi semplici danno spontaneamente vita a entità complesse, Kauffman suggerisce che le leggi generali che reggono la natura possono valere anche per i fenomeni sociali e culturali.

“Complessità: dalla biologia alla new economy”
Postfazione di Roberto Panzarani al libro di Stuart Kauffman

“ There is a dark workhanship that reconciles discordant 
elements and makes them move in one society”.
William Wodsworth, “The Prelude”.

Velocità, interconnessione e immaterialità sono le tre forze convergenti della nuova economia che stanno rivoluzionando i parametri di riferimento, gli assetti e i confini di ogni business e di ogni organizzazione.
La separazione netta tra prodotti e servizi, chi compra e chi vende, dipendenti e datori di lavoro, fornitori e distributori, alleati e concorrenti tende ormai a diventare sempre più indistinta.
La velocità del cambiamento è senza precedenti, nulla è più stabile sia nel tempo che nello spazio. Le conoscenze e l’immaginazione contano più del capitale fisico. Le transazioni lasciano il posto agli “scambi”. I mercati fisici assumono le stesse caratteristiche dei mercati finanziari.
Per non essere sopraffatti dalla velocità del cambiamento e riuscire a valorizzare a proprio vantaggio le opportunità offerte da queste tendenze rivoluzionarie, è necessaria una comprensione dinamica della nuova economia.
Anche in Italia, come è già avvenuto negli Stati Uniti, stiamo assistendo all’espandersi di nuove forme di mercato che, grazie alle nuove tecnologie, vedono un’integrazione di più canali di comunicazione (da INTERNET alla telefonia mobile), che concorrono alla definizione di una nuova dimensione sociale del mercato.
La separazione tra prodotti e servizi è un residuo dell’economia classica, in pratica ciascuno di noi lavora e consuma allo stesso tempo, in un equilibrio dinamico più o meno sostenibile; la realtà è molto più complessa di una catena lineare e l’identità personale non può essere scissa dalla “identità economica”. 
Nell’economia classica l’organizzazione è sempre stata l’intermediario tra lavoratore e mercato, il luogo dove mettere insieme il lavoro dei diversi collaboratori e il mezzo per allocare il prodotto finale sul mercato. Questo ruolo non varierà in futuro, le organizzazioni continueranno a esistere per coordinare input e domanda aggregata, ma sarà l’individuo capace di interconnessione, con le sue competenze, l’”unità organizzativa” fondamentale, non l’azienda. L’individuo è la “maglia”, il nodo della rete.
Ed è a questo punto che l’individuo dovrà instaurare un nuovo rapporto con il mercato: il bene di scambio diviene la conoscenza, ossia tutto l’insieme di rapporti e di capitale immateriale che ciascuno ha accumulato nel corso della propria carriera. 
Il bagaglio di conoscenze individuali ha un valore che può essere condiviso ricavandone dei vantaggi: il sapere genera valore molto più della terra o del capitale. Quello che si sa conta molto più di quello che si ha. 
Le azioni di valore sono quasi tutte in mano ai singoli individui. Ciò che è importante a questo punto è imparare a gestire questo preziosissimo bene intangibile. 
Nel momento storico in cui viviamo sembra che non sia più possibile ricercare la stabilità nella vita e nel lavoro. A questo punto probabilmente non sarà più possibile affrontare le situazioni che ci si presentano attraverso metodologie riduzionistiche, tentare di semplificare e di ricondurre tutto a dei modelli e a delle soluzioni generali.
Il problema quindi non è eliminare la complessità, ma imparare a gestirla a proprio vantaggio.
L’interesse verso la teoria della complessità nel mondo del management, è stato sicuramente stimolato da molteplici fattori, in particolare dall’attenzione crescente verso la complessità dei biologi, oggi impegnati nel riformulare il proprio campo di studio. 
L’idea che gli agenti, o geni, siano capaci di ricombinarsi e replicarsi ha portato a diverse linee di esplorazione. Come dice Kauffman nel suo libro la complessità biologica non è riconducibile unicamente alla teoria della selezione naturale. Questa è sicuramente importante ma non è l’unico fattore che ha contribuito alla creazione dell’architettura della biosfera: dalle cellule agli organismi, fino all’ecosistema.
I principi della complessità, che vengono trattati dall’autore principalmente in riferimento alla biologia, possono essere generalizzati ad un’ampia varietà di sistemi: il business, i sistemi politici, i sistemi ecologici, ed altri ancora.
La scienza della complessità è dunque il tentativo di identificare ed articolare queste leggi per poi applicarle ai diversi sistemi.
Nei sistemi complessi c’è una grande quantità di agenti (in inglese agents) che interagiscono, e gli agenti sono elementi attivi.Ciascun agente si trova in un ambiente creato dalle sue interazioni con altri agenti del sistema. C’è un costante agire e reagire in base al comportamento degli altri agenti. 
Secondo Chris Meyer, autore di BLUR, oltre agli agenti, altri due elementi caratterizzano i sistemi adattivi complessi: i ruoli, che governano il modo in cui gli agenti fanno le proprie scelte, e le proprietà emergenti, date dall’interazione degli agenti.
In fisica gli agenti possono essere particelle; in biologia possono essere cellule o organismi, in economia persone o aziende o intere nazioni.
Sebbene lo studio degli agenti, dei ruoli e delle proprietà emergenti rimane in gran parte confinato ai sistemi biologico, chimico o teorico, il crescente interesse del business per la complessità non è quindi infondato.
Esplorando i parallelismi tra economia e biologia, anche Michael Rothschild, autore del libro BIONOMICS, ha trovato che molti fenomeni osservabili in natura si verificano in modo simile anche nel business.Le organizzazioni, secondo Rotschild, sono infatti paragonabili ad organismi.
Se ai diversi livelli dei sistemi biologici vi sono gli organelli, le cellule, gli organismi, gli habitat e l’ecosistema, corrispondentemente nel sistema business egli identifica gli individui, i gruppi, le imprese, i mercati e l’economia.
Concepire e guidare la migrazione della teoria della complessità dalla sfera biologica al mondo del business non è un obiettivo da poco. La traduzione di concetti e principi nati nell’antico mondo della biologia, della fisica e della matematica richiede l’intervento di intermediari conoscibili tra i principi scientifici e il mondo più pratico delle aziende. 
L’interesse nel mondo del business verso la complessità è costantemente in crescita, sempre più persone stanno prendendo in considerazione soluzioni basate sulla complessità per affrontare problemi di difficile risoluzione, consapevoli del fatto che per affrontare un mondo in continua evoluzione, in costante mutamento, non è più possibile utilizzare soluzioni predefinite e standardizzate, in quanto il presente domani sarà già obsoleto.La teoria della complessità in riferimento al business non vuole essere, alla luce di quanto detto, solo una scienza di tipo descrittivo, ma ha l’intento di riuscire a formulare una teoria che aiuti a disegnare, strutturare e dirigere il business stesso.
Chris Meyer, distingue tre domini di applicazioni al business: il primo, concreto, è quello delle operazioni, in cui possiamo osservare un processo che può essere misurato e ripetuto e che offre risultati comprensibili; il secondo, le strategie, ed infine quello del management vero e proprio.
Meyer inoltre, delinea lo sviluppo della scienza della complessità e delle sue applicazioni al business attraverso tre stadi: idee e metafore, teorie (testabilità delle idee) e strumenti (per applicare le idee alle specifiche situazioni).
Egli sostiene, infatti, che se è possibile studiare un’organizzazione o un’industria in cui un comportamento è emerso e siamo in grado di esporre i ruoli e le ragioni di questo comportamento, possiamo essere in grado di usare i nostri modelli per intervenire nel sistema e cambiare quelle proprietà emergenti.
Cambiare o guidare il comportamento è, dopo tutto, un obiettivo del management.
Anche Stuart Kaufman, è certo che la scienza della complessità sia una “scienza in crescita”, e che l’attenzione verso questa disciplina crescerà fortemente negli anni.
Se vediamo il mondo ed ogni cosa in esso semplicemente come “un congegno rattoppato insieme”, egli afferma, allora tutto ciò che possiamo fare è ammirare lo scorrere di ogni storia separatamente dalle altre. Ma se scopriamo i principi generali che sottostanno ai processi coesivi - e Kauffman crede che esistano delle candidate per queste leggi generali - allora abbiamo una scienza.
Non possiamo più considerare le imprese, e più in generale tutti gli aspetti del business, come in passato, come dei soggetti e degli eventi singoli ed indipendenti, ma come nodi di una rete. Ogni agente interagisce con gli altri agenti creando delle reazioni combinate e inscindibilmente interrelate.
I sistemi complessi vanno però al di là delle interazioni tra agenti: gli agenti, infatti, oltre ad interagire semplicemente tra loro, utilizzano delle strategie adattive. Questi sono attori pensanti, che influenzano volontariamente il loro ambiente e cercano di migliorarlo. Così come Kauffman sostiene per la biologia, così anche nel business l’evoluzione degli eventi non può essere riduttivamente ricondotto ad un processo di “selezione naturale”.
Quello che ci auguriamo è che anche in Italia, con la pubblicazione di questo libro di Kauffman, si possano aprire nuove frontiere e un fecondo dibattito sulle nuove teorie del management e sulla new economy, in una dimensione di continua ricerca di nuove modalità di approccio alla risoluzione dei problemi aziendali che non sia preconfezionata e standardizzata come molti modelli nel passato.

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