Saggio sul Capitalismo

 

 

CAPITOLO TERZO

MONETA E FINANZA

 

 

 

 

8. - La moneta. - Di tutte le istituzioni economiche la moneta è quella che presenta il maggior grado di «filosofia». Il sistema economico, in qualunque stadio si trovi nel proprio sviluppo, non può fare a meno della moneta e in particolare il sistema capitalistico non solo ne esalta le «funzioni», divenendo di fatto inscindibile dal concetto di moneta, ma produce un «settore» per così dire parallelo a quello produttivo, il settore monetario, che gode di vita propria e che in molti casi condiziona, anziché essere condizionato, il settore della produzione di merci e servizi.

Il punto di partenza dell’analisi della moneta è solitamente di carattere oggettivo, attinente cioè alle funzioni che essa svolge (o si suppone che svolga) nel sistema ma in realtà sia nel sistema capitalistico che in ogni altro sistema economico che non sia di pura sussistenza l’analisi della moneta dovrebbe essere inscindibile dal concetto soggettivo, vale a dire che non è possibile valutare convenientemente il ruolo e la funzione della moneta se non si parte dall’analisi di chi la usa e per quali fini.

In prima istanza l’utilizzazione della moneta può essere divisa fra coloro che ne fanno un uso per così dire fittizio e coloro che invece ne fanno un uso per così dire reale. Alla prima categoria appartengono due vaste categorie di persone, rappresentanti comunque una schiacciante minoranza, che hanno un rapporto professionale con essa e che sono gli economisti e i contabili. Per i primi la moneta è l’oggetto di studio di una parte del sistema economico che presenta regole e peculiarità proprie. Per i secondi costituisce uno strumento indispensabile per conteggiare la ricchezza patrimoniale ed economica delle imprese di produzione e di erogazione.

Chi utilizza la moneta in forma concreta sono invece tre categorie di soggetti:

a) le aziende bancarie

b) le aziende non bancarie

c) il pubblico in generale

 

Gli economisti studiano la moneta prendendo in considerazione tre punti di vista:

a) la forma

b) le funzioni

c) la funzionalità

 

Per i contabili la moneta è invece uno strumento per il conteggio del patrimonio e del reddito di una impresa e si trovano a dover risolvere, o a soprassedere a seconda della legislazione vigente, il problema attinente al cambiamento di valore nel tempo della moneta. Nel patrimonio e nel reddito di una impresa vi possono essere (e vi sono) elementi valutanti con un metro monetario differente per cui la somma, in un certo istante, di tutti gli elementi patrimoniali non dà il valore corrente, in termini di potere d’acquisto, del patrimonio esistente.

Per comprendere tale problema si supponga che nel patrimonio di una certa impresa vi siano i seguenti elementi:

 

Patrimonio al 31 dicembre 1999

a) fabbricati (1950)                        £.   20.000.000

b) impianti (1996)                           £. 800.000.000

c) crediti                                         £.   50.000.000

Totale                                            £.   870.000.000

 

che rappresentano i valori convenzionali, riferiti all’anno di acquisto. Se la svalutazione monetaria è la seguente, assumendo come base l’anno 1999:

1950 = 3.000

1996 = 106

1999 = 100

 

il patrimonio a valori correnti diventa:

 

a) fabbricati (1950)                 £.      600.000.000

b) impianti (1996)                    £.      848.000.000

c) crediti                                   £.       50.000.000

Totale                                      £.   1.498.000.000

 

che esprime il potere d’acquisto del patrimonio ai prezzi correnti (1999). La differenza di £. 628.000.000 costituisce la rivalutazione monetaria dei beni patrimoniali, vale a dire un mero adeguamento monetario necessario per pareggiare i poteri d’acquisto di valori differenti nel tempo. In tal modo se il fabbricato fosse vendibile per £. 800.000.000 l’impresa che lo vendesse realizzerebbe un guadagno in conto capitale così definito:

 

Valore corrente                       £.     800.000.000

- Valore d’acquisto                 £.        20.000.000

Guadagno c\capitale                £.      780.000.000

- Adeguamento monetario        £.      580.000.000

del fabbricato

Guadagno in c\capitale reale        £. 200.000.000

 

La valutazione contabile del patrimonio pone, come si vede, alcuni problemi attinenti al cambiamento del potere d’acquisto della moneta nel corso del tempo e può servire da introduzione all’analisi che fa riferimento ai soggetti utilizzatori della moneta, come più sopra individuati.

Infatti sia che se tratti di imprese sia che si tratti di cittadini comuni il valore della moneta diviene importante per la valutazione effettiva della ricchezza patrimoniale ed economica possedute.

Per le imprese bancarie la moneta rappresenta la materia prima attraverso la quale esercitare le funzioni monetarie e creditizie: la funzione monetaria è determinata dal fatto che loro debiti (depositi bancari) possono essere utilizzati (e sono di fatto largamente utilizzati) come mezzo di pagamento; la funzione creditizia è altrettanto tipica e consiste nell’affidare una impresa o un cittadino qualunque mettendogli a disposizione mezzi di pagamento per lui altrimenti non accessibili.

Nello svolgimento della funzione monetaria la banca crea una forma di moneta «parallela» ai biglietti di banca in circolazione consentendo ai propri depositanti di emettere assegni o altre forme di pagamento che consentono, quindi, di estinguere obbligazioni pecuniarie.

L’operazione potrebbe sembrare semplice e persino banale ma in realtà costituisce l’essenza stessa dell’impresa bancaria e contribuisce non poco al carattere finanziario del sistema economico capitalistico.

Quando un depositante stacca un assegno ad un proprio creditore questi lo verserà presumibilmente in un proprio conto: si determinerà perciò una riduzione nel deposito di «A» e un aumento corrispondente nel deposito di «B» ma nelle casse della banca non si verifica nessuna modifica e tale ultima circostanza ha un effetto particolarmente importante.

L’impresa bancaria, infatti, al pari di ogni altra impresa è soggetta al cosiddetto vincolo di bilancio, vale a dire al pareggio fra le attività e le passività: supponiamo quindi che si sia verificata la seguente sequenza di operazioni, adeguatamente rappresentate nel bilancio bancario:

Soggetto «A» deposita UM 1.000

Soggetto «B» deposita UM 3.000

Soggetto «A» emette assegno a soggetto «B» per UM 400

 

Se i due soggetti sono clienti della medesima impresa bancaria il patrimonio subirà le variazioni seguenti a seguito delle operazioni citate:

 

Operazione 1

Denaro in cassa (attivo)                 UM    1.000

Deposito «A» (passivo)                 UM    1.000

 

Operazione 2

Denaro in cassa (attivo)               UM    4.000

Deposito «A» (passivo)               UM    1.000

Deposito «B» (passivo)               UM     3.000

 

Operazione 3

Denaro in cassa (attivo)               UM    4.000

Deposito «A» (passivo)               UM       600

Deposito «B» (passivo)                UM    3.400

 

Come si può evincere dalla lettura del bilancio della banca i mezzi di pagamento esistenti nel sistema economico sono, in effetti, pari a UM 8.000, costituiti da 4.000 sotto forma di contante presso la banca e da 4.000 sotto forma di depositi cosiddetti «a vista». In realtà la banca deve sempre far fronte alla conversione dei depositi in contanti ovvero trasferire ad altre banche propri mezzi di pagamento sicché è necessario per lei detenere sempre una quota di liquidità ma l’esistenza di un rapporto fiduciario fra banca e cliente comporta in ogni caso una dilatazione dei mezzi di pagamento del sistema economico che, pur non arrivando mai al raddoppio come sopra evidenziato, divengono in pratica un’aliquota elevata di tutti i mezzi di pagamento esistenti.

All’interno delle imprese bancarie un ruolo essenziale è detenuto dall’impresa bancaria primaria, quella in grado di emettere, sotto il controllo dei pubblici poteri, carta-moneta avente corso legale. Tale banca, non a caso definita Istituto di emissione, svolge ed esalta le funzioni monetarie e creditizie svolte dalle banche cosiddette ordinarie.

L’Istituto di emissione è una banca, anzi trattasi della Banca Centrale, ma è, come tutte le banche, un’impresa soggetta anch’essa al vincolo di bilancio. Per l’Istituto di emissione il vincolo di bilancio comporta il fatto che quando si trova a emettere biglietti aventi corso legale crea nel proprio patrimonio una passività (o debito) che deve trovare una propria contropartita in una attività (o credito) solo che tale contropartita non è un semplice «pareggio contabile» o un «trucco» ma costituisce l’essenza della creazione della cosiddetta «liquidità primaria» nel sistema economico.

Nel sistema capitalistico dove vige il corso forzoso della moneta cartacea le possibili contropartite dell’emissione di biglietti di banca sono:

1) anticipazioni al Tesoro delle Stato;

2) prestiti alle banche ordinarie;

3) riserve di biglietti aventi corso legale in altri stati (cosiddette

riserve valutarie).

 

Le anticipazioni al Tesoro dello Stato, o comunque all’organismo pubblico che sovraintende alla gestione della tesoreria statale, costituiscono una parte del debito pubblico, ovvero sono una fonte di finanziamento dello Stato. Normalmente gli Stati moderni dispongono di un bilancio per competenza e di un bilancio per cassa: nel primo si definiscono le entrate e le uscite attinenti ad un determinato esercizio finanziario, nel secondo si definiscono invece le entrate e le uscite effettivamente messe in atto, determinando l’effettivo fabbisogno di cassa.

Anche lo Stato è in pratica un’impresa o, meglio, un’azienda di erogazione e come tale ha il medesimo vincolo di bilancio fra le entrate e le uscite di ogni altra azienda.

Per apprezzare l’intrecciato e complesso rapporto fra il bilancio statale, la conseguente gestione delle tesoreria e i rapporti con l’Istituto di emissione si supponga che siano validi, per un determinato esercizio finanziario i valori seguenti, nell’azienda dello stato:

 

                                       Competenza                       Cassa

Entrate tributarie                   5.000                           4.500

Entrate diverse                      1.500                           1.500

Totale entrate                        6.500                          6.000

 

Spese correnti                       4.800                          4.500

Investimenti                           4.000                          3.500

Totale uscite                          8.800                          8.000

Fabbisogno finanziario            2.300                          2.000

 

Il fabbisogno finanziario «di cassa», pari a UM 2.000, può essere finanziato in vari modi ed uno di questi è il ricorso all’Istituto di emissione attraverso una anticipazione, in pratica un’apertura di credito. Se l’Istituto di emissione finanzia per UM 1.000 il fabbisogno dello Stato in pratica la circolazione monetaria aumenta di questa entità e attraverso la stampa di biglietti di banca lo Stato sopperisce, in parte, alle proprie esigenze di liquidità.

Supponiamo ora che nel corso di un quniquennio il fabbisogno statale sia definito come qui sotto indicato e che la correlativa emissione di biglietti di banca sia sempre quella qui sotto indicata:

                     Fabbisogno     Debito     Emissione      Circolazione

                        di cassa      pubblico    carta-moneta          totale

ANNO 1            2.000        2.000         1.000                1.000

ANNO 2            2.500        4.500         1.500                 2.500

ANNO 3            3.500          8.000        2.000                 4.500

ANNO 4            4.000        12.000       3.000                 7.500

ANNO 5             5.000        17.000      2.500               10.000

 

Si supponga che lo Stato abbia incassato nel quinquennio entrate per 40.000 UM, necessariamente le sue spese complessive sono state 57.000 UM dato che il disavanzo pubblico tatale è pari a UM 17.000. Il Bilancio dello Stato, nel suo aspetto patrimoniale, è allora così rappresentato:

Spese complessive 57.000        Entrate complessive 40.000

                                                 Disavanzo                17.000

 

L’Istituto di emissione avrà invece un bilancio così formulato limitatamente alle operazioni con lo Stato:

 

Anticipazioni al Tesoro 10.000                   Circolazione 10.000

 

La cosa interessante di questi due schemi di bilancio è che in nessuno dei due compare nell’attivo l’elemento «denaro» e questo nonostante sia in circolazione moneta per 10.000 UM e che lo Stato abbia finanziato delle spese eccedenti la stessa circolazione monetaria complessiva. L’arcano del sistema consiste nel fatto che vi sono operatori diverso dallo Stato e dall’Istituto di emissione che detengono sia la moneta circolante che il «debito» statale: tali operatori sono le aziende bancarie, quelle non bancarie e il cosiddetto «pubblico». In particolare l’aggregato di questi tre operatori avrà il seguente attivo patrimoniale:

 

Denaro liquido                                       UM   10.000

Titoli del debito pubblico                        UM     7.000

 

Tale aggregato, trattandosi di aziende di produzione e di cittadini dotati di patrimonio proprio, ha come contropartita «passiva» di tali impieghi patrimoniali la ricchezza precedentemente prodotta e accumulata e, ovviamente, la gamma degli elementi patrimoniali non si esaurisce nel denaro liquido e nei titoli del debito pubblico ma si realizza in tutti i beni patrimoniali prodotti ed esistenti nel sistema economico (come edifici, azioni di società, impianti industriali ecc.).

In definitiva i cittadini e le imprese di uno Stato sono i creditori sia dello Stato che dell’Istituto di emissione anche se tale credito è per legge forzoso nei confronti della carta-moneta e di fatto a scadenza imprecisata per i titoli emessi a copertura del disavanzo pubblico.

In questo schema è in definitiva racchiuso il circuito monetario del sistema economico anche se, in effetti, esistono i rapporti con l’estero che determinano, tramite la variazione delle riserve valutarie, un’influenza sul processo di creazione della moneta primaria.

Nell’ambito di tale circuito però sussiste un «segmento» particolarmente significativo che è costituto dai rapporti economico-finanziari fra l’Istituto di emissione e le banche ordinarie.

Nella sua posizione preminente di Banca Centrale in effetti l’Istituto di emissione intrattiene con le banche ordinarie un complesso rapporto di depositante, di finanziatore e, più di tutto, di vigilanza e regolazione dell’attività creditizia.

Anzitutto l’Istituto di emissione concede alle banche ordinarie prestiti per cassa ad un prezzo che risulta essere poi particolarmente significativo per l’intero sistema economico, in secondo luogo dal proprio potere di vigilanza creditizia assegnatoli dalle leggi ordinarie è in grado di obbligare le banche ordinarie a depositare presso di lei, sotto la forma di conti correnti, un’aliquota dei depositi raccolti presso le aziende non bancarie e il pubblico, sottraendola in tal modo al libero impiego in prestiti alla clientela.

La fissazione di tale aliquota risulta essere, in effetti, uno dei più potenti mezzi di controllo creditizio e di controllo della creazione della moneta bancaria, quindi un mezzo per il controllo dei mezzi di pagamento nell’intero sistema economico.

La restrizione creditizia o, alternativamente, una più larga concessione del credito da parte dell’Istituto di emissione determina ovviamente un corrispondente comportamento delle banche ordinarie nei confronti delle aziende affidate sicché alla fine questo mezzo di pagamento apparentemente ovvio e semplice, come il biglietto di banca o l’assegno, diviene nella sua variabilità complessiva un elemento importante non solo della stabilità monetaria ma anche della crescita di tutto il sistema economico, con riflessi anche sulla distribuzione della ricchezza prodotta nelle imprese.

Anche il rapporto fra le aziende bancarie e le aziende non bancarie è complesso e intrecciato e riguarda da un lato le condizioni di erogazione del credito e dall’altro la formazione dei depositi bancari, condizionata tale ultima dalla politica monetaria della Banca Centrale.

Per le aziende non bancarie, e in generale il pubblico, la moneta svolge tre funzioni così individuate:

a) mezzo di pagamento

b) riserva di valori

c) misura di valori

ma la funzione c) è valida anche per le aziende bancarie e tutti gli operatori del sistema economico.

Le aziende non bancarie e il pubblico detengono moneta soprattutto per effettuare pagamenti (quindi come mezzi di scambio) ma possono detenere moneta anche per fini puramente speculativi, attratti dal guadagno che l’impiego della moneta può dare sotto forma di interesse.

La circostanza che la pura e semplice detenzione di moneta consente di trarre un utile ha determinato nel sistema capitalistico una vasta gamma di quelli che sono definiti correntemente «prodotti finanziari», vale a dire investimenti in moneta differenti per durata, qualità giuridiche, saggi d’interesse negoziati, possibilità di smobilizzo più o meno immediata, rischio economico-finanziario e altri.

La moneta come mezzo di scambio svolge efficacemente tale funzione quando rimane stabile come valore nel corso del tempo, vale a dire quando oltre a essere accettata come contropartita di una cessione di merci o prestazione di un servizio svolge una elevata funzione di riserva di valore, per cui detenere moneta in forma liquida implica un immediata capacità di acquisto di altre merci.

Siffatto rapporto fra le due funzioni della moneta quale mezzo di scambio e riserva di valore conduce di fatto alla considerazione di due importanti fenomeni legati alle questioni monetarie: la determinazione del valore della moneta e la determinazione del prezzo della moneta.

Il valore della moneta è definito anche «potere di acquisto», vale a dire la capacità di acquisire merci o servizi sul mercato sicché una prima ovvia correlazione si stabilisce fra la moneta che circola nel sistema economico e il totale delle merci e dei servizi prodotti; anzi il rapporto «aritmetico» fra le due grandezze, al numeratore la circolazione e al denominatore la quantità di merce, costituisce nella categoria degli utilizzatori fittizi della moneta, in particolare gli economisti, una teoria molto elaborata attraverso la quale si cerca di mostrare l’assoluta preminenza dei «fattori monetari» nella determinazione della stabilità e dello sviluppo dell’intero sistema economico.

Come molte grandezze economiche anche il potere d’acquisto della moneta può essere analizzato nell’ambito dell’economia complessiva o facendo riferimento ai singoli soggetti, tipicamente pubblico e aziende ed è chiaro che pur avendo significato la «svalutazione media» del potere d’acquisto, riferita cioè all’intero sistema economico, in effetti ciascun soggetto economico percepisce e affronta il problema relativo al potere d’acquisto facendo riferimento alla propria posizione economico-patrimoniale.

Per le imprese non bancarie presenti nel sistema economico il potere d’acquisto della moneta, e le sue variazioni in più o in meno, ha significato in ciascuna fase «produttiva»: l’acquisizione dei fattori della produzione, la trasformazione dei fattori in prodotto e la vendita sul mercato dei prodotti ottenuti. In più le imprese operanti su un dato mercato (nazionale o internazionale) non hanno tutte la medesima dimensione economica, produttiva e finanziaria: alcune sono sensibilmente più grandi di altre e fra imprese posizionate nel medesimo segmento ve ne sono alcune meglio dotate di mezzi economici e finanziari rispetto ad altre.

Quando l’Istituto di emissione aggiunge carta-moneta nel sistema economico ogni impresa reagisce in conformità della propria posizione patrimoniale, finanziaria ed economica all’aumento della liquidità nel sistema e, a seconda delle circostanze nelle quali si trova, andrà ad agire sulla quantità prodotta o sui prezzi praticati, o una combinazione delle due, per mantenere o accrescere le proprie posizioni di equilibrio.

In presenza di fattori produttivi largamente inutilizzati, per dire, l’accrescimento della circolazione monetaria induce, in via di principio, le imprese ad una maggiore produzione, quindi ad un utilizzo dei fattori medesimi, ma è possibile anche che l’acquisizione di tali fattori sia particolarmente onerosa sia in termini di remunerazione che in termini di organizzazione aziendale per cui le imprese rinunciano ad acquistare «fattori produttivi» e quindi l’incremento della circolazione monetaria agisce direttamente sui prezzi producendo una svalutazione del potere d’acquisto della moneta.

Normalmente il processo di deterioramento del valore della moneta comporta un fattore di disequilibrio nella gestione delle imprese in quanto viene introdotto un ulteriore elemento d’incertezza nonché un aggravio di costi di acquisizione dei fattori della produzione. Le contromisure che le imprese solitamente assumono difronte alla svalutazione monetarie sono diverse e complesse a seconda del grado d’intensità della svalutazione, della diversa dinamica dei prezzi dei fattori produttivi, dell’organizzazione più o meno efficiente eccetera. In ogni caso l’impatto più evidente e in qualche modo naturale è sulla formazione dei prezzi di vendita che vanno ad incidere poi sul potere d’acquisto dei consumatori finali delle merci e dei servizi prodotti.

In ogni caso l’aumento dei costi di acquisizione e di utilizzazione dei fattori produttivi determina un deterioramento degli utili dell’impresa che la medesima cerca di contrastare attraverso l’aumento dei prezzi di vendita, senonché tale aumento comporta sempre una riduzione della quantità venduta, riduzione che dipende molto dal posizionamento dell’impresa sul mercato, quindi a seconda del tipo di merce o servizio venduto, dei canali di distribuzione utilizzati, dell’assistenza che l’impresa offre al cliente o, se si tratta di merci che non abbisognano d’assistenza, della qualità del manufatto o del servizio e, certamente non ultimo, della possibilità o meno di formulare una strategia di marketing particolarmente aggressiva.

Nel sistema capitalistico la moneta è soprattutto una merce, forse la più importante e significativa merce esistente sul mercato e lo scambio fra i soggetti economici, fra chi detiene la moneta e chi ha bisogno della moneta per vari motivi, da origine ad una fitta serie di scambi che assumono le configurazioni più disparate.

Il caso più classico di scambio monetario è fra una azienda di credito e una azienda non di credito: la prima è per definizione detentrice di moneta mentre la seconda domanda spesso moneta per il finanziamento del processo di produzione o dei propri scambi con altre aziende.

Lo scambio monetario ha natura particolare in quanto è in ogni caso soggetto ad una doppia transazione: all’inizio è l’azienda che credito che cede moneta all’azienda non di credito, nella fase che conclude lo scambio creditizio è l’azienda non di credito che restituisce moneta all’azienda di credito e normalmente la restituzione è più onerosa dell’acquisizione sicchè rimane a carico dell’azienda non di credito un costo determinato dalla differenza fra i due flussi monetari. L’entità di tale costo può variare per molti fattori ma i principali sono il cosiddetto saggio d’interesse e il tempo di svolgimento dell’operazione creditizia.

Essendo un prezzo è abbastanza ovvio considerare che il saggio d’interesse tenda a salire quando la «domanda» di moneta è molto sostenuta, quando cioè le aziende non di credito richiedono fondi liquidi alle aziende di credito in quantità elevate, tuttavia il saggio d’interesse proprio perché è un prezzo e proprio perché si forma sul mercato capitalistico è soggetto di molto alle condizioni che le diverse aziende di credito e non di credito si trovano a negoziare mentre sull’altezza in quanto tale risulta essere particolarmente importante la svalutazione della moneta, ma l’altezza in quanto tale può avere un limitato significato dato che la detenzione di una certa quantità di moneta dopo un certo periodo di tempo è già di per sé svalutata dal processo di aumento dei prezzi.

Le condizioni affinché la formazione dei saggi d’interesse negoziati fra aziende di credito e aziende non di credito siano stabili sono la stabilità economico-finanziarie delle medesime aziende, quindi che l’equilibrio economico sia durevole nel tempo e che più in generale via sia crescita della ricchezza prodotta e distribuita.

Per le aziende bancarie non vale tanto l’altezza dei saggi d’interesse quanto intrattenere fitti rapporti creditizi e monetari con le aziende non di credito e che tali ultime siano in buone condizioni economiche e finanziarie, quindi in grado di rispettare puntualmente gli impegni assunti in termini di restituzione delle somme ricevute.

Il prezzo della moneta, inevitabilmente collegato alla svalutazione monetaria, è significativo anche per il pubblico, vale a dire per le persone fisiche che detengono moneta in forma liquida.

Il saggio d’interesse vigente sul mercato induce infatti i detentori della moneta a tenere la medesima in forma liquida ovvero impiegarla in attività finanziarie reddittizie, dove la reddittività è in gran parte determinata dal saggio d’interesse.

Per il pubblico e per le aziende non bancarie la detenzione della moneta in forma liquida avviene anzitutto per motivi di transazione e di precauzione, come ebbe modo di sostenere il grande J.M.Keynes, vale a dire per soddisfare le esigenze di scambio, anche se la larga diffusione nell’economia capitalistica dei mezzi di pagamento «bancari» riduce di fatto di molto l’esigenza di avere moneta in forma liquida, essendo sufficiente che essa sia prontamente liquidabile, come nel caso dei depositi bancari.

Se sul mercato della moneta si forma un saggio d’interesse «particolare» i detentori della moneta possono essere indotti a trasferire fondi dalla forma liquida a impieghi finanziari di varia natura: nel vecchio sistema capitalistico ciò dava origine a due precisi mercati della moneta, il mercato monetario attinente alle operazioni a breve scadenza e il mercato finanziario attinente alle operazioni a protratta scadenza. L’evoluzione della tecnica monetaria e bancaria e una maggior «cultura finanziaria» da parte del pubblico ha invece indotto una progressiva integrazione fra i due mercati per cui nei sistemi capitalistici correnti si assiste piuttosto ad una serie di «prodotti finanziari» offerti non solo dalle imprese bancarie ma anche da nuove imprese sorte in un nuovo «settore», le cosiddette società finanziarie o d’investimento, che cercato di attirare le attenzioni del pubblico offrendo impieghi monetari differenziati in cui accanto al rendimento assumono importanza anche una serie di altri elementi. In realtà l’esistenza di un nuovo settore di imprese che hanno come oggetto il «movimento del denaro» sia a livello nazionale che a livello internazionale e lo stesso sviluppo delle imprese bancarie in operazioni che potremmo definire di «finanza integrata» ha come conseguenza non indifferente per tutto il sistema capitalistico l’esistenza di un gigantesco mercato finanziario mondiale nel quale, in alcune circostanze, le transazioni monetarie fatte per esclusivi fini «speculativi» è in grado se non di compromettere almeno di danneggiare seriamente il settore produttivo del sistema. La moneta e i suoi «movimenti» sui mercati possono creare fortune immense (o semplici miraggi di fortune immense) nel giro di poco tempo o dissolvere in modo altrettanto rapido patrimoni magari pazientemente costruiti: il sistema capitalistico è anche questo e la «follia finanziaria», che soddisfa indubbiamente uno degli istinti meno edificanti della complessa natura umana, ha un andamento ciclico come la produzione industriale di merci e di servizi con la differenza che mentre la produzione può determinare «soltanto» la non occupazione integrale di tutti i fattori della produzione esistenti la «follia finanziaria» può bloccare l’intero meccanismo economico e comprometterne lo sviluppo.

 

 

9. - Il mercato monetario. - Il mercato monetario raccoglie tradizionalmente le operazioni a breve scadenza e si può quindi affermare che esso è centrato su quel complesso di movimenti monetari che sono necessari nel sistema economico per svolgere le funzioni di tesoreria delle aziende di produzione, di quelle di erogazione e del pubblico.

Il tratto saliente del mercato monetario è indubbiamente dato dai rapporti fra le imprese non bancarie e le imprese bancarie ma nei moderni sistemi capitalistici una parte importante è anche data dal finanziamento del bilancio statale attuato attraverso l’emissione si titoli a breve scadenza nonché da tutte le operazioni, sempre a breve termine, che coinvolgono le valute mondiali, quindi i cambi.

Schematizzando il mercato monetario può quindi essere così espresso, nei suoi vari segmenti:

1) domanda e offerta di depositi bancari;

2) domanda e offerta di prestiti bancari;

3) mercato di titoli pubblici a breve scadenza;

4) operazioni sulle valute e sui cambi a breve scadenza.

 

Le prime due classi di operazioni del mercato monetario saranno più in dettaglio esaminate nel capitolo relativo alle imprese bancarie sicché in questa sede saranno necessari solo pochi cenni introduttivi.

La domanda e l’offerta di depositi bancari avviene fra le aziende non di credito e il pubblico (offerta) e le aziende bancarie (domanda) e trovano il loro fondamento nelle funzioni monetarie esplicitate nel precedente paragrafo.

L’offerta di depositi bancari è determinata soprattutto dalla circostanza che i medesimi possono essere utilizzati per effettuare pagamenti, sicché il depositante si aspetta dalla banca oltreché il riconoscimento di un «interesse» soprattutto la possibilità di svolgere con più efficacia (soprattutto le aziende non bancarie) le funzioni di tesoreria, vale a dire gli incassi e i pagamenti ricorrenti giornalmente e connessi alle ordinarie operazioni di gestione.

Sia per le aziende non di credito che per il pubblico il deposito bancario svolge poi una funzione di «sicurezza», vale a dire una funzione di salvaguardia «fisica» della moneta e, in misura assai più limitata, di investimento dei risparmi accumulati.

La domanda e l’offerta di prestiti bancari avviene anch’essa principalmente fra le aziende di credito e le aziende non di credito, le prime in qualità di offerenti, le seconde in qualità di richiedenti.

Il prestito bancario del mercato monetario è essenzialmente un prestito a breve scadenza che si realizza tecnicamente in varie forme giuridiche che in ogni caso consistono nel mettere a disposizione del cliente affidato delle somme di denaro per lui non altrimenti disponibili e che dovrebbero servire per svolgere le ordinarie funzioni di tesoreria.

Le operazioni di siffatto settore del mercato monetario sono largamente influenzate da una precisa circostanza di ordine economico data dalla composizione dell’attivo (ovvero degli investimenti) delle aziende di credito.

Tradizionalmente le operazioni «attive» delle aziende di credito sono fatte coincidere con le funzioni creditizia e d’investimento, indicando con la prima il credito erogato alle imprese non bancarie e, in misura minore, al pubblico e con la seconda l’impiego in attività finanziarie che possono non essere direttamente collegate con il mercato monetario (come l’investimento in titoli di stato o in azioni di altre imprese).

La concessione del credito a breve scadenza ad altre imprese, noto anche come affidamento, resta in ogni caso la funzione tipica della banca che attraverso l’azione congiunta dell’erogazione dei fondi e la possibilità data all’affidato o al depositante di estinguere obbligazioni con propri titoli di credito (cosiddetta funzione monetaria dei depositi bancari) è in grado di aumentare da un lato la circolazione dei mezzi di pagamento e dall’altro di accrescere, almeno potenzialmente, la raccolta di denaro sotto forma di deposito.

In tale particolare segmento del mercato monetario si vengono quindi a trovare le esigenze, spesso mutevoli, di tesoreria delle aziende non bancarie e le esigenze di proficuo impiego del denaro delle aziende bancarie.

Un aspetto particolarmente importante di tale scambio creditizio è dato dal fatto che le aziende bancarie, spesso al di là di ogni apparenza, concedono affidamenti non tanto in relazione a determinate operazioni di gestione delle aziende non di credito quanto in relazione alla generale solvibilità delle medesime, quindi alla loro buona situazione economica, finanziaria e patrimoniale. In altri termini le aziende bancarie affidano aziende non bancarie e non semplici «operazioni».

A questo punto dell’esposizione è necessario un riferimento ad un aspetto per così dire strutturale dell’attività bancaria e quindi del mercato monetario.

Per lungo tempo le aziende di credito (definite aziende di credito ordinario) hanno svolto le loro operazioni creditizie sul mercato monetario e tale circostanza era motivata dalla cosiddetta «specializzazione bancaria», fondata soprattutto sulla esaltazione della funzione monetaria dei depositi bancari e sul frazionamento dei rischi che la concessione del credito a breve termine consente rispetto a quello a protratta scadenza.

Nei più recenti sviluppi del sistema economico capitalistico e quindi dei rapporti non solo fra aziende di credito e aziende non di credito ma anche fra banche e pubblico le imprese bancarie preordinate all’esercizio del credito a breve termine hanno affiancato alla tradizionale funzione creditizia altre funzioni, normalmente indicate nel vasto ambito dei «servizi bancari» prestati alla clientela.

Le aziende bancarie possono occuparsi, per esempio, del collocamento presso il pubblico di obbligazioni o azioni emesse da società industriali o commerciali, possono «consigliare» e «assistere» la clientela nello svolgimento di operazioni sui mercati finanziari, possono svolgere operazioni di «credito al consumo», possono offrire a aziende non di credito o pubblico «prodotti finanziari» per l’impiego immediato di disponibilità monetarie «eccedenti» o per l’impiego a protratta scadenza (cosiddetta previdenza integrativa) e possono offrire molti altri servizi che in ogni caso determinano un «ricavo da intermediazione» a tutto vantaggio dell’equilibrio economico della gestione complessivamente intesa.

L’aumento di tale funzioni bancarie o, se si vuole, il sempre più basso rapporto fra operazioni creditizie «pure» e operazioni «finanziarie» comporta di fatto una modifica non solo e non tanto nella struttura degli investimenti bancari quanto una vera e propria nuova forma di mercato che non è più solamente «monetario» o «finanziario» ma diviene «integrato». La domanda e l’offerta di prestiti e di depositi resta in quanto tale ma la specializzazione bancaria che un tempo era praticamente assoluta si attenua sempre di più anche se le aziende di credito ordinario continuano a mantenere l’esercizio del credito ordinario come principale caratteristica della loro gestione.

La terza «sezione» del mercato monetario è stata indicata nei titoli del debito pubblico a breve scadenza.

I bilanci dei moderni stati capitalistici sono nella generalità dei casi in disavanzo, ovvero le entrate (tipicamente le entrate tributarie) sono ampiamente superate delle spese date sia dalla necessità del mantenimento della struttura statale che dalla «scelta» di effettuare investimenti richiesti dal sistema economico (come quelli relativi alle cosiddette infrastrutture).

Il disavanzo dello stato può essere finanziato in vari modi, come si è già accennato nel paragrafo precedente, ed uno di questi è quello di emettere titoli a breve scadenza, ovviamente corrispondendo un saggio d’interesse al sottoscrittore.

L’emissione di titoli del debito pubblico a breve e brevissima scadenza dà origine ad un mercato vero e proprio in quanto i sottoscrittori dei titoli, aziende bancarie, non bancarie e pubblico, possono fra di loro liberamente negoziare tali titoli a seconda delle proprie esigenze o possibilità di tesoreria.

La necessità del finanziamento da parte dello stato può indurre i pubblici poteri, tipicamente il «Tesoro», a seguire determinate linee di condotta che sono normalmente classificate come «politica monetaria» e consistono sia nella determinazione delle scadenze e dei saggi d’interesse per attirare «liberamente» il risparmio in cerca di impiego in fondi liquidi o prontamente liquidabili sia nella fissazione di obblighi specifici per le aziende di credito che in tutti i sistema economici sono comunque soggette ad una autorità centrale che presiede sia l’attività creditizia che l’attività di vigilanza.

In particolare gli obblighi imposti alle aziende di credito sono dati dalla cosiddetta «riserva obbligatoria di liquidità» e dal cosiddetto «vincolo di portafoglio».

La riserva obbligatoria di liquidità attiene alla gestione creditizia in modo pregnante e consiste nell’obbligo imposto alle aziende di credito di depositare una frazione dei depositi raccolti presso la Banca centrale.

Il vincolo di portafoglio attiene invece in modo diretto alla gestione della tesoreria statale e al conseguente obbligo, per le aziende bancarie, di acquistare titoli di debito pubblico per un ammontare definito in rapporto ai depositi bancari raccolti.

Attraverso tale vincolo lo stato finanzia la propria «spesa» ma al contempo impedisce alle aziende di credito di disporre liberamente di parte delle proprie risorse monetarie. Le aziende di credito, tuttavia, possono intrattenere con la clientela anziché normali scambi creditizi rapporti di collocazione di titoli, cedendo con contratti a brevissimo termine definiti nel linguaggio bancario riporti o anche pronti contro termine, i titoli oggetto di vincolo in modo da rientrare in possesso della liquidità da utilizzare per fini creditizi.

Questo operazioni del mercato monetario, attuate dallo stato con l’ «involontaria» intermediazione delle aziende di credito, hanno contribuito al processo di integrazione dei mercati del denaro come sopra ricordati e tuttora sono importanti per determinare quello che è conosciuto come costo del denaro, ovvero il saggio ufficiale di sconto.

Indipendentemente dal grado di «coercizione» del mercato monetario così come sopra definito (obblighi di riserva di liquidità, controllo del credito, finanziamento dello stato eccetera) l’insieme delle operazioni fra le banche ordinarie e la Banca Centrale (quindi anche la sezione che funge da tesoriere dello Stato) dà origine ad un prezzo della moneta che diviene significativo per tutto il mercato del credito, quindi in primo luogo per i prezzi che le banche praticano per la concessione dei prestiti (ma anche per la remunerazione dei depositi raccolti).

In questa ottica il mercato monetario, integrato o meno con il mercato finanziario, svolge la funzione di «indirizzo» nella gestione non solo della tesoreria delle aziende non di credito ma anche nella gestione più ampia dell’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale delle predette imprese e segnatamente dell’equilibrio prospettico. E’ intuitivo, infatti, che una cosiddetta «stretta creditizia» determini un rialzo dei saggi d’interesse e quindi costringa molte imprese di produzione a rivedere le proprie richieste di concessione di crediti, quindi i conseguenti investimenti da effettuare.

Un’altra importante sezione del mercato monetario, individuata nel punto 4), è costituita dai rapporti valutari.

Il sistema capitalistico è generalmente costituito da «economie nazionali» nelle quali vige una determinata moneta avente corso legale attraverso la quale sono regolati gli scambi monetari. Quando però gli scambi intervengono fra due sistemi economici nei quali le monete aventi corso legale sono fra di loro differenti si pone il problema del «cambio», cioè del rapporto fra l’unità monetaria di un sistema e la corrispondente unità monetaria dell’altro sistema.

Vi sono due fattori che determinano il livello del cambio, il primo è un fattore strutturale mentre il secondo è un fattore contingente.

Il fattore strutturale è il potere d’acquisto della moneta nei due sistemi economici che può essere inteso sia in senso nominale che in senso reale.

Supponiamo che nel Paese «A» una certa merce «X» si possa acquistare con 1.000 Unità Monetarie, denominate per esempio «Emmea» e che nel Paese «B» la medesima merce «X» possa essere acquistata con 2 Unità Monetarie, denominate per esempio «Emmebi». In questo caso il cambio fra Emmea e Emmebi sarebbe:

 

1 Emmebi = 500 Emmea

 

Il rapporto così definito è nominale, nel senso che esso rispecchia solo nominalmente il rapporto fra i livelli dei prezzi nei due Paesi. Così se le autorità monetarie del Paese «A» decidessero di introdurre la cosiddetta «moneta forte», quindi introdurre una nuova unità monetaria con un rapporto di 1 Emmea nuova = 1.000 Emmea vecchia automaticamente il cambio fra le monete dei due Paese diverrebbe:

 

                       1 Emmebi = 0,5 Emmea nuova

ovvero:

 

                        1 Emma nuova = 2 Emmebi

 

ma il potere d’acquisto reale nei due Paesi rimarrebbe assolutamente invariato.

L’altro fattore determinante del cambio della moneta è contingente, o congiunturale, e riguarda l’andamento della bilancia dei pagamenti.

La Bilancia dei pagamenti raccoglie i movimenti valutari di uno stato, movimenti che attengono sia all’importazione che all’esportazione delle merci e dei servizi sia al movimento dei capitali.

Quando la Bilancia dei Pagamenti è passiva la domanda di valuta supera l’offerta di valuta e l’organismo che presiede alla conversione valutaria, vale a dire la Banca Centrale, dovrà attingere alle riserve valutarie disponibili per soddisfare tutte le richieste e in ogni caso ci sarà una «tensione» sul cambio che porterà ad una svalutazione della moneta circolante nel Paese con il disavanzo con l’Estero.

In caso di disavanzo con l’Estero aumenta la circolazione monetaria, viceversa nel caso della Bilancia dei Pagamenti in attivo o, come anche si dice, in surplus.

Ciò che però è importante agli effetti del mercato monetario è la gestione che della valuta estera fanno le aziende di credito, le aziende non di credito, il pubblico e la Banca Centrale.

Gli operatori sopra indicati posso trovarsi difronte a due situazioni-tipo: la prima è quella della relativa tranquillità delle valute e dell’esistenza sui mercati monetari dei singoli Paesi di un saggio d’interesse a breve scadenza sostanzialmente uniforme; la seconda è quella caratterizzata da una cerca «turbolenza» nei mercati valutari dove vi sono differenziati di saggi d’interesse elevati e vi sono alcune valute che denotano forti oscillazioni a breve termine.

Nel primo caso prospettato le operazioni in valuta attengono soprattutto al regolamento delle partite relative alle importazioni e esportazioni e la complessiva gestione valutaria delle aziende di credito e delle aziende non di credito è relativamente tranquilla.

Nel caso di forti oscillazioni di alcune valute e di differenziali rilevanti nei saggi d’interesse la gestione valutaria delle aziende di credito e non di credito risulta avere una dinamica più marcata nella quale opportunità di profitti ma anche rischi di perdite sono più elevati.

Nella più recente economia monetaria internazionale i movimenti di capitali a breve termine derivanti dall’impiego di valute è sicuramente molto rilevante e costituisce un mercato nel quale le aziende di credito e la clientela ad esse collegate (aziende non di credito e pubblico) hanno larga possibilità di manovra e, a seconda delle circostanze, opportunità di profitti.

L’attività del mercato monetario collegato alle valute può essere per oggetto le cosiddette «attività primarie» o invece i cosiddetti «derivati».

Le attività primarie hanno per oggetto le valute in quanto tali, le loro oscillazioni e il rendimento offerto dai loro saggi d’interesse.

Così se la valuta «X» offre un saggio d’interesse di un punto o due superiore a quelle della media dei saggi d’interesse esistenti sul mercato è chiaro che il sistema bancario internazionale orienterà i propri impieghi verso quella valuta determinando in questo modo uno spostamento di capitali che può avere dimensioni ragguardevoli. Se non ché la domanda di una valuta «X» implica di fatto un rialzo, di natura puramente speculativa, sul mercato dei cambi del prezzo della valuta medesima e quindi una riduzione di fatto del rendimento derivante dall’impiego di carattere finanziario. In questo caso però gli operatori che acquistano attività a breve in quella valuta hanno sia un certo rendimento aggiuntivo sia un rialzo del cambio che è comunque un guadagno.

I derivati sul mercato valutario attengono, come quelli del mercato dei capitali, agli indici, ai futures, ai warrant, alle opzioni valutarie e via dicendo. Tali strumenti finanziari hanno natura essenzialmente speculativa e si concretizzano nell’acquisto o nella vendita per contanti di una certa valuta con la contemporanea operazione opposta a termine ponendo quindi in atto quello che si definisce «riporto» o, più genericamente, operazione a termine.

Le opzioni valutarie, per esempio, possono servire per coloro che intrattengono rapporti commerciali con imprese estere per limitare il rischio del cambio. Così se un operatore inglese vende della merce ad un operatore tedesco e il contratto è stipulato in marchi nella previsione che la sterlina si svaluterà nei confronti del marco si riterrà relativamente sicuro nella propria posizione (oggi stipula un contratto per 105.000 marchi e il cambio è 3 DM per 1 Lsg. per cui otterrebbe 35.000 sterline; fra tre mesi il marco è sceso a 2,8 e dalla cessione dei 105.000 DM ottiene 37.500 sterline), ma se invece è un operatore inglese ad acquistare in germania e la stipulazione del contratto avviene sempre in marchi è chiaro che alla scadenza dei tre mesi dovrà sborsare il 7,14% in più. Per limitare il danno derivante da una svalutazione l’operatore inglese può stipulare un contratto a termine con un’opzione di eseguire o meno il contratto alla scadenza, pagando un «premio» che normalmente è fissato dal mercato dei contratti a termine. Il cambio è normalmente fissato in quello odierno, quindi 1 Lsg. = 3 DM e il premio è una frazione del cambio, per esempio il 5%, quindi 15 centesimi di marco. L’importatore inglese fissa quindi un prezzo di acquisto del marco a 3, impegnandosi a sborsare 35.000 sterline e intanto paga un premio pari a 5.250 marchi (1.750 sterline), se all’atto della stipulazione del contratto il cambio è diventato 1 Lsg. = 2,8 DM avrà convenienza a dare esecuzione al contratto già stipulato sicchè la transazione complessiva gli costerà 35.000 + 1.750 = 36.750 sterline mentre se abbandonasse il premio e acquistasse sul mercato i marchi alla quotazione corrente sosterrebbe un costo pari a 37.500 + 1.750 = 39.250 sterline.

 

 

10. - Il mercato finanziario. - Se il mercato monetario è rivolto alle contrattazioni attinenti a attività finanziarie a breve termine per soddisfare da un lato le esigenze di tesoreria delle imprese bancarie e non bancarie e dall’altro le esigenze di temporaneo investimento di denaro da parte di coloro che ne hanno la disponibilità il mercato finanziario svolge funzioni analoghe con la differenza che anziché soddisfare esigenze aziendali di tesoreria è rivolto alla copertura del fabbisogno di finanziamento di medio e lungo termine delle medesime.

Nel sistema capitalistico lo sviluppo del mercato finanziario è essenzialmente legato a quattro sezioni:

1) mercato azionario

2) mercato obbligazionario

3) mercato dei titoli pubblici

4) attività bancaria a medio e lungo termine

 

Il mercato azionario è, in qualche misura, il principale e il più significativo settore del mercato finanziario.

Le imprese capitalistiche solitamente vengono costituite sotto forma di Società per Azioni e si pongono come emittenti di titoli di credito, le azioni appunto, che possono essere liberamente negoziate.

La negoziazione delle azioni può avvenire direttamente fra i soggetti interessati allo scambio, oppure tramine l’intermediazione di una banca o ancora in un mercato specializzato e pubblico noto come Borsa Valori.

Le dimensioni delle imprese capitalistiche, spesso imprese multisettoriali e multinazionali, impongono un sempre maggiore ricorso al finanziamento e fra le forme attuate vi è appunto quella relativa all’emissione di azioni.

Gli «azionisti» dell’impresa sono soci, vale a dire che hanno il diritto di intervento nelle assemblee della società e, a meno che si tratti di azionisti con diritto di voto limitato, hanno diritto di voto nelle medesime da cui consegue, almeno in linea teorica, la possibilità di decidere gli indirizzi gestionali.

Nel sistema capitalistico l’evoluzione del mercato azionario ha di fatto creato alcune situazioni-tipo la più frequente delle quali, riferita soprattutto alle imprese di maggiori dimensioni, è, più che il frazionamento, la polverizzazione dei titolari di azioni sicché nei fatti l’esercizio di voto o, meglio, la possibilità di incidere efficacemente nella gestione societaria diventa assolutamente illusoria: in pratica gli azionisti, vale a dire i proprietari della società, si limitano alla nomina di un consiglio di amministrazione che gestisce di fatto l’impresa e per di più la determinazione dei nomi è definita in altra sede differente dall’assemblea.

Un caso specifico è costituito dall’esistenza, all’interno della compagine societaria, di un cosiddetto «azionista di maggioranza» che può essere una società, una persona fisica, una combinazione delle due o, anche, un insieme di società che formano quello che si definisce nella pratica un «patto sociale» attraverso il quale si forma il cosiddetto «sindacato di controllo» e si stabiliscono le regole relative alla nomina degli amministratori, della compravendita delle azioni «sindacate» e altre ancora per «tutelarsi» da altri possibili azionisti non desiderati.

Nel caso prospettato per primo ci si trova in presenza della cosiddetta «public company», nel secondo caso ci si trova in presenza di una società «controllata» dove tale controllo può essere «a gestione familiare» nei sistemi economici capitalistici meno avanzati ovvero rientrare, in sistemi economici capitalistici più avanzati, in un concetto di controllo «strategico» e in quanto tale riferito alle imprese in quanto produttrici di merci e servizi che si servono di altre imprese per i propri programmi di espansione territoriale, settoriale ed economica.

In ciascuno dei due casi si creano due mercati: il primo mercato è quello relativo al «pacchetto di controllo», il secondo è quello relativo alle azioni che non danno il controllo della società.

Il pacchetto di controllo può essere il 50% più una azione ma nella generalità dei casi è molto al di sotto di tale limite arrivando persino, in alcuni casi definiti, ad essere non più del 5-6% quando il valore di tale pacchetto è nell’ordine di qualche miliardo.

La formazione del prezzo per il pacchetto di maggioranza è determinata dalle condizioni specifiche di chi vende e di chi acquista e tiene conto certamente del valore della società ma soprattutto è centrato sulla circostanza che il subentrante diviene di fatto il controllore.

Questa sottosezione del mercato finanziario presenta delle peculiarità proprie e, in qualche modo, riesce a mettere in evidenza alcune caratteristiche tipiche del sistema capitalistico nel quale il controllo delle aziende diviene un fatto in qualche modo «accessorio» atteso che l’azionista di maggioranza è più interessato al rendimento delle azioni e alla loro acquisizione di valore nel tempo piuttosto che alla vera e propria gestione della società controllata.

In termini di capitali movimentati si può senz’altro affermare che tale mercato non è particolarmente significativo, se non per i soggetti direttamente interessati alla transazione.

Il mercato delle azioni che non danno il controllo delle società è quello che nella pratica degli affari è definito per antonomasia «mercato finanziario» e si concretizza o in scambi presso le Borse Valori o in qualcosa di analogo sotto la diretta gestione delle aziende di credito che, trattandosi di mercato del denaro, sono in qualche modo preordinate all’intermediazione delle azioni.

Sul mercato azionario si scambiano ogni giorno una quantità ingente di denaro contro azioni e di azioni contro denaro, le forme tecniche dei contratti sono normalmente standardizzate e gli operatori, pur essendo numerosi, possono essere classificati in due categorie: i risparmiatori e gli speculatori.

I risparmiatori agiscono sul mercato azionario per fini di investimento, e quindi di rendimento, a medio e lungo termine e di conseguenza i loro acquisti e le loro vendite sono legate ad una logica di «sicurezza».

Gli speculatori agiscono sul mercato per fini di lucro immediato cercando di sfruttare sia i rialzi che i ribassi dei corsi azionari ma, soprattutto il loro vivace andamento altalenante che spesso disorienta il risparmiatore e comunque chi osserva il mercato azionario con un certo distacco.

Nelle moderne economie capitalistiche l’andamento quotidiano del mercato azionario costituisce un punto di riferimento per apprezzare se non lo stato di salute dell’economia almeno il carattere di un importante settore dell’economia medesima e a seconda del momento può indurre le imprese a ricorrere all’emissione di nuove azioni con le quali finanziare progetti d’investimento ovvero a rimandare o a scegliere altre fonti di finanziamento.

Il mercato azionario, forse in misura maggiore che di qualunque altro «mercato» del sistema capitalistico, presenta caratteristiche di grande incertezza e instabilità, soprattutto se non è debitamente vigilato dalle autorità monetarie, e in molti casi può apparire più che un mercato un semplice gioco d’azzardo.

In effetti nonostante il controllo a cui è sottoposto, nonostante che al fianco dei «semplici» risparmiatori vi siano i cosiddetti «investitori istituzionali» che in qualche modo vigilano e controllano l’andamento dei corsi il mercato azionario è in effetti soggetto agli umori della speculazione, nel senso che sono sufficienti pochi dati affinchè il titolo di una determinata società, senza alcun apparente nesso con la reale situazione economica e finanziaria, possa salire in modo rapido e vertiginoso determinando nel breve tempo ricchezze finanziare spesso ingenti.

Coloro che speculano sulle oscillazioni delle quotazioni azionarie divengono i primi attori delle variazioni medesime e attratti da guadagni rapidi e ingenti contraggono prestiti con le banche per finanziare gli acquisti o, semplicemente, utilizzano i contratti normalmente in uso presso le Borse (solitamente «a termine») per dar vita a veri e propri «giochi d’azzardo finanziari» che fino a che si concludono in modo positivo danno ricchezza, successo e prestigio ma che nel momento in cui si concludono in modo negativo fanno svanire con altrettanta rapidità la ricchezza, il successo e il prestigio «accumulati».

In ogni caso l’ordinato procedere dei mercati azionari costituisce una opportunità di finanziamento per le grandi imprese e per le imprese in generale ed è interesse delle autorità che presiedono alla politica monetaria e in generale alla politica economica che il mercato sia effettivamente ordinato, che significa in pratica assicurare da un lato il costante afflusso di mezzi monetari da parte dei risparmiatori e dall’altro assicurare che i giochi speculativi rimangano confinati entro limiti accettabili e tollerabili, svolgendo fra l’altro alcune precise «funzioni» di orientamento del mercato.

Molto più tranquilli sotto il profilo dell’andamento delle quotazioni sono sicuramente il mercato delle obbligazioni e il mercato dei titoli di stato, solitamente definiti anche mercato dei titoli a reddito fisso.

Le obbligazioni sono titoli di credito emesse da società industriali o finanziarie attraverso i quali si attua una particolare forma di finanziamento a medio e lungo termine dove il detentore del titolo è il creditore e la società emittente è il debitore.

I titoli così emessi posseggo due caratteristiche: danno al detentore un interesse che normalmente è fissato in anticipo e per tutta la durata del prestito e vengono rimborsati dalla società secondo un preciso piano di ammortamento che porta all’estinzione del debito.

La formazione dei prezzi sul mercato obbligazionario risente prima di tutto della lunga scadenza, quindi del saggio medio d’interesse vigente sul mercato e soprattutto della volontà del pubblico degli investitori di sottoporsi a rischi limitati e a rendimenti predefiniti: queste due caratteristiche sono particolarmente apprezzate quando l’andamento del potere d’acquisto della moneta è stabile nel tempo.

I titoli di stato negoziati nei mercati finanziari sono solitamente «obbligazioni pubbliche», quindi di imprese direttamente gestite dallo stato, come per esempio alcune banche che esercito il credito a lungo termine o industrie «nazionalizzate» come quella dell’energia elettrica, e valgono per essi tutte le considerazioni fatte per il mercato delle obbligazioni per così dire «private».

L’attività bancaria a lungo termine è l’ultimo segmento indicato del mercato finanziario e costituisce in pratica l’esercizio del cosiddetto credito mobiliare o fondiario.

Il soggetto di questo mercato è un’azienda di credito particolare che esercita il credito a medio e lungo termine adottando forme giuridiche particolari, soprattutto rispetto alle aziende di credito ordinario.

Tali aziende di credito sono denominate banche finanziarie o anche istituti di credito speciale ed hanno la caratteristica di raccogliere fondi tramite l’emissione di obbligazioni o titoli similiari (come le cartelle cosiddette fondiarie) e nel contempo di concedere crediti erogando mutui a lunga scadenza o, anche, sottoscrivendo azioni o obbligazioni di società industriali e commerciali.

L’assunzione di azioni e obbligazioni di imprese industriali e finanziarie dà origine ad un tipo particolare di azienda di credito a medio e lungo termine denominata banca d’affari e, nelle lingue anglosassoni, merchant bank.

Tale assunzione pone l’istituto in un posizione particolare all’interno del mercato finanziario in quanto può diventare molte cose: può essere un «semplice» investitore istituzionale in attività finanziarie, può essere un intermediario nella collocazione di azioni e obbligazioni delle imprese industriali e commerciali, può essere utilizzato dalle medesime imprese come una sorta di «parcheggio» di titoli (soprattutto quando per oscuri motivi una certa persona desidera rimanere anonima nell’assetto azionario di una grande impresa) e può essere anche un controllore diretto di imprese industriali e commerciali, determinando o cercando di determinare le politiche aziendali di quelle imprese oppure, infine, una combinazione di alcune o di tutte le precedenti ipotesi.

Come ogni altra impresa anche le aziende di credito a medio e lungo termine e le banche d’affari sono soggette al vincolo di bilancio e, in particolare, all’equilibrio economico durevole sicché a seconda del loro segmento di mercato dovranno intrattenere precisi rapporti con altre imprese che possono essere sia di natura creditizia (nel caso della concessione di mutui) sia di natura non creditizia (nel caso di detenzione di pacchetti azionari di altre società).

Mentre per le aziende che esercitano il credito l’equilibrio economico è fondato sostanzialmente sul differenziale fra i saggi attivi e passivi negoziati per le banche d’affari divengono importanti le operazioni di finanza straordinaria delle imprese industriali e commerciali, quindi il collocamento di azioni e obbligazioni presso il pubblico, il riassetto degli equilibri azionari e così via. Inoltre per le banche d’affari è molto più probabile lo svolgimento di un’attività a livello internazionale nella quale il grande volume di scambi sul mercato finanziario offre maggiori opportunità di profitti.