Francesco Zardo – Commenti

12.8.2002

 

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Commenti

Uh, il capitalismo è morto: condoglianze. E dire che sembrava il solito raffreddore, leggendo BusinessWeek, The Economist, e la Gazzetta dello sport. A contrasto della voragine di passività accumulata fra gli States e l'Europa sembrava potesse bastare, a livello antibiotico, il sacrificio di un paio di stati fra America latina e Africa (diciamo l'Argentina e il Congo), la nuclearizzazione di qualche terra orientale dimenticata dai mercati e, mettiamo, l'equilibrio climatico del pianeta, per risistemare il metabolismo delle varie borse e andare avanti un altro paio di decenni.
Invece no: dopo Enron crolla WorldCom, colosso dei telefoni Usa, oppresso a sua volta da un debito (30 miliardi di dollari) vasto, per capirsi, quanto il Pil di uno storicizzato paese dell'Est europeo (mettiamo la Romania). In pratica gli oltre 22 milioni di rumeni, per sanare il debito di WorldCom, dovrebbero lavorare gratis per almeno dodici mesi.
Il fatto curioso è che, da quando queste imprese titaniche sono entrate in agonia, la stampa specializzata tende a riportare con dovizia i debiti che esse hanno accumulato, cosa che prima non accadeva. Soltanto in Italia, fra Telecom, Enel, Fiat, e altre aziende caserecce, l'inflazione sembra tale da convincerci a disfarci in quattro e quattr'otto delle nostre azioni, del nostro telefono, e convertirci a una religione politeistica nordica e distante, tipo il Whalallah.
L'aveva detto Karl Marx, d'altro canto, in un passo poco conosciuto del Capitale: "Guardatevi dal capitalismo: esso è il mostro dagli occhi verdi che si beffa del cibo di cui si nutre". Ora tutti penseranno che noi comunisti di questo fatto ci si stia rallegrando. Purtroppo non è così: la povertà del mondo specchia il suo disordine, un disordine apparentemente poco reversibile, almeno per ora, visto che non sembrano esserci strutture adeguate a succedere alla fase imperialistica, tanto pastrocchiona e disastrosa. Quelle poche impalcature comuniste residue sono realtà troppo ridotte ed emarginate per accollarsi una metodica ristrutturazione socialista del mondo intero, tipo Cuba e la Corea del Nord, o viceversa troppo poco conoscibili, come per esempio la Cina, che è una realtà strutturalmente ampia, è vero, ma di cui non si può discutere perlomeno in un necrologio dell'Occidente come questo è.
A me piacerebbe, è ovvio, che Onu e Banca Mondiale si rivolgessero proprio oggi, con umiltà e dignità, al Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese: «Abbiamo fatto un casino, scusate», dovrebbe allargare le braccia Greenspan o uno di questi cervelloni al cospetto dei compagni di Pechino. «Ci spiegate meglio quella storia dei mezzi di produzione?»
Io immagino i cinesi come una popolazione relativamente vasta, compatta, allegra, generosa e pacifica, e ben disposta a una paziente risistemazione secolare dell'inveterato guasto ecologico, sociale, culturale e politico derivato dall'anabolizzazione della cultura borghese che si è prodotta nell'ultimo secolo. In tempi più distesi mi piacerebbe anche ipotizzare, che ne so, una vigorosa risistemazione comunista dell'Europa, con tutti vestiti uguali, rivalutazione e obbligo del trasporto pubblico e, tanto per dirne un'altra, l'abolizione dello sport professionistico.
Ma non posso farlo proprio adesso, considerato che mentre scrivo la Borsa di Milano sta perdendo un punto ogni mezz'ora, che Greenspan e la Banca mondiale non si rivolgeranno entro la giornata ai cinesi, e il nostro ottimista governo invece sta probabilmente pianificando la messa in vendita della Sicilia a Rupert Murdock, tanto per arrivare a fine giornata. Ah, poi c'è una nube tossica orientale che dovrebbe estinguere l'80% dell'umanità nelle prossime 48 ore.
Ora è tempo di silenzio bilaterale: le preoccupazioni sono numerose e andrebbero affrontate con ordine e silenzio, per l'appunto, una alla volta.
La numero uno? Si potrebbe cominciare, nei famosi termini della tanto discussa globalizzazione, da un fenomeno superficiale ed evidente come la globalizzazione degli odori, per dire, più che della scimitarrata di qualche seguace del gihad o della nube tossica orientale, lontanissima.Una decina di anni fa ho scritto un saggio su New York che non è mai stato pubblicato, e che iniziava più o meno così: "New York ha un odore sorprendente, non buono, come il retro di una rosticceria danese".
All'epoca non lo sapevo, ma era l'odore di McDonald's quello di cui stavo parlando. Me ne sono accorto ieri quando mi trovavo alla stazione Termini e ho realizzato che stavo sentendo lo stesso odore altrettanto prepotente e disgustoso, nel centro di Roma. Tutte le città avranno prima o poi quello stesso odore, o perlomeno tutte le stazioni e gli aeroporti delle città, dandoci l'impressione di arrivare a Dallas dovunque noi si arrivi, anche nel cuore della Lucania più sassosa e impervia
Meglio l'odore di felafel, o kebab? Meglio la mondezza occidentale o quella medio orientale? Forse la nube cinese ci piomberà addosso a dirimere questi dubbi. Per il momento non cambia niente: sembra che la Romania verrà ceduta alla At&t.