LA MONTAGNA

 

 

Lungo la strada che porta alla pianura delle Ginestre, si attraversa il valico di Anemone. La strada, prima di arrivare al valico si inerpica velocemente con ampi tornanti.

Dal valico si lascia alle spalle la pianura di Frisone e si puo' ammirare, in tutta la sua bellezza, l’immensa pianura detta ‘Delle Ginestre’.

La valle, nelle giornate limpide, e' meravigliosa, piena di vegetazione, al centro di essa si erge violentemente la montagna di Tefora.

Lo scenario da l'impressione di qualcosa di irreale, in netto contrasto con la folta vegetazione della pianura, la montagna e' brulla, arida, un enorme masso di roccia, altissimo.

La forma e' quasi conica, e lungo le pendici ci sono dei calanchi molto profondi, che non sembrano prodotti dall'erosione delle acque. Sembra modellata a mano da uno scultore, tanto e' morbida nelle sue forme plastiche, cosė statuaria ed armoniosa.

Ogni anno, in primavera, quando ritorno nella pianura delle Ginestre attraverso il valico Anemone, raggiunto il culmine della salita e prima di scendere a valle, mi fermo per circa un'ora sul piazzale panoramico del valico, e seduto su di una delle panchine di legno contemplo la pianura e la solenne maestosita' della montagna.

Tefora, una cuspide marmorea. Ne conosco ormai ogni versante e ogni forma. Sono anni che ritorno da lei e mi tuffo tra le sue braccia come un bimbo che ritorna dalla madre dopo un lungo viaggio. E dall'incontro riceve tutta la gioia di un contatto d'amore. L'amore che la Natura dona a chi ricerca continuamente la serenita' e che noi ricambiamo ammirandola e sublimandola.

Il silenzio aiuta la contemplazione, e quell'ora di ammirazione del paesaggio si trasforma in un tempo infinito, dove i pensieri vagano erranti senza mai fare ritorno.

Scendo a valle e piano piano risalgo le pendici di Tefora, fino a raggiungerne la vetta.

Questo e' il culmine del mio viaggio primaverile. La vetta di Tefora, il sentirmi immerso nel paesaggio, parte integrante della montagna. Figlio suo e suo ammiratore.

Ogni volta Tefora mi dona un segno nuovo, mi fa conoscere un suo lato nascosto che non avevo mai visto nei precedenti incontri. Ogni pietra parla e racconta, storie di pastori, di viandanti, di pellegrini, che si portano sulla sua cima per trovare e provare l'incanto della visione della pianura delle Ginestre.

Ecco il momento piu' alto della gita. Dalla vetta di Tefora il mondo si trasforma in una pianura immensa, rigogliosa, dove la Natura non e' contaminata dai segni dell'essere umano, e dove non e' possibile definire dove essa ha termine. In lontananza si intravedono le cime delle montagne di Mottigno, le cui forme sono diverse da quelle di Tefora.

In un posto unico mi trovo ad ammirare una pianura unica. E nell'unicita' della visione si percepisce la propria unicita' di essere umano.

Nella solitudine del paesaggio, da solo io stesso, posso portare la mente a viaggiare nei grandi spazi sconfinati della Natura. Io, Tefora e la pianura delle Ginestre. Tutto e' grande, maestoso e immenso come tutto sembra piccolo, semplice e finito.

Questa volta ho trascorso molte ore sulla vetta di Tefora, molte di piu' delle altre volte che l'ho raggiunta. Il sole si e' quasi nascosto del tutto dietro Mottigno, la luce scende, e' sera quando riparto per scendere a valle. Questa notte ci sara' luna nuova. Il buio avanza sempre di piu'. E' buio pesto quando raggiungo il sentiero che porta alla fonte di Tascio, manca ancora un'ora abbondante di cammino prima di arrivare a valle. E poi devo attraversare tutta la pianura delle Ginestre, inerpicarmi verso il valico e scendere al paese di Visco. Almeno tre ore di cammino nel buio totale.

Avanzando lentamente raggiungo il boschetto di pioppi alle falde di Tefora. Decido di fermarmi e di passare qui la notte.

Raccolgo un po' di legna secca ed accendo un fuoco. Il silenzio e' rotto dai rumori della notte e dallo scoppiettio della legna che arde. Mi distendo supino sulle foglie del sottobosco e tra le cime degli alti pioppi intravedo qualche piccola stella.

Ancora invaso dalla giornata serena trascorsa su Tefora, colmo di gioia, una melodia prende corpo, sento le inconfondibili note delle "Quattro stagioni" di Vivaldi : "L'inverno".

Mi addormento felice.

 

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