Narrasi che tutti gli uomini che da
principio popolarono la terra, fossero creati per ogni
dove a un medesimo tempo, e tutti bambini, e fossero
nutricati dalle api, dalle capre e dalle colombe nel modo
che i poeti favoleggiarono dell'educazione di Giove. E che
la terra fosse molto più piccola che ora non è, quasi
tutti i paesi piani, il cielo senza stelle, non fosse
creato il mare, e apparisse nel mondo molto minore varietà
e magnificenza che oggi non vi si scuopre. Ma nondimeno
gli uomini compiacendosi insaziabilmente di riguardare e
di considerare il cielo e la terra, maravigliandosene
sopra modo e riputando l'uno e l'altra bellissimi e, non
che vasti, ma infiniti, così di grandezza come di maestà e
di leggiadria; pascendosi oltre a ciò di lietissime
speranze, e traendo da ciascun sentimento della loro vita
incredibili diletti, crescevano con molto contento, e con
poco meno che opinione di felicità. Così consumata
dolcissimamente la fanciullezza e la prima adolescenza, e
venuti in età più ferma, incominciarono a provare alcuna
mutazione. Perciocché le speranze, che eglino fino a quel
tempo erano andati rimettendo di giorno in giorno, non si
riducendo ancora ad effetto, parve loro che meritassero
poca fede; e contentarsi di quello che presentemente
godessero, senza promettersi verun accrescimento di bene,
non pareva loro di potere, massimamente che l'aspetto
delle cose naturali e ciascuna parte della vita
giornaliera, o per l'assuefazione o per essere diminuita
nei loro animi quella prima vivacità, non riusciva loro di
gran lunga così dilettevole e grata come a principio.
Andavano per la terra visitando lontanissime contrade,
poiché lo potevano fare agevolmente, per essere i luoghi
piani, e non divisi da mari, né impediti da altre
difficoltà; e dopo non molti anni, i più di loro si
avvidero che la terra, ancorché grande, aveva termini
certi, e non così larghi che fossero incomprensibili; e
che tutti i luoghi di essa terra e tutti gli uomini, salvo
leggerissime differenze, erano conformi gli uni agli
altri. Per le quali cose cresceva la loro mala contentezza
di modo che essi non erano ancora usciti della gioventù,
che un espresso fastidio dell'esser loro gli aveva
universalmente occupati. E di mano in mano nell'età
virile, e maggiormente in sul declinare degli anni,
convertita la sazietà in odio, alcuni vennero in sì fatta
disperazione, che non sopportando la luce e lo spirito,
che nel primo tempo avevano avuti in tanto amore,
spontaneamente, quale in uno e quale in altro modo, se ne
privarono.
Parve orrendo questo caso agli Dei, che da creature
viventi la morte fosse preposta alla vita, e che questa
medesima in alcun suo proprio soggetto, senza forza di
necessità e senza altro concorso, fosse a disfarlo. Né si
può facilmente dire quanto si maravigliassero che i loro
doni fossero tenuti così vili ed abbominevoli, che altri
dovesse con ogni sua forza spogliarseli e rigettarli;
parendo loro aver posta nel mondo tanta bontà e vaghezza,
e tali ordini e condizioni, che quella stanza avesse ad
essere, non che tollerata, ma sommamente amata da
qualsivoglia animale, e dagli uomini massimamente, il qual
genere avevano formato con singolare studio a maravigliosa
eccellenza. Ma nel medesimo tempo, oltre all'essere tocchi
da non mediocre pietà di tanta miseria umana quanta
manifestavasi dagli effetti, dubitavano eziandio che
rinnovandosi e moltiplicandosi quei tristi esempi, la
stirpe umana fra poca età, contro l'ordine dei fati,
venisse a perire, e le cose fossero private di quella
perfezione che risultava loro dal nostro genere, ed essi
di quegli onori che ricevevano dagli uomini.
Deliberato per tanto Giove di migliorare, poiché parea che
si richiedesse, lo stato umano, e d'indirizzarlo alla
felicità con maggiori sussidi, intendeva che gli uomini si
querelavano principalmente che le cose non fossero immense
di grandezza, né infinite di beltà, di perfezione e di
varietà, come essi da prima avevano giudicato; anzi essere
angustissime, tutte imperfette, e pressoché di una forma;
e che dolendosi non solo dell'età provetta, ma della
matura, e della medesima gioventù, e desiderando le
dolcezze dei loro primi anni, pregavano ferventemente di
essere tornati nella fanciullezza, e in quella perseverare
tutta la loro vita. Della qual cosa non potea Giove
soddisfarli, essendo contraria alle leggi universali della
natura, ed a quegli uffici e quelle utilità che gli uomini
dovevano, secondo l'intenzione e i decreti divini,
esercitare e produrre. Né anche poteva comunicare la
propria infinità colle creature mortali, né fare la
materia infinita, né infinita la perfezione e la felicità
delle cose e degli uomini. Ben gli parve conveniente di
propagare i termini del creato, e di maggiormente
adornarlo e distinguerlo: e preso questo consiglio,
ringrandì la terra d'ogn'intorno, e v'infuse il mare,
acciocché, interponendosi ai luoghi abitati,
diversificasse la sembianza delle cose, e impedisse che i
confini loro non potessero facilmente essere conosciuti
dagli uomini, interrompendo i cammini, ed anche
rappresentando agli occhi una viva similitudine
dell'immensità. Nel qual tempo occuparono le nuove acque
la terra Atlantide, non sola essa, ma insieme altri
innumerabili e distesissimi tratti, benché di quella resti
memoria speciale, sopravvissuta alla moltitudine dei
secoli. Molti luoghi depresse, molti ricolmò suscitando i
monti e le colline, cosperse la notte di stelle,
rassottigliò e ripurgò la natura dell'aria, ed accrebbe il
giorno di chiarezza e di luce, rinforzò e contemperò più
diversamente che per l'addietro i colori del cielo e delle
campagne, confuse le generazioni degli uomini in guisa che
la vecchiezza degli uni concorresse in un medesimo tempo
coll'altrui giovanezza e puerizia. E risolutosi di
moltiplicare le apparenze di quell'infinito che gli uomini
sommamente desideravano (dappoi che egli non li poteva
compiacere della sostanza), e volendo favorire e pascere
le coloro immaginazioni, dalla virtù delle quali
principalmente comprendeva essere proceduta quella tanta
beatitudine della loro fanciullezza; fra i molti
espedienti che pose in opera (siccome fu quello del mare),
creato l'eco, lo nascose nelle valli e nelle spelonche, e
mise nelle selve uno strepito sordo e profondo, con un
vasto ondeggiamento delle loro cime. Creò similmente il
popolo de' sogni, e commise loro che ingannando sotto più
forme il pensiero degli uomini, figurassero loro quella
pienezza di non intelligibile felicità, che egli non
vedeva modo a ridurre in atto, e quelle immagini perplesse
e indeterminate, delle quali esso medesimo, se bene
avrebbe voluto farlo, e gli uomini lo sospiravano
ardentemente, non poteva produrre alcun esempio reale.
Fu per questi provvedimenti di Giove ricreato ed eretto
l'animo degli uomini, e rintegrata in ciascuno di loro la
grazia e la carità della vita, non altrimenti che
l'opinione, il diletto e lo stupore della bellezza e
dell'immensità delle cose terrene. E durò questo buono
stato più lungamente che il primo, massime per la
differenza del tempo introdotta da Giove nei nascimenti,
sicché gli animi freddi e stanchi per l'esperienza delle
cose, erano confortati vedendo il calore e le speranze
dell'età verde. Ma in progresso di tempo tornata a mancare
affatto la novità, e risorto e riconfermato il tedio e la
disistima della vita, si ridussero gli uomini in tale
abbattimento, che nacque allora, come si crede, il costume
riferito nelle storie come praticato da alcuni popoli
antichi che lo serbarono (n.1), che nascendo alcuno, si
congregavano i parenti e loro amici a piangerlo; e
morendo, era celebrato quel giorno con feste e
ragionamenti che si facevano congratulandosi coll'estinto.
All'ultimo tutti i mortali si volsero all'empietà, o che
paresse loro di non essere ascoltati da Giove, o essendo
propria natura delle miserie indurare e corrompere gli
animi eziandio più bennati, e disamorarli dell'onesto e
del retto. Perciocché s'ingannano a ogni modo coloro i
quali stimano essere nata primieramente l'infelicità umana
dall'iniquità e dalle cose commesse contro agli Dei; ma
per lo contrario non d'altronde ebbe principio la
malvagità degli uomini che dalle loro calamità.
Ora poiché fu punita dagli Dei col diluvio di Deucalione
la protervia dei mortali e presa vendetta delle ingiurie,
i due soli scampati dal naufragio universale del nostro
genere, Deucalione e Pirra, affermando seco medesimi niuna
cosa potere maggiormente giovare alla stirpe umana che di
essere al tutto spenta, sedevano in cima a una rupe
chiamando la morte con efficacissimo desiderio, non che
temessero né deplorassero il fato comune. Non per tanto,
ammoniti da Giove di riparare alla solitudine della terra;
e non sostenendo, come erano sconfortati e disdegnosi
della vita, di dare opera alla generazione; tolto delle
pietre della montagna, secondo che dagli Dei fu mostrato
loro, e gittatosele dopo le spalle, restaurarono la specie
umana. Ma Giove fatto accorto, per le cose passate, della
propria natura degli uomini, e che non può loro bastare,
come agli altri animali, vivere ed essere liberi da ogni
dolore e molestia del corpo; anzi, che bramando sempre e
in qualunque stato l'impossibile, tanto più si travagliano
con questo desiderio da se medesimi, quanto meno sono
afflitti dagli altri mali; deliberò valersi di nuove arti
a conservare questo misero genere: le quali furono
principalmente due. L'una mescere la loro vita di mali
veri; l'altra implicarla in mille negozi e fatiche, ad
effetto d'intrattenere gli uomini, e divertirli quanto più
si potesse dal conversare col proprio animo, o almeno col
desiderio di quella loro incognita e vana felicità.
Quindi primieramente diffuse tra loro una varia
moltitudine di morbi e un infinito genere di altre
sventure: parte volendo, col variare le condizioni e le
fortune della vita mortale, ovviare alla sazietà e
crescere colla opposizione dei mali il pregio de' beni;
parte acciocché il difetto dei godimenti riuscisse agli
spiriti esercitati in cose peggiori, molto più
comportabile che non aveva fatto per lo passato; e parte
eziandio con intendimento di rompere e mansuefare la
ferocia degli uomini, ammaestrarli a piegare il collo e
cedere alla necessità, ridurli a potersi più facilmente
appagare della propria sorte, e rintuzzare negli animi
affievoliti non meno dalle infermità del corpo che dai
travagli propri, l'acume e la veemenza del desiderio.
Oltre di questo, conosceva dovere avvenire che gli uomini
oppressi dai morbi e dalle calamità, fossero meno pronti
che per l'addietro a volgere le mani contra se stessi,
perocché sarebbero incodarditi e prostrati di cuore, come
interviene per l'uso dei patimenti. I quali sogliono
anche, lasciando luogo alle speranze migliori, allacciare
gli animi alla vita: imperciocché gl'infelici hanno ferma
opinione che eglino sarebbero felicissimi quando si
riavessero dei propri mali; la qual cosa, come è la natura
dell'uomo, non mancano mai di sperare che debba loro
succedere in qualche modo. Appresso creò le tempeste dei
venti e dei nembi, si armò del tuono e del fulmine, diede
a Nettuno il tridente, spinse le comete in giro e ordinò
le eclissi; colle quali cose e con altri segni ed effetti
terribili, instituì di spaventare i mortali di tempo in
tempo: sapendo che il timore e i presenti pericoli
riconcilierebbero alla vita, almeno per breve ora, non
tanto gl'infelici, ma quelli eziandio che l'avessero in
maggiore abbominio, e che fossero più disposti a fuggirla.
E per escludere la passata oziosità, indusse nel genere
umano il bisogno e l'appetito di nuovi cibi e di nuove
bevande, le quali cose non senza molta e grave fatica si
potessero provvedere, laddove insino al diluvio gli
uomini, dissetandosi delle sole acque, si erano pasciuti
delle erbe e delle frutta che la terra e gli arbori
somministravano loro spontaneamente, e di altre nutriture
vili e facili a procacciare, siccome usano di sostentarsi
anche oggidì alcuni popoli, e particolarmente quelli di
California. Assegnò ai diversi luoghi diverse qualità
celesti, e similmente alle parti dell'anno, il quale
insino a quel tempo era stato sempre e in tutta la terra
benigno e piacevole in modo, che gli uomini non avevano
avuto uso di vestimenti; ma di questi per l'innanzi furono
costretti a fornirsi, e con molte industrie riparare alle
mutazioni e inclemenze del cielo. Impose a Mercurio che
fondasse le prime città, e distinguesse il genere umano in
popoli, nazioni e lingue, ponendo gara e discordia tra
loro; e che mostrasse agli uomini il canto e quelle altre
arti, che sì per la natura e sì per l'origine, furono
chiamate, e ancora si chiamano, divine. Esso medesimo
diede leggi, stati e ordini civili alle nuove genti; e in
ultimo volendo con un incomparabile dono beneficarle,
mandò tra loro alcuni fantasmi di sembianze
eccellentissime e soprumane, ai quali permise in
grandissima parte il governo e la potestà di esse genti: e
furono chiamati Giustizia, Virtù, Gloria, Amor patrio e
con altri sì fatti nomi. Tra i quali fantasmi fu
medesimamente uno chiamato Amore, che in quel tempo
primieramente, siccome anco gli altri, venne in terra:
perciocché innanzi all'uso dei vestimenti, non amore, ma
impeto di cupidità, non dissimile negli uomini di allora
da quello che fu di ogni tempo nei bruti, spingeva l'uno
sesso verso l'altro, nella guisa che è tratto ciascuno ai
cibi e a simili oggetti, i quali non si amano veramente,
ma si appetiscono.
Fu cosa mirabile quanto frutto partorissero questi divini
consigli alla vita mortale, e quanto la nuova condizione
degli uomini, non ostante le fatiche, gli spaventi e i
dolori, cose per l'addietro ignorate dal nostro genere,
superasse di comodità e di dolcezza quelle che erano state
innanzi al diluvio. E questo effetto provenne in gran
parte da quelle maravigliose larve; le quali dagli uomini
furono riputate ora geni ora iddii, e seguite e culte con
ardore inestimabile e con vaste e portentose fatiche per
lunghissima età; infiammandoli a questo dal canto loro con
infinito sforzo i poeti e i nobili artefici; tanto che un
grandissimo numero di mortali non dubitarono chi all'uno e
chi all'altro di quei fantasmi donare e sacrificare il
sangue e la vita propria. La qual cosa, non che fosse
discara a Giove, anzi piacevagli sopra modo, così per
altri rispetti, come che egli giudicava dovere essere gli
uomini tanto meno facili a gittare volontariamente la
vita, quanto più fossero pronti a spenderla per cagioni
belle e gloriose. Anche di durata questi buoni ordini
eccedettero grandemente i superiori; poiché quantunque
venuti dopo molti secoli in manifesto abbassamento,
nondimeno eziandio declinando e poscia precipitando,
valsero in guisa, che fino all'entrare di un'età non molto
rimota dalla presente, la vita umana, la quale per virtù
di quegli ordini era stata già, massime in alcun tempo,
quasi gioconda, si mantenne per beneficio loro
mediocremente facile e tollerabile.
Le cagioni e i modi del loro alterarsi furono i molti
ingegni trovati dagli uomini per provvedere agevolmente e
con poco tempo ai propri bisogni; lo smisurato
accrescimento della disparità di condizioni e di uffici
constituita da Giove tra gli uomini quando fondò e dispose
le prime repubbliche; l'oziosità e la vanità che per
queste cagioni, di nuovo, dopo antichissimo esilio,
occuparono la vita; l'essere, non solo per la sostanza
delle cose, ma ancora da altra parte per l'estimazione
degli uomini, venuta a scemarsi in essa vita la grazia
della varietà, come sempre suole per la lunga
consuetudine; e finalmente le altre cose più gravi, le
quali per essere già descritte e dichiarate da molti, non
accade ora distinguere. Certo negli uomini si rinnovellò
quel fastidio delle cose loro che gli aveva travagliati
avanti il diluvio, e rinfrescossi quell'amaro desiderio di
felicità ignota ed aliena dalla natura dell'universo.
Ma il totale rivolgimento della loro fortuna e l'ultimo
esito di quello stato che oggi siamo soliti di chiamare
antico, venne principalmente da una cagione diversa dalle
predette: e fu questa. Era tra quelle larve, tanto
apprezzate dagli antichi, una chiamata nelle costoro
lingue Sapienza; la quale onorata universalmente come
tutte le sue compagne, e seguita in particolare da molti,
aveva altresì al pari di quelle conferito per la sua parte
alla prosperità dei secoli scorsi. Questa più e più volte,
anzi quotidianamente, aveva promesso e giurato ai seguaci
suoi di voler loro mostrare la Verità, la quale diceva
ella essere un genio grandissimo, e sua propria signora,
né mai venuta in sulla terra, ma sedere cogli Dei nel
cielo; donde essa prometteva che coll'autorità e grazia
propria intendeva di trarla, e di ridurla per qualche
spazio di tempo a peregrinare tra gli uomini: per l'uso e
per la familiarità della quale, dovere il genere umano
venire in sì fatti termini, che di altezza di
conoscimento, eccellenza d'instituti e di costumi, e
felicità di vita, per poco fosse comparabile al divino. Ma
come poteva una pura ombra ed una sembianza vota mandare
ad effetto le sue promesse, non che menare in terra la
Verità? Sicché gli uomini, dopo lunghissimo credere e
confidare, avvedutisi della vanità di quelle profferte; e
nel medesimo tempo famelici di cose nuove, massime per
l'ozio in cui vivevano; e stimolati parte dall'ambizione
di pareggiarsi agli Dei, parte dal desiderio di quella
beatitudine che per le parole del fantasma si riputavano,
conversando colla Verità essere per conseguire; si volsero
con instantissime e presuntuose voci dimandando a Giove
che per alcun tempo concedesse alla terra quel nobilissimo
genio, rimproverandogli che egli invidiasse alle sue
creature l'utilità infinita che dalla presenza di quello
riporterebbero; e insieme si rammaricavano con lui della
sorte umana, rinnovando le antiche e odiose querele della
piccolezza e della povertà delle cose loro. E perché
quelle speciosissime larve, principio di tanti beni alle
età passate, ora si tenevano dalla maggior parte in poca
stima; non che già fossero note per quelle che veramente
erano, ma la comune viltà dei pensieri e l'ignavia dei
costumi facevano che quasi niuno oggimai le seguiva;
perciò gli uomini bestemmiando scelleratamente il maggior
dono che gli eterni avessero fatto e potuto fare ai
mortali, gridavano che la terra non era degnata se non dei
minori geni; ed ai maggiori, ai quali la stirpe umana più
condecentemente s'inchinerebbe, non essere degno né lecito
di porre il piede in questa infima parte dell'universo.
Molte cose avevano già da gran tempo alienata novamente
dagli uomini la volontà di Giove; e tra le altre
gl'incomparabili vizi e misfatti, i quali per numero e per
tristezza si avevano di lunghissimo intervallo lasciate
addietro le malvagità vendicate dal diluvio. Stomacavalo
del tutto, dopo tante esperienze prese, l'inquieta,
insaziabile, immoderata natura umana; alla tranquillità
della quale, non che alla felicità, vedeva oramai per
certo, niun provvedimento condurre, niuno stato convenire,
niun luogo essere bastante; perché quando bene egli avesse
voluto in mille doppi aumentare gli spazi e i diletti
della terra, e l'università delle cose, quella e queste
agli uomini, parimente incapaci e cupidi dell'infinito,
fra breve tempo erano per parere strette, disamene e di
poco pregio. Ma in ultimo quelle stolte e superbe domande
commossero talmente l'ira del dio, che egli si risolse,
posta da parte ogni pietà, di punire in perpetuo la specie
umana, condannandola per tutte le età future a miseria
molto più grave che le passate. Per la qual cosa deliberò
non solo mandare la Verità fra gli uomini a stare, come
essi chiedevano, per alquanto di tempo, ma dandole eterno
domicilio tra loro, ed esclusi di quaggiù quei vaghi
fantasmi che egli vi avea collocati, farla perpetua
moderatrice e signora della gente umana.
E maravigliandosi gli altri Dei di questo consiglio, come
quelli ai quali pareva che egli avesse a ridondare in
troppo innalzamento dello stato nostro e in pregiudizio
della loro maggioranza, Giove li rimosse da questo
concetto mostrando loro, oltre che non tutti i geni,
eziandio grandi, sono di proprietà benefici, non essere
tale l'ingegno della Verità, che ella dovesse fare gli
stessi effetti negli uomini che negli Dei. Perocché
laddove agl'immortali ella dimostrava la loro beatitudine,
discoprirebbe agli uomini interamente e proporrebbe ai
medesimi del continuo dinanzi agli occhi la loro
infelicità; rappresentandola oltre a questo, non come
opera solamente della fortuna, ma come tale che per niuno
accidente e niuno rimedio non la possano campare, né mai,
vivendo, interrompere. Ed avendo la più parte dei loro
mali questa natura, che in tanto sieno mali in quanto sono
creduti essere da chi li sostiene, e più o meno gravi
secondo che esso gli stima; si può giudicare di quanto
grandissimo nocumento sia per essere agli uomini la
presenza di questo genio. Ai quali niuna cosa apparirà
maggiormente vera che la falsità di tutti i beni mortali;
e niuna solida, se non la vanità di ogni cosa fuorché dei
propri dolori. Per queste cagioni saranno eziandio privati
della speranza; colla quale dal principio insino al
presente, più che con altro diletto o conforto alcuno,
sostentarono la vita. E nulla sperando, né veggendo alle
imprese e fatiche loro alcun degno fine, verranno in tale
negligenza ed abborrimento da ogni opera industriosa, non
che magnanima, che la comune usanza dei vivi sarà poco
dissomigliante da quella dei sepolti. Ma in questa
disperazione e lentezza non potranno fuggire che il
desiderio di un'immensa felicità, congenito agli animi
loro, non li punga e cruci tanto più che in addietro,
quanto sarà meno ingombro e distratto dalla varietà delle
cure e dall'impeto delle azioni. E nel medesimo tempo si
troveranno essere destituiti della naturale virtù
immaginativa, che sola poteva per alcuna parte soddisfarli
di questa felicità non possibile e non intesa, né da me,
né da loro stessi che la sospirano. E tutte quelle
somiglianze dell'infinito che io studiosamente aveva poste
nel mondo, per ingannarli e pascerli, conforme alla loro
inclinazione, di pensieri vasti e indeterminati,
riusciranno insufficienti a quest'effetto per la dottrina
e per gli abiti che eglino apprenderanno dalla Verità. Di
maniera che la terra e le altre parti dell'universo, se
per addietro parvero loro piccole, parranno da ora innanzi
menome: perché essi saranno instrutti e chiariti degli
arcani della natura; e perché quelle, contro la presente
aspettazione degli uomini, appaiono tanto più strette a
ciascuno, quanto egli ne ha più notizia. Finalmente,
perciocché saranno stati ritolti alla terra i suoi
fantasmi, e per gl'insegnamenti della Verità, per li quali
gli uomini avranno piena contezza dell'essere di quelli,
mancherà dalla vita umana ogni valore, ogni rettitudine,
così di pensieri come di fatti; e non pure lo studio e la
carità, ma il nome stesso delle nazioni e delle patrie
sarà spento per ogni dove; recandosi tutti gli uomini,
secondo che essi saranno usati di dire, in una sola
nazione e patria, come fu da principio, e facendo
professione di amore universale verso tutta la loro
specie; ma veramente dissipandosi la stirpe umana in tanti
popoli quanti saranno uomini. Perciocché non si proponendo
né patria da dovere particolarmente amare, né strani da
odiare; ciascheduno odierà tutti gli altri, amando solo,
di tutto il suo genere, se medesimo. Dalla qual cosa
quanti e quali incomodi sieno per nascere, sarebbe
infinito a raccontare. Né per tanta e sì disperata
infelicità si ardiranno i mortali di abbandonare la luce
spontaneamente: perocché l'imperio di questo genio li farà
non meno vili che miseri; ed aggiungendo oltremodo alle
acerbità della loro vita, li priverà del valore di
rifiutarla.
Per queste parole di Giove parve agli Dei che la nostra
sorte fosse per essere troppo più fiera e terribile che
alla divina pietà non si convenisse di consentire. Ma
Giove seguitò dicendo. Avranno tuttavia qualche mediocre
conforto da quel fantasma che essi chiamano Amore; il
quale io sono disposto, rimovendo tutti gli altri,
lasciare nel consorzio umano. E non sarà dato alla Verità,
quantunque potentissima e combattendolo di continuo, né
sterminarlo mai dalla terra, né vincerlo se non di rado.
Sicché la vita degli uomini, parimente occupata nel culto
di quel fantasma e di questo genio, sarà divisa in due
parti; e l'uno e l'altro di quelli avranno nelle cose e
negli animi dei mortali comune imperio. Tutti gli altri
studi, eccetto che alcuni pochi e di picciolo conto,
verranno meno nella maggior parte degli uomini. Alle età
gravi il difetto delle consolazioni di Amore sarà
compensato dal beneficio della loro naturale proprietà di
essere quasi contenti della stessa vita, come accade negli
altri generi di animali, e di curarla diligentemente per
sua cagione propria, non per diletto né per comodo che ne
ritraggano.
Così rimossi dalla terra i beati fantasmi, salvo solamente
Amore, il manco nobile di tutti, Giove mandò tra gli
uomini la Verità, e diedele appo loro perpetua stanza e
signoria. Di che seguitarono tutti quei luttuosi effetti
che egli avea preveduto. E intervenne cosa di gran
maraviglia; che ove quel genio prima della sua discesa,
quando egli non avea potere né ragione alcuna negli
uomini, era stato da essi onorato con un grandissimo
numero di templi e di sacrifici; ora venuto in sulla terra
con autorità di principe, e cominciato a conoscere di
presenza, al contrario di tutti gli altri immortali, che
più chiaramente manifestandosi, appaiono più venerandi,
contristò di modo le menti degli uomini e percossele di
così fatto orrore, che eglino, se bene sforzati di
ubbidirlo, ricusarono di adorarlo. E in vece che quelle
larve in qualunque animo avessero maggiormente usata la
loro forza, solevano essere da quello più riverite ed
amate; esso genio riportò più fiere maledizioni e più
grave odio da coloro in che egli ottenne maggiore imperio.
Ma non potendo perciò né sottrarsi, né ripugnare alla sua
tirannide, vivevano i mortali in quella suprema miseria
che eglino sostengono insino ad ora, e sempre sosterranno.
Se non che la pietà, la quale negli animi dei celesti non
è mai spenta, commosse, non e gran tempo, la volontà di
Giove sopra tanta infelicità; e massime sopra quella di
alcuni uomini singolari per finezza d'intelletto,
congiunta a nobiltà di costumi e integrità di vita; i
quali egli vedeva essere comunemente oppressi ed afflitti
più che alcun altro, dalla potenza e dalla dura
dominazione di quel genio. Avevano usato gli Dei negli
antichi tempi, quando Giustizia, Virtù e gli altri
fantasmi governavano le cose umane, visitare alcuna volta
le proprie fatture, scendendo ora l'uno ora l'altro in
terra, e qui significando la loro presenza in diversi
modi: la quale era stata sempre con grandissimo beneficio
o di tutti i mortali o di alcuno in particolare. Ma
corrotta di nuovo la vita, e sommersa in ogni
scelleratezza, sdegnarono quelli per lunghissimo tempo la
conversazione umana. Ora Giove compassionando alla nostra
somma infelicità, propose agl'immortali se alcuno di loro
fosse per indurre l'animo a visitare, come avevano usato
in antico, e racconsolare in tanto travaglio questa loro
progenie, e particolarmente quelli che dimostravano
essere, quanto a sé, indegni della sciagura universale. Al
che tacendo tutti gli altri, Amore, figliuolo di Venere
Celeste, conforme di nome al fantasma così chiamato, ma di
natura, di virtù e di opere diversissimo; si offerse (come
è singolare fra tutti i numi la sua pietà) di fare esso
l'ufficio proposto da Giove, e scendere dal cielo; donde
egli mai per l'avanti non si era tolto; non sofferendo il
concilio degl'immortali, per averlo indicibilmente caro,
che egli si partisse, anco per piccolo tempo, dal loro
commercio. Se bene di tratto in tratto molti antichi
uomini, ingannati da trasformazioni e da diverse frodi del
fantasma chiamato collo stesso nome, si pensarono avere
non dubbi segni della presenza di questo massimo iddio. Ma
esso non prima si volse a visitare i mortali, che eglino
fossero sottoposti all'imperio della Verità. Dopo il qual
tempo, non suole anco scendere se non di rado, e poco si
ferma; così per la generale indegnità della gente umana,
come che gli Dei sopportano molestissimamente la sua
lontananza. Quando viene in sulla terra, sceglie i cuori
più teneri e più gentili delle persone più generose e
magnanime; e quivi siede per breve spazio; diffondendovi
sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti
sì nobili, e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora
provano, cosa al tutto nuova nel genere umano, piuttosto
verità che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente
congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro
a un medesimo tempo, e inducendo scambievole ardore e
desiderio in ambedue; benché pregatone con grandissima
instanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli
consente di compiacerli, trattone alcuni pochi; perché la
felicità che nasce da tale beneficio, è di troppo breve
intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l'essere
pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata
condizione fosse in alcun uomo ai migliori tempi. Dove
egli si posa, dintorno a quello si aggirano, invisibili a
tutti gli altri, le stupende larve, già segregate dalla
consuetudine umana; le quali esso Dio riconduce per questo
effetto in sulla terra, permettendolo Giove, né potendo
essere vietato dalla Verità, quantunque inimicissima a
quei fantasmi, e nell'animo grandemente offesa del loro
ritorno: ma non è dato alla natura dei geni di contrastare
agli Dei. E siccome i fati lo dotarono di fanciullezza
eterna, quindi esso, convenientemente a questa sua natura,
adempie per qualche modo quel primo voto degli uomini, che
fu di essere tornati alla condizione della puerizia.
Perciocché negli animi che egli si elegge ad abitare,
suscita e rinverdisce per tutto il tempo che egli vi
siede, l'infinita speranza e le belle e care immaginazioni
degli anni teneri. Molti mortali, inesperti e incapaci de'
suoi diletti, lo scherniscono e mordono tutto giorno, sì
lontano come presente, con isfrenatissima audacia: ma esso
non ode i costoro obbrobri; e quando gli udisse, niun
supplizio ne prenderebbe; tanto è da natura magnanimo e
mansueto. Oltre che gl'immortali, contenti della vendetta
che prendono di tutta la stirpe, e dell'insanabile miseria
che la gastiga, non curano le singolari offese degli
uomini; né d'altro in particolare sono puniti i frodolenti
e gl'ingiusti e i dispregiatori degli Dei, che di essere
alieni anche per proprio nome dalla grazia di quelli.
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