a cura di Giampaolo Albini
Un capolavoro e basta.
Non voglio di meno per questo
film, non merita una classifica inferiore. Potrebbe a buon diritto
candidarsi all’Oscar come miglior film straniero o andare a Cannes
a rappresentare degnamente l’Italia.
È dai tempi di
"Italiani brava gente" di Giuseppe De Santis che non si
ricordava un bel film di guerra nostro, ma – a parer mio –
questo è superiore. Perché evita la facile retorica e il
sentimentalismo, proponendoci invece un’opera asciutta, rigorosa e
profondamente umana. Narra dei soldati della Brigata Pavia che
affiancò nella valorosa, strenua e impossibile difesa di quel lembo
d’Africa le altre due più celebrate Divisioni, la Folgore e l’Ariete.
Lo sappiamo, non arrivammo mai ad Alessandria.
Eppure, in quel pezzo di Egitto oltre che in
Russia, i soldati italiani scrissero con il loro coraggio e il loro
sacrificio una delle pagine più alte della nostra storia militare;
ottenendo dallo stesso nemico il riconoscimento del loro valore.
Gli inglesi avevano circa novantamila uomini in
più rispetto alle forze italo-tedesche, ma soprattutto avevano i
cannoni da 88 (noi solo da 47) e i carri armati Sherman (americani)
contro le nostre carrette.
Il film mostra il quotidiano della vita in trincea
con insolita onestà. Tre i personaggi principali su cui è
richiamata la nostra attenzione: il sergente, il tenente e il
soldatino che era andato volontario; anche tutti gli altri, dai
caporali all’ultimo soldato, gente di coraggio e buon senso che
faticavano e morivano nel duro lavoro della guerra. Belle facce
italiane, umane e generose.
Bravissimi e convincenti tutti, più naturali di
tanti altri attori immeritatamente famosi. Credo che le figure del
sergente e del tenente mi resteranno dentro per molto tempo.
Neanche del regista so molto, ma di certo è il
John Ford del deserto africano per il suo stupefacente senso del
paesaggio; già sceneggiatore per Salvatores
("Mediterraneo" ed altri), Monteleone aveva al suo attivo
due film di un certo interesse. La fotografia è davvero bella: un
deserto così non si vedeva dai tempi di "Lawrence d’Arabia".
Ottime la direzione degli attori e la
sceneggiatura dello stesso regista. La colonna sonora invece di
essere, come spesso accade, ridondante e di maniera ci propone, e
solo in alcuni momenti, percussioni e strumenti a corda orientali,
il suono soffiato di un flauto di legno ad accompagnare o ad
anticipare i vari momenti di tensione. Eccelsa pagina di un grande
cinema che avevamo dimenticato o non riuscivamo più a fare.
Non posso anticipare altro per non sottrarVi al
piacere di vederlo.
Andate a vedere "El Alamein"; Vi farete
un regalo. Capirete o ricorderete cos’è il mestiere della guerra.
Uomini che sopportano la fatica, i disagi e il pericolo quotidiani
con un rassegnato stoicismo di cui neanche loro stessi si rendono
conto.
Un film limpido e teso, senza battutacce da
caserma, campanilismi di vario genere, sfottò, banalità e
volgarità, unite al pensiero fisso sulle donne, che purtroppo
infarciscono i film di argomento bellico, anche i migliori. Gli
attori, ripeto bravissimi, sono: Paolo Bruguglia, Pierfrancesco
Favino, Luciano Scarpa, Emilio Solfrizzi, Thomas Trabacchi, Sergio
Albelli, Piero Maggio e Antonio Petrocelli. Con brevi apparizioni di
Silvio Orlando, Roberto Citran e Giuseppe Cederna. Film come questo
sono molto rari; da custodire gelosamente come qualcosa di prezioso
nella memoria dei migliori.
Una visione della guerra dall’interno, con i
suoi sprechi, i suoi eroismi e le tante idiozie – accuratamente
preservata in questo film italiano, schivo e magnifico. |