Saggio sul Capitalismo

 

CAPITOLO SECONDO

 

L’IMPRESA CAPITALISTICA

 

 

 

 

 

3. - La dimensione - L’equilibrio economico dell’impresa capitalistica è una sapiente amministrazione della dimensione o, per meglio dire, dei parametri nei quali la medesima può essere compendiata.

Il processo di produzione capitalistico si svolge lungo due piani differenti: quello dei valori d’uso e quello dei valori di scambio, dialetticamente collegati dalla fase di realizzazione che implica per i primi una valutazione meramente soggettiva fondata sulla disponibilità della merce o del servizio atta a soddisfare un bisogno fisico o psichico e per i secondi una valutazione monetaria che consenta all’impresa il mantenimento dell’equilibrio economico nelle due forme di equilibrio corrente ed equilibrio prospettico.

L’equilibrio economico dell’impresa capitalistica si realizza «contabilmente» quando i ricavi superano i costi lasciando un «congruo» margine per la remunerazione del capitale e per lo sviluppo «interno» ma l’equilibrio fra costi e ricavi non è, come potrebbe a prima vista sembrare, la «condizione» dell’equilibrio in parola ma è «soltanto» la sua conseguenza e ne esprime la «rappresentazione»: l’equilibrio economico si realizza attraverso la «composizione» fra i diversi «fattori», interni ed esterni all’impresa, che concorrono alla produzione intensa in senso lato.

Nell’impresa oggetto della presente indagine il piano dei valori d’uso si realizza nella capacità tecnica di produzione e nel numero di addetti necessario alla realizzazione di quello che può essere definito il processo di produzione tecnica.

Il piano dei valori di scambio riguarda invece gli aspetti monetari del ciclo economico e in modo specifico la quantità e la qualità degli investimenti monetari e la loro reintegrazione, o rotazione che dir si voglia, per effetto delle quantità vendute.

L’integrazione dei valori d’uso con i valori di scambio dà origine alla produzione economica dell’impresa la cui dimensione e variazione quantitativa e qualitativa definisce, quasi inesorabilmente, l’espansione o la cessazione dell’attività nelle sue due forme di attività tecnica e attività economica.

Schematizzando, quindi, i parametri entro i quali può essere racchiuso (si fa per dire) il concetto di dimensione sono i seguenti:

 

1) capacità produttiva (in senso tecnico);

2) numero degli addetti;

3) capitale investito;

4) quota di mercato;

5) valore aggiunto.

 

Individuati i parametri relativi alla dimensione dell’impresa occorre immediatamente fissare almeno due concetti che servano da guida all’intera analisi economica:

 

a) ciascun parametro indica un aspetto della dimensione e da ciò deriva che da un lato occorre analizzare l’«ordine» con il quale ciascuno di essi si rapporto all’altro e dall’altro lato occorre effettuare alla fine dell’analisi economica una «sintesi» di tutti i reciproci rapporti per modo che il concetto di dimensione assuma una configurazione unitaria;

b) tanto la valutazione di ciascun singolo elemento quanto la definitiva «configurazione unitaria» necessariamente devono essere analizzati nella loro evoluzione temporale in quanto è solo nel decorso del tempo che la dimensione dell’impresa capitalistica acquista un significato «economico». In altri termini il concetto di dimensione dell’impresa è essenzialmente di natura «dinamica» in quanto l’impresa non è un fenomeno «estemporaneo» e «speculativo» bensì di natura «durevole».

Ciò posto l’analisi della dimensione può iniziare con i parametri già definiti «tecnici»: la capacità produttiva e il numero degli addetti.

La capacità produttiva di una impresa, e segnatamente di una impresa industriale produttrice di merci, indica il flusso di prodotto potenzialmente producibile in una definita unità di tempo.

Come già visto nel Capitolo Primo nelle imprese che impiegano attrezzature produttive il numero degli addetti è definito dalle necessità tecniche relative al funzionamento delle attrezzature medesime (almeno al funzionamento «strettamente necessario») cosicché si instaura un rapporto di tipo tecnico fra attrezzatura e addetti che definisce però in modo unitario la capacità produttiva (tecnica) dell’impresa.

Il nesso di natura tecnica fra attrezzature e addetti nell’impresa capitalistica assume una configurazione dirompente non solo per lo sviluppo dell’impresa medesima ma per l’intero sistema economico.

Tale nesso infatti dà origine a due fenomeni che sono il fondamento della produzione capitalistica: la divisione del lavoro e la meccanizzazione dei processi produttivi.

La divisione del lavoro è la scomposizione del processo produttivo di una merce in singole operazioni ognuna delle quali è svolta da un singolo addetto, la meccanizzazione, indotta dalla divisione del lavoro o fautrice della medesima, è comunque il suo naturale complemento nel senso che accresce la capacità produttiva del singolo addetto nello svolgimento della produzione.

A questo punto è necessario affrontare un problema, spesso completamente dimenticato forse perché ritenuto di poco conto.

L’impresa capitalistica non produce solo merci destinate al consumo, come per esempio camice, scarpe o spaghetti da cucina ma produce anche servizi, come i trasporti o come l’energia elettrica, o «merci» destinate a altre imprese, come macchine operatrici o interi impianti industriali.

Quando un gruppo di passeggeri decolla a bordo di un aereo in una certa città del globo per atterrare dopo un determinato numero di ore nell’aeroporto di un’altra città dopo aver percorso nei cieli un certo numero di chilometri si dici che ha ottenuto un certo «servizio», ovviamente corrispondendo il prezzo del biglietto aereo, da un’azienda che opera nel settore dei trasporti, una cosiddetta compagnia aerea.

La produzione tecnica della compagnia aerea consiste nel trasporto di un gruppo di persone da una città all’altra, soddisfacendo in tal modo il bisogno (o la necessità) di quelle persone di essere trasferite da una città all’altra.

L’organizzazione del viaggio comporta la disponibilità di un velivolo con certe caratteristiche tecniche adatte al trasporto di persone nonché, ovviamente, di un certo numero di «personale» che opera sia a terra che sull’aereo.

La caratteristica saliente di questo tipo di produzione è che il «prodotto» ottenuto non dipende dalla quantità o qualità dei «fattori produttivi» impiegati ma dalla disponibilità a viaggiare di un certo numero di persone cosicché è persino possibile che il volo sia cancellato se, per uno o più motivi, non ci sono passeggeri sufficienti a giustificare, sotto il profilo economico, l’organizzazione del viaggio.

Questo aspetto lega la capacità tecnica di produzione, determinata dai mezzi tecnici dell’azienda e dal numero degli addetti, alla dimensione del mercato, determinata dal numero di passeggeri che vogliono viaggiare da una città all’altra e con una certa frequenza.

Nel caso del trasporto aereo (ma anche del trasporto terreste e marittimo) la divisione del lavoro e il progresso tecnico operano secondo uno schema piuttosto differente che non in una impresa industriale che produce merci, come per esempio frigoriferi.

La divisione del lavoro è una specializzazione delle funzioni (piloti, hostess, assistenti di volo, uomini-radar ecc.) mentre la «meccanizzazione» del processo produttivo consiste soprattutto nel miglioramento del servizio offerto che significa soprattutto affidabilità e comfort del mezzo utilizzato per il volo.

L’azienda che invece produce l’aereo rientra in un altro caso in qualche modo «particolare» della produzione industriale e cioè quella relativa alla produzione dei «beni d’investimento».

La produzione di un aereo richiede, a parte l’ovvia progettazione del modello in tutte le sue caratteristiche tecniche e funzionali per il servizio da rendere, l’adozione di determinati impianti industriali che siano in grado di produrre una vasta gamma di «merci» fra loro assolutamente eterogenee, quali possono essere le parti meccaniche relative al motore e i tessuti (o altro materiale) relativi ai sedili. Ammesso per il momento che l’azienda disponga in proprio di tutti i reparti per la produzione di tutti i componenti (cosa però nella realtà industriale piuttosto difficile da riscontrare) lo svolgimento del processo produttivo richiederà una precisa sequenza delle operazioni, un numero ben definito di addetti per ciascuna mansione e soprattutto un tempo di produzione che, almeno in linea teorica, può essere valutato dai tecnici che progettano l’aereo. Al termine del processo produttivo, durato per esempio un mese, la «quantità prodotta» è però pari all’unità anche se l’apparato tecnico-produttivo non è certo di dimensioni più ridotte di uno destinato, per esempio, alla produzione di frigoriferi.

In questo caso rapportare la «quantità prodotta» alla quantità di «fattori produttivi» impiegati può essere non solo scarsamente significativo ma, con ogni probabilità, anche ridicolo.

Per ricondurre il ragionamento su un piano strettamente economico è necessario confrontare, per esempio, il «valore» della produzione ottenuta dalle due aziende e quindi rapportarlo al numero di ore di lavoro impiegate per realizzare le due produzioni.

Si supponga per esempio che sia:

                                  Produzione         Produzione

                                    Aereo                Frigoriferi

 

Materie Prime           280.000 UM        500.000 UM

Personale                  400.000 UM       300.000 UM

Servizi e Amm.ti        220.000 UM       100.000 UM

 

Totale costi                900.000 UM       900.000 UM

 

Valore della

Produzione              1.000.000 UM     1.000.000 UM

Quantità                            1                       4.000

Prezzo unità               1.000.000                    250

 

Addetti                              250                      200

Ore di lavoro                 60.000                48.000

Valore della

produzione oraria

per addetto                   16,67 UM        20,83 UM

 

Con questi dati si può dire che, se gli addetti nelle due industrie lavorano per otto ore il giorno, i tempi di produzione necessari per realizzare il medesimo «valore» sono i medesimo, vale a dire 30 giorni lavorativi. Infatti:

                             Produzione                 Produzione

                                 Aereo                    Frigoriferi

Ore totali               60.000 (A)                48.000

Ore per addetto

giornaliere             2.000 (B)                    1.600

Tempo di produzione (A)\(B) = 30 giorni

 

Con questo parametro si può dire che per ogni giornata trascorsa di produzione il valore prodotto è, per entrambe le industrie, pari a UM 33.333,34.

E’ però chiaro che dopo una giornata di lavoro mentre l’industria che produce l’aereo è arrivata solo a 3,34% del valore finale del prodotto, l’industria che produce frigoriferi ha prodotto 133 unità che può già vendere sul mercato.

Questa importante differenza di tipo «tecnico» ha come conseguenza che il calcolo della produttività «fisica» s’approssima molto ad un dato puramente statistico, ancorché particolarmente importante ai fini del controllo della gestione dell’impresa.

La produttività economica è invece data dal rapporto fra la produzione ottenuta, in termini di valore, e il tempo di produzione complessivamente impiegato.

Il differente processo di produzione per le industrie che producono merci e per quelle che producono servizi ha determinato un nesso preciso fra tre parametri della dimensione: capacità produttiva, numero degli addetti e «estensione del mercato». Nei primi due casi si tratta di parametri di tipo tecnico mentre nel terzo caso di tratta di un parametro economico. Il concetto di produttività economica induce a considerare anche gli altri due parametri economici: il capitale investito e il valore aggiunto.

Che si producano frigoriferi o aerei è chiaro che sono necessari dei mezzi di produzione per lo svolgimento del processo di produzione, è chiaro che questi mezzi abbiano un prezzo (quindi un costo per l’impresa che li acquista) ed è altrettanto chiaro che devono possedere quei requisiti tecnici che li rende idonei a svolgere la produzione nei tempi e nei modi richiesti dalle tecnologie esistenti.

I mezzi per la produzione possono essere divisi in tre categorie, ciascuna delle quali ha delle proprie peculiari caratteristiche economiche:

a) materie prime

b) impianti e attrezzature

c) servizi diversi

Le materie prime sono «merci» che l’impresa acquista da altre imprese per poi utilizzarle per la fabbricazione del prodotto. Nel caso di produzione di merci tali materie prime hanno una incidenza rilevante nel valore del prodotto finito, nel caso della produzione di servizi hanno invece un valore molto più limitato (anche se si possono raggiungere valori rilevanti in senso assoluto e per questo basti pensare ai costi di carburante per le compagnie aeree ma in generale per tutte le imprese che operano nel campo dei trasporti).

Gli impianti e le attrezzature produttive costituiscono la caratteristica più importante sia sotto il profilo tecnico che quello economico delle imprese industriali in quanto impongono di fatto due vincoli fra loro strettamente connessi: il vincolo tecnico e il vincolo finanziario. Vincolo tecnico perché l’impresa deve disporre degli impianti adatti per la produzione che intende svolgere, vincolo finanziario perché l’impresa deve sostenere il costo d’acquisto delle attrezzature prima che esse siano impiegate nel processo produttivo, con i relativi rischi di non corretta o non completa utilizzazione.

I servizi «diversi» alla produzione sono costituiti da tutto ciò che è necessario per lo svolgimento della produzione intensa in senso economico, come per esempio l’energia elettrica, la periodica manutenzione degli impianti, i costi necessari alla distribuzione del prodotto, i costi relativi al personale amministrativo, i costi d’affitto di locali o attrezzature e così via.

Un quadro generale dei fattori della produzione può essere così indicato:

1) Fattori a costo anticipato

a.1) Fattori strutturali

a.2) Fattori di esercizio

 

2) Fattori a costo posticipato

b.1) Servizi di lavoro

b.2) Servizi all’impresa

In effetti, come più sopra accennato, il solo e proprio «fattore della produzione» è costituito dal lavoro mentre i Fattori strutturali, quelli d’esercizio e i Servizi all’impresa costituiscono più semplicemente degli strumenti della produzione, senza i quali, tuttavia, la produzione medesima non può avere luogo.

In prima approssimazione la dimensione finanziaria dell’impresa è strettamente connessa con il volume di Fattori strutturali necessari all’approntamento del processo di produzione.

Se si assumono i dati precedentemente indicati per la produzione di un aereo e di un frigorifero la valutazione dei Fattori strutturali parte ovviamente dai costi per servizi e ammortamenti, riuniti in una unica voce. Se si suppone che rispetto a quei valori la ripartizione è la seguente:

 

                                   Industria aereo       Industria frigorifero

Servizi                            70.000 UM            25.000 UM

Ammortamenti               150.000 UM           75.000 UM

 

e che per la prima il tempo di utilizzazione sia 5 anni mentre per la seconda di 7 il valore d’acquisto di impianti e attrezzature sarà:

            150.000 x 12 x 5 = 9.000.000 UM

per l’impresa che produce aerei e

          75.000 x12 x 7 = 6.300.000 UM

per l’impresa che produce frigoriferi, per cui il fabbisogno di finanziamento per il primo anno di attività sarà:

                              Industria aereo                 Industria frigorifero

Impianti                      9.000.000 UM            6.300.000 UM

Materie prime             3.360.000 UM            6.000.000 UM

Addetti                      4.800.000 UM             3.600.000 UM

Servizi                          840.000 UM                300.000 UM

Totali                       18.000.000 UM            16.200.000 UM

 

Una volta determinato il fabbisogno di finanziamento è ovviamente necessario stabilire in che modo le fonti di finanziamento siano reperibili. Le soluzioni tecniche adottate possono essere molto differenti e l’economia capitalistica è diventata «maestra» nell’arte della diversificazione delle forme giuridico-tecniche di finanziamento ma è ovvio che in ogni caso il finanziamento può avvenire solo sotto due grandi categorie:

a) finanziamento proprio

b) finanziamento di terzi

Il finanziamento proprio è l’apporto di mezzi finanziari da parte del soggetto economico che organizza l’impresa e può essere considerato, in via approssimativa, come un «indice di fiducia» di tale soggetto economico nell’attività economica dell’impresa.

Il finanziamento di terzi è l’apporto di mezzi finanziari da parte di soggetti diversi che possono essere banche, istituzioni finanziarie diverse o semplici cittadini che prestano a interesse in tutto o in parte loro disponibilità monetarie.

Le caratteristiche economiche del finanziamento proprio sono quelle di essere vincolato all’impresa per un periodo temporalmente illimitato e di essere soggetto ad una remunerazione che varia in funzione dei risultati economici raggiunti con il rischio, quindi, di non essere affatto remunerato se i risultati economici sono negativi.

Le caratteristiche economiche del finanziamento di terzi sono quelle di essere vincolato all’impresa per un periodo definito e di essere soggetto ad una remunerazione fissa, determinata all’atto della stipulazione del contratto di finanziamento.

La remunerazione al soggetto economico è definita nel linguaggio corrente «profitto», quella dei terzi finanziatori «interesse» e la loro comparsa implica una modifica importante nel calcolo della produzione ottenuta.

Riprendendo l’esempio della produzione di aerei e supponendo che il finanziamento di 18.000.000 UM sia diviso in 8.000.000 con apporto del soggetto economico (per esempio un gruppo di soci che fonda l’impresa) e 10.000.000 con la contrazione di un mutuo presso una banca al saggio del 5% e con scadenza di cinque anni, nel primo anno l’impresa dovrà corrispondere un interesse pari a 500.000 UM. La produzione avrà allora la seguente struttura:

Materie prime 3.360.000 UM

Personale 4.800.000 UM

Servizi 840.000 UM

Ammortamenti 1.800.000 UM

Interessi passivi 500.000 UM

Totale costi 11.300.000 UM

 

Poiché il valore della produzione è pari al 12.000.000 UM il profitto ottenuto è pari a 700.000 UM che costituisce l’8,75% del capitale investito dal soggetto economico.

La determinazione e l’analisi del valore della produzione introduce alla valutazione del potere di mercato dell’impresa espresso in valore assoluto dal volume delle vendite e in valore relativo dalla quota di mercato ottenuta.

Le variabili che incidono sulla formazione del valore della produzione sono pertanto:

a) la quantità prodotta

b) la quantità venduta

c) i costi di produzione

d) i prezzi di vendita

 

Le quantità prodotte e vendute sono rilevanti ai fini della determinazione delle scorte che l’impresa intende detenere o che, per cause a lei non imputabili, rimangono giacenti nei magazzini in attesa di essere vendute (e non sempre a prezzi remunerativi).

Nel caso si tratti di imprese che producono beni d’investimento (come gli aerei) la valutazione della quantità prodotta è fatta, in un dato momento, sulla base di quello che è definito lo stato avanzamento lavori espresso da una percentuale che, applicata sul corrispettivo pattuito, determina il valore della produzione ottenuta.

I costi di produzione sono determinati dalla somma dei costi di utilizzazione dei fattori e dei mezzi produttivi mentre i prezzi di vendita oltre a tenere conto delle quantità prodotte e vendute e dei costi relativi devono tenere conto del mercato, cioè della propria posizione verso i clienti rispetto alle imprese concorrenti.

Il rapporto fra l’impresa e i suoi concorrenti richiama il concetto di struttura del mercato che nella normalità dei sistemi capitalistici è costituita dall’oligopolio, cioè dall’esistenza di poche grandi imprese che controllano la parte più rilevante del mercato seguite eventualmente da una serie più o meno numerosa di medie e piccole imprese.

A seconda del tipo di produzione adottata l’oligopolio si presta ad essere più o meno accentuato: se infatti si prende in esame il settore della produzione degli aerei la dimensione produttiva «minima» potrebbe essere quella più sopra descritta, con una produzione quindi di un aereo al mese e l’impiego di 250 addetti. Nel caso della produzione di frigoriferi è invece possibile che si formino imprese di più ridotte dimensioni che producono, per esempio, un quarto o un decimo della produzione dell’impresa sopra indicata. Chiamando «medie» le imprese che producono un quarto e «piccole» le imprese che producono un decimo si avranno tre tipi di impresa:

 

Tipi di impresa                        Produzione annua di frigoriferi

Grande                                                48.000

Media                                                  12.000

Piccola                                                   4.800

 

Le imprese così definite avranno ciascuna un loro mercato ma soprattutto una loro struttura produttiva che, anche se apparentemente produce la medesima «merce», in realtà è profondamente diversa da un tipo all’altro.

La dimensione totale del mercato è ovviamente data dal totale delle imprese di ciascuna categoria moltiplicato per il volume di vendita, espresso in moneta corrente. Esempio:

Tipologia          Numero     Prezzo      Quantità        Valore

Grandi                 5              250        48.000        60.000.000

Medie                 20             260        12.000        62.400.000

Piccole                50             300         4.800         72.000.000

Estensione del mercato                     720.000      194.400.000

 

Con questo esempio la quota di mercato detenuta, assumendo per ciascuna tipologia la media produttiva, è così definita:

Imprese                                    Quota di mercato

Grandi                                                6,67%

Medie                                                 1,67%

Piccole                                                0,67%

 

I rapporti dell’impresa con il mercato comportano così una prima differenziazione delle imprese e, insieme al tipo di produzione tecnica adottata, definiscono i contorni di quello che può essere classificato come «settore industriale».

Tuttavia nel momento stesso in cui si adotta la quota di mercato dell’impresa o il suo volume di produzione per valutarne non solo la «potenza» ma soprattutto la dimensione non si può fare a meno di considerare un fenomeno frequente nell’economia industriale e del quale per ora si fa un semplice cenno: l’integrazione verticale e orizzontale.

Con il primo termine si fa riferimento al fatto che una impresa può svolgere da sé tutte le fasi relative alla produzione di una merce ovvero acquistare da altre imprese «componenti» già pronti all’uso da «assemblare» per ottenere il prodotto finito (nel caso della produzione di frigoriferi si può pensare che le parti elettriche, motore compreso, siano prodotte da una impresa specializzata così come nel caso dell’aereo si può pensare che i motori siano prodotti da una impresa differente da quella che costruisce l’aereo).

Con il secondo termine si fa riferimento al fatto che una impresa può compiere, con una leggera modifica di alcune significative parti del «processo terminale», una diversificazione produttiva, vale a dire può utilizzare nuovi impianti e nuovi reparti simili a quelli in opera per produrre merci differenti (per esempio l’industria degli aerei potrebbe produrre aerei per passeggeri e aerei per merci, oppure aerei di diversa portata mentre l’industria dei frigoriferi potrebbe produrre celle frigorifere, banchi-frigo per supermercati, frigoriferi per bar ecc.)

L’integrazione produttiva verticale comporta delle modificazioni al processo di produzione sia tecnico che economico e rende il calcolo della dimensione produttiva fondato sulla quantità prodotta fondamentalmente incerto e impreciso: è ovvio infatti che se l’impresa che produce frigoriferi è attrezzata (come finora supposto) di ogni reparto per la «produzione» dei componenti il prodotto finito la sua dimensione è in ogni caso più grande rispetto ad una analoga impresa che invece compra da altre imprese alcuni dei componenti che poi si limita, con le proprie attrezzature produttive, ad assemblare.

In queste ipotesi anche se il processo terminale delle due imprese è il medesimo (48.000 frigoriferi l’anno) l’impresa con un maggior grado di integrazione produttiva dovrà evidenziare anche nei numeri una dimensione maggiore e ciò non è evidentemente possibile con la considerazione del volume di vendita.

La soluzione di questo problema «contabile» in realtà introduce in uno degli aspetti più importanti dell’economia dell’impresa capitalistica (e non solo capitalistica): tale aspetto è il valore aggiunto che esprime la dimensione economica.

Per capire numericamente il valore aggiunto si suppongano le due imprese che producono frigoriferi, con la seguente situazione economica riferita ad un anno:

 

                                         Impresa «A»               Impresa «B»

Materie prime                     350.000 UM             500.000 UM

Personale                            400.000 UM             300.000 UM

Servizi                                   50.000 UM               25.000 UM

Ammortamenti                     100.000 UM               75.000 UM

Totale Costi                         900.000 UM              900.000 UM

Valore della

Produzione                        1.000.000 UM           1.000.000 UM

 

Il valore aggiunto, che è una grandezza economica, può essere calcolato in due modi: come «fonte» (in particolare come fonte della ricchezza prodotta) e come «impiego» (in particolare come impiego della ricchezza prodotta).

Secondo la prima accezione si avrà, rispettivamente:

                                              Impresa «A»          Impresa «B»

Valore della produzione         1.000.000 UM       1.000.000 UM

- Materie prime                         350.000 UM        500.000 UM

- Servizi                                      50.000 UM           25.000 UM

Valore aggiunto prodotto           600.000 UM         475.000 UM

 

Secondo la seconda accezione sarà:

                                               Impresa «A»            Impresa «B»

Personale                               400.000 UM           300.000 UM

Ammortamenti                       100.000 UM             75.000 UM

Profitti                                   100.000 UM            100.000 UM

Valore aggiunto distribuito      600.000 UM            475.000 UM

 

Il calcolo del valore aggiunto (o dimensione economica) è fondato sull’impiego dei fattori produttivi e in particolare si distingue fra «fattori produttivi propri» (o interni) e «fattori produttivi di terzi» (o esterni): è ovvio che sono soltanto i fattori produttivi propri quelli che «aggiungono valore» alla produzione dell’impresa presa in considerazione.

Il valore aggiunto, tuttavia, non è solo un «calcolo contabile», una sorta di bizzarria dei ragionieri ma indica il valore economico della produzione dell’impresa e, come detto all’inizio del paragrafo, è il risultato della composizione di tutti gli altri parametri della dimensione.

Come già detto l’equilibrio economico dell’impresa capitalistica è determinato dalla sapiente amministrazione dei vari parametri economici relativi alla dimensione: non esistono asserite «leggi economiche» che conducono più o meno spontaneamente all’equilibrio economico, esistono invece, a seconda dell’altezza del valore aggiunto prodotto, atti amministrativi fra loro integrati a «sistema» che incidono sulla combinazione dei fattori della produzione e sui rapporti fra l’impresa e l’ambiente in cui essa viene a operare.

Poiché tali attivi sono presi in condizioni d’incertezza in quanto non è ci è dato di conoscere il futuro in ogni istante l’impresa è pervasa da una serie di rischi che attengono a ciascuna classe di «azioni amministrative»: rischio di «sistema», rischio di «combinazione» e rischio di «composizione».

Per gestire i rischi l’impresa programma la propria attività e cerca quindi di seguire la linea di condotta determinata nel programma che non sempre è possibile seguire per una serie di motivi e gli scostamenti possono essere sia positivi che negativi.

Il risultato finale degli atti economici e della condotta amministrativa è il valore aggiunto nelle sue due accezione di prodotto e distribuito e l’analisi di come si è pervenuti a questi due distinti ma correlati risultati (come si è prodotto e distribuita la ricchezza) costituisce l’essenza dell’economia capitalistica.

 

4. - Produzione e impianti. - La capacità produttiva dell’impresa capitalistica si manifesta attraverso la quantità di «merce» producibile in una determinata unità di tempo, utilizzando determinati mezzi di produzione e un numero di addetti ben definito, Il tipo di produzione adottato condiziona le modalità di esecuzione della produzione stessa imponendo così che gli impianti siano idonei a svolgere una certa funzione. Nell’organizzare la produzione industriale si possono scegliere due alternative possibili, in via di principio:

a) la modalità «a catena»

b) la modalità «a reparto»

La modalità «a catena» è tipica delle produzioni cosiddette a «ciclo obbligato» o «continuo» così definiti perché la produzione avviene sempre nello stesso modo e dà origine sempre allo stesso risultato. Come si è visto questo è il caso della produzione di aerei e, in generale, dei beni d’investimento.

La modalità «a reparto» è tipica delle produzioni cosiddette «intermittenti» così definite perché terminato un ciclo di produzione (per esempio relativo a frigoriferi per uso domestico) è possibile, modificando alcune materie prime impiegate o altri aspetti della lavorazione, passare alla produzione di un’altra serie di prodotti (come per esempio frigoriferi per uso bar).

La modalità «a reparto» presenta maggiore flessibilità produttiva rispetto a quella «a catena» e può persino arrivare a identificarsi con quella «a catena» se il ciclo di produzione rimane sempre il medesimo (cioè si continua a produrre una sola varietà di prodotto).

L’organizzazione tecnica della produzione nelle due forme appena viste introduce ad una serie importante di fenomeni economici tipi delle imprese industriali:

1) la dimensione «minima» e «massima» dell’impianto;

2) il grado di utilizzazione della capacità produttiva;

3) l’integrazione verticale «a monte» e «a valle»;

4) la diversificazione produttiva.

 

Le dimensioni «minima» e «massima» di un impianto industriale sono determinate da un preciso rapporto fra le diverse operazioni necessarie per la fabbricazione del prodotto, le possibilità tecniche della produzione (cioè l’esistenza di macchinari adeguati) e ovviamente la disponibilità o meno di tali strumenti.

Se la fabbricazione di un prodotto richiede, per esempio, quattro fasi così suddivise:

Fase «A» 15 minuti

Fase «B» 20 minuti

Fase «C» 30 minuti

Fase «D» 10 minuti

per ottenere uno sfruttamento minimo razionale delle risorse produttive occorre disporre di un preciso numero di macchine per ciascuna fase, determinato dal rapporto di proporzionalità esistente fra i tempi richiesti per la produzione. Nell’esempio fatto il «fattore di proporzionalità» è pari a 5 e dividendo la durata di ciascuna fase per tale numero si ottiene la sequenza 3, 4, 6, 2. Se al termine di ogni fase ciascun macchinario produce una unità di prodotto dopo un’ora si avrà la seguente situazione produttiva:

Fase «A»               Macchina 1                 4 unità

Fase «B»               Macchina 2                  3 unità

Fase «C»               Macchina 3                 2 unità

Fase «D»               Macchina 4                 6 unità

 

In queste condizioni disponendo di una macchina per lo svolgimento di ciascuna fase si verrebbe a creare una situazione di non funzionalità del processo di produzione in quanto vi sarebbero soltanto due unità (quelle della macchina 3) che concludono il proprio ciclo della produzione mentre rimarrebbero o dei semilavorati (macchine 1 e 2) o della capacità produttiva non utilizzata (macchina 4).

Se l’impresa però acquista, per ciascuna fase, un numero di macchine uguale o proporzionale alla «sequenza di proporzionalità» gli eccessi della produzione e la non utilizzazione di taluni macchinari vengono eliminati. Così se l’impresa impiega 3 macchine per la fase «A», 4 per la fase «B», 6 per la fase «C» e 2 per la fase «D» si ottiene:

                                Macchine               Unità             Prodotto

Fase «A»                           3                     4                     12

Fase «B»                           4                      3                     12

Fase «C»                           6                      2                     12

Fase «D»                           2                      6                     12

 

cosicché le unità prodotte in un’ora di lavoro sono pari a 12: per il tipo di produzione esaminato il numero di macchine utilizzato rappresenta la dimensione minima e quindi potranno essere presenti sul mercato imprese che assumono quella dimensione o imprese che assumono una dimensione più grande, utilizzando una struttura produttiva costituita da un multiplo di quella definita.

Le fasi della produzione così definite si applicano sia alla produzione di merci che alla produzione di servizi essendo il tempo di produzione l’elemento di fondo della produttività e le innovazioni tecnologiche o la migliore organizzazione produttiva non fanno altro che accorciare il tempo necessario alla produzione di una unità di merce o a svolgere un servizio in tempo più breve.

L’impresa capitalistica che si trova ad affrontare la produzione di una merce ha una gamma di scelte produttive determinate da due circostanze ben distinte fra di loro:

a) svolgere per intero o parzialmente le fasi della produzione

b) sfruttare le opportunità tecniche offerte dalle macchine per

ottenere prodotti differenti.

La prima opportunità dà origine al fenomeno della integrazione verticale «a monte» o «a valle», la seconda dà origine al fenomeno della diversificazione produttiva, detta anche integrazione orizzontale (o produzione congiunta).

L’integrazione verticale «a monte» si verifica quando l’impresa decide di aprire un apposito reparto per svolgere in proprio una fase della lavorazione del prodotto svolta da altre imprese, lavorazione che attiene alle fasi preliminari del ciclo produttivo.

Si supponga che una impresa industriale utilizzi la seguente capacità produttiva:

                             Macchine         Unità           Prodotto

Fase «A»                      30                4                 120

Fase «B»                      40                 3                120

Fase «C»                      60                 2                 120

Fase «D»                      20                 6                 120

La produzione che inizia nella Fase «A» implica la disponibilità di certe «materie prime» già prodotte da una o più imprese. La produzione delle «materie prime», come quella dei prodotti finiti, richiede una fase di lavorazione con mezzi tecnici, risorse umane e tempi ben definiti. Si supponga che tale lavorazione avvenga secondo la dinamica seguente:

                                 Macchine         Unità               Prodotto

Fase «1»                           2                150                  300

Fase «2»                           3                100                   300

Fase «3»                            4                 75                   300

 

Se l’impresa entra nella Fase 3 impiegando una macchina si troverà nella condizione di acquistare un semilavorato alla Fase 2 e quindi procedere allo sviluppo della produzione con mezzi propri. Tuttavia la capacità produttiva del macchinario appena introdotto nella produzione è pari a 75 unità all’ora mentre il processo di produzione in atto nell’impresa richiede una capacità produttiva di 120 unità all’ora. In questo caso l’impresa ha due possibilità, la prima è quella di produrre le 75 unità con il nuovo macchinario e quindi sopperire alle unità mancanti rivolgendosi alle imprese che producono il semilavorato mentre la seconda è quella di programmare e dare avvio ad una ristrutturazione della produzione facendo in modo, magari con l’acquisto di nuovi macchinari, di armonizzare fra di loro i medesimi, cioè di rendere compatibili i tempi di produzione.

L’operazione di integrazione verticale comporta in questo caso una ristrutturazione di carattere produttivo che dovrebbe avere come risultato una maggiore dimensione dell’impresa: dimensione produttiva, dimensione organica, dimensione finanziaria ma soprattutto dimensione economica.

Con ogni probabilità tale ristrutturazione comporta l’inserimento nel processo di produzione di macchinari tecnologicamente più progrediti che consentono quindi una riduzione dei tempi di produzione e con essi una maggiore produttività, dove tale produttività deve essere intesa come una variazione del valore aggiunto per unità (ora) di lavoro impiegato.

L’integrazione verticale «a valle» non comporta, quindi, un aumento della quantità prodotta ma attiene piuttosto ai modi dell’impresa di commercializzare il prodotto, modi che in ogni caso attengono alla «produzione economica» e che consentono quindi all’impresa di accrescere il proprio valore aggiunto.

In un modo diretto l’integrazione verticale «a valle» è collegata all’integrazione orizzontale, ovvero alla diversificazione produttiva che si ottiene quando l’impresa produce una varietà di merci o da uno stesso impianto, utilizzando produzioni a «ciclo intermittente», o da impianti differenti solo per alcune ben definite caratteristiche.

Dal punto di vista della produzione l’impresa che produce merci differenti tende a soddisfare crescenti segmenti di mercato che le consentono da un lato di ingrandire la propria dimensione economica e dall’altro di ottenere una sempre più efficace «presa» sul mercato, acquisendo una ben definita «posizione».

La «vocazione» industriale di una impresa è legata, spesso nell’immagine, ad una produzione ben definita, come l’automobile o una bevanda non alcolica, e l’organizzazione degli impianti è tale che le merci prodotte rimangono spesso almeno nel settore merceologico ma è indubbio che l’accrescimento della dimensione, intesa soprattutto nella sua accezione di «economica», è legato ad un aumento della gamma delle merci o dei servizi prodotti esponendo in tal modo sempre di più la produzione all’andamento dei mercati di collocazione con la conseguenza che la stessa produzione e gli stessi impianti vengono assoggettati ad un ciclo produttivo che non è più propriamente «industriale» ma diviene «commerciale», ovvero le merci e i servizi prodotti si adattano (o s’impongono) al mercato.

 

5. - Il finanziamento. - Uno degli aspetti essenziali della gestione dell’impresa capitalistica è costituito dal finanziamento e, in generale, dalla gestione finanziaria connessa al reperimento e all’utilizzazione dei mezzi finanziari. Inoltre l’aspetto finanziario della gestione d’impresa è quello che più di ogni altri introduce all’analisi dei rapporti più caratteristici sotto il profilo economico dell’impresa capitalistica.

L’analisi degli aspetti finanziari dell’impresa prende le mosse da uno dei più «innocenti» schemi elaborati dalle discipline economico-aziendali, noto come «Stato Patrimoniale» che prevede una doppia identità: le fonti relative ai finanziamenti e i mezzi relativi agli impieghi dove, ovviamente, le fonti sono equivalenti in ogni istante agli impieghi.

Il più semplice esempio di questo schema è il seguente:

Impieghi

Disponibilità liquide              20.000.000 UM

Fonti

Apporti della proprietà          20.000.000 UM

 

La semplice lettura di questo schema dice che l’impresa dispone, in un certo istante (per esempio la sua costituzione), di 20.000.000 UM in forma «liquida» (per esempio sotto forma di deposito bancario) e che tale disponibilità è stata ottenuta attraverso l’apporto del soggetto economico dell’impresa che può essere un singolo o una pluralità (e in tal caso costituisce una «società»).

Se l’impresa decide di dare avvio alla propria attività economica e in conseguenza di ciò effettua i seguenti acquisti:

Impianti e macchinari                    18.000.000 UM

Materie prime                                 6.000.000 UM

 

si pone immediatamente il problema di come essa reperisca i mezzi finanziari aggiuntivi visto che il soggetto economico ha deciso di mettere a disposizione solo 20.000.000 UM. Se viene attinto un prestito presso un istituto di credito la situazione del capitale sarà così rappresentata:

Impieghi

Impianti                                       18.000.000 UM

Materie prime                                6.000.000 UM

Totale impieghi                             24.000.000 UM

 

Fonti

Apporti della proprietà                   20.000.000 UM

Finanziamento bancario                    4.000.000 UM

Totale fonti                                     24.000.000 UM

 

Come si vede gli impieghi e le fonti si «bilanciano» e non potrebbe essere altrimenti in quanto i primi ci indicano come il capitale è stato investito mentre le seconde ci indicano come il capitale è stato reperito.

Supponiamo ora che sia svolto un determinato processo produttivo che dia, in sintesi, i seguenti risultati:

Personale: 5.000.000 UM

Servizi: 3.000.000 UM

Valore del prodotto: 20.000.000 UM

 

La struttura del capitale diventerà, ovviamente:

 

Impieghi

Impianti                                                     18.000.000 UM

Materie prime                                              6.000.000 UM

Disponibilità liquide                                     12.000.000 UM

Personale                                                      5.000.000 UM

Servizi                                                           3.000.000 UM

Totale impieghi                                             44.000.000 UM

 

Fonti

Apporti della proprietà                                 20.000.000 UM

Finanziamento bancario                                  4.000.000 UM

Vendite                                                        20.000.000 UM

Totale fonti                                                   44.000.000 UM

 

In quest’ultima rappresentazione del capitale si è concluso un ciclo produttivo nel senso che sono state prodotte merci (o servizi) cedute sul mercato dietro un corrispettivo costituito dai ricavi di vendita.

La cosa importante rispetto alla situazione di partenza è costituita dall’esistenza di una disponibilità liquida ammontante nel caso specifico a 12.000.000 UM, determinata dai seguenti elementi:

Vendite                                          20.000.000

- Personale                                      5.000.000

- Servizi                                           3.000.000

Variazione disponibilità                   12.000.000

 

Questa disponibilità è stata direttamente creata dal processo di produzione che a fronte di impieghi di capitale ha corrisposto una fonte di capitale determinata dalla vendita dei prodotti ottenuti, chiudendo così sia il ciclo economico che quello finanziario.

In questo istante della propria vita l’impresa ha pertanto a disposizione una somma di denaro liquido che può impiegare per acquistare nuovamente materie prime per lo svolgimento di un nuovo processo di produzione oppure, a seconda dei suoi programmi, acquisire nuovi impianti di produzione, sempreché accordi contrattuali non prevedano in tutto o in parte la restituzione delle somme prese a prestito.

La conclusione del ciclo di produzione acquista una importanza particolare per i finanziatori dell’impresa, cioè per coloro che hanno immesso nel processo di produzione loro disponibilità finanziarie.

In primo luogo il soggetto economico dell’impresa che si assume il rischio dell’eventuale cattivo andamento della gestione ha l’esigenza di compiere una «verifica» economica in modo da valutare simultaneamente tre cose:

1) se è possibile corrispondere ai finanziatori l’interesse pattuito;

2) se le operazioni economiche hanno dato i risultati sperati;

3) se è possibile ottenere il riconoscimento di un «profitto»

corrispondente al capitale investito.

 

Tale verifica economica è compiuta valutando in modo diretto i costi di utilizzazione dei fattori della produzione e i correlativi ricavi della produzione ottenuta (e venduta).

I fattori della produzione impiegati sono i seguenti, con i rispettivi costi di acquisizione:

Fattori                                    Costo di acquisizione

Impianti                                    18.000.000 UM

Materie prime                            6.000.000 UM

Personale                                   5.000.000 UM

Servizi                                       3.000.000 UM

 

Per le Materie Prime, il Personale e i Servizi il costo di acquisizione è anche un costo di utilizzazione in quanto tali fattori sono integralmente utilizzati nel processo di produzione.

I fattori produttivi come gli Impianti sono solo non esauriscono il loro apporto alla produzione in quel particolare processo produttivo ma sono utilizzati anche in successivi processi sino a ché per logorio fisico o economico non siano messi fuori produzione. Questa circostanza impone che debba essere stimato «quanto» quei particolari impianti siano stati utilizzati e in funzione di questa quantificazione il costo di acquisizione verrà suddiviso in due categorie:

a) costo di utilizzazione, per la parte della produzione corrente

b) costo sospeso, per la parte delle produzioni future.

Se si suppone di scegliere come criterio quello relativo alla sua capacità produttiva ed ammesso che essa sia stimata da coloro che l’hanno progettato in 50.000 unità di prodotto, mentre la quantità ottenuta dal ciclo produttivo in esame è, per esempio, 5.000 unità si otterranno i seguenti valori:

a) costi di utilizzazione 1.800.000 UM

b) costo sospeso 16.200.000 UM

 

I costi di utilizzazione saranno allora i seguenti:

Fattori                                              Costo di utilizzazione

Impianti                                                 1.800.000 UM

Materie prime                                         6.000.000 UM

Personale                                                5.000.000 UM

Servizi                                                    3.000.000 UM

Totale costi di utilizzazione                     15.800.000 UM

 

e poiché i ricavi della produzione sono pari a 20.000.000 UM l’impresa realizza un profitto di 4.200.000.

Se questo risultato economico si riferisce ad un anno di attività e con i finanziatori è stato pattuito un interesse del 10% il profitto ottenuto dovrà essere diminuito di 400.000 UM, cosicché diventa paria a 3.800.000, il 19% del capitale investito.

Dal punto di vista finanziario l’impresa ha realizzato un avanzo pari a 12.000.000 UM che può essere così determinato:

Utile conseguito                                            4.200.000 UM

+ ammortamenti                                            1.800.000 UM

Fonti della gestione corrente                          6.000.000 UM

 

Finanziamento dei soci                                20.000.000 UM

Finanziamento di terzi                                    4.000.000 UM

- Acquisto impianti                                      18.000.000 UM

Fonti della gestione non corrente                    6.000.000 UM

Totale mezzi finanziari                                   12.000.000 UM

 

Nel semplice esempio descritto i mezzi finanziari ottenuti costituiscono il Capitale Circolante Netto, vale a dire le disponibilità monetarie al netto dei debiti correnti.

E’ ovvio quindi che se i finanziamenti bancari sono rimborsabili a breve scadenza faranno parte anch’essi della gestione finanziaria corrente e in questo caso le Fonti della gestione corrente saranno pari a 10.000.000 UM mentre quelle della gestione non corrente saranno pari a 2.000.000 UM.

 

6. - I rapporti di mercato. - L’impresa agricola e l’impresa artigianale operanti in un sistema economico pre-capitalistico producono le loro merci in condizioni tecniche relativamente modeste e, per quanto i loro mercati possano essere in alcune definite circostanze geograficamente molto distanti, i mercati di collocazione del prodotto non sono solo vicini ai produttori ma risentono in modo notevole del fatto che nella combinazione produttiva prevale nettamente il fattore lavoro. Si può cioè affermare che le merci affluiscono sul mercato per una mera «questione produttiva» destinata a soddisfare i bisogni più urgenti della popolazione, bisogni e necessità relativi più che altro alla sopravvivenza, a parte alcune limitate categorie sociali «superiori».

Per il sistema produttivo capitalistico, e quindi per l’impresa capitalistica, il mercato di collocazione dei prodotti non ha nulla di «mistico» e non è, in qualche modo, un’appendice della sfera della produzione ma costituisce, in effetti, la ragione stessa della nascita e dell’esistenza dell’impresa.

L’impresa capitalistica organizza la propria produzione, investendo mezzi economici e finanziari spesso rilevanti, con il solo scopo di ottenere un profitto ed in questa ottica la collocazione del prodotto riveste una importanza strategica: in buona sostanza ogni residuo di prodotti finiti che rimanga giacente in magazzino invenduto oppure ogni materia prima non utilizzata costituiscono per l’impresa una perdita secca in grado di condizionare gli sviluppi futuri della produzione.

Il progresso tecnologico che modifica i processi di produzione e crea nuovi prodotti costituisce un potente mezzo (forse il più potente) sotto il profilo strettamente produttivo ma i «veri» problemi dell’impresa capitalistica sono relativi alla possibilità di collocare presso i mercati merci e servizi via via crescenti.

Per poter svolgere con efficacia ed efficienza la propria funzione l’impresa capitalistica deve organizzare un particolare settore di carattere apparentemente amministrativo che, con opportune tecniche, sia in grado di valutare il gradi di «assorbimento» del mercato di un certo prodotto, la cosiddetta «fedeltà alla marca», un congruo rapporto prezzo\qualità, il modo più opportuno di far pervenire sul mercato il prodotto, il grado di concorrenza esistente ed altri ancora.

E’ chiaro come questo settore di carattere amministrativo, cui viene correntemente dato il nome di marketing, informi tutta la gestione dell’impresa e tenda a creare per essa una «nicchia di mercato» in grado di garantire un flusso di vendite sufficiente a giustificare sotto il profilo economico gli investimenti effettuati.

Lo sviluppo complessivo del sistema capitalistico è legato essenzialmente, dal punto di vista dei mercati, a due fattori: l’allargamento dei confini geografici entro cui la produzione è svolta e commercializzata e la specializzazione della produzione che attiene essenzialmente al fatto che l’impresa crea un prodotto al quale lega la propria immagine.

Una delle prime e più importanti conseguenze di questi due fattori è che l’impresa ha necessità di conoscere a fondo il proprio mercato di collocazione e ciò significa in definitiva conoscere l’età, il sesso, le motivazioni, il reddito, la posizione geografica ed altri elementi relativi ai clienti, deve conoscere i loro «gusti» e le loro «aspettative» e deve essere in grado di produrre il prodotto che più si attagli al mercato come sopra individuato.

L’impresa capitalistica, ovviamente, non subisce (e non deve subire) le aspettative i gusti del mercato ma deve piuttosto «indirizzarli»: il prodotto che porta sul mercato deve quindi essere un «compromesso» fra le proprie possibilità tecniche di produzione e le aspettative del «mercato».

Uno degli strumenti più importanti per allargare il mercato è costituito dalla differenziazione del prodotto che può essere tipicamente di due specie:

a) differenziazione commerciale

b) differenziazione produttiva

Si ha differenziazione commerciale quando l’impresa produce una merce in qualche modo simile ad altre (per esempio riso, detersivo, articoli di cancelleria, borse in pelle ecc.) che l’impresa impone (o cerca d’imporre) attraverso l’adozione di una marca particolare che identifichi un prodotto che nella sostanza svolge le stesse funzioni e consente i medesimi risultati rispetto a quelli dei concorrenti.

La differenziazione produttiva è più sottile ma anche più dirompente per il sistema economico nel suo complesso e può assumere varie forme.

L’impresa può differenziare il prodotto in termini qualitativi (produrre un’automobile di lusso piuttosto che una utilitaria), può differenziare il prodotto rispetto al canale distributivo (per esempio per una impresa che produca cosmetici e profumi può essere fatale far trovare i propri prodotti sugli scaffali di un supermercato), può differenziare il prodotto rispetto alle aree geografiche (e quindi alle abitudini di consumo delle popolazioni residenti) e può differenziare il prodotto dando origine ad una integrazione produttiva di tipo orizzontale (come per esempio, rimanendo nell’ambito dei mezzi di trasporto, affiancando la produzione di automobili con una produzione di veicoli commerciali).

La maggiore sottigliezza della differenziazione produttiva rispetto a quella commerciale risiede nel fatto che attraverso essa l’impresa non soltanto s’impone (o cerca d’imporsi) con la marca ma cerca di sfruttare un maggior numero di variabili affinché il prodotto sia accettato (con successo) dal mercato.

La differenziazione produttiva ha una importante conseguenza «pratica» nella vista dell’impresa, spesso completamente tralasciata dall’analisi economica corrente: quella di gestire una gamma o una linea di prodotti che possono avere ciascuno un mercato totalmente differente ma alla fine rivestire ognuno la massima importanza per le condizioni d’equilibrio economico e finanziario.

In questa ottica ciascun prodotto della gamma contribuisce alla determinazione dell’equilibrio economico secondo una schema definito nel quale il prezzo di vendita deve essere confrontato non solo con i costi direttamente interessati alla produzione ma anche con una quota «appropriata» di costi generali che l’impresa in quanto tale deve comunque sostenere (come gli oneri del personale direttivo, le imposte da pagare o i costi della struttura societaria).

Sia che l’impresa capitalistica produca un limitato numero di merci (come una bibita molto particolare) sia che dia l’avvio alla diversificazione della produzione come più sopra indicato i rapporti di mercato possono essere sintetizzati in tre aggregati, fra di loro intimamente connessi:

a) i rapporti relativi all’acquisto dei fattori produttivi;

b) il ciclo di vita del prodotto;

c) la determinazione dei prezzi.

 

Le decisioni relative all’acquisto dei fattori della produzione sono prese in relazione ai programmi di produzione e di vendita, al costo d’acquisto dei fattori medesimi e alla loro possibilità d’impiego nella produzione.

In linea generale l’esame dei rapporti fra l’impresa e il mercato dei fattori della produzione è stato esaminato nei paragrafi precedenti e verrà ulteriormente approfondito nei capitoli direttamente interessati alla distribuzione del reddito prodotto.

Nel presente paragrafo è importante rendersi conto che le decisioni relative all’acquisto dei fattori e degli strumenti della produzione attengono massimamente ai risultati «commerciali» che l’impresa intende raggiungere, ovvero ai mercati che intendono raggiungersi con la produzione ottenuta.

Il ciclo di vita del prodotto richiamato come elemento determinante dei rapporti di mercato attiene ad una elementare osservazione della imponente varietà di «merci» che ogni girono affluiscono sul mercato capitalistico: vi sono prodotti, come una camicia di cotone, che rimangono sostanzialmente invariato nella qualità dei tessuti impiegati e nella tecnica di produzione (anche se diviene automatizzata) e vi sono prodotti (come il computer) che sono soggetti ad un cambiamento tecnologico praticamente ininterrotto.

Dal punto di vista dell’impresa capitalistica il ciclo di vita del prodotto può essere diviso in quattro fasi ben distinte:

1) introduzione

2) sviluppo

3) maturità

4) declino

 

Ogni prodotto attraversa le fasi indicate anche se non tutti i prodotti hanno «tempi» uguali per ogni fase ciclica.

In ciascuna fase del ciclo di vita del prodotto l’impresa si trova difronte ad una serie di problemi che attengono:

1) alla gestione del prodotto in questione;

2) alla gestione del prodotto in relazione alla gamma di

produzione intrapresa;

3) alla gestione del prodotto in relazione alla concorrenza.

 

Il ciclo di vita del prodotto ha ovvie ripercussioni sull’organizzazione della produzione, sul tipo di impianti e materiali da acquisire, sul tipo di manodopera occorrente ed altri elementi ancora ma ciò che sembra essere più importante, nell’attuale esame, è il rapporto che necessariamente viene a crearsi fra il ciclo di vita del prodotto e lo sviluppo dell’impresa.

L’impresa capitalistica che opera con una gamma molto ampia di prodotti molto difficilmente vedrà «allineati» i diversi cicli di vita di ogni prodotto: vi saranno prodotti appena immessi sul mercato (quindi nella fase di introduzione) che richiedono specifiche politiche di marketing affiancati da prodotti nella loro fase di sviluppo o di maturità o di declino con la conseguenza (ovvia) che l’ottenimento dell’equilibrio economico richiede non soltanto un’attenta coordinazione fra le quantità prodotte dei singoli prodotti ma soprattutto richiede un’attenta gestione di tutti gli elementi economici, finanziari, produttivi e organizzativi riferiti all’intera gamma in produzione.

L’immissione sul mercato di un prodotto, o di una gamma di prodotti, incontra l’ovvio ostacolo di «prodotti succedanei», ovvero di prodotti diversi messi in commercio da altre imprese che svolgono le stesse funzioni per gli utilizzatori finali. Il complessivo rapporto fra l’impresa e i propri concorrenti costituisce uno dei tanti problemi legati alla gestione più efficiente dell’impresa capitalistica.

Gli strumenti che l’impresa ha a disposizione per sfidare (e possibilmente vincere) la concorrenza sono il prezzo, la qualità e la gamma produttiva.

La determinazione del prezzo deve tenere in debita considerazione i costi di produzione, quindi un dato relativamente oggettivo, mentre la fissazione di uno standard definito di qualità del prodotto e della gamma produttiva sono determinati soprattutto da considerazioni di strategia aziendale attraverso la quale si individua il proprio «segmento» di mercato e si cerca di acquisire in esso la più alta quota di mercato possibile.

Il sistema capitalistico è una «immane raccolta di merci» e le imprese capitalistiche producono praticamente ogni genere di cosa: dall’aereo, a una diga, a un macchinario industriale, a un computer fino a merci più tradizionali come derrate alimentari, abiti, prodotti medici o cacciaviti e penne per scrivere ed è ovvio che ciascun prodotto ha un proprio mercato per così dire naturale nel quale colore che producono (le imprese) e coloro che acquistano (i consumatori) hanno delle precise motivazioni di vendita e d’acquisto.

La motivazione di vendita delle imprese è spesso trasparente e consiste nel ricavare un profitto dalla fabbricazione e commercializzazione di una certa merce ma spesso una trasparenza così chiara si può rivelare controproducente ai fini della collocazione del prodotto (particolarmente di certi prodotti, come i medicinali o i beni di largo consumo ma di carattere pluriennale che richiedono all’acquirente una elaborazione importante di tutta la fase di acquisto, come per una vettura).

Divengono così importanti le motivazioni d’acquisto da parte dei consumatori e, per conseguenza, diviene particolarmente importante per l’impresa conoscere (e interpretare) tali motivazioni: il successo commerciale dell’impresa capitalistica è grandemente legato a questa circostanza che esige nei fatti una vera e propria struttura organizzativa (il marketing) che condiziona tutta la vita dell’impresa (e quindi la scelta e la fabbricazione del prodotto).

Come più sopra messo in evidenza l’impresa capitalistica ha un ruolo essenzialmente specializzato nella produzione anche quando si trova, nel proprio più grande sviluppo, a gestire una gamma molto ampia di prodotti. La specializzazione produttiva è prima di tutto una conseguenza immediata e diretta della divisione del lavoro e del progresso tecnico ma con l’evoluzione del sistema in generale, cui la singola impresa dà il proprio contributo più o meno consistente, è il mercato dei consumatori che esige una crescente specializzazione della produzione, quindi una più profonda differenziazione del prodotto e mentre in un sistema capitalistico nella fase di avvio è sufficiente, per esempio, individuare il mercato dell’arredamento in un sistema capitalistico più avanzato, e più maturo, tale mercato dell’arredamento è inevitabilmente segmentato in diversi «settori» che cercano ognuno di cogliere una fetta di mercato per così dire privilegiato o preferenziale, in modo da ottenere un elevato grado di fedeltà anzitutto al prodotto e quindi alla marca.

L’impresa capitalistica, ovvio, non subisce mai i gusti del consumatore ma cerca piuttosto di anticiparli cercando di confezionare i prodotti adattandoli alle sue preferenze per fare la cui cosa deve necessariamente compiere uno studio di mercato.

Tali studi di mercato sono, del resto, una conseguenza naturale e imprescindibile per l’economia dell’impresa capitalistica che per approntare i propri processi produttivi deve sottoporsi a ingenti investimenti finanziari e tecnici ed è quanto meno ovvio che vi sia una preliminare valutazione del rischio di mercato, del rischio cioè che il prodotto rimanga fermo nei magazzini dell’impresa, e altresì che tale rischio sia in qualche modo fronteggiato attraverso uno studio dei potenziali acquirenti del prodotto.

La mente umana è quanto mai complessa e, in molti casi, imponderabile ma l’impresa capitalistica ha necessità di «numeri» e non semplicemente di menti brillanti e per far fronte a tali complessità e imponderabilità mette in atto tutte le proprio risorse umane, economiche, finanziarie e organizzative ed è ovvio che quanto più grande è l’impresa tanto più potente è l’organizzazione sotto profilo economico e finanziario ma soprattutto nella sua qualità di «persuasore occulto» sicché si assiste nei sistemi capitalistici maturi ad un «rovesciamento» delle funzioni di marketing da parte delle imprese che non analizzano più il mercato esistente e potenziale per far comprare la propria merce ma si servono delle sottili armi della psicologia e delle potenti armi economiche in loro possesso per creare dal nulla bisogni nei consumatori imponendo loro un ricambio molto rapido di beni tipicamente durevoli quali automobili o frigoriferi o inducendoli nell’acquisto di beni cosiddetti «voluttuari» quali il tabacco, confezioni di lusso o, in modo più subdolo e insidioso, generi alimentari «dietetici».

L’allargamento dei generi prodotti determina sia un aumento delle imprese esistenti sia, soprattutto, una diversificazione produttiva dell’impresa che utilizzando gli strumenti giuridici messi a disposizione dall’ordinamento compie una intensa differenziazione produttiva attraverso la costituzione di «società» ognuna delle quali è, nell’apparenza giuridica, indipendente dall’altra anche se in effetti il controllo è della cosiddetta società-madre.

In questo modo si dà vita alle cosiddette «conglomerate» che producono ogni genere di cose e di servizi attraverso le quali si ottengono dei risultati per così dire «preziosi».

Infatti dal punto di vista economico tale conglomerate mantengono una sostanziale unità, nel senso che la direzione strategica del gruppo è accentrata nella società-madre, quindi nelle mani e nella mente di pochi qualificati manegers, ma dal punto di vista giuridico-formale rappresentano una schiera di imprese all’apparenza indipendenti con la conseguenza di non poco conto che l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale di ciascuna impresa del gruppo è in qualche modo indipendente sia da quello delle altre imprese sia da quello della società-madre. In realtà, ma la questione sarà esaminata in capitoli più oltre, la società-madre diviene l’espressione più pura dell’impresa capitalistica istituita per le sole esigenze economico-finanziarie dell’imprenditore che è interessato semplicemente alla percezione, alla fine di ciascun esercizio, del cosiddetto «dividendo» che le società-satelliti fanno pervenire alla società-madre e, quindi, alla tasche del capitalista che in tal modo ha frazionato il rischio finanziario dell’impresa, detiene un forte potere di mercato attraverso il «semplice» controllo del «pacchetto di maggioranza» e, più di tutto, dissimula attraverso lo strumento giuridico della società le dimensioni effettive della produzione economica (valore aggiunto), del capitale investito e, più in generale, della effettiva portata della produzione posta in essere dal gruppo aziendale e societario.

Questa configurazione dell’impresa capitalistica finisce per essere la più comune nei sistemi «maturi» e conferisce una particolare connotazione non soltanto alla propria natura di «strumenti di produzione» ma all’intero sistema economico nel quale si formano dei veri e propri «giganti produttivi» che acquistano un potere economico, politico e sociale, movendo capitali finanziari, risorse economiche e uomini praticamente in ogni parte del pianeta.

Ma la cosa più inquietante di tale sistema è che le condizioni economiche, finanziarie, patrimoniali e organizzative di tali «giganti produttivi» non possono non essere debitamente programmate affinché essi non affondino o comunque non subiscano un processo di disgregazione economica, solo che tale programmazione (inevitabile e indispensabile per loro) diviene un fattore altamente condizionante dell’ambiente sociale e economico dando origine a conflitti di non poco conto e rendendo il consumatore finale un «semplice» strumento da manipolare attraverso opportune tecniche di vendita.

 

7. - Economicità di gestione. - L’impresa capitalistica è preordinata, forse più di qualunque altra istituzione economica, all’ottenimento di un profitto «congruo» soprattutto per chi ha investito in essa capitali. Ma L’impresa capitalistica ha anche la duplice veste di istituzione durevole nel tempo e di organizzazione economica che riveste una spiccata natura «sociale» nel senso che, per dimensioni e per il tipo di produzione posta in atto, è in grado di modificare sia con i propri insediamenti che con i propri prodotti in modo duraturo l’ambiente che la circonda.

L’ottenimento dell’equilibrio economico è già stato definito come una sapiente amministrazione dei parametri che definiscono la dimensione e tale rimane anche in questo contesto sono che è necessario ora esaminare in modo dettagliato gli elementi che qualificano la suddetta «sapiente amministrazione» in modo che sia chiaro in che modo l’impresa capitalistica è al medesimi tempo un fenomeno «privato» e un fenomeno «sociale».

Le posizioni di equilibrio dell’impresa capitalistica devono essere esaminate tenendo conto di tre «classi» di elementi che riguardano:

1) la carattere durevole (e non speculativo) dell’impresa;

2) la struttura tecnico-organizzativa dell’impresa;

3) la persistente presenza di rischi che gravitano attorno ad essa.

Poiché si sta esaminando un fenomeno assai concreto e non un concetto metafisico è chiaro che gli elementi sopra indicati devono essere immediatamente tradotti in termini «operativi» affinché l’equilibrio economico dell’impresa capitalistica non rimanga nella concezione «filosofica» degli economisti ma si traduca in ricchezza prodotta e distribuita nel sistema economico. Affinché ciò accada i tre principi sopra indicati devono rispettivamente tradursi in:

1) analisi delle fasi della vita dell’impresa;

2) analisi della «combinazione produttiva»;

3) analisi dei rischi gravanti sulla gestione.

 

Al pari del ciclo di vita del prodotto anche per la vita dell’impresa è possibile individuare alcune fasi ben precise che possono essere così schematizzate:

1) la fase istituzionale;

2) la fase operativa ordinaria;

3) la fase terminale.

 

La fase istituzionale, corrispondente all’introduzione per il prodotto, attiene all’impianto dell’impresa, quindi alla definizione del «settore» merceologico di appartenenza, alla forma giuridica più opportuna e, ovviamente, alla dimensione appropriata.

La fase operativa ordinaria, corrispondente allo sviluppo e alla maturità, attiene in modo specifico alla combinazione produttiva e all’attività finanziaria dell’impresa, indirizzate alla creazione e alla distribuzione della ricchezza economica.

La fase terminale, corrispondente al declino, attiene al dissolvimento economico e giuridico dell’organizzazione dell’impresa che può avvenire sia per volontà del soggetto cui fa capo l’impresa sia per motivi di ordine «patologico» quando cioè l’impresa si trova in una situazione d’insolvenza e non vi sono prospettive concrete di ripristinare l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale.

Come è facile intuire sia la «combinazione produttiva» che i rischi aziendali s’intrecciano in modo indissolubile con ciascuna fase della vita dell’impresa e, come già detto in precedenza, la gestione del rischio diviene l’essenza stessa dell’impresa capitalistica.

La combinazione produttiva altro non è che il coordinamento dei vari parametri relativi alla dimensione e la trasformazione economica di tali parametri è regolata, quando il fine dell’impresa diviene l’equilibrio economico durevole, da tre circostanze:

1) il rapporto fra i fattori produttivi;

2) il rapporto fra l’impresa e l’ambiente in cui opera;

3) il rapporto fra le varie e numerose «operazioni» aziendali.

 

I fattori della produzione possono essere così classificati:

a) Beni strumentali (o capitali)

b) Lavoro manuale e intellettuale;

c) Merci e materie prime;

d) Servizi all’impresa.

 

Una prima ovvia e apparentemente banale classificazione attiene alla diversa tipologia di costi cui i fattori della produzione danno origine:

 

1) Fattori produttivi a costo anticipato,

per Beni capitali e Materie prime

 

2) Fattori produttivi a costo posticipato,

per Lavoro e Servizi all’impresa

 

I Beni capitali e le Materie prime entrano nella combinazione produttiva attraverso il loro costo di acquisizione che è trasformato in costi di utilizzazione via via che il processo produttivo ha il proprio decorso. Il fatto di essere «a costo anticipato» impone all’impresa il problema, più sopra esaminato, del finanziamento e sotto il profilo economico pone il rischio della non integrale utilizzazione.

L’impresa capitalistica è tradizionalmente operante in regime di alti costi anticipati e specificatamente in costi attinenti ai beni capitali ma tali beni non devono poi suscitare più di tante apprensioni, soprattutto a livello analitico. Per l’impresa capitalistica l’investimento in attrezzature produttive costituisce un «normale» costo di gestione che si riferisce ad un fattore che ha una durata pluriennale: in qualche modo tutti gli altri fattori della produzione devono essere «adattati» alle caratteristiche tecniche e economiche di tali attrezzature e lo stesso equilibrio economico e finanziario deve essere valutato in funzione della loro durata economica in modo che l’impresa sia pronta per il loro rinnovo quando il loro ciclo produttivo è concluso.

Vi è un aspetto particolarmente importante che attiene ai beni capitali, vale a dire la loro duplice natura di «mezzi tecnici» e di «mezzi economici». La natura di mezzi tecnici dei beni capitali impone all’impresa un razionale e possibilmente integrale impiego, la natura di mezzi economici impone invece un costante impiego di mezzi finanziari che possono essere reperito sia dalla gestione corrente che da finanziatori esterni all’impresa (compresi i proprietari).

L’utilizzazione produttiva dei mezzi tecnico implica, per un mero fatto fisico, un loro decadimento più o meno lento a seconda del tipo di operazioni che sono chiamati a compiere e della loro durata «fisica». Insieme al decadimento tecnico-produttivo i mezzi destinati alla produzione sono anche soggetti ad un decadimento economico che è tanto più sostenuto quanto più il progresso tecnologico attinente sia ai processi produttivi che ai prodotti si sviluppa.

Nella gestione dell’impresa vi sono quindi in ogni istante un grado di «decadimento fisico» e un grado di «decadimento economico» dei mezzi di produzione che incide ovviamente sulla produzione economica e, per conseguenza, sulla distribuzione della ricchezza prodotta.

La gestione dell’impresa capitalistica si trova così alle prese con il problema della gestione tecnico-produttiva dei mezzi di produzione e con il relativo finanziamento e mentre nelle loro qualità «tecniche» i beni capitali impongono un rinnovo costante in realtà esigono un immobilizzo altrettanto costante di capitali sotto il profilo finanziario sicché si può affermare che una delle condizioni di economicità dell’impresa capitalistica sia precisamente quella di mantenere un equilibrio tecnico-finanziario fra capitali investiti e rinnovo produttivo dei beni capitali.

Le materie prime e sussidiarie sono l’altro importante elemento dei Fattori produttivi a costo anticipato il cui acquisto è sostanzialmente determinato dalla dimensione «presunta» del processo terminale di produzione e la cui utilizzazione è determinata dalla dimensione «effettiva» del processo medesimo.

La trasformazione delle materie prime in prodotto finito costituisce la produzione tecnica dell’impresa e quindi il momento «produttivo» in quanto tale coinvolgente tutti i fattori della produzione e, come più sopra visto, tutti i parametri della dimensione.

Per trasformare tecnicamente le materie prime in prodotto finito è necessario utilizzare i mezzi di produzione, avvalersi dei «servizi alla produzione» e, soprattutto, impiegare produttivamente la forza-lavoro in carico all’impresa.

I servizi di lavoro e i servizi all’impresa costituiscono i Fattori a costo posticipato poiché l’impresa paga in funzione della loro utilizzazione e quindi non necessitano, in linea generale, di finanziamenti preventivi.

L’introduzione dei servizi di lavoro nello schema della produzione capitalistica comporta una sostanziale modifica delle condizioni di equilibrio economico-finanziario e quindi una sostanziale modifica della relativa analisi.

La classificazione sopra indicata fra Fattori a costo anticipato e Fattori a costo posticipato rimane nella propria essenziale semplicità ma è appena il caso di prendere atto che sotto il profilo economico mentre i beni capitali, le materie prime e i servizi all’impresa si riferiscono a «cose», essenziali per la produzione ma pur sempre «cose», i servizi di lavoro si riferiscono a prestazioni a pagamento più o meno qualificate sotto il profilo professionale di persone.

Questa importante differenza pone un immediato problema per le condizioni di economicità dell’impresa che può essere così stigmatizzato.

I beni capitali, le materie prime e i servizi all’impresa, che per comodità espositiva possono essere definiti quali «strumenti della produzione», concorrono alla formazione dei risultati economici attraverso il loro costo di acquisizione, trasformato debitamente in costo di utilizzazione, che è comunque determinato una volta per tutte all’atto della stipulazione del contratto di acquisto dal parte dell’impresa: se amministratori particolarmente poco avveduti acquistano un macchinario per X unità monetarie quando la stessa impresa fornitrice fa pagare ad altre imprese «più avvedute» un prezzo Y più basso, per esempio, del quaranta per cento per l’impresa acquirente il costo che va a gravare sulla gestione economica è in ogni caso X e tale rimarrà sino alla completa utilizzazione del macchinario. Una situazione di questo genere è praticamente impossibile da ottenere nel caso dei servizi di lavoro il cui costo di utilizzazione varia in funzione della quantità e della qualità del lavoro svolto, dove siffatte quantità e qualità sono determinate sulla base di un coinvolgimento fisico e psichico del lavoratore all’impresa intesa come organizzazione economica. Una delle «spine» del sistema capitalistico attiene precisamente alla valutazione economica della quantità e della qualità del lavoro svolto che significa, in pratica, determinare il «valore del lavoro» immesso nel processo di produzione. E poiché la determinazione di tale valore implica in che modo la ricchezza prodotto è distribuita non fra i Fattori della produzione ma fra le persone che partecipano direttamente o indirettamente alla produzione la determinazione del valore suddetto non costituisce un mero calcolo economico ma diviene un modo importante, forse il più importante, per definire le condizioni di vita (materiale e spirituale) di coloro che sono impiegati, nelle varie forse possibili, nell’impresa.

Gli aspetti attinenti alla determinazione del valore del lavoro costituiscono un problema che sarà ampiamente esaminato in appositi capitoli e sezioni del presente Saggio e ad essi si rimanda. Nella presente analisi è importante acquisire le cognizioni economiche fondamentali per legare il valore del lavoro agli altri costi di utilizzazione e quindi individuare i fattori determinanti l’equilibrio economico e finanziario dell’impresa.

Dal punto di vista dell’impresa il valore del lavoro rappresenta un costo di gestione al pari delle attrezzature o delle materie prime ed in quanto tale deve essere compatibile con l’equilibrio economico. Affinché tale compatibilità sia operante è necessario che vi siano dei rapporti molto precisi non solo fra il valore del lavoro e il costo degli strumenti della produzione complessivamente impiegati ma anche fra tutti i diversi «fattori produttivi». In altri termini la combinazione aziendale deve dare origine ad un rapporto fra i vari fattori che da un lato «minimizzi» i costi di produzione e dall’altro «massimizzi» i risultati ottenuti. La minimizzazione dei costi e la massimizzazione dei risultati non deve essere intesa in senso matematico ma piuttosto come il risultato di una serie di azioni economiche che tengano conto dei reciproci vincoli tecnici ed economici che legano non solo la produzione in senso tecnico ma il complessivo sistema dei valori economici e finanziari che fanno capo all’impresa.

La combinazione fra i vari fattori della produzione sarà ovviamente differente nelle varie fasi aziendali: nella fase istituzionale sarà soprattutto prevalente l’aspetto programmatico della combinazione produttiva, in quella operativa saranno invece i risultati ottenuti e quelli che si vogliono ottenere a dare il principale apporto alla definizione di tale combinazione mentre nella fase terminale l’obiettivo primario sarà quello di liquidare ai prezzi più convenienti fattori produttivi ormai non più utilizzabili o di difficile utilizzazione.

Un altro aspetto rilevante attinente alla combinazione dei fattori della produzione riguarda il rapporto fra i risultati «tecnici» ottenuti e il grado di assorbimento del mercato.

Il grado di assorbimento del mercato influenza l’equilibrio economico dell’impresa attraverso due parametri fondamentali:

 

1) il prezzo

2) le quantità vendute

 

La determinazione del prezzo costituisce uno dei momenti più importanti e delicati della gestione d’impresa, in quanto occorre tenere conto dei costi di produzione, della domanda potenziale, della concorrenza e, come specificato nel precedente paragrafo, del ciclo di vita del prodotto.

Le decisioni relative al prezzo sono influenzate, quindi, dalla complessiva struttura economico-finanziaria dell’impresa e della sua capacità di imporre al mercato le proprie merci o i propri servizi.

Il prezzo e le quantità vendute definiscono, nella loro semplice moltiplicazione, il volume d’affari dell’impresa che può essere appena sufficiente a garantire l’equilibrio economico oppure determinare profitti spropositati o, in caso sfortunato, perdite consistenti.

Il volume d’affari così ottenuto non è però il sole elemento positivo dell’equilibrio dell’impresa in quanto occorre tenere conto dei cosiddetti «effetti finanziari» della gestione, effetti legati non tanto alla gestione produttiva in senso stretto quanto alla gestione complessiva dell’impresa e, quindi, dei suoi capitali economici e finanziari.

L’impresa capitalistica è un organismo con una forte connotazione finanziaria, anche se la sua immagine è spesso legata a imponenti macchinari o impianti di produzione e tale carattere finanziario si manifesta in ogni operazione di acquisto dei fattori della produzione, di cessione dei prodotti finiti, di gestione delle scorte, di gestione dei crediti e dei debiti e, più in generale, di gestione della «liquidità» che può essere ottenuta sia con le normali operazioni di gestione che con operazioni di carattere straordinario.

La gestione finanziaria dell’impresa capitalistica ha inoltre un aspetto palese ed uno occulto, spesso dimenticato dalle correnti analisi economiche.

L’aspetto palese è quello relativo alla gestione della liquidità nella sua forma di denaro liquido o prontamente liquidabile nonché dei crediti e dei debiti a breve scadenza, la gestione occulta (ma è occulta solo per che non amministra le imprese, come gli economisti, è quella relativa alla circostanza che ai costi sostenuti non corrisponde sempre una uscita monetaria immediata così come ai ricavi conseguito non corrisponde sempre una entrata immediata e tale asincronia fra ricavi-costi e entrate-uscite costituisce, in effetti, uno degli aspetti che più influenza l’equilibrio economico, segnatamente quando le dimensioni dell’impresa divengono rilevanti.

La gestione degli andamenti finanziari può in effetti determinare fonti netti di liquidità per l’impresa, che quindi può investire proficuamente in attività non prettamente industriali così come può determinare fabbisogni netti di liquidità, costringendo l’impresa a ricorrere al credito, con relativo oneri finanziari che gravano sulla gestione, ovvero a chiedere al titolare o ai titolari ulteriori immissioni di mezzi finanziari.

E’ possibile senza dubbio affermare che nelle imprese capitalistiche di più grandi dimensioni la gestione «industriale» e la gestione «finanziaria» costituiscono due elementi fra di loro intimamente collegati e imprescindibili e se proprio diviene necessario individuare un elemento determinante del complessivo equilibrio economico tale elemento è sicuramente quello finanziario.

La combinazione dei fattori produttivi e i rapporti con i mercati di acquisto e di vendita pongono l’impresa in diretto contatto con l’ambiente in cui opera e tale contatto «ambientale» diviene un’altra delle determinanti dell’equilibrio economico.

Il contatto «ambientale» dell’impresa avviene in modo specifico attraverso il mercato dei fattori della produzione e il mercato di collocazione del prodotto e in generale attraverso le condizioni sociali e politiche in cui l’impresa svolge la propria attività economico-produttiva.

Il mercato dei fattori della produzione è in generale un mercato di rapporti fra le imprese, mercato del lavoro escluso, e riguarda l’acquisto di beni capitali e materie prime ma nel sistema capitalistico è presente un vasto mercato che fornisce alle imprese il fattore della produzione per eccellenza, vale a dire il denaro: tale mercato è noto come «mercato finanziario» (o del credito).

Il mercato finanziario fornisce all’impresa non solo i capitali nella loro forma canonica di «mezzi monetari», producendo ovviamente per l’impresa medesima un costo denominato «oneri finanziari» o interessi, ma fornisce anche una più vasta gamma di servizi finanziari che tendono tutti a finanziare sia l’acquisto di fattori della produzione che la cessione dei prodotti finiti: accanto all’impresa capitalistica di carattere «industriale» nasce una impresa capitalistica di carattere «finanziario» che ha come oggetto della propria attività la gestione del denaro, o meglio la circolazione del denaro.

L’influenza del mercato finanziario sull’equilibrio economico riguarda anzitutto il costo del credito ma riguarda anche le diverse possibilità di finanziamento concretamente disponibili e in definitiva si risolve in un rapporto fra le imprese industriali e le imprese finanziarie che possono condizionare, in determinante circostanze, lo sviluppo della produzione e le relative posizioni di equilibrio economico delle imprese industriali.

Le condizioni sociali e politiche in cui l’impresa si trova ad operare vanno dalle «interferenze legislative» sulla gestione, ai rapporti con le organizzazioni sindacali, a quelli con l’amministrazione finanziaria sino ad arrivare ai rapporti con l’ambiente, inteso nel senso fisico e biologico.

E’ indubbio che lo sfruttamento continuo delle risorse naturali così come la continua emissione di «detriti» derivanti dall’attività tecnico-produttiva contribuisce a modificare l’ambiente così come è dato in natura e a pregiudicare in qualche modo lo sviluppo futuro della stessa attività industriale.

Ma nel sistema capitalistico il rapporto fra sistema e ambiente diviene soprattutto importante in conseguenza delle relazioni individuate alla fine del precedente paragrafo.

L’impresa capitalistica che assume vaste dimensioni in termini produttivi, finanziari, economici e d’organico a disposizione non tanto influenza l’ambiente ma lo condiziona spesso in modo pesante sia attraverso l’immissione sul mercato di una quantità immensa di prodotti sia attraverso i rapporti socio-economici che pone in atto con i dipendenti o con altre imprese.

Che i dipendenti debbano comportarsi secondo determinate regole economiche e organizzative è ovvio, chiaro e in qualche modo persino naturale se l’impresa capitalistica vuole istituirsi, mantenersi e svilupparsi mentre nei rapporti con le altre imprese i rapporti si presentano, per così dire, variegati. Vi sono imprese che forniscono determinate materie prime e hanno dimensioni tali da istituire rapporti economici per così dire «paritetici» con le grandi imprese industriali ma vi sono imprese che non solo hanno delle dimensioni economiche e produttive molto più ridotte e quindi con dei margini di contrattazione grandemente più bassi ma in molti casi tali unità produttive più modeste hanno come unico mercato una determinata grande impresa (come per esempio un’impresa di ristorazione che fornisce i pasti alle maestranze o una piccola impresa meccanica che fornisce alla grande impresa una particolare «pezzo»).

In questi casi la sopravvivenza di molte piccole imprese è legata allo sviluppo della grande impresa ma anche alla strategia produttiva che essa ritiene più conveniente cosicché le scelte di gestione della grande impresa hanno diretta influenza sulla struttura produttiva, e quindi sull’ambiente, non soltanto ad essa direttamente pertinente ma anche, a quella ben più vasta, del cosiddetto «indotto».

In un tale contesto si viene così a creare una fitta connessione di poteri e di conflitti fra le diverse imprese che costituisce uno degli aspetti sicuramente meno edificanti (anche sotto il profilo economico) del sistema capitalistico. Se l’equilibrio economico dell’impresa è il risultato del coordinamento fra i vari parametri della dimensione e della loro trasformazione in quantità economiche e se tale equilibrio è valevole per tutte le imprese è chiaro che le maggiori dimensioni di una impresa rispetto ad un’altra possono determinare (e di fatto determinano) una sostanziale diseguaglianza economica e tale diseguaglianza economica diviene spesso un ostacolo, per le imprese di più modeste dimensioni, a gestire in modo libero e razionale (vale a dire secondo i canoni della corretta amministrazione) le proprie risorse economiche, finanziarie e organizzative essendo la predetta gestione condizionata dalle scelte delle imprese più grandi e più «organizzate».

In altri termini il sistema delle imprese non sempre è caratterizzato da armonie e sinergie e ciò che spesso viene classificato come «concorrenza» in realtà è poco più di un eufemismo per indicare una situazione nella quale la grande impresa sia attraverso «politiche di prezzo» sia attraverso altre strategie di gestione condiziona non solo lo «standard» del mercato ma la vita stessa delle imprese di più ridotte dimensioni che spesso devono abbandonare il mercato o fondersi con l’impresa più grande.

Fra i vari fattori che incidono sulla formazione dell’equilibrio economico l’intreccio e i rapporti fra le varie e numerose operazioni che sono poste in essere sia dalla direzione che da tutti coloro che partecipano alla vita dell’impresa costituiscono forse l’elemento più oscuro anche se dovrebbe essere sufficientemente evidente che le operazioni aziendali non possono non essere fra loro coordinate affinché l’equilibrio economico possa essere raggiunto e questo, soprattutto, per le imprese di maggiori dimensioni dove non è certo pensabile che sia lasciata all’iniziativa del singolo la decisione se compiere o meno una certa operazione, in che termini e in che tempi.

Questo elemento dell’equilibrio economico fa riferimento soprattutto all’impresa nella sua qualità di organizzazione economica e deve essere chiaro per chi amministra l’impresa che l’ottenimento di determinati programmi produttivi o di determinati livelli di vendita sono connessi al buon funzionamento dell’apparato organizzativo il quale esige per gli addetti precise attitudini alla fedeltà aziendale, alla disciplina e all’ordine.

Tutti gli elementi che concorrono alla determinazione dell’equilibrio economico come sopra individuati sono incessantemente soggetti ad una serie più o meno consistente di rischi che insidiano l’equilibrio economico. Conformemente a quanto individuato come determinanti per l’equilibrio economico si possono individuare tre grandi classi di rischi:

1) rischi attinenti alla combinazione dei fattori produttivi;

2) rischi attinenti ai rapporti fra l’impresa e l’ambiente;

3) rischi attinenti alle operazioni aziendali.

 

La combinazione dei fattori produttivi dà all’impresa capitalistica due risultati, fra loro strettamente connessi:

1) una produzione di merci o di servizi, già definita nel presente saggio, «produzione tecnica»:

2) una produzione di valori economici, già definita «produzione economica».

In linea generale è quindi possibile individuare una produttiva tecnica ed una produttività economica ed è chiaro che differenti combinazioni di fattori produttivi danno origine a differenti risultati tecnici ed economici, quindi a differenti produttività.

Il rischio attinente alla combinazione dei fattori della produzione attiene precisamente al fatto che la combinazione prescelta non dia sotto il profilo tecnico o sotto il profilo economico la produttività presunta o, nell’ipotesi peggiore, che né tecnicamente né economicamente la produttività raggiunta sia soddisfacente.

Il concetto di produttività dei fattori della produzione può essere inteso sotto due accezioni, sostanzialmente:

a) come generale attitudine ad ottenere un certo risultato produttivo;

b) come attitudine a concorrere, concretamente, alla produzione insieme a tutti gli altri fattori della produzione.

 

La produttività del singolo fattore produttivo è non solo scarsamente significativa ai fini della comprensione dell’equilibrio economico ma può persino divenire irrilevante in una determinata «combinazione produttiva».

E’ certamente possibile a livello matematico collegare un certo risultato ad una determinata «quantità» di fattore produttivo impiegato ma si può affermare con una certa tranquillità che tale connessione è poco più di un esercizio matematico e che se l’equilibrio economico dell’impresa fosse un «semplice» esercizio matematico con ogni probabilità i matematici e gli economisti anziché scrivere ponderosi trattati di economia farebbero gli imprenditori.

Il fattore produttivo, sia esso la merce o il lavoro, entra nella combinazione produttive con le proprie caratteristiche tecniche e con le proprie «attitudini» produttive e il primo rischio in cui incorre l’impresa è che la quantità e la qualità dei fattori produttivi impiegati diano i risultati sperati, ovvero che la quantità prodotta raggiunga i livelli programmati.

Una volta raggiunti tali livelli si è però giunti al primo stadio della produzione, che è quello relativo al prodotto «tecnico»; a questo punto occorre trasformare la quantità prodotta in ricavi per l’impresa, quindi è necessario cedere sul mercato detta quantità a prezzi che siano in grado di coprire i costi sostenuti per la produzione nonché di lasciare un «congruo» margine per chi ha investito capitale nell’impresa.

La trasformazione delle quantità prodotte in ricavi, quindi in denaro, costituisce uno dei problemi più importanti dell’impresa capitalistica che, più grandi sono le sue dimensioni, affronta con un apparato amministrativo attrezzato all’uopo e che prende il nome di «marketing» attraverso il quale si studia il prodotto, il canale più conveniente per portarlo sul mercato, le varie forme di pubblicità, il prezzo e altri elementi ancora (come del resto già più sopra visto).

Nella fase di trasformazione della quantità prodotta in denaro per l’impresa i rischi che vengono corsi sono diversi e tutti piuttosto importanti in quanto una collocazione parziale o a prezzi più bassi di quelli previsti è in grado di compromettere l’equilibrio economico complessivo.

Il rischio relativo ai rapporti fra l’impresa e l’ambiente costituisce forse l’aspetto più eclatante della posizione di equilibrio dell’impresa, quello cioè che porta la medesima a produrre merci e ricchezza attraverso l’utilizzazione dei fattori della produzione ma che la porta anche alla conoscenza dell’ambiente in cui opera e, se si tratta di grandi imprese, tale ambiente diviene facilmente l’intero pianeta.

In tali evenienze l’impresa deve fare i conti anche con fattori non propriamente produttivi o aziendali, come per esempio una legge o, qualche volta, un movimento d’opinione che, data una particolare produzione, impedisce o ostacola lo svolgimento produttivo così come delineato dall’amministrazione.

Ma a parte alcuni settori «particolari» è chiaro che quando una impresa raggiunge determinate dimensioni diviene inevitabilmente oggetto di attenzioni da parte dei consumatori, dei cittadini, dei poteri politici e, anche, di taluni poteri più o meno occulti che cercano di impadronirsi dell’impresa non per produrre ricchezza o dare occupazione ma semplicemente per un utilizzo a fini personali, magari per finanziare attività illecite.

In questi casi l’impresa perde le proprie caratteristiche economiche e perde la propria essenza più profonda di istituzione fondata sull’organizzazione di mezzi, uomini e capitali.

Il consolidamento dell’equilibrio economico di molte grandi imprese passa anche, in questo modo, attraverso la cosiddetta «cura dell’immagine» che significa in definitiva acquisire presso i consumatori, ma in generale presso la società civile in cui opera, un «peso politico» che le consenta, per esempio, di lanciare con relativa tranquillità sul mercato un prodotto particolarmente innovativo che il consumatore, debitamente stimolato da una campagna pubblicitaria, decide di acquistare non tanto per il prodotto in sé quanto perché prodotto da quella particolare impresa.

In questi rapporti fra impresa e ambiente è evidente come il rischio sia particolarmente presente e possa essere molto determinante ai fini dell’equilibrio economico visto che, per dire, il sistema capitalistico ci ha abituati a vedere «prodotti» di dubbia qualità ma adeguatamente sorretti da una campagna pubblicitaria divenire prodotti di successo: la politica dell’impresa è precisamente quella di accreditare presso il pubblico una certa immagine si sé e, una volta riuscita nell’intento, produrre merci con uno standard qualitativo relativamente modesto.

Per ciò che attiene ai rischi relativi ai rapporti fra le diverse operazioni aziendali è appena il caso di ricordare che quando l’impresa è di grandi dimensioni gli addetti, siano essi operai alla catena di montaggio o impiegati amministrativi, svolgono ciascuno poche operazioni ripetitive che necessitano sempre dello stesso ritmo e dello stesso livello qualitativo, in assenza dei quali l’intero «congegno produttivo» è capace di paralizzarsi.

Il rischio di questo genere può essere definito «organizzativo» e coinvolge un altro degli aspetti salienti dell’economia dell’impresa capitalistica che sui diversi assetti organizzativi ha fondato la propria vita e il proprio sviluppo.

Il rischio organizzativo fa capo per intero alla gestione delle risorse umane dell’impresa e, come più sopra accennato, quando entra in scena l’elemento «umano» inevitabilmente le questioni economiche divengono più complesse in quanto il «rendimento» e lo «sfruttamento» del lavoro coinvolgono degli essere pensanti che prestano la loro opera nell’impresa non per diletto ma spesso costretti da necessità di vita o, comunque, motivati dall’ottenimento di un reddito, possibilmente il più elevato possibile.

La contemporanea presenza di più fattori che incidono sulla formazione dei ricavi e dei costi e quindi dell’equilibrio dell’impresa e dalla circostanza che tali fattori presentano rischi più o meno marcati, ma comunque presenti, fa si che l’economicità di gestione costituisca qualcosa che l’amministrazione deve dapprima definire in un coerente programma a lungo termine e quindi seguire giorno dopo giorno senza farsi cogliere di sorpresa da fatti inaspettati e soprattutto da perseguire in modo metodico.

L’equilibrio economico «spontaneo» è una mera costruzione intellettuale degli economisti, forse affascinante, ma solo una costruzione intellettuale. La gestione di una impresa capitalistica è complessa, è fondata su una serie consistente di variabili tutte soggette a rischi più o meno grandi e se lasciata a se stessa comporta nel giro di breve tempo la dissoluzione della organizzazione produttiva.