Francesco Zardo – I cuori infranti 

20.6.2001

 

Il tempo ritrovato  

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I cuori infranti

Mi scrive, da Roma, l'amico Enrico S.

[...]
che dire? I contenuti dell tua pagina web sono senz'altro coraggiosi, in quanto non definitivi e soprattutto sofferti [...]. Ora, posso solo scriverti brevi cose della mia esperienza, in particolare due, ovvie ed contraddittorie.
La prima, è che prima o poi viene un giorno in cui realizzi quanto sei stato stronzo a perdere tempo ad avere un cuore infranto, e quanto tutto sia stato inutile e soprattutto dannoso per la psiche. In più, quel tempo non te lo ridà nessuno. T'attacchi. E qui, quando realizzi tutto ciò, vieni sommerso dall'ansia del fare e dall'incazzatura per quanto non hai fatto nel passato pensando a Lei.
La seconda, è che dopo poco tempo puoi ritrovarti ancora una volta col cuore infranto, per un'altra Lei o peggio per la stessa, con minori difese che nel passato, e a nulla servono tutte le considerazioni razionali sviluppate sulla specifica questione. Aristai da capo. Che dire? L'insegnamento ultimo è che quando sei proprio sicuro che peggio di così non può essere, tranquillo, il peggio deve ancora venire. Quindi rilassati, aspettando le botte vere.

Enrico


Parole dure e sagge che meritano senz'altro una riflessione, amico mio. E meritano senz'altro di essere pubblicate in queste pagine: a tanti lettori esse potranno magari additare un percorso in grado di lenire la propria sofferenza rapidamente, o quantomeno di sforzarsi a farlo, il che non è mai una perdita di tempo. Eppure debbo sollevare un'obiezione circa un passo non limpido e che merita di essere discusso: «un giorno – tu scrivi – realizzi quanto sei stato stronzo a perdere tempo ad avere un cuore infranto».
Eh. Quella mica è sempre una scelta. Non dico che alle volte non sia frutto di ostinazione privata, il fatto che certe ferite tardino a rimarginarsi. Ma non si parla allora di cuori infranti, probabilmente, quanto di cuori offesi. Sarebbe bello se potessimo scegliere per conto nostro tempi e modi dell'infrazione del nostro cuore, allora sì che potremmo avere, un giorno, qualche cosa da rimproverarci. Per contro un cuore realmente infranto, ahinoi, non è che si rimargina mai, purtroppo. I grandi dolori, scrive un saggio scrittore che cito a memoria, possono anche essere superati, ma questo richiede purtroppo una morte parziale.
E una morte richiede, nella fattispecie, una resurrezione.
E non siamo noi a decidere i tempi e i modi della nostra resurrezione, quanto le altre persone, sempre ammesso che essa sia possibile. Nel mio caso privato (e mi dispiace di tornare al mio caso personale, ma insomma, forse è anche un gesto di generosità verso il lettore) riesco a intravvedere una forma di resurrezione successiva soltanto a un episodio di catarsi.
Un piccolo miracolo. Lei che torna così, per conto suo. Allora il cuore infranto si ricompone da sé, e il miracolo consiste nel fatto che tutte le parti si riaggiustano non conseguentemente all'atto volontario della persona ferita, ma guidate da quella stessa forza che alimenta la nostra commozione e i nostri sospiri, alle volte. Eh sì, quella stessa che ci fa innamorare, inspiegabile poiché non necessita quasi mai di spiegazioni. Infatti i perché sono domande che si pospongono solamente a certi episodi, mai vengono anteposti a essi: non ci chiediamo mai, in sostanza, perché un amore incomincia, perché un fiore sboccia, perché spunta il sole, ecc. Succede e basta.
Pensiamoci su: nel frattempo, sì sì, è sempre e comunque prudente prepararsi al peggio, che di questi tempi, veramente, non si sa mai.

Animo, anche ai lettori,

F.Z.