Rif.02.13.C. STORIA
COLONIALE.
-------------------------------------------------------- Storia.
Anni 1911-1912. (Fase2-1912) Parte Terza.
Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it
GUERRA
ITALO-TURCA. GUERRA DI LIBIA. (Fase2-1912)
- AZIONE
NAVALE DI BEIRUT - GLI SFORZI DELLE POTENZE PER LA PACE - BATTAGLIA DEL
MERGHEB -COMBATTIMENTI DI DERNA - RICOGNIZIONE DI BIREL-TURK - LA
BATTAGLIA DELLE DUE PALME - ATTENTATO A VITTORIO EMANUELE III
- LO SBARCO A MACABEZ
Il giorno
stesso che la Camera approvava la conversione in legge del Decreto sulla
sovranità italiana in Libia, la Garibaldi e la Ferruccio, che facevano
parte della 2a divisione della 25 squadra sotto gli ordini del
contrammiraglio THAON DE REVEL, affondavano nel porto di Beirut due navi
turche. Lo stesso contrammiraglio ne dava comunicazione all'ammiraglio
Faravelli, comandante della 2a squadra con questo telegramma:
"Ho sorpreso all'alba nel porto di Beirut la cannoniera turca Ave-Illak ed una torpediniera tipo Autaldia. Fu intimata la resa concedendo tempo fino alle nove, comunicando questa decisione al governatore ed alle autorità consolari per mezzo di un ufficiale turco venuto a bordo. Alle ore 9 fu ancora alzato il segno di "arrendetevi !" Non essendo stata ricevuta alcuna risposta fu aperto il fuoco d'artiglieria contro la cannoniera che rispose con vivacità. Alle 9.20 la cannoniera fu ridotta al silenzio con un incendio a bordo. Sospeso il fuoco, mi recai con la sola "Garibaldi all'entrata del porto dove fu iniziata l'azione contro la torpediniera danneggiandola seriamente e completandone poi la distruzione con un siluro. È da escludersi in modo assoluto che sia stato effettuato il bombardamento della città di Beirut. La squadra è subito ripartita". L'azione
navale di Beirut suscitò vivo clamore in Europa. L'Inghilterra, temendo
che l'estendersi delle operazioni di guerra italo-turche suscitassero in
Asia un incendio religioso pericoloso ai suoi domini indiani, verso la
fine di febbraio propose alle Potenze di fare un passo collettivo a Roma
per impedire che la guerra si allargasse nel Mediterraneo e specialmente
nei Dardanelli, ma la Russia si oppose. Dal canto suo l'Italia con una
nota alle Potenze in data del 7 marzo dichiarò che avrebbe risparmiato
solamente le coste turche dell'Adriatico e dell'Jonio, secondo i patti
fatti
(voluti dagli austriaci) con l'Austria.
Sorte migliore
della proposta inglese non ebbe quella russa, cioè quella di fare un passo
collettivo a Costantinopoli, che fallì per l'opposizione del ministro
britannico degli Esteri sir EDWARD GREY, il quale propose che si facesse
un passo contemporaneo a Costantinopoli e a Roma. Poiché il 4 marzo il
Governo ottomano deliberò di non rinunziare alla sovranità turca sulla
Tripolitania e sulla Cirenaica, le Potenze stabilirono d'interrogare
soltanto l'Italia, il che fu fatto il 10 marzo.
Rispose cinque giorni dopo Di SAN GIULIANO con un memoriale in cui erano esposte le condizioni che per parte dell'Italia potevano condurre ad un accordo. Esse erano le seguenti: *
Riconoscimento da parte delle Potenze della sovranità italiana in Libia e
ritiro delle truppe turche dalla Tripolitania e dalla Cirenaica.
* L'Italia si sarebbe impegnata a riconoscere l'autorità religiosa del califfo in Libia, a rispettare la religione, gli usi e i costumi delle popolazioni musulmane, a non punire coloro che avevano continuato nell'ostilità dopo il decreto d'annessione, * A garantire ai creditori del Debito Pubblico ottomano la quota rispondente al prodotto che davano le dogane libiche; * a riscattare i beni posseduti dallo stato ottomano nei due vilayets; * a togliere l'aumento dei dazi sui prodotti turchi importati in Italia e ad accordarsi con le grandi potenze per garantire efficacemente l'integrità della Turchia europea. Pochissimo
tempo dopo che Di San Giuliano aveva consegnato il memoriale agli
ambasciatori, la Sublime Porta fece sapere ai suoi ministri presso le
Potenze europee che "le condizioni di pace formulate dall'Italia erano
assolutamente inaccettabili". Cadeva quindi ogni speranza di indurre la
Turchia a rinunciare alla Libia e di far cessare una guerra che poteva
provocare un conflitto generale.
Nonostante il malumore europeo suscitato dall'affondamento delle due navi turche nel porto di Beirut, l'Italia non sospese le sue operazioni navali né limitò il raggio della sua azione. Neppure la morte del viceammiraglio AUBRY, comandante in capo della flotta italiana (gli successe prima il viceammiraglio FARAVELLI, poi il viceammiraglio LEONE VIALE) avvenuta il 4 marzo del 1912 a Taranto, interruppe o rallentò l'azione italiana sul mare. Quel giorno
stesso un incrociatore italiano bombardò Dubab, sullo stretto di Bab el
Maudeb, e una torpediniera i forti di Sceik-Said. Il 10 marzo una nave da
guerra con le insegne tricolori, fermò il piroscafo inglese Neghileh e
ottenne la consegna di due ufficiali ottomani che erano a bordo; il 29 fu
catturata presso Loheia una nave carica di viveri destinati al presidio
turco di Hodeida; il 3 aprile fu catturato il piroscafo greco Helpis che
portava per conto della Turchia materiale da guerra; il 4 un altro
piroscafo greco, il Georges, fu
catturato nelle acque di Brindisi.
Mentre le navi
italiane facevano buona guardia nel Mediterraneo e nel Mar Rosso,
combattimenti di varia importanza avvenivano in Tripolitania e in
Cirenaica. Da Homs, il 26 febbraio, il generale REISOLI riusciva a
distrarre molte forze nemiche verso Sliten con la minaccia di uno sbarco
in questa località, e il 27 lanciava all'assalto delle posizioni del
Mergheb tre colonne di 2000 uomini ciascuna, formate dall'89° fanteria,
dal battaglione Alpini Mondovì, dal 2° battaglione del 6° Fanteria e dal
1° del 37°, dall'8° reggimento bersaglieri, da mezza compagnia del genio,
da parecchie sezioni mitragliatrici e da sei batterie, le quali dopo otto
ore di sanguinoso combattimento, contro un nemico che si batté
disperatamente e perse più di 1400 uomini, s'impadronivano
di tutte le posizioni avversarie.
Il 3 marzo, a
Derna, due battaglioni del 35° fanteria e la batteria D'Angelo, che
proteggevano i lavori presso la ridotta Lombardia, furono assaliti da
forze di molto superiori, ma resistettero benissimo e alla fine, soccorsi
dal resto del 35°, da un battaglione del 28°, dal battaglione Alpini
Edolo, rinforzato con elementi dei battaglioni Ivrea e Verona, e da una
batteria da montagna e sostenuti dalle artiglierie della ridotta, che
fecero tacere i pezzi turchi, dopo alcune ore di duro combattimento,
riuscirono a respingere, ma non a disperdere il nemico.
Sul tardo pomeriggio il generale CAPELLO con il 22° fanteria, un battaglione del 40° e il battaglione alpini Saluzzo iniziò un'azione offensiva aggirante sulla destra degli Arabo-turchi determinandone la ritirata. In quella furiosa battaglia, alla quale presero parte 11 battaglioni, gli italiani subirono 8 ufficiali e 52 soldati morti, e 13 ufficiali e 164 soldati feriti; il nemico circa 800 uomini, fuori combattimento. Il 4 marzo
1912, presso Tripoli, il battaglione italo-eritreo, forte di 600 fucili e
sostenuto da un plotone di cavalleria e da un gruppo di cammellieri
corridori, in ricognizione verso Bir el-Turk, fu assalito e minacciato di
avvolgimento da numerose forze nemiche. Dopo cinque ore di accanito
combattimento, costrinse gli assalitori a ripiegare e riuscì a fare
ritorno a Tripoli.
Il 5, presso Homs, 5000 Arabo-turchi tentarono di riconquistare le colline del Mergheb, ma i loro assalti s'infransero davanti la strenua difesa del 1° battaglione dell'89° fanteria, del battaglione alpini Mondovì, di due battaglioni dell'8° bersaglieri, di due batterie da campagna e di una da montagna. Poche le perdite italiane; quelle del nemico furono di 400 morti e 1000 feriti. Il 10 marzo,
1500 Arabo-turchi attaccarono le trincee di Ain-Zara, ma furono
prontamente respinti. L'11, a Tobruk, due battaglioni del 34° fanteria e
una batteria da montagna, usciti a protezione di una compagnia minatori,
impegnarono con il nemico un serio combattimento, al quale parteciparono
anche due battaglioni e mezzo del 20° fanteria e che finì con la fuga
degli Arabo-turchi, le cui perdite furono di 360 morti e 600
feriti.
Una grossa battaglia fu quella combattuta, presso Bengasi il 12 marzo e che fu detta delle "Due Palme" dal nome dell'oasi in cui avvenne. Il nemico che vi si annidava e molestava continuamente le difese italiane avanzate, era forte di parecchie migliaia di uomini; quelle italiane, che, sotto la personale direzione del generale Ameglio, presero parte all'azione formavano due reggimenti misti costituiti da due battaglioni del 57° fanteria, due del 79°, uno del 4° e uno del 63°; inoltre vi erano due batterie da campagna e tre da montagna e, in riserva, il terzo battaglione del 57°, due squadroni dei cavalleggeri Piacenza e due dei cavalleggeri Lucca. Dopo un'intensa preparazione di artiglieria, verso le 11, le truppe italiane iniziarono l'avanzata verso l'oasi. L'accanita resistenza di un forte nucleo nemico nascosto in una vastissimo fossato arrestò il centro dello schieramento offensivo italiano, ma ben presto fu superata alla baionetta dai fanti che piombati dentro il fossato fecero strage degli Arabi non lasciandone neppure uno vivo. Contemporaneamente il generale AMEGLIO spiegò le ali,
portò in prima fila le batterie leggere e chiuse il nemico in un
inesorabile cerchio di ferro e di fuoco. L'impeto degli assalitori fu pari
al disperato valore degli Arabo-turchi. Di questi, dopo una mischia
furibonda alla quale assistette dalle alture la popolazione, fu fatta
un'orrenda strage.
Alle 13.30 dell'12 marzo, la battaglia era finita e i pochi beduini scampati all'eccidio furono abbattuti a fucilate mentre fuggivano. Le perdite italiane furono di 3 ufficiali e ventisei uomini di truppa morti, di 7 ufficiali e 55 soldati feriti; quelle del nemico furono valutate a un migliaio di morti e circa il doppio di feriti. Il giorno dopo, alla Camera, il ministro della Guerra SPINGARDI comunicò la notizia della brillante vittoria delle Due Palme, "dovuta ad abile preparazione e condotta di capi, all'efficace cooperazione delle varie armi, alla salda disciplina, al valore di tutti", suscitando un indescrivibile entusiasmo; un'entusiastica dimostrazione ebbe luogo al Senato all'annunzio del successo e a Bengasi quel giorno stesso fu inviato per telegrafo il compiacimento del Sovrano, del Governo, e del capo di Stato Maggiore. Qualche giorno dopo GIOVANNI AMEGLIO era promosso per merito di guerra tenente generale e il colonnello MOCCAGATTA maggior generale.
L'ATTENTATO A VITTORIO EMANUELE III
Il 14 marzo
1912, due giorni dopo la battaglia delle Due Palme, Roma fu commossa dalla
notizia di un attentato commesso contro VITTORIO EMANUELE III dal muratore
anarchico ANTONIO D'ALBA, che sparò tre colpi di rivoltella,
fortunatamente andati a vuoto, contro la carrozza del Re, mentre questi si
recava al Panteon. L'attentato, ch'era opera di un pazzo, si disse essere
stato preparato dai Giovani Turchi; e a Tripoli, in segno di gioia per lo
scampato pericolo e di riprovazione del turpe atto, arabi ed ebrei nelle
moschee e nelle sinagoghe fecero solenni cerimonie di ringraziamento che
assunsero l'aspetto di manifestazione politica.
LO SBARCO A MACABEZ
Nel successivo
aprile le operazioni di guerra furono condotte con più energia ed ebbero
un maggiore sviluppo. A Suani Osman presso Bengasi, il 3 aprile un
violento attacco nemico fu stroncato dal fuoco micidiale delle batterie
italiane, il 6, 7 e 8 altri attacchi furono respinti a Tobruck; lo stesso
avvenne il 9 a Derna. Fin dagli ultimi di marzo si preparava un'azione
importante, che fu portata poi a termine il 10 e l'11 aprile. Il giorno 9,
dopo un lungo bombardamento, fu simulato uno sbarco a Zaira; la mattina
del 10 gli incrociatori Marco Polo e Carlo Alberto, gl'incrociatori
ausiliari Città di Catania e Città di Siracusa, la torpediniera d'altomare
Alcione e il cacciatorpediniere Fulmine bombardarono furiosamente Zuara, a
scopo dimostrativo, e dalle navi da trasporto Sannio, Toscana ed Hercules
fu simulato uno sbarco; l'11 mattina, continuando il bombardamento di
Zuara, una divisione di fanteria, comandata dal generale GARIONI, sbarcò
nella penisoletta di Macabez ed occupò il territorio presso Sidi-Said,
vicino il confine tunisino. Il giorno seguente fu occupato il forte di
Forwa; su questo gli Arabo-turchi lanciarono due assalti successivi che
gli ascari eritrei e nuclei di marinai, di
finanzieri e del genio respinsero.
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