CAPITOLO XI

Carichi utili

In un hobby come il nostro dapprima si comincia a costruire i modelli semplicemente a scopo di divertimento: tutto quello che si pretende è di realizzare un modello che abbia un discreto comportamento aerodinamico e sia in grado di raggiungere notevoli altezze, perché i problemi che si presentano sono tali e tanti che la loro stessa risoluzione costituisce già di per sé un ottimo svago. Man mano che l'esperienza aumenta, il costruttore si sente sempre più portato a partecipare a gare, allo scopo di mettere alla prova la propria abilità in confronto diretto con altre persone; oppure, il desiderio di imitare quanto succede nella realtà lo spinge ad affrontare il problema di sistemare all'interno del proprio razzo dei carichi da trasportare in alto, su lunghi percorsi e con grandi accelerazioni iniziali. Quasi quotidianamente abbiamo difatti occasione di leggere sui giornali notizie di lanci di missili effettuati allo scopo di sistemare in orbita satelliti particolari, dotati di attrezzature fantastiche destinate allo studio di particolari fenomeni quali la ricerca meteorologica e le radiazioni solari; in tempi passati i razzi poi venivano costruiti per trasportare testate esplosive o per fare segnalazioni.

Nel modellismo però non vengono mai adoperate testate esplosive, perché le persone che dovrebbero maneggiarle non hanno l'addestramento altamente specializzato necessario, e, in particolare, una sufficiente pratica di montaggio delle spolette il nostro consiglio è quindi di astenersi da una attività di questo genere, perché i pericoli cui si va incontro sono innumerevoli e dì estrema gravità, e perché il modellista in genere non può migliorare nessuna delle conoscenze che realmente gli servono. Abbiamo più volte avuto modo di insistere che in questo hobby lo scopo ultimo è divertirsi in una maniera intelligente e priva di pericoli, svolgendo un'attività ricca di aspetti tecnici e scientifici attorno ai quali il modellista deve concentrare la propria attenzione.

Una volta chiarito questo punto, possiamo pure prendere in considerazione l'idea di progettare il nostro razzo in modo da poterci sistemare dentro dei carichi utili e realizzare così qualcosa che è già abbastanza complicato. Come primo avviso, va detto che i modelli non sono destinati generalmente a trasportare carichi utili di qualsiasi tipo, ma che in genere si stabilisce prima il tipo di carico utile che si vuole lanciare e poi in base alla sua grandezza, alla sua forma e al suo peso, si progetta il missile. Se si volesse seguire l'ordine inverso, è chiaro che occorre progettare un modello capace di adattarsi entro certi limiti a carichi aventi caratteristiche diverse. Un'altra esigenza da tener presente è che talvolta un particolare tipo di carico non può essere sottoposto alle sollecitazioni dovute, a forti accelerazioni o a bruschi sobbalzi durante il volo o a un atterraggio realizzato in condizioni non perfette: si introduce allora la necessità di progettare il missile più accuratamente, così da essere sicuri che la fase di lancio avvenga in maniera perfetta, che il volo si svolga quasi sicuramente secondo le previsioni e che l'atterraggio sia sufficientemente morbido.

Il carico utile viene quasi sempre sistemato in prossimità dell'ogiva, oppure all'interno del corpo centrale, perché così si ha il vantaggio di ottenere una posizione abbastanza avanzata del baricentro, migliorando la stabilità dinamica: non bisogna difatti dimenticare che siamo adesso in presenza di un razzo abbastanza pesante a causa dei carichi introdotti; la situazione è anche caratterizzata, a parità di potenza disponibile, da una diminuzione dell'accelerazione di decollo.

Solo qualche costruttore molto abile può prendere in considerazione l'idea di sistemare il carico in altre parti, ricavando all'interno del corpo un apposito compartimento separato, così come succede nella realtà. Non stiamo qui a insistere ancora sul problema della stabilità dinamica perché abbiamo già avuto modo di parlarne diffusamente a suo tempo; dovrebbe risultare evidente anche ai meno esperti che i problemi connessi sono aggravati dal fatto di aver appesantito il modello e di aver ridotto l'accelerazione iniziale.

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Fig. 12. Sotto lo sguardo compiaciuto dell'astronauta dell'Apollo William Anders il giovane Michael Paskin mostra l'uovo fresco che egli ha fatto volare a un'altezza di 300 m. circa e che ha recuperato intatto durante le gare alla stazione NASA di Wallops (Virginia) nel 1964.

In un campo come questo, la fantasia dei costruttori si è sbizzarrita nelle maniere più diverse, lanciando in aria i carichi più impensati: avremo modo di citare esempi abbastanza curiosi, ma per ora vogliamo far presente che l'associazione americana di missilistica ha da tempo accettato l'introduzione di carichi standard nelle gare, allo scopo di regolarizzare tutta la materia, eliminando nello stesso tempo una fonte notevole di discussione ira i partecipanti. Secondo lo schema fissato da questa società, le gare si svolgono fra modelli dotati di un impulso totale prefissato e contenenti uno o più carichi standard tutti dello stesso peso: il carico standard è un piccolo cilindro dì piombo avente il diametro di circa 2 cm, lo spessore di circa 1 cm e il peso di circa 30 g, a cui non può essere apportata alcuna modifica nella forma e nelle dimensioni e su cui non possono essere praticati fori (che oltretutto ridurrebbero il suo peso). Esso deve essere interamente alloggiato sul modello, deve poter essere inserito e rimosso in qualsiasi momento dal modellista e infine non deve avere la possibilità di staccarsi dal missile durante il volo. Rispettare tali disposizioni regolamentari non è difficile, tant'è vero che ogni anno centinaia di modellisti costruiscono e lanciano modelli con carico di questo tipo: si può dire anzi che dall'anno in cui si è applicata questa regolamentazione le gare hanno visto un aumento notevole di partecipanti, che si sentono invogliati a seguire questa strada dalla chiarezza del regolamento e dal desiderio di eguagliare o superare i primati che altri hanno già stabilito.

in questo campo l'esperienza dell'autore è notevole: egli ha costruito parecchi modelli di questo tipo, alcuni dei quali hanno stabilito primati nazionali, mentre altri non sono stati neppure in grado di raggiungere un piazzamento in gara. La fig. 123 mostra due tipi di modelli da carico in opportuna scala: lo schema di un tipico modello da competizione con carico standard (Norme NAR) è riportato nella fig. 124. E' da notare che il corpo centrale è costituito al solito da un tubo di carta di facile reperimento, con diametro interno di circa 2 cm, e che da esso è stato eliminato qualsiasi peso superfluo non necessario all'aerodinamicità o al fissaggio del carico. L'ogiva è costituita da un cono di legno di balsa, alla base della quale è stata praticata la solita correzione che ne riduce la forma conica a cilindrica e permette quindi un facile collegamento con il corpo centrale: la lunghezza di questa specie di scalino deve essere esattamente predisposta, in maniera tale che il carico sia alloggiato perfettamente nella parte cava compresa tra la sommità del corpo e la parte posteriore dell'ogiva. Il modo migliore per fissare l'ogiva al corpo è sempre quello di inserirla a pressione, avendo avuto cura di regolarne il diametro in maniera tale da realizzare un accoppiamento abbastanza stretto: a questo scopo si può sempre ricorrere al sistema già spiegato precedentemente, servendosi cioè di un po' di nastro adesivo per portare il diametro esterno dell'ogiva alle dimensioni volute. In presenza di carichi è difatti estremamente importante che l'ogiva non possa sfilarsi dal corpo se non al momento in cui il progetto di volo lo prevede.

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Fig. 123. Due modelli di carico, in scala, usati per gare: il "Pogo-Hi e l'Asp-IV". In basso a destra è visibile il carico NAR che viene lanciato con tali modelli.

Per quanto un modello possa essere predisposto a trasportare un carico standard in modo abbastanza semplice, e cioè montando su un normale modello un'ogiva capace dì alloggiare il carico, la maggior parte dei modellisti preferisce progettare missili speciali, un po' per mettere alla prova la propria abilità e un po' perché così facendo si raggiungono prestazioni effettivamente migliori.

Tenendo conto della posizione abbastanza avanzata del baricentro, e del fatto che quindi la stabilità dinamica è generalmente soddisfacente, si può sensibilmente ridurre la dimensione delle pinne, tenendo però presente che una esagerazione in questo senso è senz'altro dannosa. Anche per risolvere questo piccolo problema, è a volte più efficace un po' di esperienza pratica che molte considerazioni teoriche, perché è abbastanza difficile trovare il buon compromesso tra l'esigenza di ridurre la resistenza aerodinamica e quella di ottenere un effetto stabilizzatore ancora soddisfacente: ciò non esclude che si vedano però in giro nei campi di gara certe creazioni che hanno davvero del miracoloso, perché realizzate con pinne molto piccole, e quindi dotate di una grazia e di una linea che hanno del portentoso. D'altro canto capita che certi modelli, che sembrano realizzati con tutte le cure e progettati con il rispetto di tutte le regole, non sono in realtà in grado di realizzare un volo appena soddisfacente, perché il loro costruttore ha curato solo la parte estetica senza preoccuparsi dell'aspetto aerodinamico e di tutti i problemi inerenti la stabilità.

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Fig. 124. Sezione longitudinale di un tipico modello in grado di trasportare un carico NAR.

Il principiante, o comunque il modellista non coscienzioso, in generale risolve il suo problema di lanciare in alto carichi pesanti semplicemente aumentando la potenza o l'impulso totale dei motori che ha a disposizione: tutto ciò è indice di una mentalità sbagliata e di una scarsa attitudine a pensare ai problemi che si presentano e a cercare di risolverli. Nella pratica il problema che si presenta è questo: occorre lanciare in alto un certo carico dotato di caratteristiche conosciute, ma senza oltrepassare limiti massimi di peso, spinta o impulso totale, in genere fissati da altre considerazioni, ma le quali non sono ultime quelle di tipo economico; il modellista deve fissare con molta precisione il valore massimo dell'impulso che vuole utilizzare, eventualmente il numero massimo dei motori che ha a disposizione, tenendo conto del carico che vuole alzare in aria: a questo punto il suo compito è quello di progettare il razzo che gli permetta di raggiungere le altezze maggiori e le maggiori accelerazioni iniziali, giocando su fattori quali la aerodinamicità, la lunghezza, la disposizione relativa baricentro - centro delle pressioni ecc. Sono gli stessi problemi che deve risolvere un ingegnere professionista.

I "carichi utili" decisamente più impegnativi e più emozionanti da lanciare sono senz'altro i carichi biologici vivi, indicati negli Stati Uniti con la sigla LBP (Live Biological Payloads), su cui si è da tempo concentrata l'attenzione di numerosi modellisti, attratti al solito da quanto si fa nella realtà. E' chiaro che tutti i problemi di sicurezza e di rientro morbido sono in questo caso esasperati, che i rischi tollerabili sono limitatissimi se appena uno ha un po' di coscienza e il desiderio di far ritornare a terra il suo animale vivo e vegeto. La prima notizia di un volo di questo tipo ci porta al 1957, anno in cui un piccolo topo di campagna grigio, catturato nel campo di prove Green Mountain presso Denver fu lanciato in aria con un modello frettolosamente predisposto a questo scopo e dotato di un'ogiva di plastica: l'altezza raggiunta fu sufficiente affinché si aprisse il paracadute e permettesse quindi un recupero sicuro del topo vivo, perché il razzo era abbastanza grande, dotato di motori abbastanza potenti e per di più a due stadi. Anche l'autore si è cimentato in questa speciale attività e ha progettato e costruito particolari razzi, dotati di vani grandi abbastanza da contenere topi bianchi da laboratorio, che per fortuna sono sempre ritornati a terra in condizioni eccellenti; i problemi che ha dovuto risolvere sono tali e tanti per cui consiglia di addentrarsi in questo particolare campo solo a persone dotate di una esperienza notevole e di una preparazione indiscutibile.

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Fig. 125. Questa foto è stata scattata da un modello "Estes Camroc" da un'altezza di circa 150 metri.

Nel 1958 una rana volò a bordo di un razzo costruito da H. Carlisle; dopo questo ci sono stati miriadi di esperimenti con animali di tutti i tipi, come criceti, insetti di ogni specie, serpenti e perfino pesci, alcuni dei quali si sono purtroppo conclusi in maniera tragica.

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Fig. 126. La macchina fotografica usata da Lewis Dewart, il cui obiettivo proveniva da un apparecchio giapponese in miniatura. Essa era montata sulla parte esterna del modello ed era azionata dall'espulsione dell'ogiva.

Ma con il tempo la coscienza degli aeromodellisti si è andata destando, anche perché negli Stati Uniti la Società per la protezione degli animali è intervenuta con una certa energia disapprovando apertamente tutti i lanci di animali vivi, anche se effettuati con motivazione scientifica, e ponendo l'accento sul fatto che oltre ad essere talvolta crudele, non ha senso fare volare un animale soltanto per dar prova delle proprie capacità. Nel 1962 il capitano David Barr, dell'Accademia aeronautica degli Stati Uniti, ha risolto il problema di effettuare voli con carichi che possiamo definire vivi, senza scivolare in prove che possono avere il sapore della crudeltà: questo test consiste nel far volare un grosso uovo di gallina senza romperne il guscio o anche soltanto il tuorlo: è da notare che, con il suo peso di 80 g circa e il suo diametro medio dì 4 o 5 cm, un uovo si presta a simulare bene un buon LBP, accontentando di conseguenza il modellista più esigente e permettendogli di effettuare i suoi esperimenti con il solo rischio di fare una bella frittata!

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Fig. 127. Il semplice razzo per riprese fotografiche di Dennis Guill, mosso da un motore del tipo B8-4; l'obiettivo, ricavato anche in questo caso da un apparecchio giapponese, ne costituisce l'ogiva.

I primi voli di modelli con uova a bordo e coronati da pieno successo vennero effettuati durante i quarti campionati nazionali di modellismo svoltisi nel 1962: Don Scott di Port Washington (N.Y.) e Paul Hans usarono un modello costruito per riprese fotografiche, opportunamente modificato e spinto da un motore della serie F 11-3, nella cui ogiva di legno avevano sistemato l'uovo avvolto in una gomma spugnosa: si trattò di un volo abbastanza di fortuna, improvvisato, che sembra sia terminato con un successo pieno (di questo missile riparleremo in seguito a proposito del problema del trasporto delle cineprese).

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Fig. 128. Particolare dell'ogiva del modello di Guill; quando l'ogiva viene espulsa, lo spillo viene tirato e l'obiettivo azionato dalla molla.

Il primo modellista che invece usò un missile appositamente progettato e dotato di speciali accorgimenti per un lancio di questo genere fu Steve Moro di White Plains (N.Y.), che effettuò il suo esperimento poco tempo dopo: il razzo era ancora di tipo tradizionale, spinto da un complesso di tre motori del tipo B 8-4 sistemati nella maniera che abbiamo già visto, e cioè riempiendo gli spazi vuoti fra i vari motori con argilla malleabile, allo scopo di evitare che l'effetto della carica di espulsione andasse disperso. L'unico accorgimento che vale la pena di citare è che il paracadute non riportò a terra il razzo tutto intero, perché il corpo del razzo fu lasciato precipitare, mentre l'uovo contenuto nell'ogiva fu recuperato a parte con un paracadute di seta di 61 cm dì lato: è questo un esempio da non imitare, perché abbiamo già detto e ripetuto più volte che non è prudente far cadere dall'alto un razzo liberamente, senza dotarlo di un opportuno dispositivo di recupero Un altro particolare costruttivo è che l'ogiva di questo modello era costituita da due tronchi di cono di carta: nel primo di essi era sistemato l'uovo, posto in un sacchetto di plastica peno d'acqua e avvolto a sua volta nella gomma, mentre al secondo era incollata la parte posteriore dell'ogiva destinata ad infilarsi dentro il corpo e a contenere l'anello di attacco del paracadute. Queste due parti furono incollate insieme al momento del lancio, che fu coronato dal più lusinghiero successo.

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Fig. 129. Charles e Paul Hans preparano al volo il loro modello "Hans-Scott", in grado di trasportare una cinepresa a circa 300 m di altezza.

Questo tipo di gare effettuato con uova ha avuto un enorme sviluppo in America e si sta diffondendo rapidamente un po' dappertutto, perché offre tutte le possibilità di suspense e di svago che presentano i lanci con animali vivi, senza d'altro canto comportare angoscia: possiamo dire che è veramente entusiasmante anche quando le cose non vanno per il loro verso poiché, se si commettono errori, ci si trova fra le mani una specie di frittata che, invece di avvilire il costruttore, in generale è motivo di buone risate fra amici.

Un altro carico abbastanza interessante da far volare è una macchina fotografica, perché la possibilità di effettuare riprese dall'alto attira l'attenzione di molti modellisti, e perché le esigenze di avere un volo regolare e tranquillo sono anche qui molto marcate. La serie di questi voli venne aperta nel 1961 da Lewis Dewart di Sunbury (Pennsylvania), il quale utilizzò una minuscola macchina giapponese che sistemò alla meglio in un missile, in una maniera che oggi giorno farebbe rabbrividire qualunque modellista anche non molto sofisticato: egli difatti non sistemò la macchina all'interno del corpo del razzo ma la assicurò alla superficie esterna di un piccolo modello, senza curarsi tanto dei problemi aerodinamici, ma semplicemente incuriosito e affascinato dall'idea di portare in alto un oggetto del genere. L'unica difficoltà che affrontò e risolse brillantemente fu quella di azionare l'otturatore, realizzando un semplice congegno comandato al solito dalla pressurizzazione della carica di espulsione.

Le figg. 127 e 128 mostrano un semplice missile adatto alle riprese fotografiche costruito da Dennis Guill, di New Canaan (Connecticut), il quale ha affrontato, senz'altro per primo, su basi concrete e razionali il problema, allo scopo di realizzare una costruzione abbastanza aerodinamica e cercando nello stesso tempo di minimizzare il peso e realizzare qualcosa di veramente efficiente. La sua costruzione presenta difatti soluzioni abbastanza di avanguardia e se vogliamo sufficientemente ardite, fra le quali possiamo citare la seguente: Dennis Guill aveva smontato la macchina fotografica utilizzando solo l'obiettivo e l'otturatore e servendosi dell'ogiva come camera oscura, sul fondo della quale aveva fissato un piccolo lembo circolare di pellicola. Il montaggio del modello doveva essere effettuato in una stanza buia o comunque al riparo della luce, e soltanto il motore e il dispositivo di accensione potevano essere installati al momento del lancio. Soluzioni di questo tipo sembrano adesso abbastanza ridicole e primitive, ma non bisogna dimenticare che nell'anno in cui furono effettuate esse rappresentarono veramente qualcosa di eccezionale, e che furono in grado di aprire una nuova era nella utilizzazione dei missili per riprese fotografiche.

Per la buona riuscita delle riprese fotografiche è bene usare motori a notevole ritardo per far si che il modello si inclini bruscamente proprio al vertice del suo volo, in modo che l'ogiva si orienti verso terra: a questo punto essa si stacca e aziona l'otturatore che fa impressionare la pellicola. Qualche volta si usa però un motore a ritardo non troppo elevato, dato che il peso di questo tipo di missile è generalmente relativamente basso e di conseguenza il volo per inerzia relativamente corto, secondo quanto abbiamo già spiegato. All'atto del recupero del modello è necessario aver molta cura che l'otturatore non scatti di nuovo e che l'ogiva non si apra, perché in caso contrario la pellicola resterebbe irrimediabilmente danneggiata.

Nell'apparecchiatura appena descritta l'unica operazione un po' laboriosa è la messa a fuoco dell'obiettivo prima del volo: bisogna difatti appoggiare dapprima sul retro dell'apparecchio, al posto della pellicola, un pezzo di carta traslucida, aprire poi l'otturatore e puntare l'obiettivo su un oggetto distante almeno 15 m e infine accorciare pazientemente con una lima il tubo di plastica, che funge da camera oscura, finché l'immagine non sia perfettamente a fuoco; a questo punto si può ritenere l'operazione conclusa e passare alle fasi successive. Attualmente sono facilmente reperibili in commercio molti tipi di minuscole ed economiche macchine fotografiche, quasi tutte di marca giapponese, che possono essere lanciate senza che sia necessario modificarle: nonostante questo, la maggior pane dei modellisti preferisce eliminare tutte le parti non strettamente indispensabili allo scopo di diminuire peso e volume. Qualche ditta produce poi scatole di montaggio di interi missili adatti a riprese fotografiche.

Dal primo volo la tecnica si è andata via via specializzando, tanto è vero che oggi si ha notizia di missili realizzati con particolari accorgimenti e veramente capaci di realizzare riprese fotografiche eccezionali. Il più ambizioso modello che sia mai stato progettato è senz'altro quello costruito da Paul Hans e Don Scott (v. fig. 129), i quali installarono in una ogiva una cinepresa da 8 mm del tipo Bolsey-8: questa sistemazione era possibile per il fatto che l'apparecchio usato dai due modellisti era di piccole dimensioni e utilizzava una pellicola di 8 mm al posto di quella da 16 normalmente usata in simili apparecchi. L'obiettivo faceva capo a un foro praticato sulla superficie esterna dell'ogiva. Il moto della pellicola era provocato da un motorino meccanico a molla, che veniva caricato prima del lancio con una vite che sporgeva dal modello. La cinepresa era racchiusa in una intelaiatura di legno di balsa, che ne assicurava la adeguata protezione e che poteva essere rimossa semplicemente sfilando il tappo dell'ogiva dopo aver tirato via i quattro spilli che la fissavano. Per i primi voli Hans e Scott utilizzarono un motore del tipo F11-3 e in seguito uno del tipo F15-4, con cui ottennero dei risultati migliori: il recupero dell'ogiva e del corpo centrale avveniva separatamente mediante paracadute di seta a vivaci colori. Data la novità dell'impresa, i due costruttori non se la sentirono di effettuare immediatamente un volo, e lo fecero precedere da alcune prove sperimentali con modelli zavorrati che permisero loro di studiare le caratteristiche del proprio razzo e di acquistare la ragionevole fiducia che tutto si sarebbe svolto regolarmente. Il volo inaugurale si svolse infatti senza il minimo inconveniente, anche se Scott dovette poi arrampicarsi su un albero, perché l'ogiva con il suo paracadute era rimasta impigliata fra i rami di un alto pioppo.

E' naturale che questo inconveniente finale non fu tale da scoraggiare i due costruttori nel continuare su questa strada, tanto più che le eccellenti prestazioni realizzate sembravano promettere delle riprese fotografiche eccezionali: per sfortuna il film impressionato in questo primo tentativo andò smarrito quando fu inviato per lo sviluppo a un laboratorio specializzato. Hans e Scott, stimolati comunque dai buoni successi raggiunti e dalla amarezza che l'ultimo infortunio aveva lasciato in loro, si ripresentarono poco dopo ai quarti campionati nazionali, svoltisi nel 1962 sotto gli auspici dell'Accademia aeronautica degli Stati Uniti, lanciando con pieno successo un modello che raggiunse l'altezza di circa 300 m: anche questa volta il volo fu perfetto e caratterizzato da una traiettoria assolutamente priva di ogni disturbo, e inoltre lo sviluppo del negativo permise di ottenere un film che restò memorabile per la bontà della messa a fuoco e della esposizione.

Le immagini che adesso ci capita di vedere alla televisione o nei documenti fotografici ci hanno abbastanza smaliziato, per cui la visione del film ottenuto dai due costruttori nel 1962 può anche lasciarci indifferenti. Allora però l'autore e gli altri presenti alla proiezione rimasero veramente impressionati ed eccitati: il film mostra il suolo che si allontana bruscamente e sembra ruotare a causa del rollio del missile e poi, quando l'ogiva si stacca, fa vedere il terreno che si avvicina lentamente con deboli apparenti oscillazioni, dovute ai lievi movimenti del paracadute. Tutto sommato si tratta di uno spezzone di pellicola di 50 m, ma anche dopo si è riusciti raramente a imitarne la perfezione: agli autori esso è costato ben due anni A lavoro e una spesa non indifferente; tanto è vero che lo si può ritenere il film più caro che un dilettante abbia mai realizzato. Nel 1962 non era poi nemmeno tanto facile e immediato sviluppare un film a colori.

E' inutile ricordare che tutto quello che stiamo trattando è prerogativa del modellista esperto, perché al principiante mancano l'abilità e la pratica necessarie a risolvere gli infiniti problemi che qui si presentano: in parole povere è necessario aver dapprima imparato a costruire un razzo normale in maniera abbastanza sicura ed efficiente, in modo da giungere a questo stadio con tutti i problemi di aerodinamicità e stabilità già risolti.

Dobbiamo ora dare uno sguardo a un campo particolarmente interessante e ricco di particolare fascino: intendiamo cioè parlare dell'installazione su razzi, di radio-trasmittenti. In questo campo ciò che abbiamo detto riguardo all'opportunità di non avventurarsi scioccamente in campi sconosciuti va confermato e ribadito in modo categorico, perché un apparecchio di questo tipo è abbastanza delicato e richiede una certa conoscenza di elettrotecnica ed elettronica. Molti modellisti se ne sentono attratti, perché hanno l'impressione di imitare ancora meglio quanto succede nella realtà, e perché sono così in grado di avere a terra dati precisi su varie grandezze, quali ad esempio l'intensità del rollio, l'altezza, la temperatura e la velocità del vento.

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Fig. 130. Semplice radio-trasmettitore per modelli.

Il primo modello dotato di radio trasmittente fu progettato e costruito da John S. Roe e Bill Robson di Colorado Springs (Colorado): i problemi che si dovettero affrontare e risolvere furono innumerevoli, tant'è vero che il progetto e l'esecuzione pratica richiesero quasi un anno. Tanta fatica fu però ricompensata da un ottimo comportamento di volo, avvenuto durante i secondi campionati americani di modellismo e coronato da uno splendido successo. L'emittente era abbastanza semplice, secondo lo schema riprodotto in fig. 130, e consisteva in un piccolo e leggero oscillatore a un solo transistor che trasmetteva sulla frequenza di 27 MHz.

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Fig. 131. Trasmittente ad un canale a onde medie e a modulazione di frequenza (FM).

La ricezione a terra dei segnali emessi da questo trasmettitore fu però abbastanza difficoltosa, anche se in seguito venne utilizzata un'antenna direzionale: a questo scopo il circuito fu modificato secondo lo schema riprodotto in fig. 131. Due transistors del tipo 2N 107 sono collegati in modo da ottenere un multivibratore libero, in grado di generare un'audiofrequenza che viene modificata o modulata da una variazione della resistenza Rs: quest'ultima rappresenta l'elemento sensibile, e può essere realizzata con un termistore, una cellula fotoelettrica, un piccolo barometro aneroide collegati a un potenziometro lineare o, infine, con ogni altro dispositivo sensibile che provochi una variazione di resistenza proporzionale a una variazione del parametro che si intende misurare.

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Fig. 132. Sezione anteriore e posteriore di una trasmittente FM a un canale

Nel loro successivo esperimento Roe e Robson, incoraggiati dai risultati ottenuti nel loro primo volo, si spinsero verso soluzioni abbastanza ardite e se vogliamo sufficientemente bizzarre: messisi in testa di misurare il rollio del loro razzo, riuscirono nello scopo in una maniera che può essere ritenuta abbastanza ingegnosa e degna di essere imitata da chi voglia effettuare misure di questo tipo. Sistemarono cioè una cellula fotoelettrica sulla superficie esterna del corpo centrale, la quale veniva di tanto in tanto colpita dai raggi del sole causando con la conseguente variazione di resistenza un disturbo sull'audiofrequenza del multivibratore. Tramite un'antenna il segnale di audiofrequenza veniva trasmesso al ricevitore a terra che lo raccoglieva, lo modulava trasformandolo infine in un suono udibile che con la sua frequenza forniva l'informazione desiderata.

Mentre per la ricezione si può usare un qualsiasi buon radioricevitore sintonizzabile sulla frequenza di 27MHz, provvisto anche di una semplice antenna a molla, la registrazione a terra dei dati inviati dal modello si presenta più complessa e di più difficile soluzione. In primo luogo occorre costruire un circuito demodulante in grado di analizzare il segnale emesso dal ricevitore separando da esso l'informazione voluta: questa viene inviata in un circuito sintonizzato la cui risonanza riproduce la bassa frequenza del multivibratore e la cui capacità deve, quindi, essere tale da permettere di ottenere una vasta gamma dì bande. La potenza in uscita di questo circuito sintonizzato viene immessa in un audiovolmetro a tubo elettronico (AVTE), che segnerà un voltaggio proporzionale alla audiofrequenza corrispondente all'informazione, e la frequenza base, o di riposo, del multivibratore.

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Fig. 133. Grant Gray, di 18 anni, di Littleton (Colorado), con la sua piccola radio trasmittente AM-FM a otto canali, che può essere lanciata con modelli di grandi dimensioni.

La registrazione di questi valori di voltaggio costituisce poi il problema maggiore, perché le loro variazioni possono essere tanto rapide da diventare umanamente impossibile la lettura visiva sul quadrante dell'AVTE: in questo caso occorre quindi ricorrere a strumenti automatici, capaci di seguire istante per istante il segnale e di fornire su un quadrante o su una carta un grafico inerente alla grandezza che interessa. La soluzione migliore sarebbe offerta da un registratore su carta che però, pur essendo realizzabile in mille modi diversi, non risulta mai economico e di facile costruzione. Non si ha ancora notizia di un modellista che sia riuscito a realizzare un tale complesso dispositivo anche perché la spesa cui si va incontro è generalmente notevole. Non staremo qui a spiegare per esteso il modo di costruire un apparecchio di questo tipo, ma ci limiteremo a dare un'idea della sua complessità facendo presente che nella sua parte centrale è costituito da un tamburo, che ruota a velocità costante e su cui è fissato un foglio di carta millimetrata: un pennino a inchiostro si muove contemporaneamente alla rotazione del cilindro, disegnandovi sopra un grafico che, letto in opportuna scala, fornisce l'indicazione desiderata.

Il più semplice apparecchio per la registrazione dei dati, o comunque quello che più di ogni altro sembra adatto a usi di questo genere, è forse la cosiddetta cinepresa oscilloscopica: si tratta di un oscilloscopio di tipo economico, modificato in modo che il segnale di potenza di circuito audio sintonizzante vada a immettersi direttamente nel filamento orizzontale del tubo a raggio catodico, e dotato di una cinepresa messa a fuoco direttamente sullo schermo. Ci sono per la verità alcuni particolari costruttivi che varrebbe la pena di vedere in dettaglio, ma che qui non è il caso di specificare maggiormente: ad esempio, la cinepresa viene generalmente privata dell'otturatore e dell'ingranaggio di avanzamento della pellicola, che viene fatta scorrere a velocità costante, direttamente dietro l'obiettivo, con dispositivi diversi. Occorre poi provvedere a registrare contemporaneamente una scala dei tempi, e anche questo può essere realizzato in cento modi diversi, in maniera però sempre abbastanza precisa e se vogliamo rigorosa: il metodo che qui consigliamo non è forse il più semplice ma esclude senz'altro spiacevoli sorprese. Si collega cioè un bulbo al neon alla corrente domestica, caratterizzata come tutti sanno da una frequenza di 50 hertz ì cui segnali luminosi vengono filmati insieme con la curva visibile che le variazioni di voltaggio provocano sull'oscilloscopio. E' intuitivo che solo la luce emessa dallo schermo a raggi catodici e quella dovuta al bulbo al neon debbono attraversare l'obiettivo della cinepresa, e perciò tutto l'insieme deve essere accuratamente protetto dalla luce esterna con una adeguata carenatura.

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Fig. 134. Bill Robson sistema sulla torre di lancio un suo modello radiocomandato; notare l'antenna all'estremità dell'ogiva.

Come si può dedurre da quanto abbiamo detto, i problemi connessi con la costruzione dei modelli dotati di radiotrasmittenti e con la registrazione dei dati da essi inviati non sono di semplice risoluzione, tanto più se si pensa che in questa sede abbiamo potuto presentarne solo alcuni. Invitiamo pertanto chi abbia voglia di approfondire l'argomento e di dedicarsi seriamente a questa attività, di leggere testi specializzati sull'argomento, facendo però presente che in tal caso è meglio anche cominciare a studiare un po' di elettrotecnica ed elettronica al fine di impadronirsi delle necessarie cognizioni scientifiche. Sempre a costoro, occorre far presente che il trasmettitore può essere costruito con una spesa di circa 10.000 lire, il modello con circa un migliaio di lire, mentre l'attrezzatura a terra richiede una spesa dell'ordine delle centinaia di migliaia di lire. Queste cifre e la necessità di essere abbastanza ferrati in materia di elettronica o di elettrotecnica, hanno convinto molti aeromodellisti americani ad associarsi con radioamatori patentati, o comunque con persone che abbiano esperienza di radiotrasmittenti, allo scopo di avere un valido consulente, un aiuto nella spesa e un collaboratore per tutti i problemi pratici che via via si presentano. Come conclusione, possiamo dire che i modelli in grado di trasportare carichi utili presentano alcuni problemi di progettazione molto interessami: in linea di massima essi si costruiscono esattamente come gli altri, tenendo però presente quanto abbiamo già detto a suo tempo a proposito della esigenza di ottenere una linea di volo pressoché perfetta e un atterraggio assolutamente privo di pericoli: è chiaro quindi che tutto ciò può essere realizzato da una persona che abbia già costruito e progettato con successo razzi del tipo tradizionale, e che è perciò in grado di affrontare e risolvere, con la sicurezza che viene dall'esperienza, anche ì problemi connessi alla costruzione di questo tipo di veicoli.