Saggio sul Capitalismo

 

 

 

CAPITOLO QUARTO

LA STRUTTURA SETTORIALE

 

 

 

 

11. - Concetto di settore. - Il sistema capitalistico è tipicamente un sistema economico operante su larga scala dove le imprese operano sia in termini di quantità prodotte sia in termini di differenziazione produttiva. Fra il sistema economico assunto nel suo complesso e le singole imprese si viene a creare almeno un livello intermedio che possiede delle proprie caratteristiche economiche e che risulta essere molto determinante nell’analisi economica: tale livello intermedio è rappresentato dal settore.

Il primo concetto di settore attiene alle tradizionali differenziazioni fra agricoltura, industria, commercio, trasporti, finanza e altre minori attività ma nel sistema capitalistico assume significato particolare la diversa articolazione che si crea all’interno dei settori come sopra definiti e non vi è dubbio che l’articolazione più significativa sia costituita dal settore industriale.

Da quanto sopra affermato si può pertanto delineare una doppia differenziazione dei settori produttivi:

 

1) in funzione dell’attività svolta;

2) in funzione della specializzazione produttiva.

 

Il concetto di settore in funzione dell’attività svolta dall’impresa è quello tradizionale come più sopra individuato e rappresenta la gamma di attività produttive presenti nel sistema economico, tutte quelle attività necessarie per rendere le merci e i servizi disponibili presso il pubblico dei consumatori.

L’analisi economica di questo concetto di settore, che sarà svolta più in dettaglio nel prossimo paragrafo, mette in evidenza il carattere «interdipendente» della sistema delle imprese e consente di seguire un determinato prodotto dalla sua fabbricazione «iniziale» al suo utilizzo finale.

Le imprese che si collocano in un settore particolare, per esempio le imprese industriali o quelle del trasporto, svolgono una funzione economica specifica nella produzione e nella circolazione delle merci e l’insieme di tutte le imprese operanti, in un determinato sistema economico (nazionale o internazionale), definisce in prima approssimazione la struttura delle fonti dalle quali proviene la ricchezza di una nazione o di un gruppo di nazioni.

Inoltre nel sistema capitalistico è indubbio che il settore industriale svolge un ruolo essenziale non solo nella determinazione dello sviluppo complessivo dell’economia ma nello sviluppo dei rimanenti settori: l’agricoltura, per esempio, migliora le propria capacità produttiva attraverso l’impiego di mezzi meccanici prodotti dall’industria o di fertilizzati messi a disposizione dall’industria chimica; il settore dei trasporti e delle comunicazioni in generale costituisce in qualche modo una «estensione» prodotta dalla necessità dell’industria di collocare la produzione ottenuta.

Assunta in linea di principio la classificazione sopra ricordata come rappresentativa dell’intero sistema economico-produttivo è appena il caso di ricordare che nel settore industriale si annidano almeno due differenziazioni concettuali che risultano essenziali per la comprensione del sistema economico: la prima è quella, sopra richiamata, della differenziazione produttiva, la seconda è quella che distingue le industrie strutturali dalle industrie manifatturiere.

Le industrie strutturali sono quelle che attengono alla produzione di energia e di servizi quali il trasporto, le industrie manifatturiere sono quelle che attengono alla produzione di merci e servizi definiti correntemente di «largo consumo».

Una seconda distinzione che assomiglia molto alla precedente è quella che divide le imprese che producono beni d’investimento da quelle che producono beni di consumo e fra le prime s’inserisce, forse in modo un po’ ambiguo, la produzione di opere edili che possono essere sia «infrastrutture» per l’industria sia beni di consumo per coloro che desiderano essere proprietari di un appartamento o di una villa di lusso (secondo le proprie disponibilità e volontà).

Il settore produttivo dell’energia, come la raffinazione del petrolio greggio o la produzione di energia elettrica, è un settore strategico per il sistema economico visto nel suo complesso in quanto il funzionamento delle altre imprese è strettamente legato alla disponibilità energetica e la carenza o, al contrario, l’abbondanza dell’energia è in grado di condizionare lo sviluppo di tutto il sistema.

Il settore manifatturiero, come l’industria alimentare o quella meccanica, è rivolto principalmente alla produzione di merci e servizi da destinare al consumo finale e dipende fortemente, nel proprio sviluppo, sia dal settore che produce le materie prime sia da quello che produce l’energia.

Nell’ambio di questa classificazione un rilievo particolare è dovuto per il settore dei trasporti.

Tale settore in alcuni casi è, infatti, una conseguenza dello sviluppo economico dell’intero sistema ma in molti altri casi svolge un fondamentale ruolo di sostegno e di «propulsione» quando il sistema economico è ancora in una fase pre-capitalistica.

Lo sviluppo industriale, che è stato storicamente la principale fonte dello sviluppo economico, è in effetti imprescindibile dallo sviluppo dei mezzi di trasporto sia per terra che per acqua e per aria. Il trasporto delle merci consente sia il reperimento delle materie prime là dove sono disponibili nel sottosuolo sia il collocamento dei prodotti finiti e costituisce anche un settore particolarmente propulsivo per l’economia in quanto per essere attuato ha necessità di mezzi «particolari» (come un treno o un aereo) che costituiscono, in ogni caso, un patrimonio economico importante per il sistema e per essere «approntati» devono necessariamente «muovere» una notevole massa di mezzi economici, impegnando in ciò il settore industriale.

Tutte le considerazioni più sopra esposte, in via assolutamente sintetica, mettono comunque in evidenza una sostanziale e inevitabile interdipendenza dei vari settori del sistema economico come sopra definiti sicché l’intero sistema economico potrebbe essere rappresentano come un ingranaggio più o meno grande nel quale ciascuna impresa svolge il proprio ruolo di produttore inserendosi nel posto giusto al momento giusto.

L’idea di un sistema economico capitalistico come un ingranaggio è suggestiva e la conoscenza di alcuni sistemi matematici può aiutare a capire come tale ingranaggio si muova nello spazio e nel tempo ma è necessario tenere sempre presente che gli elementi che compongono tale ingranaggio sono le imprese che sono essenzialmente una organizzazione di mezzi e di uomini e più di tutto che bene o male sono a struttura gerarchica per cui, in definitiva, è il vertice di tale struttura che determina (o cerca di determinare) quanta ricchezza produrre e soprattutto come distribuirla fra coloro che svolgono il processo di produzione.

L’impresa capitalistica è nella normalità dei casi una impresa di grandi dimensioni che cerca di sfruttare tale circostanza per sconfiggere le imprese rivali o per acquisire sempre maggior potere nell’ambito dei mercati di collocazione e di approvvigionamento. La struttura settoriale dell’economia come fin qui individuata è in buona misura dipendente da fattori tecnici che sfuggono al controllo e al potere di coloro che amministrano le imprese. Ma la struttura di un sistema economico non è il frutto del caso o di un evento naturale ma piuttosto il risultato di una serie di azioni deliberate dalle imprese, per il tramite dei loro amministratori, che decidono se produrre x navi, y treni o k televisori a seconda della convenienza economica.

Quando lo statistico prende atto di una certa struttura industriale prende anche atto, di fatto, di una serie di decisioni assunte dalle imprese che si sono poi risolte in un determinato flusso di produzione della merce x o del servizio y, a seconda delle loro opportunità (e qualche volta delle necessità imposte dalla natura o dalla legislazione vigente in uno stato).

I rapporti economici non sono mai rapporti statistici o matematici anche se il conteggio della ricchezza è un fatto aritmetico e determinati rapporti economici possono, a prima vista, essere trattati sotto il profilo matematico ed anzi apparentemente approfonditi con gli strumenti della matematica infinitesimale; i rapporti economici sono sempre rapporti fra uomini i quali si servono di determinate istituzioni, come le imprese, per ottenere alcuni risultati, come la produzione di merci o la realizzazione di un guadagno.

Nel sistema capitalistico una nozione importante di settore attiene in modo specifico alla produzione industriale e in questa accezione si parla di settore energetico, settore alimentare, settore siderurgico, settore meccanico, settore tessile e così via.

Come è facile intuire tale nozione di settore costituisce una categoria intermedia fra il settore per attività e l’impresa singolarmente intesa: il settore energetico, infatti, riunisce tutte le imprese che producono energia così come il settore tessile riunisce tutte le imprese che producono fibre tessili.

Sebbene in alcune circostanze non sia esattamente definito il concetto di settore seconda tale accezione (come quando un’industria tessile produce anche capi d’abbigliamento) il suo ruolo è comunque importante nella valutazione della struttura produttiva di un sistema economico in quando consente di puntualizzare un fenomeno importante dato dal flusso in entrata e in uscita delle imprese in una determinata attività economica e quindi valutare nel tempo non solo il cambiamento strutturale che avviene nel sistema nel suo complesso ma anche di indicare alle imprese esistenti o a quelle che si apprestano a nascere le porzioni più profittevoli della produzione industriale (o dei servizi).

Le determinanti dei flussi in entrata e in uscita possono essere così individuate:

 

a) mutamento delle strategie produttive delle imprese;

b) cambiamenti strutturali della domanda di mercato;

c) diverse linee di politica industriale.

 

L’impresa capitalistica produce merci e servizi ma produce soprattutto reddito, vale a dire valore aggiunto. Nella ricerca di nuove opportunità produttive e di mercato tale impresa crea spesso nuovi prodotti e insieme nuovi processi produttivi procedendo a quelle che sono già state più sopra definite come integrazione verticale e orizzontale. Con la prima l’impresa industriale incorpora a valle o a monte processi produttivi prima svolti da altre imprese mentre con la seconda tende ad ampliare la gamma della propria produzione: in entrambi i casi modifica il proprio valore aggiunto, spesso accrescendolo.

Le imprese industriali impegnate nei processi di integrazione verticale a monte o a valle determinano soprattutto un cambiamento della dimensione delle imprese esistenti ma determinano anche un cambiamento del numero delle imprese appartenenti ad un certo settore ed attraverso queste variabili incidono sulla produttività e sulla redditività sia di se stesse sia delle imprese del settore in cui operano.

Se una impresa industriale del settore dell’abbigliamento incorpora nella propria organizzazione una o più piccole imprese del settore tessile compie una operazione di integrazione verticale a monte, inserendosi in quel segmento di mercato per lei costituito dalle «materie prime». L’acquisizione delle imprese tessili comporta anzitutto un aumento della dimensione economica che viene espresso in forma numerica da un maggior valore aggiunto prodotto ma determina anche una riduzione del numero delle imprese nel settore tessile alterando non solo i rapporti fra «produzione tessile» e «produzione d’abbigliamento» ma anche i rapporti all’interno dei due settori che si troveranno il primo con una produzione complessiva minore e il secondo con una produzione complessiva che potrebbe essere sia maggiore che invariata (se la dimensione del processo terminale non cambia).

Nel caso prospettato l’esame statistico dei due settori (e quindi della struttura industriale del sistema economico) mostrerebbe un declino del settore tessile ed uno sviluppo del settore dell’abbigliamento anche se in realtà si è in presenza «solo» di una diversa organizzazione industriale della produzione di merci.

Quelli che sono stati definiti i cambiamenti strutturali della domanda di mercato procedono di pari passo con lo sviluppo economico e sono determinati da una crescente ricchezza personale che implica una domanda sempre più differenziata di merci e di servizi che l’impresa industriale con le proprie agguerrite strutture di marketing carpisce pienamente e spesso promuove, in molti casi creando anche i cosiddetti bisogni «fittizi».

In presenza di tali cambiamenti strutturali è inevitabile che alcuni settori divengano «maturi» nel senso che i loro prodotti, anche se vengono accresciuti sotto il profilo tecnico ad ogni ciclo produttivo, di fatto continuano a svolgere la loro funzione tradizionale per il consumatore (come il televisore, l’automobile o le scarpe). Altri settori sono invece nella fase espansiva (come quelli relativi all’elettronica e in generale alle comunicazioni) e per queste imprese si profilano forti profitti che attirano numerosi investimenti determinando così un ingrossamento delle imprese del settore che accresce sempre di più il proprio peso nell’ambito sia della produzione industriale che in quella del sistema economico complessivamente inteso.

Il terzo fattore che incide sulla dinamica settoriale è costituito dalla politica industriale attuata dai governi che presiedono politicamente le aree geografiche in cui le imprese si trovano ad operare.

A parte incentivi e sovvenzioni particolari per imprese operanti in settori ritenuti strategici il governo di una nazione ha sostanzialmente tre strumenti per incidere sulla dinamica settoriale delle imprese:

1) la politica «sindacale»

2) la politica «fiscale»

3) la politica «monetaria»

 

Come più sopra si è visto l’equilibrio economico di una impresa è una sapiente amministrazione dei parametri che definiscono la dimensione e fra questi vi è l’organico. In più ogni impresa operante nel sistema economico ha sia una propria individualità che una propria collocazione in un settore e ottiene l’equilibrio economico e finanziario tenendo conto delle numerose variabili come viste in precedenza. Quando nelle relazioni industriali fra imprese e sindacati dei lavoratori si vengono a creare situazioni permanenti di conflittualità, a parte i «danni» subiti dalle imprese, la direzione delle medesime cerca di mettere in atto una ristrutturazione del sistema di produzione in modo da sostituire il lavoro con mezzi meccanici, cambiando perciò il proprio modo di produrre. Nel sistema economico tuttavia vi sono settori che hanno una capacità di adeguamento di un certo tipo (per esempio il settore delle telecomunicazioni può «rispondere» alle pressioni sindacali con un aumento delle retribuzioni più marcato che non il settore tessile perché si trova in una fase di particolare espansione mentre il tessile fatica a mantenere il proprio livello produttivo per ragioni di mercato) mentre vi sono altre imprese che non hanno tale capacità e si trovano perciò «intrappolate» dalle difficoltà di organizzazione del lavoro, dalla scarsa produttività e, forse soprattutto, dalla domanda di mercato un po’ troppo stagnante per ragioni strutturali, come prima detto.

La differente struttura della produzione nei diversi settori e comparti del sistema economico induce anche i lavoratori a cercare occupazione in quelli ritenuti più sicuri e più remunerativi sicché una fonte di flussi in entrate e in uscita di imprese dai diversi settori economici è indubbiamente anche rappresentato dalla cosiddetta offerta di lavoro.

La politica fiscale è in realtà la politica di bilancio seguita dallo Stato che racchiude i provvedimenti di natura tributaria e quelli attinenti alla spesa pubblica per servizi, infrastrutture e investimenti pubblici.

Quando l’intervento dello Stato nel sistema economico è massiccio si viene a creare un settore specifico, quello dei Servizi Pubblici, che ha vita autonoma e dove le imprese spesso, anziché essere preordinate a fini economici sono preordinate a fini assistenziali, o presunti tali.

In effetti un intervento dello Stato nel sistema economico è in qualche modo inevitabile e di conseguenza un settore pubblico è presente in ogni economia capitalistica anche se tale presenza cambia di molto per intensità, qualità e struttura.

Attraverso la politica tributaria lo Stato può influenzare la scelta di determinati investimenti da parte delle imprese piuttosto che di altri e, in linea generale, può incentivare o meno l’acquisizione di nuove attrezzature produttive. Per esempio in tutti gli stati in cui esiste una imposta sui consumi fondata sul meccanismo del Valore Aggiunto (fiscale) si pone il problema, apparentemente tecnico, se le imprese quando acquistano una merce o una attrezzatura di cui divengono gli utilizzatori finali debbano scontare (come sembrerebbe logico dalla struttura del tributo) l’imposta relativa o se invece tale imposta possa essere «dedotta», ovvero compensata, come una normale imposta pagata sull’acquisto di una merce destinata alla produzione e quindi alla rivendita (attraverso la quale l’impresa recupera il tributo pagato al fornitore). A seconda della scelta adottata ne deriva un diverso trattamento tributario dei consumi e se alle imprese è concesso di dedurre l’imposta sull’acquisto dei beni strumentali è indubbio che la perdita di gettito da parte dell’Erario diviene l’esatta contropartita di una agevolazione fiscale alle imprese operanti nel sistema economico. In tale caso quando un consumatore acquista, per dire, un mezzo di trasporto o una scrivania o un computer o un impianto di condizionamento paga (in modo corretto) l’imposta sul consumo mentre quando i medesimi acquisti sono effettuati nell’ambito di una impresa la medesima non paga l’imposta relativa. Il fatto che l’acquisto di beni strumentali alla produzione non sia soggetto all’imposta sul Valore Aggiunto costituisce, di fatto, un incentivo all’acquisto di tali strumenti.

Attraverso la spesa pubblica lo Stato interviene in modo diretto nell’economia sia fornendo direttamente i «classici» servizi pubblici quali la difesa, la sanità, le infrastrutture in generale sia costituendo vere e proprie imprese in alcuni settori ritenuti strategici (come quello energetico e dei trasporti). In entrambi i casi l’intervento dello Stato determina effetti specifici sulla dinamica dei settori produttivi in quanto normalmente sia le imprese pubbliche che, a maggior ragione, gli interventi di spesa pubblica soggiacciono a regole affatto diverse da quelle messe in atto dal cosiddetto settore privato.

Le aziende pubbliche che operano nel campo dei trasporti e dell’energia fissano non tanto dei prezzi quanto delle «tariffe» che possono essere qualche volta congrue ma spesso non congrue con i costi di produzione con la conseguenza che lo Stato, vale a dire la collettività dei contribuenti, «copre» le differenze negative rendendo in tal modo possibile la continuità della gestione. In questa prospettiva si viene a creare una «differenziazione settoriale» in qualche modo «inattesa»: quella fra imprese pubbliche e imprese private, le prime finalizzate alla produzione di particolari servizi necessari a tutta la collettività, le seconde finalizzate alla produzione di merci e di servizi con il vincolo dell’ottenimento dell’equilibrio economico duraturo. Quando poi l’intervento dell’impresa pubblica si dilata sino a comprendere la produzione di merci comuni (come acciaio o gelati) si verifica un vero e proprio fenomeno patologico di interferenza dell’impresa pubblica nel «settore» privato. Si vedrà in altra parte del Saggio come però tali interferenze siano nella realtà delle economie capitalistiche più sfumate e quindi meno «drammatiche» di quanto possa sembrare a prima vista.

La politica monetaria ha la funzione di regolare il flusso di moneta e i saggi d’interesse, quindi il costo del denaro, esistenti nel sistema economico. Attraverso la politica monetaria i pubblici poteri intervengono nella formazione del capitale finanziario delle imprese e nella scelta del volume e del tipo di investimenti da effettuare. Trattandosi di una politica dagli effetti «generali» la politica monetaria incide nella dinamica settoriale in modo «indiretto» agevolando o ostacolando la formazione del capitale nei vari settori, per esempio, intervenendo con il cosiddetto «credito agevolato», vale a dire con una serie di norme di carattere monetario che inducono le aziende di credito a concedere a imprese operanti in settori specifici o in zone geografiche predeterminate finanziamenti in forma agevolata o come minor costo o come differente scadenza.

L’efficacia e l’efficienza del credito «agevolato» è in molti casi tutta da dimostrare in quanto spesso è rivolta al finanziamento di imprese in crisi permanente sotto il profilo economico ed in più crea un indubbio «vincolo» fra il sovvenuto e lo Stato che toglie al primo la necessaria libertà di azione nel campo della gestione economica e finanziaria.

Per poter svolgere una funzione di sviluppo settoriale la politica del credito agevolato dovrebbe essere tesa alla concessione di crediti «temporanei» e soprattutto essere rivolta a quelle imprese che dimostrino nella realtà una effettiva capacità di rimborso.

 

 

12. - I settori per attività . - I settori per attività produttiva costituiscono un grande e composito aggregato che comprende tutte le imprese che nel sistema economico svolgono una funzione economica ben precisa. In questa ottica si possono individuare i seguenti settori:

 

1) Settore primario

2) Settore secondario

3) Settore terziario

 

Il settore «Primario» comprende tutte le attività dirette alla produzione di materie prime e di derrate alimentari, quindi tale settore può essere ulteriormente diviso in:

1.1) produzione mineraria

1.2) produzione agricola

 

Il settore «Secondario» comprende tutte le attività di carattere «industriale» e può essere diviso in:

 

2.1) manifattura

2.2) servizi industriali

 

Il settore «Terziario» comprende tutte le attività che svolgono una funzione economica nella circolazione delle merci e può essere così suddiviso:

 

3.1) commercio al minuto e al dettaglio

3.2) trasporti

3.3) attività finanziarie

 

La classificazione dei settori come sopra indicata suggerisce un aspetto importante del funzionamento del sistema economico che è quello, appena accennato nel paragrafo precedente, della interdipendenza reciproca.

Il consumo finale di una merce qualunque presuppone che tale merce sia passata attraverso le imprese che operano in ciascuno dei settori cosicché è possibile esaminare non solo il modo tecnico utilizzato per la produzione ma anche come e quanto ciascuna impresa ha prodotto sia in termini di valore che in termini di quantità. Con una sintesi numerica si può esprimere quanto sopra nel modo seguente:

 

Merce «X»

Impresa del settore Primario (prodotto)        UM 10.000

Impresa del settore Secondario

- Valore d’acquisto                               UM     10.000

- Valore di vendita                                 UM     17.000

Impresa del settore Terziario

- Valore d’acquisto                               UM    17.000

- Valore di vendita                                UM     20.000

 

Il valore di UM 20.000 realizzato dall’impresa del settore Terziario costituisce il «prezzo di mercato» della merce in oggetto ed è pagato dal consumatore finale attraverso la disponibilità di proprie risorse economiche precedentemente formate.

Ciascuna impresa che partecipa alla produzione o alla circolazione della merce svolge determinate operazioni produttive che sono sintetizzate nei valori di acquisto e di vendita di prodotti e materie prime. Nel caso specifico l’impresa del settore primario ha prodotto un valore pari a 10.000 UM realizzato cedendo merci all’impresa del settore Secondario la quale a fronte di un acquisto di tale valore realizza, approntato il processo di produzione, un valore di 17.000 UM che costituisce il proprio ricavo.

A questo livello di produzione la merce ha un valore di 17.000 UM che è stato prodotto, chiaramente, per 10.000 dall’impresa del settore Primario e per 7.000 (17.000 - 10.000) dall’impresa del settore Secondario: i due valori indicati misurano il Valore Aggiunto delle due imprese e, anche, il contributo che le medesime danno alla produzione della merce presa in considerazione.

Il successivo passaggio dall’impresa del settore Secondario a quella del settore Terziario comporta un ulteriore incremento del «valore» della merce espresso nell’esempio dalla differenza fra il prezzo al consumo, pari a UM 20.000 e il prezzo che l’impresa del Terziario paga a quella del Secondario, pari a UM 17.000.

Il valore aggiunto delle tre imprese è pertanto:

Impresa «mineraria» (o agricola)         UM      10.000

Impresa industriale                              UM        7.000

Impresa commerciale                          UM        3.000

Totale Valore Aggiunto                       UM      20.000

 

Il totale del valore aggiunto è pari al valore «finale» ovvero al prezzo al consumo della merce. In questo modo oltre a valutare la «struttura» del prezzo pagato dal consumatore finale per una determinata merce è valutato anche il contributo che ciascuna impresa dà alla formazione di tale valore e, quindi, in modo diretto il peso che ogni impresa ha nel sistema economico.

In questo circuito economico si inseriscono ovviamente anche le altre imprese che non hanno un diretto contatto con il consumatore finale, come le imprese che producono energia o esercitano il credito. Il loro ingresso nel circuito economico modifica la composizione e la dimensione del valore aggiunto di ciascun stadio produttivo e quindi modifica anche il valore finale della merce.

Ciascuna delle tre imprese indicate avrà bisogno per lo svolgimento del processo di produzione di energia elettrica che sarà pertanto richiesta ad una azienda specifica che fa parte dei Servizi industriali. Se le tre imprese acquistano energia secondo le seguenti quantità, espresse il valore:

Primaria                            UM       2.000

Secondaria                        UM       3.000

Terziaria                            UM         100

 

e se le tre imprese modificano i loro prezzi in modo da ottenere il medesimo valore aggiunto si avrà:

Merce «X»

Impresa del settore Primario

- Valore d’acquisto                          UM      2.000

- Valore di vendita                            UM    12.000

 

Impresa del settore Secondario (manifattura)

- Valore d’acquisto                         UM      12.000

- Valore d’acquisto energia             UM        3.000

- Valore di vendita                          UM      22.000

 

Impresa del settore Secondario (servizi)

- Valore di vendita                        UM          5.100

Impresa del settore Terziario

- Valore d’acquisto                       UM        22.000

- Valore d’acquisto energia            UM            100

- Valore di vendita                         UM       25.100

 

L’inserimento nel circuito economico dell’impresa che produce energia ha determinato sia un incremento del valore finale della merce (+ 25,5%) sia un aumento che una diversa distribuzione del valore aggiunto prodotto che ora è ripartito in quattro imprese e nel modo seguente:

Impresa «mineraria» (o agricola)          UM       10.000

Impresa industriale manifatturiera         UM          7.000

Impresa dei servizi industriale               UM          5.100

Impresa commerciale                           UM          3.000

Totale Valore Aggiunto                        UM        25.100

 

Ne segue che il valore aggiunto prodotto ha subito la seguente variazione nella sua composizione:

                                                        1                   2

Impresa «mineraria» (o agricola)        50%        39,84%

Impresa industriale manifatturiera        35%        27,89%

Impresa dei servizi industriale               0%         20,32%

Impresa commerciale                         15%         11,95%

Totale Valore Aggiunto                     100%        100%

 

L’impresa che produce energia non lo fa solo per le imprese del sistema economico ma lo fa anche per coloro che non sono imprese e che quindi usufruiscono di un «prodotto» per le proprie necessità di vita quotidiana: per le imprese del settore vi è quindi un altro mercato che implica un aumento della quantità prodotta e quindi della dimensione economica. Per il sistema economico nel proprio insieme si crea un ulteriore prodotto sicché la ricchezza consumata sarà determinata sia dalla merce «X» che dalla quantità di energia utilizzata da chi non è impresa.

Ogni volta che una nuova impresa s’inserisce nel circuito economico si possono verificare quindi i casi seguenti:

1) l’impresa produce solo per altre imprese

2) l’impresa produce solo per il mercato finale

3) l’impresa produce per le imprese e per il mercato finale

 

Una questione importante della dinamica delle imprese nel sistema economico è quella relativa alla modifica della composizione e dell’altezza del valore aggiunto.

Il caso più sopra prospettato ha modificato la composizione settoriale del valore aggiunto ma ha lasciato inalterato il valore aggiunto di ciascuna impresa sicché il consumatore finale si è trovato a pagare puramente e semplicemente il maggior valore prodotto ma è chiaro che le diverse imprese del sistema economico che si trovano ad acquistare l’energia possono ritrovarsi nelle condizioni di modificare la consistenza del valore aggiunto prodotto perché, per esempio, non sono nelle condizioni di aumentare più di un certo limite il prezzo di vendita: in questo caso è modificata la struttura stessa della produzione di valore aggiunto e sul mercato del consumo finale si verranno a creare prodotti non soltanto dotati di un differente valore aggiunto ma anche soggetti ad una diversa dinamica dei prezzi.

La composizione settoriale per attività svolta tende a mettere in evidenza come il sistema capitalistico produce le proprie merci e come le imprese produttrici si dividano tale ricchezza prodotta. Ma come già si è visto nel paragrafo dedicato all’impresa capitalistica (e come si vedrà in generale in tutto il presente Saggio) le imprese non sono soggetti «passivi» ma in ogni istante sono alla ricerca dell’equilibrio economico e finanziario della gestione che determinano a seconda delle proprie dimensioni, come intese nel paragrafo 3 del presente Libro. In questa ricerca è inevitabile che le imprese meglio dimensionate svolgano un’azione «concorrenziale» tale da mettere in difficoltà le altre imprese sia rispetto all’acquisizione dei fattori produttivi sia rispetto alla collocazione dei prodotti. Il successo di tale azione è uno dei «motori» del sistema che modifica il settore, la ricchezza prodotta e distribuita e l’intera produzione di un sistema economico.

La differente distribuzione delle imprese nei settori per attività e la loro dinamica «interna» introduce all’esame di un altro concetto di settore che non si sovrappone a quello fino a ora descritto ma ne costituisce una estensione o una articolazione: tale concetto di settore è quello attinente alle diverse specializzazioni produttive nelle quali le imprese, soprattutto capitalistiche, operano.

13. - I settori per specializzazione produttiva. - I settori nei quali si articola il sistema capitalistico possono essere numerosi in considerazione del fatto che la varietà di merci e di servizi è particolarmente ampia. Vi sono però delle classificazioni che tendono ad aggregare alcune attività «tipiche» che altro non sono poi che le diverse attività in cui si articolano i settori per attività.

In linea generale i settori significativi del sistema economico possono essere così suddivisi:

1) minerario-estrattivo;

2) agricolo;

3) manifatturiero;

4) costruzioni

5) servizi industriali

6) circolazione delle merci

7) servizi finanziari

8) servizi pubblici

 

Secondo lo schema del presente Saggio l’impresa capitalistica è l’operatore principale del sistema economico che organizza i fattori della produzione e che provvede, in linea di massima, alla creazione e alla distribuzione della ricchezza. L’impresa capitalistica è una impresa specializzata, almeno nella sua fase di avvio e pertanto si colloca nel processo di produzione e distribuzione della ricchezza in un settore ben specifico del sistema economico assumendo quelle dimensioni economiche, produttive e finanziarie che più si addicono al mantenimento dell’equilibrio economico durevole nel tempo.

I settori per specializzazione produttiva sono pertanto degli aggregati del sistema economico di imprese che hanno scelto di mettere in atto una determinata produzione di tipo tecnico.

In ciascuno di questi settori vi sono imprese di piccole, medie e grandi dimensioni, quindi è presente un determinato grado di «diseguaglianza» nella numerosità che determina, in pratica, il cosiddetto «grado di concorrenza».

La posizione di ciascuna impresa all’interno di un settore specifico oltre a determinare la struttura del settore medesimo, com’è ovvio, determina anche la struttura della produzione complessiva di un sistema economico che può presentare quindi una caratterizzazione settoriale più vicina, per esempio, alla produzione di materie prime ovvero alla circolazione delle merci e alla produzione di «servizi» in generale.

A seconda di tale «struttura caratteristica» di un sistema economico sia le imprese esistenti sia quelle che devono nascere, e quindi inserirsi nel processo produttivo, sono condizionate nelle loro scelte produttive nel senso che, per esempio, se sul territorio di una nazione non esistono giacimenti di petrolio o di diamanti ovviamente non potranno mai nascere in quel sistema economico imprese che scelgono come attività economica quella di estrarre petrolio o diamanti grezzi.

In linea di massima le attività di carattere industriale, commerciale e finanziario possono essere svolte senza un preciso riferimento alle ricchezze del sottosuolo o del suolo ma in realtà la presenza di terre fertili o di giacimenti di determinate materie prime utilizzate correntemente nell’industria determina l’insediamento produttivo di imprese industriali che legano la propria produzione non solo all’estrazione del minerale ma anche alle successive lavorazioni, almeno fino allo stadio della manifattura.

Un elemento economico importante per la definizione della struttura per attività è determinato dalla domanda di mercato sulla quale influisce in prima approssimazione la vicinanza all’impresa di un territorio e di una popolazione di una certa consistenza piuttosto che di un’altra. Con la relazione fra estensione territoriale del mercato e formazione delle imprese in un determinato settore si introduce di fatto una delle più importanti (o forse la più importante) caratteristiche della evoluzione dei moderni sistemi capitalistici.

Anzitutto la nozione di «territorio» è strettamente legata ai confini politici di una nazione e alla conseguente sovranità che sui medesimi esercita, sotto il profilo giuridico, una autorità centrale che può essere un re o un parlamento ed è ovvio che più è esteso il territorio e più è grande la popolazione insediata più le imprese avranno non solo dimensioni maggiori ma tenderanno a «coprire» per intero la gamma di settori economici possibili.

La relazione fra «mercato nazionale» e struttura industriale è però più complesso di quanto si possa supporre in quanto lo sviluppo dell’economia capitalistica non è mai stato e non è al presente caratterizzato da alcun grado di omogeneità, nel senso che esso è iniziato nell’Inghilterra del 1700, si è esteso nel 1800 alla Germania, Francia e Paesi Bassi ed è, per così dire, esploso negli Stati Uniti d’America nel 1900 portando quella nazione, in conseguenza di alcuni fattori anche di natura strettamente politica, ad essere il sistema economico più «espressivo» sotto il profilo capitalistico.

Ad ogni stadio di evoluzione del sistema economico le imprese operanti in una determinata area geografica hanno dovuto «adattarsi» al grado di tecnologia esistente sicché le imprese manifatturiere nate nel 1800 in Germania hanno dovuto iniziare con il medesimo grado di tecnologia delle imprese inglesi sopperendo il differenziale di sviluppo o con interventi specifici e di carattere essenzialmente protezionistico da parte dell’autorità politica centrale o ponendo in atto strategie produttive e commerciali particolarmente innovative: in ogni caso il «costo» della industrializzazione è risultato grandemente più oneroso.

Questo aspetto dello sviluppo economico legato essenzialmente allo sviluppo dell’impresa o, se si vuole, delle imprese appartenenti ad un determinato settore è determinante per capire la «solidità» di un sistema economico e per valutare quindi le possibilità ed i limiti ai quali ciascuna impresa soggiace quando inizia o sviluppa la propria attività.

In questa ottica la specializzazione produttiva è legata da un lato alle condizioni di territorio e di risorse economiche generalmente intese e dall’altro dalla concorrenza che si viene a creare nel sistema economico fra imprese per così dire «locali» ed imprese appartenenti a diversi sistemi economici.

Una questione importante sotto questo profilo attiene al fatto che lo sviluppo del sistema capitalistico è legato strutturalmente ad alcune circostanze ben definite che sono la disponibilità di energia, di materie prime, di capitali finanziari e di lavoro prevalentemente specializzato. Nella fase iniziale dello sviluppo sono importanti soprattutto i settori «industriali» che consentono anzitutto di impiegare nelle attività produttive una larga proporzione della popolazione esistente e quindi di produrre una quantità di merci (e quindi di reddito) sufficienti ad innalzare il cosiddetto livello medio di vita. Con l’evoluzione del sistema acquistano importanza anche settori che producono servizi o attinenti al commercio intenso nel senso stretto del termine ma è indubbio, per esempio, che le imprese che nascono assumono anche in questi «nuovi» settori le caratteristiche economiche e giuridiche delle imprese industriali, divenendo delle «società per azioni» o «anonime» come sono anche definite dove il carattere «finanziario» della società si somma a quello più prettamente industriale o commerciale.

Una volta che un determinato sistema economico nazionale è strutturato con una distribuzione ben precisa delle imprese nei vari settori diviene naturale e inevitabile che il «modello» così costituito sia preso a paragone da altri sistemi nei quali le imprese di carattere più spiccatamente capitalistico assumono una configurazione giuridica ed economica simile a quelle assunte dalle imprese del sistema «modello». Tuttavia anche se all’apparenza possono essere simili vi saranno comunque delle differenze profonde in quanto una differente dimensione economica implica un diverso grado di tecnologia, di organizzazione aziendale e, soprattutto, di capacità di penetrazione nei mercati sia di acquisto che di vendita. In tali circostanze una debolezza strutturale del sistema economico, vale a dire l’assenza di un settore energetico o minerario o una intrinseca debolezza nella formazione di capitale, implica per le imprese «locali» non solo costi di produzione mediamente più alti (conseguenza soprattutto delle diverse dimensioni) ma anche merci qualitativamente più «scadenti» con la conseguenza di incontrare difficoltà nella collocazione del prodotto, soprattutto se il mercato nazionale è soggetto alla libera circolazione dei capitali e delle merci.

Le condizioni di economicità della gestione aziendale costituiscono un fortissimo fattore della struttura per settori di un sistema economico atteso che le diverse produzioni possibili presentano diverse caratteristiche strutturali dell’equilibrio economico. Vi sono settori dove la disponibilità del capitale tecnico-finanziario è essenziale per la costituzione e lo sviluppo dell‘impresa mentre vi sono settori dove è il fattore lavoro ad essere preminente. Come si è già visto nell’analisi dell’impresa capitalistica l’esistenza di ingenti costi anticipati (e segnatamente di costi anticipati per fattori strutturali) implica una rigidità nella gestione aziendale nonché una corrispondente quantità di mezzi finanziari: dal punto di vista dei costi unitari di produzione il peso dei fattori strutturali diviene particolarmente importante con la conseguenza che i prezzi di vendita sono in larga misura determinati da «costi strutturali» che non soltanto pongono inevitabili rigidità alla gestione delle imprese operanti ma implicano anche una barriera economica all’entrata di nuove imprese, creando di fatto una situazione di mercato oligopolistico.

La situazione prospettata si riversa nel sistema economico sotto diverse forme e tende a creare dei settori specifici all’interno di un settore particolare o ad escludere da un settore particolare le imprese di un certo sistema economico nazionale.

Tali settori specifici assumono spesso la denominazione di comparto e costituiscono dei veri e propri segmenti di un più ampio (e generico) mercato dove il prodotto in quanto tale significa tutto e nulla (come nel caso del settore dell’automobile dove si passa dalle «utilitarie» alle «vetture di lusso» senza che si possa affermare che due prodotti appartenenti ciascuno a un segmento specifico sono uguali o simili e perciò succedanei anche se si tratta, in termini generici sempre di automobili).

La struttura dei costi di produzione costituisce una caratteristica importante di un certo settore e pone un vincolo sia alla formazione di nuove imprese che all’espansione di quelle esistenti ma sostanzialmente determina una differenziazione economica fra le diverse imprese che solo all’apparenza appartengono ad uno specifico settore. Una impresa manifatturiera con una decina di addetti può, per esempio, produrre alcuni tipi di merce (come generi d’abbigliamento o componenti meccaniche specifiche ecc.) e all’apparenza essere «in concorrenza», e quindi appartenere al medesimo settore, di una impresa che impiega mille addetti per produrre i medesimi generi. In realtà, per tutta una serie di circostanze che attengono alla produzione, alla distribuzione, alla qualità dei materiali impiegati, al tipo di clientela ed altri ancora le due imprese appartengono a mercati sostanzialmente differenti e si pongono su due piani differenti sicché la riunione sotto un medesimo settore è più formale che sostanziale in considerazione del fatto che l’impresa di più grandi dimensioni ha una gestione dove gli aspetti produttivi, organizzativi e finanziari assumono un rilievo più grande con un conseguente effetto sulla formazione dei costi e dei prezzi e quindi sulla sua struttura economica.

Lo sviluppo dell’impresa capitalistica comporta di fatto una modifica alla composizione settoriale del sistema economico sia in termini operativi che in termini concettuali: l’allagamento delle dimensioni avviene normalmente attraverso una differenziazione del prodotto che può rimanere nell’ambito di un medesimo settore ma può, in alcuni casi non infrequenti, diventare completamente differente dalla produzione tipicamente messa in atto. In tal caso l’impresa capitalistica diviene prima multisettoriale e quindi multinazionale allargando il proprio potere economico su crescenti frazioni della ricchezza prodotta.

 

 

 

14. - L’aggregazione dei settori. - Il fenomeno economico dell’aggregazione dei settori attiene allo sviluppo dell’impresa capitalistica in alcune suo forme particolari che costituiscono anche un loro indubbio segno distintivo. L’aggregazione settoriale può essere definita sia come fenomeno di diseguaglianza delle imprese appartenenti ad uno stesso settore sia come sviluppo orizzontale, verticale e differenziato di alcune grandi imprese che divengono multisettoriali e multinazionali.

L’aggregazione settoriale attinente alla diseguaglianza delle imprese appartenenti ad uno stesso settore riguarda in modo specifico la struttura del mercato che nella normalità dei sistemi capitalistici è l’oligopolio, vale a dire l’esistenza di un numero ristretto di imprese, spesso di grandi dimensioni, che controllano la produzione e, quindi, il mercato.

Si supponga che in un determinato settore, per esempio quello delle telecomunicazioni, abbia la seguente struttura produttiva:

Imprese                 Valore Aggiunto                    Fatturato

3                                1.000.000                       1.500.000

100                               100.000                         130.000

1.000                               20.000                          25.000

 

dove Valore Aggiunto e Fatturato sono riferiti a ciascuna impresa. Rispetto al Valore Aggiunto l’indice di concentrazione, secondo lo schema proposto dallo statistico Gini, è pari al 30,75% e il medesimo indice riferito al fatturato è pari al 32,72%. Si supponga invece che in un altro settore, per esempio il tessile, vi sia la seguente struttura produttiva:

 

Imprese                  Valore Aggiunto                        Fatturato

3                                  800.000                           2.500.000

100                              150.000                              480.000

1.000                              50.000                             170.000

 

Secondo lo schema proposto l’indice di concentrazione per Valore Aggiunto e Fatturato è rispettivamente pari al 16,94% e 15,51%. Poiché l’indice di concentrazione del Gini varia da 0 a 1, indicando nel primo caso la massima equidistribuzione e nel secondo caso la massima concentrazione, si può notare anzitutto un maggior grado di concentrazione nel settore delle telecomunicazioni (ovvero una più elevata equidistribuzione nel settore tessile) e nei casi assunti ad esempio anche una differenza fra la concentrazione riferita al Valore Aggiunto e quella al Fatturato: nel settore delle telecomunicazioni è più elevata al concentrazione del fatturato (32,72%), nel settore tessile è più elevata la concentrazione del Valore Aggiunto (16,94%).

Se in questo contesto nel settore delle telecomunicazioni una delle tre grandi imprese acquisisce una impresa di medie dimensioni e cinque piccole imprese la struttura della produzione diverrà:

 

Imprese                 Valore Aggiunto                     Fatturato

3                              3.200.000                          4.755.000

99                             9.900.000                       12.870.000

995                          19.900.000                     24.875.000

                                 33.000.000                     42.500.000

 

con la conseguenza che la concentrazione del Valore Aggiunto diventa pari al 33,09% mentre quella del Fatturato diventa pari al 31,09%.

La misurazione della diseguaglianza in funzione del valore aggiunto e del fatturato mette in evidenza una prima forma di struttura del settore, indicando come esso è composto e quali potenzialità produttive presenta.

L’aggregazione settoriale è però spesso caratterizzata da processi di integrazione verticale ed orizzontale e tende a mettere in evidenza come la grande impresa nell’assorbire le imprese di medie e piccole dimensioni non si limita a variare la scala della produzione o il settore d’intervento ma usufruisce delle cosiddette economie di scala, vale a dire di una riduzione dei costi di produzione per unità prodotta.

Le strategie che sono alla base dell’aggregazione settoriale fanno parte della politica della grande impresa, sempre tesa ad accrescere le proprie dimensioni economiche e finanziarie e sono indirizzate di solito all’acquisizione di imprese che producono un particolare prodotto utilizzato nel processo produttivo ovvero alla espansione in settori nuovi, comunque in qualche modo attinenti alla specificità produttiva.

L’impresa capitalistica che espande la propria attività tecnico-produttiva può acquisire nuova capacità produttiva installando nuovi impianti ed assumendo nuovo personale ma può anche utilizzare una tecnica per così dire più «sofisticata» e in qualche modo meno impegnativa: può acquisire il «controllo» giuridico di una società gia operativa e assoggettare quindi le strategie di gestione della società acquisita alle proprie esigenze tecnico-produttive ed economico-finanziarie.

L’operazione di acquisizione di una impresa esistente presuppone alcune condizioni che sono la forma giuridica di società per azioni (o equivalenti), la volontà delle due compagini azionarie di dar vita allo scambio ma soprattutto la volontà dell’azionista di riferimento della società oggetto di scambio di voler cedere la propria quota di azioni alla società che ne fa richiesta.

L’esistenza di alcuni requisiti giuridici dei titoli di credito che attestano la partecipazione al capitale di una società facilitano grandemente lo scambio indicato che normalmente è fissato secondo regole di carattere economico che tengono conto sia della consistenza patrimoniale dell’impresa sia della sua capacità di reddito e sia, ma questo dovrebbe essere implicito sin dal primo istante, dell’interesse specifico dell’impresa acquirente.

Questa forma di espansione dell’impresa capitalistica è principalmente di natura finanziaria e ovviamente consolida il carattere finanziario di questa istituzione economica e consente due essenziali vantaggi, soprattutto all’impresa di più grandi dimensioni:

 

1) l’acquisizione di un mercato più ampio a costi relativamente modesti;

2) la possibilità di smobilizzo dell’investimento in tempi relativamente brevi e in una forma particolarmente agevole.

 

Se una grande impresa del settore meccanico, per esempio, ha una situazione patrimoniale ed economica del tipo sotto indicato:

 

ATTIVO                                             PASSIVO

IMPIANTI      100.000              MEZZI PROPRI           50.000

SCORTE           30.000             FINANZIAMENTI       90.000

LIQUIDITA’     10.000

 

COSTI                                               RICAVI

MATERIE PRIME       500.000        VENDITE        1.200.000

PERSONALE              300.000

COSTI OPERATIVI     200.000

AMMORTAMENTI        30.000

UTILI                             170.000

 

mentre un’impresa di medie dimensioni ha una situazione patrimoniale ed economica del tipo sotto indicato:

ATTIVO                                  PASSIVO

IMPIANTI     10.000         MEZZI PROPRI                  6.000

SCORTE         4.000          FINANZIAMENTI              8.000

LIQUIDITA’    1.000

 

COSTI                                          RICAVI

MATERIE PRIME       40.000      VENDITE                 90.000

PERSONALE              30.000

COSTI OPERATIVI    17.400

AMMORTAMENTI       2.000

UTILI                                600

 

l’acquisizione di un impianto di produzione similare dovrebbe costare all’incirca 10.000 UM. Se invece l’impresa più grande acquisisce il cosiddetto «pacchetto di controllo» dovrà sostenere una spesa sicuramente minore. Infatti il patrimonio netto della società da acquisire è pari a 6.000 UM e se il pacchetto di maggioranza fosse, per esempio, il 60% il suo valore patrimoniale sarebbe 3.600 UM e in questo caso il costo dell’acquisizione dell’intera impresa sarebbe del 36% rispetto al costo necessario all’installazione di un nuovo impianto. Una valutazione sulla base reddituale implica la determinazione del cosiddetto «tasso di attualizzazione» e l’applicazione della formula finanziaria:

                                 

                             VA =  R  / i 

                   

dove VA è il valore dell’impresa, R il reddito presunto e «i» il saggio d’interesse applicato. Così se i = 10% e il reddito presunto è quello desunto dalla situazione economica indicata si avrà:

 

                                      600

                         VA = --------- = 6.000

                                      10%

 

e quindi il valore reddittuale coinciderebbe con quello patrimoniale. E’ chiaro che cambiando sia il reddito utilizzato sia il saggio di attualizzazione il valore reddittuale dell’impresa cambia di conseguenza.

Quando si tratta di società per azioni, e segnatamente di società quotate presso i mercati ufficiali del titoli azionari il valore è anche determinato dalla capitalizzazione la quale è determinata semplicemente dalla moltiplicazione della quotazione corrente del titolo per il numero di azioni in circolazione. Nell’esempio se le azioni sono 500 ed hanno una quotazione di 20 UM la capitalizzazione è pari a 10.000 UM: se lo scambio avviene a questo prezzo la società acquirente dovrà pagare 6.000 UM (300 azioni al prezzo di 20 UM) e quindi il costo «finanziario» dell’operazione è comunque inferiore al costo «industriale», relativo cioè all’acquisto di un nuovo impianto.

In realtà anche in una situazione di apparente equivalenza l’impresa già esistente e oggetto di scambio ha in ogni caso una propria organizzazione e un proprio assetto economico e finanziario che, seppure suscettibile degli adattamenti che l’impresa acquirente dovrà fare, è comunque collaudato e quindi possiede una propria capacità di reddito e patrimoniale che non è direttamente espressa dai numeri del reddito e del patrimonio ma attiene alla struttura complessivamente intesa.

I diversi prezzi di acquisizione e le diverse forme attraverso le quali una impresa capitalistica può acquisire nuovi settori costituiscono una strategia dell’amministrazione, quindi una valutazione dell’evoluzione economica e finanziaria conseguente ad ogni tipo di scelta.

La valutazione economica e finanziaria delle scelte attinenti alle strategie «settoriali» delle imprese capitalistiche introduce, in realtà, ad uno dei fenomeni economici più appariscenti e più importanti del sistema capitalistico, che è quello dei rapporti fra la grande impresa multisettoriale e multinazionale con i mercati e, in generale, con l’ambiente nel quale opera.

Anzitutto l’impresa capitalistica di grandi dimensioni ha l’indubbia prerogativa di determinare con le proprie scelte di gestione i più rilevanti movimenti non solo in seno al settore che opera ma più in generale rispetto al sistema economico (e se è una multinazionale tale sistema economico diviene anche quello «estero»).

In secondo luogo l’impresa capitalistica è nella generalità dei casi costituita come società per azioni e trattandosi di una grande impresa spesso i «soci» posseggono solo un diritto di intervento e di voto nelle assemblee periodicamente indette nelle quali le decisioni sono di fatto già assunte o dal cosiddetto «capitale di comando» o dal gruppo dirigente dell’impresa.

Questi due elementi si innestano su una realtà economica, finanziaria e organizzativa ben precisa che è costituita da una costante ed ineliminabile pianificazione dell’attività d’impresa nella quale sono riassunti i fini e i mezzi dell’impresa medesima: l’aggregazione settoriale allora diviene una variabile della strategia d’impresa nella quale una struttura economico-finanziaria potente e ben conformata si pone l’obiettivo di consolidare la propria posizione che, inizialmente, può avere motivazioni per così dire «industriali» ma che nel proprio sviluppo divengono di natura «finanziaria» e, in molti casi, un mero fatto di potere economico.

Attraverso l’espansione in nuovi settori l’impresa capitalistica in realtà cerca non solo di acquisire un maggior potere ma anche di frazionare e ridurre quanto più possibile i rischi conseguenti alla gestione, sia sotto il profilo del mercato che sotto il profilo dell’organizzazione interna.

Dal punto di vista della struttura economica si assiste ad una crescente concentrazione produttiva e finanziaria nelle mani di poche imprese dalle dimensioni sempre più colossali dove diviene necessario un apparato organizzativo particolarmente complesso nel quale le decisioni dei singoli individui, anche quelli preposti ai vertici dell’amministrazione, non sono lasciate al caso all’iniziativa personale ma sono attentamente programmati e gestiti.

L’istituzione economica che prende forma dall’aggregazione di vari settori in un unico soggetto economico, soprattutto nelle sue forme più grandi, diviene un centro di potere economico, finanziario e politico. La ricchezza prodotta, sia nel senso di merci e servizi sia in quello di valore aggiunto, costituisce una parte fondamentale del prodotto interno lordo di una nazione e le sue politiche di investimento produttivo e finanziario possono diventare un «esempio» per le restanti imprese del sistema economico, quindi costituire un impulso alla crescita o al declino del reddito nazionale. In questo modo la grande impresa diviene il centro del sistema capitalistico e se da un lato conserva un carattere «privatistico» con le sue profonde ramificazioni sui mercati dei fattori della produzione e delle merci, sui mercati finanziari e sul mercato del lavoro assume una veste «pubblica» che trova un suo preciso riscontro nei rapporti fra impresa e ambiente ed in particolare nello stretto e indissolubile rapporto che lega la pianificazione dell’attività aziendale con l’ambiente al quale tale pianificazione è rivolta. In definitiva l’aggregazione settoriale porta alla creazione della grande impresa capitalistica che non può operare senza una adeguata azione di programmazione dell’attività e nel contempo la vastità dell’organizzazione e dei rapporti di mercato portano l’impresa capitalistica a svincolarsi dal proprio rigido schematismo «privatistico» ed anche se da un punto di vista strettamente giuridico la «collettività» non può nulla nelle decisioni operative dell’impresa non vi è dubbio che, nel bene come nel male, il gruppo dirigente di queste potenti istituzioni economiche è in qualche modo responsabile difronte ai cittadini comuni, magari per mezzo dei rappresentanti nelle assemblee legislative e governative.