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 BEATRICE CENCI


PONTE SANTANGELO Scocca la mezzanotte. Un’eterea figura femminile passeggia lungo Ponte Sant’Angelo. Si affaccia sul fiume Tevere, poi torna a camminare silenziosamente. Fra le candide mani tiene la sua testa, recisa dal corpo molti secoli or sono.”
Questo è ciò che narrano di aver veduto centinaia di cittadini romani.

 

 E difatti la sua anima non si liberò mai, e ancora vaga disperatamente laddove il suo corpo terreno trovò una tragica morte.
In data 11 Settembre c'é chi é pronto a giurare che Beatrice si presenti puntuale in piazza di Ponte Sant'Angelo: tra le mani, la testa mozzata.
BEATRICE CENCI

 
           

 
PALAZZO CENCI ,ROMA
 
 
            


 
BEATRICE CENCI
 
 
C
'è chi pensa che a causa della sua storia millenaria, quando sulla Città Eterna cala la notte, folle di fantasmi di imperatori, papi, artisti, santi, signori della guerra, escano fuori ad infestare le strade e le piazze di Roma.
Ma al giorno d'oggi il silenzio dei rioni storici nelle ore notturne viene rotto dalle migliaia di giovani che tirano tardi fino all'alba, e i suddetti fantasmi probabilmente resterebbero spaventati a morte dalle loro rombanti automobili e saettanti ciclomotori.
Ciononostante, anche Roma può vantare un modesto numero di presenze misteriose, le cui vicende sono strettamente legate alla storia della città e alle sue tradizioni. Il vero fatto curioso è che sono tutte presenze al femminile.
 
 
Beatrice Cenci (1577-99)
Il più famoso fantasma di Roma è quello di una giovane dama, appartenuta a una delle potenti famiglie tardo-rinascimentali. Si dice che compaia nella notte fra il 10 e l'11 settembre, lungo il ponte che conduce a Castel Sant'Angelo.
La sua storia ha ispirato dipinti (G.Reni), tragedie (P.B.Shelley) e romanzi (A.Dumas, Stendhal).

Beatrice era la figlia di Francesco Cenci, un nobile, a cui il temperamento violento e la condotta immorale in più di un'occasione avevano causato problemi con la giustizia papalina. A Roma vivevano in un palazzo della metà del XVI secolo, situato nel Rione della Regola, edificato sulle rovine di un precedente fortilizio di epoca medievale.
Con loro vivevano anche Giacomo, fratello maggiore di Beatrice, la seconda moglie di Francesco, Lucrezia Petroni, e Bernardo, il ragazzo nato dalle sue seconde nozze. Fra le altre proprietà di famiglia possedevano un castello in località Petrella Salto, piccolo centro vicino Rieti.
Perfino fra le pareti domestiche Francesco Cenci si comportava come un bruto. Maltrattava la moglie e i figli, ed era arrivato al punto di avere rapporti incestuosi con Beatrice.
Era stato in prigione per altri crimini commessi, ma grazie alla benevolenza con cui i nobili venivano trattati, era stato scarcerato assai presto. La giovane aveva tentato di informare le autorità dei frequenti abusi, ma ciò non aveva avuto alcun seguito, sebbene chiunque a Roma fosse a conoscenza di che tipo di persona era Francesco Cenci. Una volta scoperto che la figlia l'aveva denunciato, aveva cacciato Beatrice e Lucrezia via da Roma, confinandole nel castello di famiglia, in provincia.

In preda all'esasperazione, i quattro Cenci non trovarono alternativa al tentativo di eliminare Francesco, e tutti insieme organizzarono un un piano.
Nel 1598, durante uno dei soggiorni di Francesco al castello, due vassalli (uno dei quali era divenuto l'amante segreto di Beatrice) li aiutarono a drogare l'uomo, infiggergli un lungo chiodo in un occhio e poi nella gola, e infine nascondere il cadavere.
Ma per qualche ragione la sua assenza venne notata, e le guardie del papa tentarono di fare luce su quanto era accaduto. L'amante di Beatrice fu torturato, e morì senza rivelare la verità. Nel frattempo, un amico di famiglia, a conoscenza dei fatti, ordinò l'uccisione del secondo vassallo, per evitare alcun rischio. La congiura venne ugualmente scoperta, e i quattro membri della famiglia Cenci furono arrestati, giudicati colpevoli, e condannati a morte.

Il popolo di Roma, che sapeva dei retroscena del delitto, si sollevò contro la decisione del tribunale, ottenendo una breve proroga dell'esecuzione. Ma il papa Clemente VIII, nonostante il nome che portava, non mostrò affatto pietà: così l'11 settembre 1599, all'alba, tutti e quattro i membri della famiglia furono condotti a Ponte Sant'Angelo, dove veniva alzato il patibolo per le esecuzioni pubbliche. Si mossero dalle due prigioni di Corte Savella (dov'erano rinchiuse le due donne) e di Tor di Nona (dove avevano condotto i due fratelli), entrambe malfamate e temute per il trattamento disumano che riservavano ai detenuti. In via di Monserrato, sull'antico sito della prima delle due carceri, oggi scomparsa, nel 1999 il Comune di Roma pose una targa a ricordo.

 

Lungo il tragitto verso il patibolo Giacomo fu torturato con tenaglie arroventate. Giunti al sito dell'esecuzione, Lucrezia (che era già svenuta) fu decapitata con una spada. Fu poi il turno di Beatrice a finire sul ceppo del boia. 
Infine Giacomo venne colpito alla testa con un colpo di maglio, che probabilmente l'uccise; ma poi con lo stesso strumento venne squartato e le sue membra dilaniate furono appese ai quattro angoli del patibolo, dove rimasero in mostra per l'intero giorno.
Solo il giovane venne risparmiato, ma anch'egli fu condotto sul luogo del supplizio per assistere al destino toccato ai parenti, prima di essere riportato in carcere e di subire la confisca delle sue proprietà (che poi andarono alla famiglia del papa!).
Beatrice venne sepolta nella chiesa di San Pietro in Montorio.

Il popolo di Roma la elesse a simbolo della resistenza contro l'arroganza dell'aristocrazia, ciò che ancora oggi, alla vigilia del giorno della sua esecuzione, ne riporta sul ponte il fantasma con in mano la propria testa recisa.
Ad alimentare questa leggenda contribuì senz'altro anche il triste epilogo della tragica storia della giovane, che non trovò riposo neppure dopo la morte. Nel 1798 era aveva appena avuto inizio l'occupazione napoleonica di Roma, quando alcuni soldati francesi irruppero a San Pietro in Montorio, distruggendone tutte le tombe, compresa quella di Beatrice, i cui resti furono disperseri e mai recuperati, e - si dice - col cui cranio i militari persino giocarono, lanciandolo in aria a mo' di palla.

 



Mastro Titta, il boia al servizio del Papa Re

Abitava in Borgo, in una sorta di domicilio coatto, al civico 2 di via del Campanile. Morto nel 1869 ha lasciato un libretto di Annotazioni, un arido elenco di 516 ghigliottinati. Il celebre "maestro di giustizia" dello Stato pontificio in realtà era un venditore di ombrelli

 
 
Una delle poche figure maschili presenti tra i fantasmi romani è quella di Mastro Titta, il più famoso boia di Roma che eseguì ben 514 "giustizie" in 68 anni di carriera, tra il 1796 e il 1864. Nessun altro boia in nessun altro paese e tempo lo ha mai uguagliato. Sembra che ami passeggiare, alle prime luci dell'alba, avvolto nel manto scarlatto da "lavoro" nei luoghi dove ha eseguito le sentenze, ossia davanti la chiesa di Santa Maria in Cosmedin, a Piazza del Popolo e a piazza di ponte Sant’Angelo. Si dice anche che, a volte, offra una presa di tabacco a chi incontra, così come era solito offrirla ai condannati poco prima di eseguire le condanne.

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