Ma la regina presentì gli inganni
(chi potrebbe ingannare
un’amante?) e colse per prima i
mutamenti futuri,
sicura mentre temeva ogni cosa. La
stessa empia Fama riferì
alla furente che la flotta era armata e
il viaggio preparato.
Si abbandona alla collera fuori di sé e
ardente delira
per tutta la città, come una Tiade
eccitata dopo che i sacri
arredi sono stati spostati, quando udito
Bacco la stimolano
le orge triennali e il notturno Citerone
la chiama con grida.
Infine si rivolge per prima ad Enea con
queste parole:
“Perfido, hai anche sperato di poter
dissimulare una tale
infamia e di lasciare silenzioso la mia
terra?
Non ti trattengono il nostro amore né la
destra data una volta
né Didone che morirà di morte crudele?
No: anche sotto le stelle invernali
prepari la flotta
e ti appresti ad andare per mare in
mezzo agli Aquiloni,
o crudele? Perché? Se non cercassi terre
straniere
e dimore sconosciute, e l’antica Troia
sopravvivesse,
andresti a Troia con le navi per il mare
in tempesta?
Fuggi da me? Io per queste lacrime e per
la tua destra
(poiché ormai a me infelice nient’altro
io stessa ho lasciato),
per il nostro matrimonio, per gli imenei
iniziati, se qualcosa
di bene ho meritato di te, o se qualcosa
di me fu dolce per te,
abbi pietà della casa che crolla e, ti
prego, se ancora
c’è posto per le preghiere, abbandona
questo proposito.
A causa tua le genti Libiche e i tiranni
Numidi
mi odiano, i Tirii sono ostili; a causa
tua è perso
lo stesso pudore e la fama di prima, per
la quale sola
andavo alle stelle. A chi lasci me
moribonda, ospite
(poiché questo solo nome resta dello
sposo)?
Perché indugio?
Forse che mio fratello Pigmalione distrugga
le mie mura o che il
getulo Iarba mi catturi.
Se almeno un qualche figlio avessi avuto
riconosciuto da te
prima della fuga, se un piccolo Enea
giocasse per me
nella corte, che almeno ti ricordasse
nel volto,
non mi sentirei completamente ingannata
e abbandonata.”
Disse. Quello teneva gli occhi immobili
ai comandi di Giove,
e premeva con forza la pena nel cuore.
Pronuncia poche parole: “Io, o regina,
mai negherò
che hai molti meriti che puoi
giustamente enumerare
né mi rincrescerà ricordare Elissa,
finché avrò memoria
di me stesso, finché lo spirito reggerà
queste membra.
Parlerò brevemente dei fatti. Né io
sperai (non credere)
di nascondere questa fuga con un
sotterfugio né mai
le fiaccole dello sposo ho offerto o
venni a questi legami.
Se il destino
mi permettesse di vivere
come desidero e
di placare i miei affanni da solo,
prima onorerei
la città di Troia e le dolci reliquie dei miei,
persisterebbero
gli alti palazzi di Priamo,
e avrei
rifondato con la mia mano una nuova Pergamo per i vinti.
Ma ora la
grande Italia Apollo Grineo,
l’Italia gli
oracoli della Licia mi hanno ordinato di raggiungere;
questo è
l’amore, questa la patria. Se la rocca di Cartagine
e la vista di
una città della
Libia trattiene te Fenicia perché
dunque non vuoi che i Teucri si stabiliscano in terra Ausonia?
E’ lecito che anche noi
cerchiamo regni stranieri.
L’immagine del
padre Anchise,
tutte le volte
che la notte copre le terre
con le lunghe
ombre, tutte le volte che sorgono gli astri di fuoco,
mi ammonisce
nei sogni e mi atterrisce agitata; mi
ammonisce il
fanciullo Ascanio con l’offesa al suo caro capo,
che privo del
regno di Esperia e dei campi fatali.
Ora anche il
messaggero degli dei mandato dallo stesso Giove
(giuro sul capo
di entrambi) porta comandi per l’aria veloce:
io stesso ho
visto il dio visibile nella luce mentre attraversava
i muri e ho
raccolto la voce con queste orecchie.
Smetti di
esasperare me e te con i tuoi lamenti:
non cerco
l’Italia spontaneamente.