Anno 2 Numero 45 Mercoledì 12.02.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati
 

 

I NUOVI PIONIERI

di Thomas Petzinger jr

Postfazione di Roberto Panzarani

(FrancoAngeli – 2001)


Il libro I Nuovi Pionier tratta di una rivoluzione potente che sta trasformando il business americano alla ricerca di un’economia ricca di opportunità. 

Non è riscontrabile nei titoli sulle megafusioni, acquisizioni, ristrutturazioni aziendali, crisi tributarie o diatribe che affollano le testate dei principali giornali finanziari. Le avanguardie del cambiamento sono maggiormente visibili nelle piccole e medie aziende.

Con i dettagliati racconti e l’acuta perspicacia che lo distinguono annoverandolo tra i migliori columnist americani, Tom Petzinger ci conduce all’interno di questa rivoluzione per mostrare come una generazione dinamica di innovatori e imprenditori stia creando un nuovo e collaborativo ambiente di lavoro, un mercato a valore aggiunto, ed un’economia colma di opportunità. Questi nuovi pionieri riconoscono che la gerarchia di comando e controllo del ventunesimo secolo non reagisce più alle forze economiche che man mano stanno invadendo il mondo.

Con le ampie prospettive che hAnno reso famosa la rubrica The Front Line del settimanale Wall Street Journal, Petzinger propone case studies sia di aziende (in più di 40 città di 30 stati) che di clienti esteri. Le sue sorprendenti conclusioni rivelano non soltanto un cambio della guardia, ma rivoluzioni di vasta portata nel modo in cui viene gestito il business:

Tra i temi principali:



come la tecnologia sta sostituendo le economie di scala mentre nascono economie di scopo e locali;

come gli imprenditori d’oggi stanno ridefinendo il significato di “nicchia”;

la creazione di compensi e strategie motivazionali totalmente nuovi per la forza lavoro;

cosa sta imparando il mondo del business dalla scienza della complessità nella ricerca di leggi fondamentali che governano i sistemi naturali e umani;

come le aziende a conduzione familiare possono fungere da modello per il mondo del business;

quali sono i motivi per cui il nuovo e radicale modo di fare business segnala un ritorno ai valori umani fondamentali.

La miscela brillante di cronaca microscopica e percezione macroscopica di Petzinger renderanno sicuramente questo libro un classico moderno promettente, soprattutto per tutti i “pionieri” italiani che con le loro piccole e medie aziende costituiscono il tessuto connettivo del nostro sistema economico nazionale.

Postfazione di Roberto Panzarani al libro di Thomas Petzinger jr.


One day the hero sits down,

afraid to take another step,

and the old interior angel limps slowly in 

with her no-nonsense compassion

and her old secret and goes ahead.

“Namaste” you say and follow.

David Whyte


Come ci ricorda Chris Meyer “moltissime organizzazioni cambiano molto più lentamente del loro ambiente competitivo, perché sono gestite secondo leggi interne basate sulle politiche, lo status e la psicologia dei manager, e non secondo le leggi dell’economia. Le regole interne cambiano in ragione aritmetica, mentre le realtà esterne cambiano esponenzialmente. Come insegnare all’organizzazione a tenere il passo? “ 

E’ un’economia, quella descritta da Meyer, che evolve come un organismo biologico per adattarsi ai desideri degli individui e alla polarizzazione dei valori intangibili (marchio, know-how, management), che non figurano nei bilanci, ma compaiono al di qua e al di là del diaframma aziendale, sempre più sottile.

Meyer, come del resto Kevin Kelly e altri autori americani contemporanei, ricorre alla “teoria della complessità” per descrivere fenomeni economici non lineari, correlati al cambiamento che emerge dai comparti della scienza e della tecnologia ma anche dai comportamenti di una diffusa antropologia sociale. “Tutto ciò che funziona in un’economia interconnessa – aggiunge Meyer – tende a diventare una piattaforma, come il desktop di Windows o di Mac: qualcosa che si aggiorna da solo, ricevendo i programmi da Internet, e di cui non siamo più nemmeno consapevoli. Il valore si genera al di sopra di una piattaforma, tanto più è condivisa. Oggi parliamo di un’ovvietà. Nel giro di pochi anni il Web sarà una “commodity” perché sarà ovunque, dentro a elettrodomestici, auto e prodotti che abilitano a nuovi servizi. Codici a barre e Gps (Global positioning system), ad esempio, permetteranno di segmentare la clientela in tempo reale”.

In sostanza come ricorda Petzinger in questo bel libro: “questa tecnologia attuale riduce sempre più l’importanza della grande azienda come forza economizzatrice e questa nuova economia decentralizzata offre a ciascuno l’opportunità di creare nuove combinazioni di fattori volti a creare valore. 

Sono sicuro che questo libro di Petzinger avrà molto successo in Italia dove ancor più che negli Stati Uniti. Old e New Economy si integrano o si contaminano vicendevolmente dando vita ad un circuito spesso virtuoso. 

Infatti è ben noto che una delle caratteristiche fondamentali dell’apparato produttivo italiano è quella dell’integrazione delle imprese all’interno di aree cosiddette “distrettuali”, che mitigano parzialmente gli effetti negativi della dimensione esigua sull’efficienza aziendale e sulla capacità competitiva del sistema. 



Ma chi sono i nuovi pionieri italiani?

In Italia la conduzione individuale caratterizza una parte consistente delle imprese industriali e dei servizi: interessa infatti quasi il 65% delle unità e il 28% degli addetti (2,5 milioni di unità e 4 milioni di addetti), sebbene con andamenti differenziati nei singoli settori di attività.

La dimensione media delle imprese individuali è di 1,6 addetti, mentre per il totale dell’industria e dei servizi si avvicina ai 4 addetti per impresa. 

Le imprese individuali sono praticamente assenti nell’estrazione di minerali e nella produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua; presentano, in termini di unità, un’incidenza inferiore alla media nei settori dell’intermediazione finanziaria, dell’istruzione e anche nelle attività manifatturiere, dove non raggiungono il 50%; superano il 60%, pur mantenendosi al di sotto del valore medio, nelle costruzioni e nei trasporti; si avvicinano ai due terzi nell’eterogenea sezione di attività economica che raggruppa le attività immobiliari e gran parte dei servizi (noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali e imprenditoriali); raggiungono quote molto elevate in settori quali il commercio, gli altri servizi pubblici e sociali e, in particolare, la sanità. 

Il peso delle imprese individuali in termini di addetti, sebbene la dimensione media delle unità considerate sia nettamente inferiore a quella delle imprese nel loro complesso (il resto delle imprese è rappresentato dalle società), è rilevante, soprattutto in alcuni settori, in cui si attesta attorno al 40% (commercio, costruzioni, servizi alle imprese e alle famiglie); in altri settori (trasporti e comunicazioni, istruzione e attività manifatturiere) rappresenta meno del 15%. 

Dal punto di vista territoriale, le imprese individuali sono proporzionalmente più numerose al Centro e nel Mezzogiorno che nel Nord, in termini tanto di unità quanto di addetti. Nelle regioni meridionali la quota occupazionale assorbita dalle imprese a conduzione individuale è pari al 37,9%, rispetto al valore minimo (22,7%) registro nel Nord-ovest. 

Ma al di là di questi dati, come ricorda Petzinger nel suo secondo capitolo: “mentre l’economia si suddivide in pezzi sempre più piccoli, tali pezzi si connettono gli uni agli altri in modi sempre più complessi e molteplici. Così mentre l’economia cresce grazie all’espressione dell’individualità, quegli stessi individui possono crescere soltanto grazie all’espressione della solidarietà. L’individuale ed il sociale sono come le due valve di un’unica dinamica, come avviene in natura”.

Il nostro paese, se guardiamo, corrisponde a questo modello, come ci ricorda l’ISTAT: “l’analisi delle relazioni tra imprese nell’ambito di gruppi e quella delle relazioni produttive tra imprese forniscono utili indicazioni sulla capacità di tenuta e di espansione del sistema produttivo italiano, caratterizzato – come abbiamo visto – dalla predominanza della piccola dimensione aziendale e da una forte presenza di imprese a conduzione individuale. L’attitudine delle imprese a fare rete rappresenta, infatti, una possibilità di “organizzazione flessibile”, in grado di far riguadagnare per linee esterne il peso economico imposto dalla competizione globale”. 

C’è da dire che nelle tante interpretazioni fornite nel corso del tempo per spiegare il successo del modello produttivo del “sistema Italia” fin qui conosciuto, al centro c’è ancor oggi sempre quella più convincente che attribuisce all’”articolato sistema dei distretti” l’elemento decisivo allo sviluppo economico e produttivo degli ultimi trent’anni. Tuttavia, in parziale difformità con le diverse letture socioeconomiche fornite a livello internazionale sui meccanismi che rendono possibile il formarsi di cluster (gruppi o grappoli) territoriali di imprese “il paradigma specifico della nostra realtà va certamente ricercato nel formarsi di reti e relazioni tra aziende, che si presentano via via sempre più formalizzate”. Reti come scambio di informazioni, ricerca, aggiornamento reciproco, concentrazione di intenti e sforzi creativi, collaborazioni all’interno di una stessa e ben determinata area geografica, il cui fine principale è la riduzione dei costi aziendali sul piano dei trasporti, dell’approvvigionamento delle materie prime, del mercato del lavoro, delle competenze, di ricerca e sviluppo. 

È in sostanza quel mix di individualità e socialità riscontrato da Petzinger nelle esperienze americane che ci ha raccontato usando il tono affascinante della migliore tradizione umanistica e che trovano nel modello produttivo italiano un riscontro importantissimo che, nonostante tutte le difficoltà del nostro sistema Paese, ci fa ben sperare per il nostro futuro.

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