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Pisodeuorrior
Giovanni Senzapaura

C’era una volta un uomo di nome Giovanni, ma tutti i paesani e i vicini di casa lo chiamavano Giovanni Senzapaura. Era infatti questi famoso in tutta la regione per il suo straordinario coraggio, anzi, per la sua totale incapacità a subire il minimo spavento, tanto che tutti gli amici avevano ormai smesso da anni di perseguitarlo coi loro lazzi volti a mettere alla prova la sua strana qualità.
Giovanni Senza paura era una gran celebrità nei dintorni, ed il suo nome divenne un giorno tanto famoso da attirare l’attenzione di gente ben più importante che qualche contadino o qualche amico perdigiorno.
Una sera infatti, mentre si avviava all’uscio di casa con la zappa appoggiata alla spalla e fischiando un motivetto, si sorprese nel sentire qualcosa di insolito alle sue spalle. Crick-crack facevano sempre i suoi passi sulla ghiaia del vialetto di casa. Crikki – Crakki facevano invece quella infausta notte. “Crikki-crakki? – pensò Giovanni – che rumore insolito, scommetto che qualcuno mi sta seguendo, e di soppiatto per giunta! Un altro scherzo, scommetto, ma che mi venga un colpo se mi spaventerò, parola di Giovanni”. Così si girò di botto per sorprendere a sua volta l’aggressore, e quello che vide sarebbe stato sufficiente a far morire di paura – morire, badate bene – anche il guerriero più feroce, il sovrano più fiero, il leone più selvaggio. Giovanni si trovò di fronte un gigante alto non meno di sei metri – sei, non uno di meno, credete – con zampe e testa da caprone, due corna appuntite da stambecco ed una lunga coda da serpente. Un folto ed irsuto pelo nero ne ricopriva le spalle, ed il suo sguardo feroce rosseggiava da sotto le sopracciglia ispide. Il mostro prese un grande respiro, e subito urlò con tutta la sua ira un ruggito di sfida che fece scappare tutti gli uccelli in un raggio di dieci chilometri. Il suo alito olezzava come una tomba scoperchiata, e la voce sembrava un coro di dodicimila dannati.
Ma Giovanni non si scompose, non indietreggiò di un passo. Anzi, si sputò sulle mani e impugnò saldamente la zappa. “Bada, ti avverto che se cerchi una zuffa, ti avrò accontentato per bene prima che mi si raffreddi la zuppa che è già nel piatto, capito?”
Il cipiglio del mostro si trasformò in un buffo sguardo di stupore, e subito la sua forma fu avvolta da una fitta nebbia che sapeva di zolfo, e quando questa scomparve al suo posto c’era un signore di mezza età, vestito di un elegante spigato grigio e coi capelli ben pettinati ed impomatati.
Giovanni, se non era spaventato, era quantomeno stupito: “Che mi venga un colpo, questo era un trucco abile davvero, signore, come ha fatto?”
Il signore sembrava a mezzo tra lo stupito e il divertito. “Forse che assieme alla paura ti manca anche l’intelligenza? Non hai sentito l’odore di zolfo? E non hai visto la coda? E le corna? Appuntite vero? Dai, fai uno sforzo, ragazzo, dammi una soddisfazione”.
Giovanni si grattò prima il mento e poi la cocuzza, e sembrava perplesso. “Se non fosse per l’abito direi che prima mi sembravi il diavolo in persona, ma così, sembri più un politico…”
“No­n aggiungere altro – disse il diavolo – eccomi qua, Satana in persona, al tuo servizio. Mi scuserai per l’abito ma sai, ogni tempo ha la sua iconografia, e capirai, mi sono stancato di zoppicare su due piedini da capra, non so se mi sono spiegato. Molto più comodo così, e in più si può fumare il sigaro, niente male quindi. Ma…. – e il diavolo guardò Giovanni dritto negli occhi – mi sembra di capire che tu sei il famoso Giovanni Senzapaura, quello che niente può spaventare”
“Mi chiamano così” - disse Giovanni rispettosamente.
“Ah, non ci siamo, caro Giovanni, non ci siamo proprio. Non può esserci uno che non ha paura nemmeno di me, cattiva pubblicità, capisci? Cosa diranno le mamme per spaventare i bambini? Cosa diranno i preti per gabbare i fedeli? Qui mi cade il sistema caro mio, non hai un po’ di spirito civico? Non si può fare!”
Giovanni sembrava spiaciuto. Il Diavolo incalzò: “Ma che non si dica che il Diavolo non ti trova una soluzione, non si dica proprio. Te lo risolvo io il tuo problema, senti qua. Io ho una cosa che può farti morire di strizza, di strizza pura, garantito. Anzi, facciamo una scommessa, vuoi? Io scommetto che te la faccio far sotto. Se vinci tu, io ti do quello che vuoi, se vinco io tu metti una semplice firmettina su un foglio che so io, e poi amici come prima. Non è un buon affare?”
A Giovanni sembrava un buon affare. Dopotutto lui non poteva avere paura! Era una scommessa già vinta. “Beh, ci sarebbe una cosa… sai, sto pagando il mutuo…”
“Basta così, ho capito tutto, affare fatto. Dieci minuti alle miniere infestate e il debituzzo è saldato. Affare fatto?”
“Le miniere infestate? Ma sono in un’altra regione, ed io ho la minestra in tavola!”
“Ah, ragazzo, non penserai che abbia accettato un clima terribilmente caldo e secco per tutta un’eternità senza un minimo di vantaggio eh? Ti ci porto in un secondo. Qua la mano!”
Così Giovanni afferrò la mano del Diavolo e si trovò in un batter di ciglia davanti ad una porta di legno sgangherata, tutta chiusa con catenacci arrugginiti. Si diceva che dei poveri minatori vi fossero morti in un incidente molto tempo prima, e che i loro spettri vagassero ancora per i tunnel in cerca di vittime. Il Diavolo sembrava soddisfatto, la notte era perfetta, con la luna piena e tutto il resto, la miniera era spaventosa al punto giusto e lui tirava boccate dal sigaro e soffiava fumo come fosse lo scarico di una locomotiva. E intanto scassinava i lucchetti con la punta di un artiglio.
“Ecco qua – disse – dai, che la minestra si fredda. Dieci minuti e poi ti riapro”.
Giovanni dette un occhiata al buio del tunnel, ma la sua era curiosità, non certo paura! Dopodiché fece un bel balzo ed entrò dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
Il Diavolo si sedette comodo comodo con la schiena alla porta, fumando, mentre dalle gallerie tuonavano urla come di mille belve impazzite, urla che facevano ghiacciare il sangue pure a lui, urla di anime dannate. Urla che uccidevano. “Ecco qua, penso. Che furbo che sono, o muore di crepacuore o si spaventa come un bambino. In ogni caso la sua anima è mia. Che vinca è impensabile! Con queste urla spettrali ho paura pure io! Ancora due minuti e…”
Il Diavolo interruppe i suoi pensieri, confuso. Le urla erano inspiegabilmente cessate, d’un tratto non si sentiva più niente. Anzi, no, non erano risate quelle? Risate sguaiate da festa di paese? Non era quello divertimento? Ilarità? Gaiezza? Gioia? Tutte cose che gli davano la pelle d’oca, comunque. Si infilo il sigaro in bocca, tanto che ora puntava in avanti come un cannone, e si apprestò ad aprire nuovamente i catenacci.
Scostò i battenti di un palmo, introdusse la testa per scrutare l’oscurità e…
BU!
Il diavolo fece un balzo all’indietro spaventato e stramazzò a terra stecchito come un asse da stirare.
Giovanni uscì dalla porta ridendo come un pazzo. “Ve l’ho detto che ci cascava, ragazzi! Divertente, non ve l’avevo detto? Ciao, statemi bene!”
Giovanni guardò il povero diavolo steso a terra, e sperò che avesse messo a posto le carte con la banca prima di tirare le cuoia. Si mise la zappa sulla spalla e si avviò fischiettando verso casa.
“Acciedenti – pensò – da qui ci metterò una settimana a tornare a casa. Ho paura che la mia vecchia di incazzerà di brutto!”.