Francesco Zardo – Commenti

22.6.2001

 

Il corétto è "corètto"?  

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Commenti

Ricevo e rispondo volentieri a una questione sollevata dal lettore Piero Zardo (ma... è mio fratello!):

Gentile Zardo

come lei saprà certamente (la notizia di sicuro è giunta anche lì)
Roma festeggia in questi giorni la vittoria dello scudetto calcistico
da parte della sua squadra più seguita e amata, la Roma appunto.
Anch'io, che quest'anno ho visto tutte le partite, ho gioito della conquista
del tricolore, e continuo a gioire dell'euforia che pervade strade e piazze
del centro come della periferia.

C'è però una cosa che suona un po' male. Niente di grave, diciamo un piccolo
bruscolo linguistico nell'occhio, una lieve stonatura nell'armonia del coro.
E arriviamo al punto, perché proprio di coro si tratta.

Uno dei più cantati cori celebrativi che i tifosi (e anche giocatori)
hanno intonato in questi felici giorni recita così:

"Siamo noi, siamo noi
i campioni dell'Italia siamo noi!"

C'è qualcosa che non torna. Al di là dell'evidente diversità
dalla più accreditata formula Campioni d'Italia, è corretto (in italiano)
dire Campioni dell'Italia?

Al di là del fatto che in un coro di una qualunque tifoseria
c'è da aspettarsi continui attentati alla lingua dei padri,
Lei che è un accreditato studioso di linguistica, può darmi
qualche lume a riguardo ed eventualmente riconciliarmi con il
più cantato coretto celebrativo dello splendido campionato della Roma?

Confidando in una Sua risposta, La ringrazio anticipatamente
rivolgendoLe al contempo i miei più

Distinti saluti

Piero Zardo



Caro Piero,

per rispondere all'interessante quesito avevo svolto una lunga e accurata ricerca sui testi poetici dell'italiano dalle origini al Secondo Ottocento. Purtroppo ho lasciato acceso il computer senza salvare, e siccome qui ormai ci mettono le mani in venti, puoi immaginarti che qualcuno ha chiuso senza salvare le due cartelle e mezza di saggio argomentato che ti avevo scritto in replica.

Allora riscriverò in breve, appoggiandomi a memoria ai risultati dell'ampio regesto che avevo compiuto l'altroieri, altrimenti la tua domanda invecchia, e anche la risposta.

Il modello "xxx d'Italia", nella tradizione poetica italiana, prevale in maniera schiacciante sull'alternativa "xxx dell'Italia". Per quanto riguarda la prosa e il parlato si può individuare una concorrenza: ma il nome proprio Italia, in un qualsiasi complemento retto dalla preposizione di, compare in poesia privo dell'articolo. Si comincia da Dante, che nel Canto XIV del Purgatorio scrive "Ché le città d'Italia tutte piene | son di tiranni...", proseguendo con Petrarca e Boccaccio, nei quali pure troviamo la forma d'Italia mentre dell'Italia è del tutto assente. Stesso discorso, secondo le mie rilevazioni, per quanto riguarda Ariosto, Foscolo, Leopardi e Manzoni poeta: in tutti questi autori il modello dell'Italia è soppresso in favore dell'altro: la sequenza d'Italia è impiegata in diversi luoghi del Furioso, delle Grazie, dei Canti e, per quanto riguarda Manzoni, dell'Adelchi. Per concludere ti ricorderò quanta influenza nella ricezione popolare otto-novecentesca deve aver poi esercitato l'incipit dell'Inno di Mameli (1847, "Fratelli d'Italia..." ecc.).

È molto probabile che, in previsione della conquista dello scudetto, gli ultrà giallorossi abbiano compiuto queste mie stesse considerazioni ecdotiche, risolvendosi dunque a introdurre un elemento di crisi nell'orizzonte, peraltro piuttosto conservatore, dell'epinicio (con questo termine si indica, tradizionalmente, la celebrazione poetica di un'impresa sportiva, scusa lo sfoggio). L'elemento antitradizionale che mi segnali, nel distico dei supporter giallorossi, si può dunque interpretare nell'ambito di una provocatoria ridiscussione del canone compositivo tradizionale.

Ma forse non sono stato abbastanza pertinente. Tu mi chiedevi "è corretto (in italiano) dire Campioni dell'Italia?" Direi di sì, ma coglierò l'occasione di rammentare un precetto, quello che è l'uso a far la lingua, che ci deriva dagli insegnamenti di Tullio De Mauro, il babbo del nostro reciproco direttore!

Sorprende, se mai, nella lettura del distico, la scelta, alla quarta persona del verbo essere, della forma siamo (modellatasi in Toscana su analogia di abbiamo < HABEAMUS) in luogo del più prevedibile semo, che ancor oggi prevale ampiamente a Roma e in altri dialetti.

Ne riparleremo, chissà...

A presto, socio, e cerca di essere meno compassato nelle tue lettere!

Fra'

P.S. Inter nos, grazie di una cosa: definirmi "un accreditato studioso di linguistica" quando invece, se mai, un tempo potevo al più considerarmi una giovane promessa mentre ora al massimo sto cercando di riguadagnare lo status di cultore, to', ma altri direbbero, in vernacolo, o sfaccimm' dei cultori della lingua italiana, con le mie povere cose... Un abbraccio, F.