Circeo, settembre 1962


I fondali prospicenti il promontorio del Circeo furono per anni il regno quasi incontrastato di numerosi squali appartenenti alle specie più pericolose dei nostri mari, come lo squalo bianco e lo smeriglio. I ripetuti incontri, più o meno cruenti per il subacqueo (e anche per lo squalo) culminarono con il drammatico attacco del 2 settembre 1962, che costò la vita al fotografo subacqueo romano Maurizio Sarra. Maurizio Sarra fu uno dei pionieri dell'attività subacquea in Italia e seppur giovane, acquistò rapidamente una grande notorietà come fotografo subacqueo. In un'epoca in cui l'attività subacquea era praticamente sinonimo di caccia, Sarra fu uno dei primi a lasciare il fucile per sostituirlo con la macchina fotografica, diventando famoso soprattutto grazie alle sue splendide foto naturalistiche. Era comunque un grande cacciatore e profondo conoscitore dei fondali della sua regione, soprattutto quelli del Circeo, all'epoca e forse ancora oggi i più belli e ricchi di tutto il litorale laziale. Era solito effettuare le sue immersioni sulla grande e bella secca del Quadro, qualche miglio a largo del lato orientale del promontorio, di solito nei suoi posti "segreti", dove cioè era sicuro di fare ottime fotografie e soprattutto di portare a paiolo sempre qualche cernia.

La secca del Quadro è un grande bassofondo di forma triangolare, con la base rivolta verso il Circeo, che si estende per molte miglia quadrate, con una profondità media di 20-40 metri e caratterizzata da gruppi sparsi di massi e qualche roccione tra vaste praterie di Posidonia. Giunto il giorno precedente da Roma, passò il sabato a fare progetti per l'immersione del giorno successivo e soprattutto per il grande viaggio in Polinesia che avrebbe dovuto intraprendere di lì a poco. La mattina della domenica, Sarra si incontra con il suo amico Massimo Gemini verso le sette e mezzo circa. L'accordo era che sarebbero dovuti andare prima a prendere una loro amica, Donatella Morandi, alla Baia d'Argento, dall'altra parte del promontorio. Sarra decide però di non perdere ulteriormente tempo, per poter sfruttare appieno la giornata e convince Massimo ad andare da solo. Prende il mare allora con la sua piccola imbarcazione, dal buffo nome di "O Maria Vergine I", dotata di un piccolo fuoribordo Johnson da 6 cavalli, in compagnia del giovane pescatore Benito Di Genova, che gli farà da assistenza rimanendo a bordo durante le sue battute di pesca. I due si allontanano dalla costa finchè riescono a prendere i rilevamenti: "la cima del Circeo aperta di mezzo palmo col Semaforo, la Villa Auget è addosso all'ultima casa di San Felice e l'albergo Neanderthal si trova sotto il sentiero spartifuoco". Cominciano a scandagliare per trovare esattamente il "Taglio di Levante" della Secca del Quadro, ad una profondità di 30 metri. Sarra inizia a vestirsi e, proprio nel momento in cui stava controllando l'erogatore, lo scandaglio a mano "batte" i fatidici 30 metri. Erano le dieci. Nel frattempo Massimo Gemini era andato a prendere l'amica Donatella alla Baia d'Argento ed era tornato al porto. Ancora vedevano in lontananza la barchetta di Sarra. Partono quasi alle dieci con un daycruiser "Bermuda", motoscafo semicabinato di 6 metri costruito dai cantieri Posillipo e dotato di un potente motore da 60 cavalli. Coprire tre miglia con una barca di quel tipo fu questione di pochi minuti e i due raggiungono la barchetta di Sarra mentre lui era immerso da una decina di minuti.

Alle dieci e un quarto si affianca alle due barche un altro motoscafo, che proviene dalla terra e che avverte i tre che poco prima avevano avvistato sotto lo sperone del faro un pescecane, con una grossa pinna dorsale grigia che svettava alta e dritta fuori dall'acqua. In quel momento riemerge Sarra che, aiutato da Benîto, butta in barca una cernia di circa 12 chilogrammi malamente arpionata. Massimo gli comunica che è stato visto nelle vicinanze un grosso squalo, ma lui facendo una smorfia si riimmerge subito, probabilmente per recuperare il fucile che stranamente era rimasto sul fondo. Sono le dieci e venti e l'immersione si preannuncia come al solito ancora lunga e ricca di altre prede. Sarra invece torna in superficie quasi subito, caccia un urlo soffocato dal boccaglio dell'erogatore, annaspa con un frenetico movimento delle braccia, poi un altro urlo e l'acqua che ribolle intorno a lui si tinge di rosso. Ma la quantità di sangue è sicuramente eccessiva per essere quella di un pesce. Sarra viene allora tirato su, mentre tiene ancora in mano la macchina fotografica, ancora non si rende conto della gravità della ferita. Prima di perdere i sensi, ha ancora lo spirito di pronunciare una battuta scherzosa tipo "però, mordono bene questi squali". La gamba sinistra era ridotta in condizioni tremende: interi fasci muscolari erano stati asportati e l'osso era messo a nudo in più parti.

Il subacqueo viene portato immediatamente al porto a bordo del veloce motoscafo dell'amico Massimo Gemini e dal Circeo, con una veloce automobile, fino all'ospedale di Terracina, raggiunto dopo mezz'ora. Immediatamente viene soccorso e, vista la grande quantità di sangue perduto, viene sottoposto a numerose trasfusioni. Il dottor De Cesare, dopo avergli riscontrato molte gravi ferite alla gamba sinistra, dalla caviglia alla coscia, tra cui la quasi completa asportazione del polpaccio, e altre meno gravi alla gamba destra, inizia l'operazione, che si protrae per 4 ore. Dopo avergli applicato ben 250 punti di sutura, il medico, vista la gravità delle ferite e il grave stato di choc in cui versa Maurizio Sarra, si riserva la prognosi. In base alle deduzioni fatte dal medico dell'Ospedale di Terracina osservando le ferite, lo squalo con il primo morso deve avergli squarciato la gamba sinistra dalla coscia al polpaccio, poi si devono essere susseguiti altri attacchi approssimativamente nello stesso punto, quando era già in superficie e si era accorto della presenza dell'animale. Maurizio Sarra rimane in vita fino a tarda notte, quando sopraggiunge una crisi che non verrà superata. Il dottor De Cesare ha riferito che il subacqueo non è morto in seguito alle ferite riportate, giudicate non estremamente gravi, ma per il forte choc irreversibile che non è regredito, nonostante le intense terapie applicate dallo staff medico.

Non è stato possibile stabilire, né allora né in seguito, l'esatta meccanica dell'attacco né tantomeno conoscere la specie di squalo responsabile della morte di Sarra. Massimo Gemini è l'unico testimone a vedere la sagoma scura di un grosso pesce che si avvicinava velocemente al subacqueo e subito dopo, una grande macchia di sangue che si spandeva nell'acqua. Le ipotesi fatte dopo l'incidente hanno identificato lo squalo come un probabile smeriglio ( Lamna nasus ) di grandi dimensioni. Lo proverebbero sia la caratteristica del morso sulla gamba di Sarra, sia gli evidenti segni lasciati dai denti dello squalo sul fodero del coltello che il fotografo portava allacciato sulla gamba destra. A favore di questa ipotesi anche le testimonianze di due anni prima dei fratelli Bucher e dello stesso Sarra, che ripetutamente osservarono un grande esemplare di squalo, che tentò anche di attaccare anche un subacqueo. La responsabilità dell'attacco, vista l'esperienza di Goffredo Lombardo del 1956 e l'avvistamento di due grandi esemplari nel 1964 potrebbe ricadere anche su un Carcharodon carcharias che si aggirava in quel vasto tratto di mare. In ogni caso, di qualsiasi specie si trattasse, lo squalo non fu più avvistato nei giorni successivi l'incidente.


Fonte: "Squali del Mediterraneo" A.Giudici - F.Fino -- ATLANTIS


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