LA MALEDIZIONE DEL TESCHIO

UNA NUOVA INDAGINE DI ROBERT PRICE

Di Pasquale Francia

 

 

MalestroM 2003

 

Robert Price ed il dottor Betsinger sono chiamati a risolvere un nuovo e misterioso caso: una tremenda maledizione che sembra manifestarsi attraverso una lugubre reliquia, il teschio di James Edward Bettiscombe, uomo in vita dedito alle arti occulte ed alla magia nera.

Dopo "il segreto della Old Tom", l’autore ritorna alla formula del racconto lungo, qui arricchito da una trama più complessa e da colpi di scena d’effetto. Non sarebbe opportuno svelare di più, dopotutto Price, è sempre molto esaustivo nel narrare le sue avventure, ed il lettore sarà molto più soddisfatto nell’apprendere le sfumature di questa storia dalla sua cronaca. Non mi resta, quindi, che augurarvi buona lettura!

 

I. Dove si espongono i prodromi del caso.

- Serve una carrozza, signori?- Un vetturino dall’aspetto trasandato, ci venne incontro all’uscita della stazione ferroviaria di Norwitch, mentre il sole già spariva all’orizzonte, lasciando nel cielo terso delle stupende striature rossastre.

Gli cedemmo volentieri una parte dei nostri bagagli, che egli s’affrettò a sistemare sulla carrozza, dopodiché, partimmo per la grande e fangosa strada principale.

Il fresco della sera aveva un effetto corroborante per i nostri nervi, così, io ed il dottor Betsinger, ci ritrovammo piacevolmente rilassati a godere del panorama che la boscaglia ai margini della carreggiata concedeva, respirando a pieni polmoni l’aria buona della campagna.

- Hai idea di cosa ci attenda?- disse il mio amico, mentre, con un caratteristico gesto del pollice, s’apprestava a caricare la sua pipa con del forte trinciato indiano.

Lo fissai con un sorriso.

-Il signor Bettiscombe non è stato prodigo di parole, caro Arnold. Sembra, comunque, che l’intera vicenda nella quale stiamo per imbatterci sia sorretta da un’oscura maledizione di famiglia. Di più, non saprei dirti. Del resto, al convegno di Monsieur Le Courvier c’erano troppi sciacalli e valeva la pena mantenere un contegno discreto; cosicché non ho azzardato ulteriori delucidazioni, ed ho solo promesso che avrei intrapreso questo viaggio! - Gli risposi.

- Hai fatto bene. Renier non ti ha tolto gli occhi di dosso per tutta la durata della riunione, e non credo che ciò fosse dovuto ad una forma di attrazione amorosa! - Riprese Arnold, dando fuoco alla pipa.

-Già, proprio così. Quell’uomo è così desideroso di mettersi in mostra che non esiterebbe a pagare, pur di soffiarci un caso! -

Arnold sghignazzò, facendo vibrare i folti favoriti grigi:

-Renier potrà pagare qualunque cifra…questo è sicuro. Ma, ha la stoffa per fare questo lavoro? Sino ad ora, si è trovato a stretto contatto con ciarlatani che lo hanno stordito d’illusioni e sono pronto a scommettere che, se si trovasse innanzi ad uno spettro, se la farebbe nei pantaloni! -

Annuii convinto, poi rivolsi il mio sguardo verso il finestrino, piacevolmente accarezzato dalla fresca aria della campagna. L’oscurità stava a poco a poco cancellando dalla nostra vista i declivi montuosi appena avvolti dalla bruma, unici confini della vasta radura boscosa che ancora ci circondava.

Trassi dalla tasca del cappotto il foglietto che, pochi giorni prima, mi aveva consegnato il signor Rodger Bettiscombe: con linee sottili e molto precise, vi aveva vergato lo schizzo della strada che stavamo percorrendo, segnando con un cerchio il punto in cui avremmo dovuto svoltare per giungere alla sua dimora ancestrale.

Si trattava di una biforcazione che divideva a metà la strada maestra: proseguendo sulla destra, si sarebbe giunti a Cobenhom, un piccolo villaggio esclusivamente popolato da agricoltori, mentre prendendo la sinistra, ci si addentrava ancora di più nella foresta, seguendo un vecchio sentiero ancora molto trafficato dai commercianti diretti verso le grandi città del sud.

Diedi una voce al vetturino, gli bastò un’occhiata rapida allo schizzo e fece cenno di aver compreso, dopodiché frustò i cavalli, aumentando l’andatura.

Imboccammo un largo sentiero in terra battuta, quasi completamente avvolto da querce ed enormi faggi secolari; le foglie di questi alberi formavano un tappeto color ruggine sul quale le ruote della carrozza non producevano il minimo rumore.

-Sembra che da queste parti il tempo abbia delle leggi proprie…- Osservò Arnold, sporgendosi dal finestrino.

Non potei che dargli ragione, quei luoghi mantenevano ancora le medesime caratteristiche d’inizio secolo ed esercitavano un fascino strano su di un forestiero, un misto d’ammirazione ed inquietudine, non proprio spiegabile.

Mezz’ora più tardi, un improvviso balenare di luci annunciò il nostro arrivo a Bettiscombe Manor, mentre la notte aveva ormai avvolto ogni cosa nel suo manto. Ci vennero immediatamente incontro delle persone: una di loro era Rodger Bettiscombe.

Lo riconobbi, ancor prima che mi fosse di fronte, per via del suo fisico longilineo e dell’andatura dinoccolata. Era seguito da un tarchiato domestico in abito rosso e dal figlio Mason.

-Signor Price, finalmente! Era ormai da qualche tempo che contavamo i minuti sull’orologio! Spero che il viaggio non le abbia causato delle difficoltà…- Esordì, mentre, con un gesto, indusse il domestico ad occuparsi dei nostri bagagli.

-Per nulla, caro Bettiscombe. Io ed il mio amico abbiamo avuto modo di ammirare la natura incontaminata che la circonda e devo dirle che provo una certa invidia, dalle mie parti, infatti, gli alberi diventano sempre più rari!- gli risposi.

Gli occhi del signor Bettiscombe s’illuminarono di soddisfazione.

-Le faccio strada: benvenuto a Bettiscombe Manor, la dimora dei miei avi e…la fonte dei miei problemi! - aggiunse con un sospiro. C’incamminammo per il corto viale che precedeva il portone della grossa

costruzione. Era, questa, un edificio in stile coloniale mantenuto davvero molto bene, con due torri gemelle che ne costituivano le ali ed un corpo centrale sviluppato su due piani, dal quale occhieggiavano molte finestre.

Il pesante portone di quercia si aprì, cigolando sui propri cardini.

-In perfetto stile inglese! - Borbottò Arnold, nell’atto di entrare.

Gli sorrisi, ma strinsi senza rendermene conto l’amuleto d’argento che avevo in tasca.

II. Dove si delinea il mistero.

La mattina dopo, ci ritrovammo tutti riuniti nella sala da pranzo, gustando un’abbondante e quanto mai gradita colazione. Il signor Bettiscombe si mostrava di buon umore, e non accennò minimamente al problema che lo affliggeva, e per il quale aveva chiesto il nostro intervento. Discusse di economia con il Dottor Betsinger per una buona mezz’ora, mentre io scambiai due chiacchiere prive d’importanza con suo figlio Mason, brillante studente al college di Cambridge. Fu solo quando l’orologio a pendolo dell’anticamera batté le dieci, che Il signor Bettiscombe cessò di parlare delle acciaierie Seimour e del loro innovativo sistema di produzione, e ci condusse nell’ampio salone ammobiliato all’antica.

Le pareti erano nascoste dall’enorme quantità di dipinti e trofei di caccia, mentre graziose suppellettili deliziavano gli occhi, denotando quel gusto nella composizione che solo una donna può avere. Rodger Bettiscombe sembrò leggermi nel pensiero, perché senza che nessuno glielo accennasse, cominciò a dire:

-Mia moglie Elisa, ha la passione per questi oggetti di porcellana e tutti gli antiquari del Regno Unito hanno concluso con lei ottimi affari. Naturalmente, per far sì che la mia consorte fosse contenta, ho dovuto spendere una fortuna, ma come si potrebbe rendere felice, altrimenti, una donna?

-Beh, credo che i capricci di una signora vadano sempre assecondati!- Replicai.

Bettiscombe diede una scrollata ai suoi baffi biondi, dalle punte impomatate.

-Ma, a proposito di sua moglie, non abbiamo avuto il piacere? - Continuai.

-Purtroppo mia moglie non è qui. Si è trattenuta a Londra, da sua sorella Emerith. Credo, però, che non metterà più piede in questa casa. Vede, signor Price, i motivi della sua scelta sono legati al problema al quale vorrei ora accennarvi, senza indugiare ulteriormente.

-Sentiamo allora, lei ha tutta la mia attenzione.-

Ci sedemmo intorno al vasto camino annerito dal fumo, mentre il signor Bettiscombe, accendendosi una sigaretta, andò ad appoggiarsi alla candida alzata in marmo. Il suo sguardo, fisso e perso nel vuoto, evocò una storia antica:

-Edward James Bettiscombe, fu colui che acquistò questa splendida proprietà. Militare di carriera, aveva ottenuto innumerevoli promozioni sul campo, sino a guadagnarsi la fiducia dei quadri di comando più alti dell’esercito. In verità, il mio avo, Sir Rowland Bettiscombe, nella sua opera in cui ripercorre la storia della mia famiglia, non fu molto prodigo di elogi verso Edward James: lo descrive, infatti, come un uomo affetto da vizi segreti, un pervertito, insomma, che in tarda età, si scoprì anche interessato alla magia nera, con tutte le congetture che da ciò possono derivare.

Comunque sia, questo mio antenato aveva un figlio nato da una relazione con una donna di Saltfeld. Egli lo istruì, permettendogli di frequentare le migliori scuole del Regno Unito, ma il ragazzo presto si deboscio’. Dilapidò, a causa del gioco, una fortuna considerevole e finì preda degli usurai. Giunse persino ad avvelenare il padre, in modo tale da prendere il controllo delle ricchezze che egli possedeva. Sfortunatamente, (secondo quanto Rowland Bettiscombe narra nel suo libro) il suo piano criminoso non ebbe buon fine, poiché utilizzò una polvere derivata dalla cicuta che era molto vecchia e che cagionò al padre solo dei forti dolori addominali ed un gonfiore ai piedi che gli impedì di camminare per alcune settimane: potete star certi, dunque, che non appena Edward Bettiscombe si riprese, fu come dar fuoco alla miccia di un cannone! Il suo odio si manifestò in modo molto sottile: stringendo i denti, continuò a pagare i debiti del figlio, mentre i suoi studi di magia s’infittivano sempre più, facendogli passare intere settimane, talvolta, nella cantina che aveva attrezzato come un piccolo gabinetto alchemico.

Quale fosse la natura delle sue ricerche, e cosa fossero finalizzate a produrre, risultò chiaro solo più tardi, con il singolare testamento che egli rilasciò alcuni giorni prima della sua morte, avvenuta il 18 maggio del 1720.

Un testamento, signor Price, che in materia giuridica fa storia a sé, tanto è particolare. Arricchito con un modus, ossia un onere a carico dell’erede, con il quale ingiunse che il suo teschio rimanesse per sempre entro le mura ed i confini di questa proprietà, ben custodito in una campana di cristallo! -

Bettiscombe prese una pausa, durante la quale tossì più volte, per schiarirsi la voce, poi gettò il mozzicone della sigaretta nel fuoco e riprese il racconto, fissandoci attentamente, con i suoi occhi azzurri molto penetranti:

- Voglio spendere ancora qualche parola su questo curioso documento, signor Price, sicuro del fatto che non possa arrecarvi noia, poi vi farò vedere quel dannato teschio!

- Vada pure avanti, signor Bettiscombe, aggiunga tutto quello che ritiene necessario, il suo racconto è molto interessante! - gli risposi, cercando di trovare una posizione più comoda sul divanetto.

- La ringrazio. Jevees, mi porti il volume di Marshall Berlery sulla maledizione del teschio.-

L’ubbidiente domestico sparì dal salotto.

- Lei conosce Marshall Berlery, signor Price?

- Certamente, fu uno dei più autorevoli ricercatori di fenomeni occulti del secolo scorso; ma non sapevo che avesse addirittura scritto un lavoro sul particolare caso della sua famiglia, signor Bettiscombe.

- In verità, ho preso una licenza nel chiamarlo "volume", mio caro Price. Si tratta, infatti, di un libello piuttosto snello, ma non per questo privo d’interesse!

- Lo immagino.

- Eccolo che arriva, grazie Jeeves. Bene, mi permetto di leggere un passo, a parere mio, davvero significativo…dunque…vediamo…sì:

"La maledizione del teschio dei Bettiscombe, è uno dei casi soprannaturali più formidabili degli ultimi cinquant’anni: mi occorsero pochi giorni d’osservazione per comprenderne gli aspetti singolari e fui felice di costatare l’esistenza di forze eteree così palesi, che, al contrario di quanto affermano in molti, operano concretamente su questo mondo, influenzando le nostre esistenze.

Ogni discendente dei Bettiscombe è prigioniero della sua proprietà, poiché, allontanarsi da essa, per un tempo superiore ad un mese, contribuirebbe a far sorgere nello spirito un languore difficilmente spiegabile in termini clinici; così come l’insorgere di una grave forma di deperimento, immediatamente soggetta a regresso, non appena si rientri entro i confini della dimora avita.

Ho potuto anche costatare che Il teschio non può essere allontanato dai confini di Bettiscombe Manor: infatti, se un simile evento si verificasse, il teschio comincerebbe ad emettere un suono lugubre e fastidioso, che potrebbe essere paragonato ad un grido.

Tutto ciò è imputabile all’esecrabile maledizione di Edward James Bettiscombe di Longrevie, Capitano della Guardia di Sua Maestà. Uomo (nonostante gli onori concessigli in vita) che fu dedito alle arti di magia nera e alle pratiche occulte e che, tramite esse, elaborò la più straordinaria "rappresaglia spettrale" che mai sia stata esaminata da essere umano."

Le nervose dita di Bettiscombe, chiusero il libro con un secco scatto.

- Questo libricino, signor Price, esercita tutt’ora un fascino al quale non riesco a sottrarmi: Credo, comunque, che lei troverà interessante darci un’occhiata.-

Detto ciò, lo lanciò tra le mie ginocchia.

- Lo leggerò senz’altro questa sera. - Risposi sfogliandone le pagine -E’ un’ottima base per incominciare le indagini.

- Questo è certo. -

Con rapidi passi, il signor Bettiscombe si allontanò dal camino, avvicinandosi ad una porta che dava verso l’interno della casa.

- Jeeves, per favore, le chiavi dello studio.-

Il domestico scattò all’istante e ricomparve, poco dopo, sulla soglia del salotto, consegnando nelle mani del signorino Mason, che a lui era più vicino, una chiave dorata dalla quale pendeva un nastro rosso di velluto. A sua volta, Mason la porse al signor Bettiscombe.

-Signor Price, dottor Betsinger, prego, da questa parte! - disse questi, -come vi ho anticipato prima, voglio mostrarvi il teschio! -

La chiave ruotò lesta nella toppa, scoprendo alla nostra vista un piccolo studio arredato in mogano, completamente circondato da libri e con uno scrittoio posto davanti ad una finestra, coperta da una lunga tenda di panno verde. Proprio vicino allo scrittoio, uno stretto ed alto mobile fregiato d’intarsi in madreperla mostrava la macabra reliquia, chiusa entro una liscia campana di cristallo.

Lo osservammo attentamente, in silenzio. Si trattava di un teschio ben proporzionato, dai tratti pronunciati, che dovevano fornire un aspetto altero all’antenato del signor Bettiscombe. Un colore giallastro lo rendeva ancora più particolare, mentre, dei denti drittissimi, si congiungevano perfettamente in un ghigno davvero molto vivo.

-Un singolare tesoro di famiglia! - Sentenziò il dottor Betsinger, mentre lo esaminava con occhio esperto.

-Un tesoro di cui avrei fatto volentieri a meno… - sbottò, di rimando, Bettiscombe.

Lo fissai con aria divertita.

-E così, questo teschio…urla? - Disse Arnold, poco convinto delle sue stesse parole.

-Provare per credere, dottor Betsinger, provare per credere! Potreste ripercorrere l’esperienza di Marshall Berlery solo per costatare la veridicità di quanto ha scritto nel suo libretto!

-Dio Onnipotente! Può essere mai possibile che un teschio urli? -

Un amaro sorriso increspò per un attimo le pallide labbra di Rodger Bettiscombe e la sua voce risuonò ovattata, tra i velluti che adornavano le pareti:

-Io non so come ciò possa essere possibile, Dottor Betsinger, ma non è forse ristretto all’impossibile il campo delle vostre indagini? –

 

III. Dove Price legge un testamento e prende appunti sul suo taccuino.

La luce di una grossa lampada alimentata a petrolio, risplendeva sulla lucida superficie della scrivania dietro la quale eravamo seduti, gomito contro gomito, io ed Arnold. I nostri occhi seguivano attentamente la fitta scrittura, zeppa di svolazzi, che ricopriva i tre grossi fogli ingialliti sul quale James Edward Bettiscombe aveva rilasciato le sue ultime volontà… e la nefanda maledizione.

Rodger Bettiscombe, aveva prelevato dalla ricca libreria, tutti i documenti di famiglia necessari per la nostra indagine, dopodiché, si era ritirato nel suo studio per tenere un colloquio con alcuni amici che erano giunti a trovarlo nel tardo pomeriggio. Anche Jeeves, domestico tuttofare, che era rimasto alle nostre dipendenze per alcune ore, si era dileguato, non prima di aver dato voce ad innumerevoli scuse.

Quanto al signorino Mason, se ne stava tutto rannicchiato su una grossa poltrona, in un angolo della sala, posando lo sguardo ora su di noi ed ora sul libro che stava leggendo, con evidente disinteresse.

Ricopiai per intero, sul mio taccuino, la porzione del testamento inerente alla maledizione, che qui di seguito riporto:

(…) Che possa mio figlio, così come tutti i suoi discendenti, espiare le proprie colpe con il pesante fardello legato alle ricchezze che io gli lascio. Che il mio teschio, entro due anni dalla data della mia morte, venga prelevato dalla tomba, pulito e riposto nella campana di cristallo che ho fatto appositamente predisporre. Qualsiasi rifiuto da parte di mio figlio a deporre il teschio entro le mura di Bettiscombe Manor, opererà nel senso di annullare ogni lascito ereditario, con l’ingiunzione immediata di abbandonare la proprietà, la quale sarà, in tal caso, devoluta ai più prossimi parenti. Il notaio di Sua Maestà, Sir Roland Elkmett, in forza del titolo conferitogli per legge e per gli usi di queste terre, sorveglierà affinché quest’onere, che fermamente impongo, sia rispettato.Che mio figlio non dimentichi mai, così come coloro che dopo lui verranno, le parole impresse sulla nera lapide:

"Io sono l’abominio scaturito dal male, flagello di Bettiscombe.

Spiriti dell’oscurità, Déi immortali, Banshee e uomini saccenti, statemi

lontani; poiché sono l’abominio scaturito dal male

e nessuno oserà contrastarmi.

Quando le trombe squilleranno

e gli angeli guarderanno

Cielo ed Inferi,

allora colui che sarà al mio cospetto

protrarrà la sua mano

sulla fredda mia fronte.

Solo allora, sarà placato l’abominio scaturito dal male,

in cenere che il vento purificatore disperderà."

Parole ermetiche, che al momento, non ci diedero alcuno spunto favorevole per cominciare a comprendere l’intricato mistero alla base della vicenda che eravamo stati chiamati a risolvere. Tuttavia, quello che su carta poteva apparire come il delirio di un vecchio pazzo, era l’unica allusione ad una forza misteriosa, scatenata dallo stesso James Edward Bettiscombe, che agiva all’ombra dei secoli, permeando la vita di Rodger Bettiscombe e di suo figlio Mason di un pesante velo d’orrore.

Le qualità soprannaturali del teschio erano numerose. Lo stesso Marshall Berlery si era dilungato molto nell’elencarle. In particolare, fui molto colpito dal fatto che esso non potesse essere distrutto in alcun modo. Né fuoco, né colpo di maglio avrebbero potuto scalfirlo. C’era, poi, la strana storia dell’urlo. Questo particolare, stimolò oltremodo la mia curiosità, al punto tale che decisi di provare quanto prima l’esperienza, allontanandomi da Bettiscombe Manor con il teschio, per osservare ciò che sarebbe accaduto e paragonarlo con quanto riportato da Berlery nel suo libro.

Sarebbe stato solo il primo passo attraverso la fitta tenebra che avremmo dovuto percorrere, con la speranza di trovare al più presto il guizzo di luce sufficiente ad indicarci la giusta strada.

 

IV. In cui una galoppata attraverso la brughiera rivela insolite sorprese.

Aveva smesso di piovere a fine nottata, ma il cielo era ancora coperto di nuvole scure, mentre una forte tramontana spazzava senza sosta le foglie cadute dagli alberi, facendole turbinare in mulinelli monocromatici che si disperdevano verso l’alto. La nebbia ristagnava in banchi spessi tra il terreno e le nuvole, ma andava ormai diradandosi, ferita qua e là dai timidi raggi del sole, completamente oppressi dal grigiore che li circondava.

Fu in quest’atmosfera singolare che spronammo i cavalli, oltrepassando la pesante cancellata di ferro battuto che chiudeva il viale d’ingresso a Bettiscombe Manor.

Eravamo in tre, oltre ad Arnold, infatti, mi seguiva anche il signorino Mason, che aveva molto insistito per prendere parte "all’esperimento" e verso il quale nessuna parola di dissuasione era potuta servire a qualcosa.

Il freddo pungente, non favoriva la conversazione, cosicché procedevamo silenziosi, ascoltando il rumore sordo che gli zoccoli ferrati dei cavalli producevano sul sentiero, schizzando fango fin sopra le nostre ginocchia.

Osservai il sacco di velluto nero che avevo assicurato alla sella, proprio dietro il mio fianco sinistro: esso conteneva il teschio.

Arnold mi affiancò, imitandomi nella medesima osservazione. Il suo volto, più che mai eloquente, esprimeva tutta la sua curiosità relativa alle facoltà soprannaturali dell’oscura reliquia.

-Tra poco avremo modo di chiarirci le idee, mio caro Arnold! - gli dissi, in uno sbuffo di vapore bianco.

-Già. - Mormorò in un filo di voce, mentre con le redini costringeva il suo cavallo a tenersi al passo con il mio.

-Il tempo non promette nulla di buono- aggiunse. - Tra un quarto d’ora saremo fradici di pioggia! -

Il signorino Mason, udendo le parole del dottor Betsinger, arrestò il suo magnifico hannover e scrutò il cielo, socchiudendo gli occhi. Poi si girò sulla propria sella:

-Signor Price, ecco laggiù la pietra di confine!-

Indicò una grossa pietra bruna, incrostata di muschio, che sporgeva ai margini della carreggiata e che emergeva dai neri tronchi delle querce.

Spronai il cavallo e mi avvicinai a lui.

-E così, signorino, siamo giunti al momento della verità!- Gli dissi.

-Non resta che incitare gli animali ed andare oltre…- rispose di rimando, non curandosi di celare la forte emozione che in quel momento provava.

Eravamo tutti e tre allineati al centro della strada, mentre, anticipando le previsioni di Arnold, le prime gocce d’acqua facevano increspare la superficie color crema delle grosse pozzanghere che ci circondavano.

-Va bene, seguitemi! - ordinai -E ricordate…qualunque cosa accada, niente panico! Mi riferisco soprattutto a lei, signorino Mason! La calma aiuta a sconfiggere la paura, e quando si studiano certi fenomeni occorre controllare i propri nervi, solo così le nostre capacità d’osservazione possono essere mantenute limpide!-

Mason annuì. I tratti del suo viso, fini ma precisi, denotavano ora tenacia e sicurezza.

Senza ulteriori parole, superammo la pietra di confine, lasciando che si perdesse alle nostre spalle.

La strada proseguiva diritta, immergendosi sempre più nel bosco. Continuammo ad avanzare per un paio di minuti, tra lo stridere ed il tintinnare dei morsi e degli speroni. Ad un tratto però, fui invaso da uno strano senso d’angoscia. Era come se avvertissi la presenza di un pericolo, senza la possibilità di localizzarlo, ciò mi procurava una riluttanza a proseguire e mi sarei volentieri fermato per tornare indietro. Inoltre, i cavalli divennero all’improvviso nervosi. Quello del dottor Betsinger, che mi precedeva, fu pervaso da un fremito che lo scosse in tutto il corpo, e cominciò a recalcitrare. Invano, Arnold diede dei vigorosi strattoni alle redini: la bestia sembrava impazzita!

Proprio in quel momento, mentre io e Mason c’eravamo distratti a seguire le sorti del dottor Betsinger, un lungo ed agghiacciante urlo bloccò il mio respiro.

Mi girai d’istinto, solo per rendermi conto che esso proveniva dalla sacca nera che conteneva il teschio! Non riuscii nemmeno ad afferrarla, perché con un violento scarto, il mio cavallo mi buttò con la schiena nel fango, lasciandomi in uno stato pietoso.

Mason bloccò subito l’animale imbizzarrito, e cercò di calmarlo, mentre due poderose braccia mi rimisero in piedi: era Betsinger, anch’esso infangato dalla testa ai piedi, disarcionato come me.

-Il teschio, Mason…prenda il teschio! - urlai, con la pioggia che mi sferzava gli occhi.

Con un salto, il signorino abbandonò il suo hannover terrorizzato e si avvinghiò alla groppa del mio cavallo, sciogliendo i lacci che assicuravano il macabro oggetto alla sella: rischiò più volte di essere schiacciato dalla bestia infuriata, ma alla fine il sacco nero si ritrovò fra le sue mani.

-Ecco a lei, Price! -

Un lancio preciso mi fece impossessare della reliquia. La liberai dal velluto e…fissai la scena più abominevole che mai si poté presentare al cospetto dei miei occhi!

Il teschio si torceva, come se fosse una cosa viva ed emetteva dalle sue vuote orbite, così come dalla mandibola digrignata ed assicurata col filo di canapa, un grido orrendo e straziante, che scuoteva i nervi.

Le mie mani presero a tremare ed il cuore a battere all’impazzata.

"La paura va controllata", ripensai alle parole dette al signorino Mason…ma, come di consueto accade, è più facile fare della teoria che mettere in pratica…e, dopotutto, miei cari lettori, sareste voi rimasti lucidi dinnanzi ad un evento così terribile, quanto prodigioso?

V. Dove una forza oscura s’impossessa del teschio.

Tra le querce secolari, in mezzo al fango della strada, rotte dal crepitare dei tuoni, le nostre voci risuonavano, concitate, nell’aria tempestosa. Continuavo a fissare l’orribile teschio che urlava tra le mie mani, mentre il dottor Betsinger ed il signorino Mason mi si strinsero vicino, sbigottiti ed agitati al pari di me.

-I cavalli sono andati! - urlò Mason - ci toccherà ritornare a piedi…ma…come ci comportiamo adesso?-I suoi occhi si posarono eloquentemente sul teschio.

Non riuscii a rispondere alla sua domanda: tutt’intorno a noi, un forte quanto improvviso rumore di fronde abbattute ci fece scattare sul chi vive. Sembrava che una valanga ci stesse piombando addosso, tra lo schianto dei tronchi che cedevano ad una forza sconosciuta ed invisibile. Fummo investiti da un fortissimo vento e l’unica cosa che vidi, prima di perdere i sensi, fu il corpo del dottor Betsinger sollevato di un metro, in alto, e scaraventato, lontano, ben oltre il margine della carreggiata.

Quando i miei occhi si riaprirono, riconobbi l’arredamento austero della stanza degli ospiti. Mi alzai sui gomiti e mi sforzai di mettere a fuoco la vista: nella stanza c’erano altre persone, oltre al signor Bettiscombe, v’erano il signorino Mason, bendato vistosamente alla fronte, ed un signore con una lunga barba nera che mi scrutò attentamente, spalancandomi l’occhio sinistro con il pollice e l’indice. Come seppi più tardi, si trattava del dottor Crowford, il medico personale di Rodger.

Affianco a me, nel secondo letto presente nella stanza, vi era Arnold, profondamente addormentato. Articolai qualche parola, anche se con grande sforzo:

-Che…cosa ci è accaduto?

-Nulla di grave, signor Price, stia pure tranquillo e cerchi di rilassarsi…- mormorò il dottore, mentre continuava a tastarmi con una certa pressione le costole.

-Riesce a respirare? Avverte dei dolori?- aggiunse.

-Respiro perfettamente, o almeno mi sembra…- gli risposi, mentre notai che il mio ginocchio sinistro era fasciato.

-Bene…bene…- disse tra sé il dottore, con tono compiaciuto. Poi, rivolgendosi al signor Bettiscombe, aggiunse:

-Il tuo amico sta benone, Rodger. Dovrà solo stare un pochino accorto con questo ginocchio…- poi, girandosi direttamente verso di me, disse:

-Ha capito, signor Price? Lei sta bene, ha solo subito un forte trauma al ginocchio sinistro, oh, una cosa che si rimedia nel giro di una settimana…solo, la prego di non sforzare molto l’arto in questi giorni, se proprio vuole camminare, si limiti a brevi passeggiate… la ferita deve rimarginarsi! - Nel dire così, egli mi posò la mano sulla spalla, scuotendola lievemente, in un gesto d’incoraggiamento.

-Insomma…che mi è capitato? Ed il dottor Betsinger? Come sta il dottor Betsinger? - replicai, mettendomi completamente a sedere sul letto, mentre una smorfia di dolore mi si dipingeva sul viso.

-Anche lui sta bene, non si preoccupi…ha avuto un braccio slogato…ma nulla che non possa guarire nell’arco d’un mese! - disse il dottore. Poi, finiti di riporre i suoi strumenti nella borsa, accennò un saluto, ed uscì dalla stanza, seguito dal signor Bettiscombe.

Il mio sguardo andò a posarsi nuovamente su Arnold. Sembrava dormisse profondamente, mentre il suo braccio destro era fasciato e poggiato sul petto, bloccato da una asticella medica.

-Siamo stati tutti sbalzati in aria. Io sono stato fortunato, signor Price!-

A parlare era il signorino Mason.

-Io non so cosa ricorda, signore…ma io conservo intatte tutte le sensazioni che ho provato laggiù, su quella strada!-

Lo fissai, cercando di richiamare alla mente gli istanti in cui il teschio aveva cominciato ad urlare…

-Una forza prodigiosa, signor Price, una forza oscura e prodigiosa…ci ha pienamente investito! Ci ha…sopraffatti! - esclamò il giovanotto, in preda ad una forte emozione, mentre con ampi gesti delle mani accompagnava le sue parole.

-Qualcosa mi ha spinto in aria…e subito dopo a terra, nel fango. Quando ho alzato lo sguardo, mi sono ritrovato da solo. Ho camminato lungo la strada, in preda alla disperazione, solo allora mi sono accorto di lei, signore…e del dottor Betsinger.- Aggiunse.

-Il teschio…che fine ha fatto il…

-Il teschio? Oh signor Price…il teschio, beh, questa è proprio bella, signore! Perdonate questa mia ilarità che non si addice alle circostanze…ma io non ho mai visto nulla del genere in vita mia! Ebbene…il teschio…è nuovamente sotto la campana di cristallo, nello studio di mio padre!

-Nello studio di suo padre?

-Sì, signor Price. L’ho cercato a lungo, nell’erba, accanto a lei, ma non l’ho trovato. Poi ho solo pensato a prestarvi soccorso…fortuna che è giunto mio padre, senza il suo aiuto, da solo, non sarei mai riuscito a riportarvi a casa!

-Grazie, Mason. Lei si è rivelato all’altezza della situazione, un ottimo assistente, davvero!- esclamai con un sorriso, ancora perplesso per quanto mi era stato raccontato.

-E…quindi il teschio…- ripresi, ma non finii la frase che il signorino Mason, tutto soddisfatto per le lusinghe ricevute, disse:

-E’ semplicemente riapparso sotto la campana di cristallo, così come accade ogniqualvolta si tenti di allontanarlo dai confini di questa proprietà!

-Ma, lei ha già assistito in precedenza ad un simile fenomeno? - Gli chiesi.

-No, signor Price. Tutto quello che conosco in merito alle qualità soprannaturali del teschio deriva dallo scritto di Berlery, ma, ora che ho vissuto una simile esperienza…non ho più bisogno di dubitare!

-Caro Price! - Il signor Bettiscombe irruppe nella stanza, pieno di buon spirito.

-Bello spavento che ci ha fatto prendere! Mi detrarrà le cure mediche dal suo onorario? Eh eh, naturalmente scherzo, amico mio! - E mentre così diceva, scuoteva i baffi impomatati, in un’improvvisa risata.

Si sedette su una sedia, accanto al letto.

-Lei ha un ginocchio conciato male, ma al suo amico è andata peggio, con quel braccio! Comunque, non si preoccupi, vi rimetterete presto! - disse, in un bisbiglio appena percettibile, procurandosi di non svegliare Arnold.

-Il dottore gli ha dato della morfina per calmare il dolore, ecco perché si è addormentato…- aggiunse, ancor più sottovoce.

-Capisco- risposi, e sentii un’improvvisa stanchezza invadermi le membra, mentre, infastidito dalla posizione che avevo assunto, mi misi nuovamente sdraiato.

-Quel suo teschio è un avversario formidabile! - sogghignai.

-Dubiterà ancora delle parole di Berlery?- Chiese Bettiscombe, con fare canzonatore.

-Io non ho mai dubitato delle sue parole, mio caro Bettiscombe- risposi -avevo soltanto l’intenzione di "toccare con mano" l’esperienza da lui vissuta…

-E cosa gliene pare?

-Per il momento, ho l’impressione che si tratti di un’indagine davvero interessante, anche se mi attendevo qualcosa di meno movimentato, trattandosi di un semplice teschio!

-Non un semplice teschio, signor Price! Non un semplice teschio! - Mi redarguì, serio, Rodger.

-Ha ragione…mi perdoni! Non un semplice teschio…- aggiunsi, condividendo appieno la sua osservazione.

Bettiscombe annuì con aria grave, mentre un lamento, seguito da una bestemmia a mezza voce, annunciò a tutti che il dottor Betsinger era tornato dal mondo dei sogni.

 

VI. Dove Price vuol dare un’occhiata al gabinetto alchemico, ma una solida porta sbarra il cammino.

Il riposo forzato al quale fummo costretti non si protrasse per più di dieci giorni; dopotutto, quanto accaduto, ci spronava nell’acquisire nuovi elementi per la nostra indagine e passammo molte ore dietro il tavolo della biblioteca a formulare le più disparate ipotesi. Esaminai più volte il teschio sotto la campana di cristallo, fino a convincermi che si trattasse, effettivamente, del medesimo teschio che avevo riposto nel sacco di velluto. Esso non presentava alcuna scalfittura, non un dente mancante, nessun segno, insomma, del rude trattamento che aveva subito…eppure, quella maledetta mattina, le mie mani avevano stretto qualcosa di vivo, qualcosa che urlava e che si torceva!

Con l’aiuto del dottor Betsinger (purtroppo piuttosto impedito a cagione del suo braccio) sottoposi l’oscura reliquia a due importanti analisi: il reagente di Blackburne e la cosiddetta "prova di Bauerheim". Il mio fedele lettore, avrà sicuramente memoria del reagente che utilizzai nel caso della locanda infestata di Morecambe1, ma ad ogni modo, lo descrivo per tutti coloro che siano all’oscuro di quella vicenda.

Orbene, si tratta di una sostanza incolore dall’odore caratteristico, che viene ricavata (con un procedimento chimico molto elaborato) dalla polvere di zolfo e dall’acido prussico. Questa sostanza, è appunto un reagente, difatti ha la peculiarità di mutare colore ogniqualvolta sia in contatto con quello che, comunemente, è noto come "fluido etereo" o anche, con un termine recentemente acquisito dalla pratica degli studi sugli eventi soprannaturali, ectoplasma, una sorta di residuo vischioso lasciato su oggetti o cose che siano state in diretto contatto con un’entità incorporea, ma che al tatto non può assolutamente essere rilevato, così come a vista.

"La prova di Bauhereim" è invece una pratica pseudo scientifica che sopravvive ancora nell’ambiente dei cacciatori di spettri ed è grossomodo soddisfacente. Il suo inventore, Thomas Bauhereim (1740-1827) fu un occultista che prima di diventare tale lavorò con il geniale Volta.

Ebbene, egli non fece altro che applicare le teorie acquisite sulla conduzione elettrica alle sue particolari esigenze, e divenne promotore di un’analisi caratterizzata dall’uso di sottili quanto costosissime strisce in lega bimetallica (della leggerezza di una foglia) che, a suo dire, avrebbero accertato se un oggetto o un luogo fosse effettivamente stato in contatto con una forza occulta. In base alla sua teoria (mai, però, rigorosamente verificata da successivi studi) oggetti venuti in contatto con entità o forze eteree manifestano successivamente cariche elettricamente positive, che, in quanto tali, producono la reazione della lega bimetallica di cui sono composte le sottili strisce, le quali, in questo caso, si ripiegherebbero su se stesse.

Queste due prove, furono entrambe convincenti, nel senso che il reagente si tinse di rosso nel giro di mezz’ora, rendendo ancora più inquietante l’aspetto del teschio, mentre le strisce bimetalliche di Bauhereim, deposte sulla sommità del cranio con una pinzetta, si ripiegarono su se stesse con una velocità incredibile! Successivamente, congetturammo di recarci al gabinetto alchemico allestito

dall’infernale James Edward, nel caso tale sopralluogo ci avesse consentito di scoprire qualche elemento importante. Purtroppo, però, non si trattava di una impresa molto semplice, perché i sotterranei di casa Bettiscombe avevano un’estensione di due livelli, comprensivi di cantine per la conservazione dei vini e di svariate cellette che con il tempo erano state occupate con ogni sorta di cianfrusaglie. Si doveva, quindi, innanzitutto capire quali tra questi ambienti fosse stato un tempo il gabinetto alchemico.

A tal proposito, parlammo a lungo con Rodger, ma solo per scoprire che egli non ci sarebbe stato d’alcun aiuto nell’individuazione del locale che stavamo cercando. Gli unici riferimenti, erano quelli contenuti nel libro di Berlery, che ancora una volta si dimostrò essere particolarmente prezioso:

Dunque, egli aveva scritto di avere visitato all’epoca il gabinetto alchemico, ma di non aver trovato del "materiale rilevante", in compenso, però, citava di "strani segni che circondano le pareti, come se si trattasse di rune celtiche" ed ancora di "simboli che possono essere definiti massonici, come l’occhio circondato da fiamme e la stella a sette punte decorata con lettere appartenenti a non so quale lingua di questo mondo".

Ecco qui, allora, delle parole che m’incuriosirono davvero molto. La stella a sette punte, infatti, non è un simbolo massonico, ma di magia nera. Il Phlegon de Mirabilibus, scritto da Jorge Jeronius nel lontano 1560 (uno dei tanti testi magici condannati dalla Santa Chiesa nell’index expurgatorius) e di cui il mio amico Jean Frantes conserva una preziosa copia, conteneva, ad esempio, un’accurata descrizione delle svariate tipologie di stelle a sette punte, risalendo per ognuna di esse, al tipo di rituale applicato o, ancora, al tipo di entità che esse avevano lo scopo di richiamare.

I simboli appaiono talvolta innocui all’occhio dell’uomo, ma già nei tempi più remoti, il loro segreto è stato scoperto e sfruttato da pochi eletti: le porte che aprono al nostro sguardo delle realtà molto diverse da quella che noi siamo abituati a vivere. Ecco cosa essi possono essere!

Fare un sopralluogo nel gabinetto alchemico era una scelta obbligata, quindi, per chi, come noi, doveva fare luce su una pista ancora molto oscura.

- Saranno anni che il secondo livello delle cantine è chiuso! - disse Bettiscombe, aggrottando le sopracciglia - a mia memoria, vi da accesso una pesante porta in fondo al corridoio, immediatamente dopo la cantina in cui custodisco il mio Amontillado…-

E così dicendo, diede uno strattone alla corda del campanello.

- Vede, mio caro Price- soggiunse -il problema non è da poco, perché se quella porta è chiusa ci toccherà trovarne la chiave…ma a questo punto solo la buona diligenza di Jeeves potrebbe venirci in soccorso…

- La chiave potrebbe essersi smarrita?

- Smarrita…perduta…o ancora da qualche parte in un anonimo mazzo di chiavi! Questa casa ha tante di quelle porte e tante di quelle chiavi che non so se maledire o benedire questa mania d’abbondanza dei miei avi! -

Risi fragorosamente, proprio mentre Jeeves entrò nella sala.

- Il signore ha chiamato?

- Si, Jeeves. Forse potresti aiutarci…hai presente le cantine? C’è una porta che conduce al secondo livello, quello più antico, credi che sia possibile scendere? Saranno, con ogni probabilità, più di ottant’anni che nessuno ci mette più piede! -

Jeeves rifletté un attimo, immobile sulla soglia del salotto.

- Ricordo molto bene la porta, signore, e posso anche dirle che è chiusa…

- Hai provato ad aprirla?

- Proprio la scorsa estate, quando la signora voleva ricercare i vecchi bauli della sua anziana zia…

- Ah, certo, ricordo l’occasione…- interruppe Bettiscombe, annuendo.

- Ebbene, signore, la porta era chiusa e non si poté fare nulla. Se ancora c’è una chiave, bisognerà cercarla nei mazzi più vecchi, ma se posso permettermi, sarebbe come cercare il classico ago nel pagliaio…

- Appunto.-

Ci fu un attimo di silenzio, in cui rimasero tutti a pensare.

- Se manca la chiave…c’è pur sempre una seconda soluzione, caro Bettiscombe…- dissi alla fine.

Bettiscombe mi fissò sorridendo:

- Già, perché porci il problema? Scardiniamo la porta e scendiamo!

- Scardiniamo e scendiamo! - ripetei io, complice.

- Jeeves, vada a prendere le lampade e ci faccia strada! -

Fu così che, in quattro, scendemmo gli umidi gradini della cantina, mentre i nostri passi insicuri erano debolmente illuminati dalla luce giallastra delle lampade che sorreggevamo.

Attraversammo un corridoio lungo che si apriva ai suoi lati in tanti archi al di là dei quali delle cellette contenevano enormi botti di vino perfettamente allineate, intramezzate, qua e là, da piramidi scure di bottiglie di vetro.

Alla fine, sbucammo in una stanza più grossa, ma dal soffitto basso. In essa, erano contenute le annate più pregiate della collezione di vini del signor Bettiscombe.

- Vede questo barile, signor Price? Contiene un superbo Armagnac, riserva del 1815, lo stesso che era sul tavolo di Bonaparte la mattina della battaglia di Waterloo…e questo? Oh…questo scioglie il sangue nelle vene, mi creda! E’ dell’ottimo Brunello italiano, fatto da gente che sa fare del vino un’arte! -

Rodger Bettiscombe si era d’improvviso animato e sarebbe rimasto lì sotto per delle ore intere a descriverci nomi, annate e pregi dei numerosi vini che ivi custodiva. Fortunatamente, mi seguiva il buon Arnold, il quale, già reso nervoso dal braccio malandato, e rabbrividendo per la forte umidità, tagliò corto, andando al nocciolo della questione:

- Ecco qui la porta cari signori! - E picchiò le nocche sul duro legno rinforzato con liste di metallo, ormai consunte dalla ruggine.

La squadrai con attenzione e scossi la testa: la porta, sebbene fosse carica di anni, era certamente robusta e, per giunta, i cardini su cui poggiava non si vedevano affatto!

Questo, perché essi erano stati sistemati verso il lato interno del muro e protetti dallo stesso legno che proprio in quel punto doveva avere un taglio obliquo.

- I cardini sono protetti! Ci vuole per forza la chiave! - dissi seccato.

- Sicuro che non possiamo tentare di scardinarla?- Bettiscombe avvicinò la lampada alla fessura, scrutandola attentamente.

Gli si affiancò il dottor Betsinger:

- Non c’è verso, ha ragione Robert. Anche se scalpelliamo il lato che si aggancia alle cerniere e riusciamo a raggiungere i cardini, non abbiamo poi lo spazio sufficiente per sollevare la porta, senza contare l’opposizione del chiavistello, poi…- osservò, spingendo con la mano il legno, come per saggiarne la resistenza.

A questo punto, i nostri sguardi si puntarono sul pallido volto di Jeeves, illuminato in tutta la sua perplessità dal chiarore della lampada. Egli ci osservò rassegnato, ed alla fine, mascherando un sospiro, disse:

- Cercherò di trovare la chiave, sempre che non sia andata perduta! -

Gli diedi una pacca sulla spalla.

- Coraggio, amico mio. E’ indispensabile dare un’occhiata lì sotto!

- E poi…- aggiunse Bettiscombe, mentre già si voltava per risalire - in questa casa non si è perduto mai nulla, non disperiamo!

- Non disperiamo…- ripeté Jeeves, sempre più conscio dell’arduo, quanto snervante compito, che l’avrebbe atteso.

 

VII. In cui Price e Betsinger congetturano per una buona mezz’ora in biblioteca ed alla fine si scoprono portinai!

- Ogni enigma che si rispetti ha la sua chiave che permette di decifrarlo! - dissi al dottor Betsinger, mentre spalancavo l’ampia finestra della biblioteca per permettere alla fresca aria del mattino di bonificare il forte odore di tabacco. Erano passati sei giorni dal nostro sopralluogo nelle cantine, ed avevo accumulato molti elementi interessanti sulla vicenda dei Bettiscombe.

- Nel nostro caso, qual’è questa chiave? - Mi appoggiai al davanzale di marmo ed aspettai una sua risposta.

Egli, era seduto dietro alla scrivania ingombra di carte, appunti e libri, ed aveva il volto sfatto per la notte passata in bianco. Spense la sua pipa e mi fissò intensamente:

-Una chiave per aprire la porta in fondo alla cantina, una chiave per dirimere il mistero che aleggia intorno a quel dannato teschio…per questo caso mi sembra più adatto un portinaio! Che ne dici se spedisco un telegramma a Robertson del Regent Hotel? Magari lui può aiutarci!

-Piantala, Arnold! Le cose non sono poi così ingarbugliate. Per esempio abbiamo letto e riletto il testamento di James Edward, e cosa abbiamo dedotto? Abbiamo dedotto che con grande probabilità l’avo del signor Bettiscombe, prima di morire, abbia voluto lasciare un ricordo di se piuttosto marcato, evocando un’entità che da anni ormai è ospitata tra queste mura, e che non ha di certo voglia di andarsene…il fenomeno del teschio, caro amico mio, è un classico esempio di possessione, come n’abbiamo visti tanti, ti ricordi la statua di monsieur Algernon a Parigi? Si comportava in un modo analogo a questo teschio, anche se non urlava, tuttavia ogni primo del mese cambiava posizione…un oggetto di marmo bianco…statico…che cambiava posizione. Il teschio, quando urla, non è più un oggetto inanimato, qualcosa in quel momento è dentro lui!

-Lo spirito del defunto James Edward, mi sembra ovvio!

-No, no…io non sarei tanto propenso a crederlo, ed ora ti spiego il perché. Riprendi il testamento di James Edward e vai all’ultima parte…

"Che mio figlio…non dimentichi mai la parole scritte sulla nera lapide…" Ora, Arnold, di quale lapide sta parlando? Ho visitato ieri la cappella dei Bettiscombe e non c’è nessuna lapide nera sulla tomba di James Edward, nessun epitaffio, niente di niente! E’ evidente che parla di un’altra lapide, ma dov’è?

-Potrebbe essere andata perduta…e se in tempi remoti fosse stata tolta dalla tomba dei Bettiscombe?

-Il signor Rodger è categorico su questo punto, nessuno mai ha messo mano alla cappella di famiglia, e del resto è quasi in rovina…un rudere seppellito dalle edere.

-E allora, fammi conoscere l’idea che ti sei fatto! - Rispose impaziente Arnold, mentre si avvicinò alla finestra stiracchiandosi.

-Io penso questo…- avanzai verso la scrivania e presi il taccuino, dove avevo annotato le parole tratte dal testamento di James Edward - il "flagello di Bettiscombe" è un’entità evocata per perseguitare permanentemente i discendenti del suo casato, del resto basta un semplice rituale con le parole giuste per spalancare le porte dell’inferno. Assodato questo, voglio anche farti notare come Edward ci abbia dato una chiave per rimediare alla maledizione da lui stesso creata, infatti, ci dice:

"quando le trombe squilleranno e gli angeli guarderanno cielo ed inferi…" Questa, infatti, non è una frase buttata a caso per fare effetto, al contrario, è un indizio, grossolano, però è un indizio. Mi sono chiesto, quand’è che squillano le trombe? -

Arnold mi fissò con un sorriso demente:

-Tutte le volte che vuoi, caro mio. I militari suonano le trombe per radunarsi, i musicisti suonano le trombe ai concerti, persino Lord Farewell suona la tromba quando le sue azioni decollano in borsa!

-No, no, non ci siamo…mi sarei aspettato di più da te, Arnold! Qui si parla di angeli, e non ne ho mai visto uno suonare una tromba…su questa terra. C’è però un libro che segnalerei alla tua attenzione, scritto da un tal San Giovanni…ti ricorda qualcosa?

-Santo Dio! L’Apocalisse di San Giovanni! Come ho fatto a non pensarci prima? L’Apocalisse di San Giovanni! Le trombe che adunano le legioni angeliche!

-Già, non mi stupirei se tra questi scaffali trovassimo una bella copia di questo libro interessante, ma non è tutto qui, perché Edward James continua dicendo che "…solo allora (cioè quando le trombe squilleranno) colui che sarà al mio cospetto protrarrà la sua mano sulla fredda mia fronte…allora sarà placato l’abominio scaturito dal male… etc. " . Appare chiaro, quindi, che il testo di San Giovanni possa fare gran luce su questo mistero…-

Arnold stette zitto per qualche momento, poi, con un gesto veloce, tirò la corda del campanello e disse:

-Bene, bene! D’improvviso mi sento pervaso dal buonumore! Ora, nell’ordine, diciamo a Jeeves di prepararci una bella colazione, chiamiamo il signorino Mason e ci facciamo trovare l’Apocalisse di San Giovanni, e poi…-

Ma non riuscì a finire la frase, perché Jeeves, entrando nella biblioteca, perse la sua abituale serietà, e sferragliando un grosso mazzo di chiavi nella mano destra, annunziò trionfante:

-Signori, l’ho trovata, l’ho trovata!-

Questa rivelazione risultò assai gradita ed io ed il dottor Betsinger ci fissammo contenti come due bimbi alle giostre: le due chiavi erano state trovate, ma le sorprese, come presto scoprirete, non erano ancora terminate!

 

VIII. In cui le cose progrediscono bene, ma fino ad un certo punto.

I gradini di pietra scura, consumati sui bordi, trasudavano umidità, mentre i nostri passi insicuri risuonavano nell’oscurità, solo in parte diradata dalla luce giallastra delle nostre lampade. Un forte odore di marcio e la polvere che si stendeva come un velo su ogni cosa, ci confermarono la difficoltà del sopralluogo che avremmo dovuto effettuare. Mi affiancai al signor Bettiscombe, che guidava il gruppo insieme a Jeeves. Subito dopo di me, poi, seguivano il signorino Mason ed Arnold, che a questi dava braccetto, essendo impossibilitato, per via del suo braccio, a sopportare l’ingombro della lampada.

-Caro Price, spero che non s’indisponga nei miei confronti per il deprecabile stato in cui versa questo luogo, del resto, se non fosse stato per il suo interessamento, avrei continuato ad ignorarlo e sarebbe così rimasto chiuso per altri cento anni…-

Gli battei una pacca sulla spalla.

-Qui sotto c’è proprio la giusta umidità per i suoi barili di amontillado, Rodger, deve convenire con me sul fatto di adattare anche questo livello delle cantine alla sua preziosa collezione di vini…

-Uhm, non ha tutti i torti, amico mio…certo…si potrebbe fare…ci penserò su quando tutto sarà finito!

-Già, ma cerchiamo di trovare il vecchio gabinetto alchemico, adesso. - E così dicendo, sollevai la lampada fin sopra la mia testa, aguzzando la vista. Stavamo percorrendo un lungo corridoio diviso a tratti da bassi archi in pietra, sullo stesso schema e con la struttura delle cantine del primo livello. Anche qui, cianfrusaglie d’immemore antichità, erano depositate in ogni dove. Ad un tratto, ebbi un’esclamazione di stupore nel notare, sulla parete alla mia sinistra, una porticina molto bassa, con una grezza maniglia di ferro. Sul legno, ben visibile ancora, vi era disegnata, o meglio graffiata piuttosto rozzamente, una stella a cinque punte dominata da un occhio.

-Il segno di Elder! - dissi, e mi avvicinai alla porta indicando meglio il disegno ai miei compagni. Bettiscombe e gli altri si avvicinarono incuriositi, facendo luce con le lampade.

-Questo qui, è uno dei quattro simboli protettivi usati nella pratica della magia nera e descritti nel Libro del Comando di Cornelio Agrippa!

-Abbiamo trovato il gabinetto alchemico?- Rispose Bettiscombe, aggrottando le sopracciglia.

-Credo di sì…ma la porta sembra incastrata…se forse spingiamo…ecco così…si muove!-

Scricchiolando sui cardini ormai divorati dalla ruggine, la porta non tenne il suo stesso peso, e con un tremendo fracasso, crollò a terra, sollevando una densa nuvola di polvere che fece tossire tutti.

Coprendomi la bocca con il fazzoletto, entrai cautamente nella stanza. La luce della mia lampada illuminava numerose mensole fissate alle pareti, ingombre d’oggetti resi anonimi dalla polvere, mentre un tavolo molto lungo, a sei gambe, occupava il centro della sala ed era ricoperto da calcinacci. Ci accorgemmo, infatti, che una parte del soffitto era crollata ed aveva formato un grosso, irregolare, squarcio scuro. Sul tavolo, numerosi libri, alcuni aperti, davano l’impressione che attendessero ancora d’essere consultati dal suo possessore. Riuscii ad individuarne qualche titolo, ma erano in uno stato pietoso, aggrediti dalle muffe e divorati dai parassiti. Il signorino Mason, mise le mani su alcuni alambicchi che poggiavano su degli anelli di ferro, disposti in serie, secondo la grandezza. Fu, però, immediatamente redarguito prima dal padre e poi dal dottor Betsinger:

-Per favore signorino Mason, non tocchi nulla, le preoccupazioni di suo padre non sono infondate! Io vedo qui metri di muffa che ricoprono ogni cosa, c’è polvere, e quegli alambicchi potrebbero aver ospitato anche delle sostanze velenose! Quindi, cerchiamo d’esser prudenti e non tocchiamo ogni cosa! Mi rivolgo a tutti…anche tu Robert, con quei libri. Fai attenzione!

-Hai ragione, non è prudente toccare…ma guarda qui! Questa è un’edizione del Malleus Maleficorum, datata 1708! Se la portassimo a Jean Frantes chissà se riuscirebbe a restaurarla…ma, purtroppo, vedo che le pagine si sfaldano, che peccato!-

Libri di magia nera, curiosi alambicchi, simboli alchemici e rituali disegnati tutt’intorno alle pareti. Continuavo a girare per quell’ambiente spazioso e non nascondevo la mia meraviglia, di tanto in tanto riconoscevo qualche simbolo e lo additavo a Betsinger, altre volte mi soffermavo ai bordi del tavolo cercando di decifrarne le minute lettere che, come una cornice, ne percorrevano i bordi: ma non riuscii a capirci nulla, giacché si trattava di un tipo di scrittura cifrato. Nel corso di questo esame, i miei occhi furono attratti da uno scintillio prodotto dal riflesso della luce della mia lampada su di una superficie rettangolare, molto levigata, che affiorava ad un palmo dal pavimento, proprio sotto, ed al centro del tavolo.

-Qui c’è qualcosa…- Mormorai, e m’inginocchiai, indirizzando il fascio di luce verso lo strano rettangolo scuro.

Con la mano, scostai la polvere che ne ricopriva la superficie solo per costatare che si trattava della famosa lapide nera citata dal testamento.

Con lettere molto piccole, v’era inciso l’intero epitaffio, mentre un foro laterale indicava chiaramente il punto in cui, facendo pressione per mezzo di una leva, si sarebbe potuto sollevare il marmo.

-Di cosa si tratta? - Chiese Rodger Bettiscombe, avvicinando il suo viso sudato al mio.

-Si tratta della "lapide nera"! Siamo sulla buona strada per risolvere questo caso…solo che mi occorre una leva per sollevarla…- Gli risposi.

-Ha, dunque, intenzione di vedere cosa vi sia…sotto? - Continuò il signor Bettiscombe, la voce rotta da un improvviso timore.

-Credo che ciò sia indispensabile. Mi procuri qualcosa per sollevare questo marmo…coraggio!

-Provi con questo, signor Price! - Jevees intervenne nel discorso, inginocchiandosi sotto al tavolo ed offrendomi uno di quei caratteristici coltelli da tasca, con la lama pieghevole.

Feci leva con la lama, inserendola nel foro praticato al lato della lapide, e riuscii a sollevarla, anche se con qualche difficoltà.

Illuminai, allora, cautamente lo spazio sottostante appena scoperto e rimasi sorpreso nel costatare che la luce della lampada mi veniva restituita indietro, con un bagliore luminosissimo!

-Che diamine…uno specchio? - Continuai ad agitare a destra ed a sinistra la lampada, per accertarmi della mia impressione, mentre ormai erano tutti carponi sul pavimento, a fissare quel gioco di luce che continuava a proiettarsi innanzi ai nostri occhi.

Presi, alla fine, coraggio, ed allungai la mano, fino a quando le mie dita, tese come bacchette, sfiorarono quella liscia superficie rifrangente, leggermente convessa.

Mi resi conto che lo specchio occultato dalla lapide, aveva le dimensioni di un pugno e che era stato incastonato in un anello di metallo, saldamente ancorato al suolo.

Tutt’intorno all’anello, la polvere, smossa, rivelò delle incisioni molto simili alle lettere che avevo avuto modo di osservare lungo i bordi della tavola.

-Non so che ruolo svolga questo specchio, amici miei, e non so se sia stato un bene o un male sollevare questa lapide…ma il dado è tratto e se riuscissimo a forzare l’anello di metallo, potremmo studiare questo curioso oggetto con più attenzione…-

Mentre dicevo così, inserii la lama nell’incastellatura metallica, cercando di averne ragione, ma lo specchio, come fosse cosciente dell’operazione che stavo cercando di compiere, divenne improvvisamente più scuro della stessa notte. In quell’istante, un mormorio molto sommesso si produsse nello spazio circostante e provammo la sensazione di essere sospinti da mani invisibili all’indietro, lontano dallo specchio.

-Qualcosa sta per accadere! Forse è meglio guadagnare l’uscita, svelti! - Scattai in piedi, afferrando Rodger per il braccio.

Mason si mosse subito verso la porta, ma si arrestò bruscamente dopo pochi passi…

-Dannazione, s’è spenta!- Urlò, e iniziò ad armeggiare istericamente con la sua lampada.

Fu quello l’inizio di un altro episodio molto strano, che ci gettò nel panico al pari delle urla del teschio, perché nello stesso istante, le fiamme delle altre lampade a petrolio che avevamo con noi, cominciarono ad ondeggiare sempre più forte, come in preda a forti raffiche di vento…

-Che il diavolo mi fulmini! S’è spenta anche la mia…- Gridò, esterrefatto, Rodger Bettiscombe, fissandomi con estrema apprensione.

-Via tutti di qui! Presto!- Mi lanciai verso la porta. - Se rimaniamo senza luce siamo in bell’imbarazzo!-

A fila indiana, spaventati, percorremmo il corridoio. Anche la lampada di Jeeves si spense, e tutti mi si strinsero intorno. Con la luce dell’ultima lampada, sempre più flebile, raggiungemmo la rampa di scale che conduceva al piano superiore. Jeeves era in testa a tutti, e non appena mise piede sul primo gradino, con un lento cigolio, la porta cominciò a chiudersi. Rimase così sbalordito dall’evento che i suoi piedi s’inchiodarono alla scalinata. Saremmo di certo rimasti prigionieri al buio, se, con uno scatto disperato, il signorino Mason, salendo a due a due i grossi gradini di pietra, non avesse fermato la porta con il piede, impedendole di chiudersi del tutto.

Bagnati di sudore e tremanti, risalimmo al primo livello richiudendo la porta alle nostre spalle.

-Santo Dio! Ma cos’è stato? Una corrente d’aria? Sto tremando tutto…- sbottò il signor Bettiscombe, fortemente scosso.

-Io credo che sia molto improbabile…- Gli rispose di rimando Arnold.

Ma non era finita qui, perché udimmo una risata terribile, proprio alle nostre spalle, che sembrava essersi sprigionata dalle soglie stesse dell’inferno! A quel punto, miei cari lettori, ci assalì il panico più puro, e fuggimmo a gambe levate dalle cantine.

 

IX. In cui, invece di gustare un ottimo roastbeef, Price si trova a dover affrontare un gatto infernale.

La tazza da tè, ancora fumante, non riusciva a restare ferma nella mano del signor Bettiscombe, tanto che egli dovette risolversi ad appoggiarla sul tavolo. Debbo confessarvi che anch’io feci la medesima cosa, sia per evitare di rovesciarmi la bevanda calda sui pantaloni, sia per cercare (goffamente) di mascherare la mia emozione ai presenti. Jevees, che nei momenti migliori già si presentava con un pallore mortale stampato su un volto dai lineamenti lividi, apparve ancora più terribile nell’aspetto, mentre, sulla soglia, ci invitò a raggiungere la tavola. La cena stava per essere servita.

-Che cosa ci ha perseguitati nelle cantine, Robert? Lo spirito del defunto James Edward, un demone o cos’altro? – Chiese Arnold, proprio mentre mi alzavo dal divano.

-Un famiglio, caro amico, un famiglio.-

Il dottor Betsinger mi fissò con la stessa meraviglia di un bambino che vede per la prima volta un treno…

-Che diavolo è un famiglio, Robert? - Sbottò, mentre metteva piede nella sala circondata da quadri, al centro della quale la tavola splendidamente apparecchiata faceva bella mostra di sé.

-Te lo spiegherò dopo, con calma. Ora pensiamo a mettere qualcosa nello stomaco.-

Ci sedemmo intorno alla tavola, e poco alla volta, tra una pietanza e l’altra, e grazie anche all’aiuto di abbondanti annaffiate del famoso vino di Rodger, cominciammo a dimenticare la terribile avventura del pomeriggio, che così duramente aveva scosso i nostri nervi.

Sembravamo come amici di vecchia data riunitisi al pub per scambiarsi le confidenze di fine settimana, e nessuno fece caso al gatto del signorino Mason, ed al suo singolare miagolio. Esso, dapprima girò per un po’ di tempo attorno alla tavola, preso da un’evidente irrequietezza, poi, all’improvviso, balzò sul tavolo zittendo tutti: e non era più un gatto, bensì qualcosa che gli rassomigliava solo lontanamente, con due occhi rossi e dilatati che sembravano ricavati dalle fiamme di un braciere ed una coda ritta ad esporre impunemente le terga. Dovevamo ancora riprenderci dalla sorpresa, che questa orrenda bestia, camminando sulla tavola, emise un lungo lamento, molto simile a quello del teschio, e così facendo, mostrò una lingua sanguinolenta che andava imbrattando la candida tovaglia di raso bianco.

Arnold, istintivamente, cercò di afferrarla, ma essa, con un rapido movimento, gli artigliò la mano, facendolo urlare dal dolore; io allora mi alzai, ed appenain tempo per evitare di essere azzannato alla gola. Caddi rovinosamente a terra, ed il mostruoso gatto mi fu nuovamente addosso, rinnovando la sua furia.

Sentii i suoi denti affilati come rasoi affondarmi nell’avambraccio, poi vidi Arnold assestargli un calcio così forte, da fargli scricchiolare ogni singolo osso, ma il gatto non aveva alcuna intenzione di mollare la presa, ed era animato da una forza soprannaturale.

-Si sposti dottor Betsinger, si sposti! - Ad urlare era adesso Rodger, che accorse dall’altro capo della tavola brandendo il forchettone per il roastbeef.

Io intanto versavo in uno stato pietoso, con il sangue che scorreva abbondantemente dalla ferita ed i miei occhi che fissavano le rosse faville di quello che era ormai un essere demoniaco, dotato di una malvagità palpabile.

Rodger piantò il forchettone nella schiena del gatto senza molta decisione, impressionato e disgustato per quanto stava facendo. La bestia ebbe appena un sussulto, e strinse ancora di più la morsa, muovendosi convulsamente e peggiorando lo stato della mia ferita. A quel punto, la forza della disperazione mi fece sollevare da terra e solo allora realizzai di avere la rivoltella nella tasca laterale del mio abito. La estrassi con la sinistra ed armai il cane…

-Via tutti! Spostatevi da qui, via…non statemi vicino…e così, hai voglia di divertirti con noi, eh? Qualunque cosa tu sia, sappi che da questo momento hai le ore contate!-

Puntai la canna sulla testa del gatto e feci fuoco, devastandola, tra l’orrore mio e dei presenti.

Arnold intervenne immediatamente, ed ordinò a Rodger di legarmi un tovagliolo ben stretto a monte della ferita.

-Tutto bene, signor Price? Sta perdendo molto sangue…Mason, presto, corri a chiamare il dottor Crowford! Si segga Price, si segga! - Disse Rodger, cercando di mettere da parte il terrore che ancora lo attanagliava.

-Sa una cosa, signor Rodger, credo di avere avuto la conferma che cercavo, questa sera…- Gli risposi, mentre mi sedevo tenendomi il braccio.

-Lei ospita tra le mura della sua dimora, un puro e semplice famiglio…sì, un famiglio, ossia quella che molti occultisti definiscono come entità parassita, perché perseguita solo gli individui che appartengono ad una specifica famiglia, fino a quando non riuscirà a provocarne l’estinzione! -

Il signor Bettiscombe impallidì, e dovette sedersi per calmare l’imbarazzante tremore delle gambe.

-Certo, il suo è un caso particolare…perché ci troviamo di fronte ad un famiglio evocato ad arte dal suo avo James Edward e che sembra in grado di possedere sia esseri viventi che semplici oggetti inanimati. E’ possibile che le sue azioni rispondano a dei precisi comandi impartitigli dal suo avo prima della sua morte, ma quest’episodio del gatto, francamente, mi orienta sull’ipotesi che esso agisca in maniera indipendente.

-Dobbiamo, dunque, attenderci altre pericolose rappresaglie, signor Price?

-Certamente, adesso più che mai. L’idea che possiamo trovare la soluzione per distruggerlo lo ossessiona…

-Dio del cielo! Tutta questa faccenda è un incubo! - Sbottò Rodger, afflosciandosi sulla sedia.

-A chi lo dice, amico mio. Ma non occorre disperarsi…credo di avere bisogno di un paio di punti di sutura…ma quando il dottor Crowford mi avrà sistemato questo avambraccio, sarà il nostro turno muovere, e potremmo essere vicini alla combinazione da matto, più di quanto non si creda!-

Rodger apparve più risollevato, anche se le ripercussioni delle forti emozioni che dovette sopportare durante l’intero mese trascorso appresso alle mie indagini, avrebbero minato irreparabilmente il suo stato di salute mentale.

-Demoni, spettri, maledizioni…ci mancava un famiglio, adesso…ed ora che conosco cosa esso sia, ti confido che non mi sento proprio tranquillo…- Bisbigliò Arnold, mentre con la mano rallentava il nodo del suo cravattino.

-Avresti dovuto dedicarti ad un lavoro più sano, caro Robert, così rischi di invecchiare precocemente…ed in quanto a me…non riesco proprio a capire perché mi ostini tanto a seguirti…prima o poi prenderò un "tocco" e sarai costretto a cambiare assistente!- Continuò, nel suo tono semi serio.

-Coraggio, sii fiducioso, come ho detto, la soluzione è ormai vicina…dobbiamo solo limitare i danni…- Gli risposi.

Jeeves, entrò nella sala con un sacco di juta in cui depose quello che restava di Devon, il gatto che la signora Elisa non aveva voluto portare con sé, mentre due figure a cavallo emersero dall’oscurità del viale. Erano Mason ed il dottor Crowford, la faccia del quale non ho voglia di descrivervi, allorquando ebbe modo di essere ragguagliato su quanto accaduto durante la cena. Fu l’ultima volta che si decise a mettere piede in casa Bettiscombe!

 

X. La biblioteca ed il suo segreto.

Vorrei descrivervi, brevemente, la sala che ospitava la stupenda biblioteca dei Bettiscombe, proprio per darvi un’idea della maestosità con la quale essa colpiva l’occhio del visitatore. C’erano dei mobili altissimi, che potevano contenere fin’anche trecento, quattrocento volumi ognuno, finemente lavorati con fregi che un occhio esperto avrebbe fatto risalire al settecento. Queste stupende opere di falegnameria, occupavano completamente le quattro pareti, mentre altri due scaffali, molto più lunghi, suddividevano la stanza in tre corridoi. Una scala, molto stretta, ugualmente in legno, permetteva poi di poter avere accesso ai volumi custoditi sulla sommità dei mobili. L’intero ambiente, era ben illuminato, ed impregnato di quel caratteristico odore emanato dai libri, quando sono molto vecchi ed ingialliti. Il pavimento, un parquet ormai consumato, scricchiolava ad ogni passo, tanto che si poteva intuire la posizione di una persona nella stanza semplicemente prestando orecchio al rumore.

Era questo il teatro della nostra azione. Dovevamo trovare il libro dell’Apocalisse di San Giovanni ed, in verità, erano già passate alcune ore senza che vi fossimo riusciti. La sala della biblioteca aveva un registro sul quale erano annotati i titoli dei diversi volumi che la componevano, per ordine d’acquisizione. Questo registro, però, non era stato aggiornato da moltissimo tempo, e nella maggior parte dei casi, i libri erano stati riposti in posizioni diverse rispetto a quelle originarie.

Un imprevisto, questo, che contribuiva a renderci ancora più nervosi di quanto già non fossimo. Da un paio di giorni, ormai, la solitaria Bettiscombe Manor aveva preso vita per la presenza di un’entità maligna, il famiglio, la cui natura non osavamo immaginare. In particolare, mi accorsi che i miei nervi stavano cominciando a cedere: il giorno dopo l’assalto del gatto, il teschio urlò, sebbene nessuno lo avesse rimosso dalla sua campana di cristallo, mentre durante la notte, il signor Rodger fu svegliato da una voce che parlava una lingua sconosciuta e si ritrovò le braccia devastate da lividi, come se fosse stato fatto bersaglio di staffilate. Le preziose porcellane della signora Elisa scoppiavano ad ogni ora del giorno e della notte e la porta della cantina, che conduceva al secondo livello, grondava ora un liquido rosso, simile a sangue. Documentai rigorosamente tutti questi eventi, ma era chiaro che l’entità che ci perseguitava prima o poi si sarebbe rivelata in tutta la sua effettiva potenza e che stavamo correndo un grave pericolo.

Rodger Bettiscombe aveva allontanato la servitù, e solo il fidato Jeeves volle rimanere, nonostante le nostre esortazioni. Eravamo quindi in cinque, e per garantire un minimo d’incolumità e sicurezza, avevo disegnato sulla soglia delle stanze più frequentate dei simboli protettivi, avvalendomi del mio prezioso gesso azzurro. Inoltre, seguendo un’antica ma efficace procedura descritta da Carnacki, nel suo libro sulla caccia agli spettri, dietro ogni porta avevo assicurato degli oggetti d’acciaio, nella maggior parte dei casi, coltelli da cucina o vecchie sciabole:

L’acciaio, così come l’argento, è il più "terreno" dei metalli, e le entità dell’oscurità difficilmente non ne sono infastidite. Dai bagagli, avevamo tratto e messo in opera ogni aggeggio che io ed Arnold eravamo riusciti a portarci dietro. Mi si poteva vedere girare, ad esempio, con il fucile a tre canne Knaak (quello utilizzato nel famoso caso del lupo mannaro di Klatovy e caricato con proiettili d’argento benedetti) a tracolla, mentre Rodger, Arnold e Mason, oltre a Jeeves, erano stati costretti a portare legati al collo degli amuleti.

Non so sino a che punto queste misure potessero rivelarsi utili in caso di effettivo bisogno, ma comunque, era certo che avrebbero garantito un minimo di sicurezza…

-Credo che l’abbia trovato! - Esclamò trionfante il signorino Mason, mentre, allungando il braccio, afferrò il dorso di un libro che sporgeva appena percettibilmente dall’estremità destra di uno degli scaffali poggiati contro il muro.

Udendo le sue parole, ci serrammo tutti sotto la scala di legno.

-Dannazione! E’ come se fosse incastrato, non si sfila!- Continuò, il volto deformato dallo sforzo che era costretto a sostenere in una posizione scomoda, proteso al lato e sporgendo tutto al di fuori della scala.

Alla fine, diede uno strattone così forte, che si ritrovò a stringere di colpo il libro nella mano destra, e contemporaneamente a questo suo poderoso movimento, udimmo tutti, distintamente, un secco scatto, come di una molla che di colpo si fosse liberata del peso gravante su di essa.

Una porzione del mobile di legno, allora, sembrò vibrare, e questa vibrazione fu trasmessa al parquet. Subito dopo, come dovevamo scoprire, una porticina dissimulata si era aperta al centro del mobile, provocando la caduta di molti volumi.

 

XI. Lo stiletto d’argento.

Non fu poca cosa la sorpresa che provai, quando misi piede nel piccolo stanzino celato dalla biblioteca. Si trattava di un ambiente angusto, ciononostante pieno di volumi accatastati in grosse pile ai quattro angoli del muro. Sul pavimento, ogni mattonella era contrassegnata da simboli massonici, mentre una mensola di legno, consunta dai tarli, sorreggeva il peso di un astuccio di duro cuoio, alto circa una ventina di pollici.

- Sembra di essere alla Caccia al Tesoro organizzata dal club di Stokonrige la prima domenica d’Aprile! - Dissi, mentre in punta di piedi, mi tesi ad afferrare l’astuccio. Esso era finemente decorato, con motivi grotteschi, ed aveva una forma tondeggiante. Una linguetta di ferro ne assicurava la chiusura e fu facile spezzarla.

-Che diavolo è questo? - Esclamò Arnold, aggrottando le sopracciglia - Un…coltello o cosa?

-Sembrerebbe di sì, caro amico…per l’esattezza si tratta di un pugnale rituale…- Esaminai l’oggetto, rigirandolo tra le dita: sia l’impugnatura che l’elsa erano d’argento ed il pezzo sembrava essere stato fuso per intero, non si notavano, infatti, saldature oppure giunture. In particolare, il manico recava incise le figure di due cherubini, abbracciati insieme, e con i rispettivi visi girati all’indietro, nell’atteggiamento di chi attenda spaventato il sopraggiungere di un oscuro pericolo.

Ci passammo lo stiletto di mano in mano e l’osservammo tutti con attenzione…

- E’ chiaro che quest’oggetto ha un ruolo principale nel caso in questione…lo stanzino non contiene nulla di rilevante, eccetto, appunto, questo pugnale…- Dissi.

- Ed i libri? Potrebbero essere importanti…dovremmo dargli uno sguardo! - Controbatté il signorino Mason, toccando con la punta della scarpa la lunga pila, adiacente all’ingresso dello stanzino.

- Caro Mason, credo anch’io che siano importanti, non fosse altro perché celati nella stanza segreta, invece di essere in bella mostra su questi scaffali. Credo, però, che si tratti di libri massonici o di magia, così come quei pochi che abbiamo avuto modo di ammirare nel gabinetto alchemico. Più interessante, mi sembra adesso questo pugnale, ed in particolare la sua impugnatura…perché…vedete…guardandolo mi vengono in mente le parole scritte da Edward Bettiscombe nel suo testamento: "…quando gli angeli guarderanno cielo ed inferi…" Bene, pensavo si trattasse di una frase che facesse esclusivo riferimento all’Apocalisse di San Giovanni, ma ero in errore. Sembra, invece, che si riferisca anche a questo stiletto, ed in particolare ai due cherubini raffigurati sull’impugnatura! Ora, sarà necessaria un po’ di forza, ma i cherubini si spostano attorno ad un perno centrale! Ecco…se ora li sistemo orizzontalmente ne ricavo, senza ombra di dubbio, l’impressione di due angeli che "guardano" il cielo e gli inferi

-Perdiana Arnold! Hai ragione! Ma che…- Il dottor Betsinger non finì la frase. Una poderosa scossa, come causata da un terremoto, fece vibrare i grossi scaffali che ci circondavano e numerosi volumi caddero con fragore a terra. Nello stesso istante, si produsse un fracasso terribile fuori alla porta della biblioteca, poi, si udì un forte scricchiolio, come di una massa d’aria che premesse con veemenza sul legno di quest’ultima, infine, la quiete.

Rimanemmo a fissare con attenzione la porta della biblioteca, le orecchie tese a ricercare qualunque altro tipo di rumore. Mi accorsi che il pugnale che stringevo in mano aveva perduto la sua lucentezza, divenendo d’improvviso nero!

Non ebbi neanche il tempo di annunciare la scoperta ai miei compagni, perché Rodger indicò ancora la porta e disse:

-Qualcosa è lì dietro, si possono sentire gli artigli che affondano nel legno! - Sussurrò in un fremito d’orrore. Effettivamente, con un rumore che sembrava offendere l’udito, una forza oscura scuoteva la porta, e sembrava scavarla in profondità, come un falegname farebbe con la propria pialla.

Improvvisamente, i coltelli da cucina deposti sul pavimento, come estrema protezione, cominciarono a vibrare e poi scivolarono lontano sul parquet, ad una velocità tale che i nostri occhi non poterono seguirli!

Ora era chiaro che, qualunque cosa vi fosse oltre la porta, sarebbe presto entrata nella biblioteca, con grave pericolo per le nostre vite!

-La faccenda non mi piace, tutti verso la parete di fondo, presto! Allontaniamoci dalla porta! - Urlai, e corsi alla parte opposta della sala, verso la parete coperta di volumi. Mi si strinsero tutti intorno.

M’inginocchiai a terra, e cominciai a disegnare con il gesso un pentacolo protettivo, abbastanza grande da contenere tutti e cinque. Mentre svolgevo quest’operazione, Arnold mi sfilò dalla spalla il fucile a tre canne Knaak, e cominciò a caricarlo:

- Scusami, amico mio. Ma preferisco difendermi con qualcosa di più concreto! - Mi disse, mentre, inginocchiandosi, armò l’arma non senza difficoltà, a causa del braccio dolorante.

- Credo che ci siamo, la porta sta per cedere! - Aggiunse poi, con rassegnazione. - Se ne usciremo vivi dovrai pagare una buona pinta di birra a tutti quanti!

- Se fosse solo questo il problema…- gli risposi.

- Che gusti popolari, dottor Betsinger…- replicò Rodger Bettiscombe, sforzandosi di sorridere -dopo il pregevole amontillado che ha avuto modo di assaggiare, come può pensare alla birra?-

Dopo una resistenza eroica, la porta cedette di schianto, ed una folata di vento gelido investì la biblioteca.

- Mi raccomando, rimaniamo uniti! Per nessun motivo dobbiamo abbandonare il pentacolo!- Gridai.

E fu così che il famiglio, degno servo dell’oscurità, si palesò alla nostra vista in tutto il suo orrore: nero come la notte, aveva forma antropomorfa e due braccia lunghe munite dei più affilati artigli che avessi mai visto. Il suo corpo, viscido e ossuto, era coperto da protuberanze che si sarebbero definite pustole ed era alto quanto gli scaffali che ci circondavano. Due fessure maligne risaltavano sull’indefinibile viso nero: occhi che avrebbero raggelato il cuore dell’uomo più risoluto!

 

XII. Dove un interessante (ed insospettabile) caso di regressione atavica lascia Robert Price ed il dottor Betsinger alquanto turbati.

Il dottor Betsinger, memore del suo passato nel reggimento dei Royal Scottish Borderers, sistemò bene nell’incavo della spalla il fucile a tre canne Knaak, poi, con un rapido movimento, s’inginocchiò, puntò, e fece fuoco.

Sono sicuro che la micidiale scarica di proietti d’argento non avrebbe avuto alcun effetto benefico sulla creatura che ci fronteggiava minacciosa, ma purtroppo, essa fu solo buona a devastare lo scaffale pieno di libri che era alla nostra destra, riempiendo l’aria di frammenti di carta così fini da sembrare fiocchi di neve.

La canna del Knaak era stata deviata all’ultimo istante.

Arnold fissò l’autore di quel folle gesto: era stato il signorino Mason!

Ricordo che in quel preciso istante il cuore mi sobbalzò nel petto, e rimasi così allibito che fissai inebetito il viso del giovane, incapace di qualsiasi reazione.

Mason ci fissò per un attimo, ed i suoi occhi avevano ora una strana luce, maliziosa, malvagia. Il suo viso si deformò in un ghigno sardonico, e, con passo sicuro, egli abbandonò il pentacolo protettivo e si portò a fianco del famiglio!

-Ma, cosa diavolo… - Arnold, con il fucile ancora fumante, si alzò di scatto, puntando sul giovane traditore uno sguardo feroce.

-Mason, cosa stai facendo, sei forse impazzito? Torna qui! – Gridò il signor Bettiscombe, con la voce strozzata dall’angoscia e dalla tensione. E mentre così urlava fece uno scatto in avanti, a voler riprendersi il figlio che ormai, a fianco del demone, ci fronteggiava con aria di sfida.

-Non si muova di qui Rodger, non si muova di qui, per l’amor del cielo! Vede? A suo figlio il famiglio non fa del male…Mason…comanda il famiglio…- Dissi, mentre trattenni a stento l’impeto del padre disperato.

Bettiscombe mi fissò con aria confusa, la sua mente, priva di lucidità, lo ridusse in un silenzio umiliato, mentre gli occhi, sgranati, s’incrociarono con quelli freddi e crudeli di Mason.

-Non sorprenderti, padre. – Gli disse questi, mentre dalla tasca trasse un oggetto oblungo e molto sottile, di un verde brillante e trasparente, ricoperto di mostruosi intarsi: lo portò alle labbra, come se fosse uno zufolo, e soffiò forte. Non si udì alcun suono, ma il demone che era in procinto di attaccarci, si arrestò all’improvviso e si fermò, immobile come una statua.

-Ho vissuto per tanti anni all’ombra dell’oscura maledizione del teschio, ma sembra strano dovertelo dire, invece di maledire il mio avo che ha causato tutto questo, con il tempo, ho finito per ammirarlo. Sì, ho finito per ammirarlo.

-La possibilità di comandare forze che agiscono al di là della comune comprensione, di influenzare le vite di altri esseri viventi, questo potere…non è forse inebriante? E lei, signor Price, indagatore dell’occulto, non è forse affascinato al pari di me da queste potenze eteree? Cosa, altrimenti, la spingerebbe ad assistere ad incredibili prodigi? Glielo dico io, signor Price, lei, come me, è affascinato dalla forza oscura, un potere che permette, a chi ben lo padroneggia, di fare qualunque cosa desideri, un potere che rende sovrani! –

Così dicendo, Mason protrasse innanzi a se l’oggetto che aveva tratto dalla tasca, in modo che tutti avremmo potuto osservarlo.

- Questa è la chiave di tutto…si direbbe un oggettino da antiquariato, non trovate? Eppure, nasconde un segreto incredibile…permette di comandare le creature dell’ombra. L’ho trovato nel gabinetto alchemico, dopo molte ed accurate ricerche.

Non stupitevi Jeeves, le chiavi delle cantine sono sempre state in mano mia, e nelle lunghe notti invernali, ho potuto esaminare e scoprire tutti i segreti di quest’antica dimora, compreso lo stanzino segreto della biblioteca!

Mi dispiace dirlo, signor Price, lei da questa storia esce davvero male, non ha scoperto nulla che io non abbia voluto farle conoscere! Mi perdoni la piccola commedia recitata sino a questo punto, ma vede, era necessario…-

Lo interruppi, trattenendo a stento la collera ed il disappunto:

- Non se ne faccia un merito per aver recitato la commedia, Mason, lei, per me, in questo momento, è soltanto un farabutto! Lo dico con enorme dispiacere, perché, dopotutto, avevo una grande considerazione della sua persona, ed ora, mi rendo conto che ho mal riposto la mia fiducia…ma non sarà a me che dovrà rendere conto, piuttosto a suo padre! E’ lui che è stato meschinamente tradito!

- Niente retorica, signor Price, la retorica è passata di moda ormai. Se c’è un’ultima cosa da dire, prima che cali il sipario, è la motivazione che mi ha spinto a tutto questo. Oggi, con molta probabilità, morirete e di voi non resterà alcuna traccia, ma io erediterò Bettiscombe Manor, le ricchezze di famiglia, la libertà di poter finalmente disporne come meglio lo desideri…come vede…tutto per una vile questione di denaro, ma è nel mio interesse, ed io sono abituato a perorare i miei interessi, anche in maniera estrema!

A quelle parole, Rodger Bettiscombe, con le lacrime agli occhi, liberatosi dal torpore cagionatogli dalla tremenda sorpresa, s’avventò sul figlio, in un gemito straziante.

Io non fui da meno, bisognava strappare dalle mani di Mason l’oggetto che da un momento all’altro avrebbe potuto ridestare il famiglio, con grave pericolo per le nostre vite. Arnold non se lo fece certo dire, buttò via il fucile ormai scarico e con una poderoso scatto fu addosso a Mason, afferrandolo per il bavero della giacca.

Io, invece, mi avventai sul famiglio ed ero ormai pronto ad infliggergli un colpo con lo stiletto d’argento dalla lama nera, quando ad un tratto, riecheggiarono nella stanza un paio di colpi di rivoltella: Mason, nella colluttazione, aveva impugnato la piccola arma che teneva celata in tasca ed aveva fatto fuoco su Betsinger, trapassandogli una gamba. Un altro colpo aveva raggiunto Rodger al braccio, ma di striscio, cosicché egli si avventò con più furia sul figlio, trascinandolo a terra.

Ma Mason, più veloce, si liberò dalla presa del genitore e portò lo zufolo verde alla bocca, soffiando. Vidi tutto ed inorridii. Quando il mio sguardo si posò nuovamente sul demone che avevo innanzi, vidi i suoi occhi iniettati di sangue dilatarsi, e le sue terribili fauci schiudersi in un urlo feroce:

-megm’nagayot, megm’nagayot! Ashemis f’tamoy! – Urlai, nell’antica Lingua di Morgul, con la speranza d’inibire l’oscura creatura, ma nulla poté fermarla, ed ella s’abbatté sul mio corpo con la ferocia più grande.

 

XIII. Scontro finale.

Quando un essere umano si trova a fronteggiare una situazione dalla quale può per lui derivare un male estremo, lotta con forza insospettata, ed il suo istinto di conservazione è l’unica arma su cui può fare affidamento. Mi ritrovai con le spalle sul parquet, che scricchiolò fino a spezzarsi, con l’enorme mole della mostruosa creatura addosso. I miasmi che esalava erano disgustosi ed i suoi denti affilati e neri si avvicinarono pericolosamente alla mia gola. Nonostante la gamba ferita ed il braccio immobile, Betsinger, con uno sforzo sovrumano, si gettò sul mostro, spingendolo sul pavimento. Il suo gesto mi salvò la vita, perché non avrei potuto resistere a lungo alla forza del famiglio.

-Forza Robert! Forza…colpisci…ora o mai più…- Arnold non finì la frase, con uno scatto repentino, il mostro si risollevò da terra, scagliandolo contro la libreria.

Allora sospirai forte, e con la convinzione che per me sarebbe stata la fine, caricai il famiglio a testa bassa, impattando sul suo sudicio corpo. Artigli mi penetrarono nelle braccia, urlai dal dolore, ma riuscii a colpirlo più volte con lo stiletto d’argento che stringevo nella mano. L’orrendo demone ebbe allora un sussulto ed emise un lungo lamento; mi allontanai da lui con le forze rimaste, dopodiché, sfaldandosi in una nebbia densa ed appiccicosa, la creatura si smaterializzò, sino a sparire dalla nostra vista.

Corsi immediatamente in soccorso di Arnold, che trovai piuttosto malridotto, ma fortunatamente vivo; mentre Rodger Bettiscombe, insieme a Jeeves, avevano avuto la meglio sul signorino Mason, riducendolo alla immobilità.

Il folle ragazzo giaceva sul pavimento, il suo sorriso beffardo era sparito, e lo sguardo, sfuggendo gli occhi tormentati dal dolore del proprio padre, era rivolto verso le finestre della biblioteca. Non proferì più alcuna parola, ne volli cercare con lui una spiegazione a ciò che aveva fatto, lo fissai con disgusto, e mi sedetti vicino ad Arnold, prestandogli il primo soccorso. Tutto era finalmente finito.

Il giorno seguente, Bettiscombe Manor tornò ad essere una casa normale. Alcuni amici fidati di Rodger, su sua preghiera, vennero in casa a prendere il signorino Mason, che fu così allontanato dal padre. Jeeves, ebbe il compito di vegliare sullo sciagurato ragazzo, e di accompagnarlo alla località che per lui era stata scelta, e che non posso rivelarvi.

Salutai il fedele maggiordomo, non senza provare una certa emozione…

- Sono ancora un poco confuso per quello che è accaduto, signore. Mi sembra di aver vissuto uno di quei sogni orrendi e particolarmente vividi dal quale non vediamo l’ora di sottrarci con l’avvento dell’alba. Ora che l’alba è giunta, voglio dimenticare tutto quello che ho visto, e pregherò il Buon Dio di non sottopormi più a simili prove per il futuro. Le auguro buona fortuna… - Mi disse, sul viale soleggiato del cortile, poco prima di partire. I tratti del viso ancora tirati dalla tremenda esperienza patita.

Gli strinsi forte la mano.

- Arrivederla Jeeves, il suoi aiuto in tutta questa storia si è rivelato molto prezioso. Stia bene, forse un giorno ci ritroveremo.-

Dopo che Mason fu partito, potei concentrarmi sull’ultimo compito che avevo da svolgere a Bettiscombe Manor. Seguito dallo stanco Rodger, varcai la soglia dello studio e sollevai la campana di cristallo che proteggeva il teschio. Diedi una rapida occhiata al padrone di casa ed egli me la restituì con un lieve cenno d’assenso, appena percettibile, dopodichè, protesa la mano verso il teschio, Rodger vi appoggiò il palmo ben aperto.

Rimanemmo immobili a fissare la reliquia, la mano di Rodger cominciò a tremare per l’emozione. Dopo qualche minuto, sgranai gli occhi a causa del prodigio al quale potemmo assistere. Il teschio cominciò a disfarsi, a ridursi in cenere, cedendo sotto il peso della mano di Rodger, in breve, ne rimase poco più d’un pugno di polvere giallastra. L’ultimo passo era stato compiuto e la maledizione, sciolta per sempre…

"Io sono l’abominio scaturito dal male, flagello di Bettiscombe.

Spiriti dell’oscurità, Déi immortali, Banshee e uomini saccenti, statemi

lontani; poiché sono l’abominio scaturito dal male

e nessuno oserà contrastarmi.

Quando le trombe squilleranno

e gli angeli guarderanno

Cielo ed Inferi,

allora colui che sarà al mio cospetto

protrarrà la sua mano

sulla fredda mia fronte.

Solo allora, sarà placato l’abominio scaturito dal male,

in cenere che il vento purificatore disperderà."

 

XIV. Uno sguardo retrospettivo.

Verso la fine di ottobre, venne a farmi visita il dottor Betsinger, ormai rimessosi completamente dalla ferita subita nel corso del combattimento con il terribile demone di Bettiscombe Manor. Si aiutava ancora a camminare con una stampella, ma lo faceva più per scrupolo che per effettivo bisogno, sicché, potrei dire, che il suo stato di salute fosse ottimo. A farmi compagnia, c’era anche il signor Jean Frantes, mio valido collaboratore. Era giunto da Point Hope per farsi raccontare i particolari dell’avventura appena corsa, prima che il tempo avesse avuto un effetto deleterio sulla mia memoria.

Fu in questo discorso che Arnold s’inserì, non senza aver prima fatto il pieno di sherry ed aver scambiato quattro battute cordiali con il mio ospite, che comunque egli conosceva molto bene.

- Ormai ho gettato l’orrenda questione di Bettiscombe Manor alle spalle, anche se la cicatrice che ho qui, mi aiuterà di tanto in tanto a ricordarla…- Disse Arnold, stendendo innanzi a se la gamba.

- Tuttavia, confesso di non aver compreso bene la condotta di Mason in tutta l’intricata storia. E’ rimasto a guardarci, in attesa di vibrare il colpo mortale, ma non sarebbe stato più facile, per lui, distruggere ogni indizio che ci avrebbe potuto portare all’eliminazione della maledizione? Il libro dell’Apocalisse di San Giovanni, fu proprio lui a far finta di trovarlo, e fu grazie ad esso che si poté trovare lo stiletto d’argento, così prezioso per sconfiggere il demone.

- Inoltre, avrebbe perseguito meglio il suo disegno criminoso senza alcuna ingerenza da parte di estranei, realizzando sicuramente gli obbiettivi che si era prefissato. Invece, è come se avesse voluto sfidarci…-

Il Dottor Betsinger scosse la testa pensieroso, e tracannò una sorsata di sherry, vuotando il bicchiere in un solo colpo.

-Dal punto di vista del signorino Mason – dissi io – il corso degli eventi che ci vedevano di volta in volta coinvolti era semplice e lineare anche se per noi, all’oscuro delle sue trame, tutto apparisse estremamente complicato. Aveva il controllo del famiglio sin dall’inizio, grazie a quella sorta di zufolo di immemore antichità (strumento davvero interessante e pericoloso, che ora custodisco sotto chiave nella mia vetrinetta dei cimeli) ed era in grado di scatenare il demone in qualunque momento lo ritenesse utile ed opportuno. Certo, in più di un’occasione, si è compiaciuto di dare un tocco teatrale all’intera vicenda: la trasformazione del gatto, l’improvviso turbine che ci sorprese sulla strada…furono tutte costruzioni della sua mente diabolica che avrebbe anche potuto tranquillamente evitare. Tuttavia, si può ben dire che, agendo in tal guisa, ogni sorta di sospetto sulla sua persona non avrebbe avuto modo di costituirsi…infatti, nelle ultime battute della vicenda, rinchiusi nel salotto ed in attesa dell’attacco di quell’essere infernale, ebbi un gran turbamento nello scoprire, così all’improvviso, il suo ruolo da protagonista.

-E della lapide nera cosa sai dirci, Robert? Quale segreto essa custodiva? - Riprese Betsinger.

-Per quanto concerne la lapide, non posso perdonarmi di non aver immediatamente riconosciuto in quell’oggetto che essa celava un Pallantir ,fabbricato con il vetro di Leng. Si tratta, in pratica, di uno specchio di forma quasi sferica, ottenuto secondo un antico e segreto procedimento alchemico e che funziona come una porta: Essa mette in comunicazione il mondo delle ombre e la nostra realtà. Ho avuto modo di apprendere qualcosa circa il suo funzionamento grazie agli appunti speditimi dal professor Radeck Snezca, e non mi stupirei se, nei mesi a seguire, avrò una esaustiva relazione tra le mani che fugherà ogni mio dubbio o perplessità su quest’altro formidabile oggetto.

-Non capisco una cosa, però. – Interruppe Jean Frantes, al quale, prima dell’arrivo di Betsinger, avevo avuto modo di raccontare l’intera vicenda quasi per intero – Mi hai riferito dell’episodio accorso sul sentiero che conduceva fuori da Bettiscombe Manor, così come, del singolare episodio del gatto, posseduto dall’entità demoniaca. Ora, in tutti questi casi, è palese che si trattasse del famiglio, il quale aveva la possibilità di manifestarsi secondo le modalità più disparate. Ebbene, come faceva Mason a decidere in quale maniera avrebbe dovuto manifestarsi il demone? In altre parole, come lo comandava, Robert? Con lo zufolo?

- Si, Jean. Lo zufolo dava la possibilità a Mason d’influenzare le azioni del famiglio. Vi ho anticipato prima che si tratta di uno strumento davvero eccezionale, dotato di una pericolosità estrema, non di meno, voglio mostrarvi il suo funzionamento…e non guardatemi con quelle facce, non sarò così sciocco da soffiarvi dentro! -

Detto questo, mi alzai dalla poltrona ed aprii la vetrinetta dove tenevo, custoditi con cura, diversi cimeli occulti e misteriosi di cui avevo avuto modo d’impadronirmi nel corso delle mie indagini. Presi l’oggetto in questione e lo passai a Jean Frantes, che lo rigirò fra le dita con grande accortezza, esaminandolo attentamente.

Lo zufolo, così come ormai lo chiamavamo, aveva quattro fori centrali, proprio come uno strumento a fiato; la differenza consisteva nel fatto che, soffiandovi dentro, non veniva udito alcun suono.

- Una sorta di "richiamo" per entità occulte, proprio come si usa con i cani…- Osservò Frantes, restituendomi il misterioso oggetto.

- Proprio così, mio caro amico, proprio così. Un perfetto richiamo, che in questo caso funziona per le entità eteree…davvero un aggeggio formidabile, un’arma…che in mani criminali può rivelarsi letale. La fattura sembra indiana, ma lo sto ancora studiando, non escludo che possa avere origini davvero remote, e non so proprio in quale modo sia giunto a Bettiscombe Manor, probabilmente è il frutto degli acquisti operati dal fu James Edward, colui al quale dobbiamo la genesi di quest’assurda vicenda…Ma torniamo al nostro discorso. Agendo con le dita sugli appositi fori, il suono, che non abbiamo modo di udire, viene modulato; in questo modo si possono impartire dei comandi al demone: attaccare una specifica persona, accorrere in un luogo, possedere cose o esseri umani…non chiedetemi però quale sia la codificazione di tali comandi, perché solo Mason potrebbe rispondere a una tale domanda, e delucidarci il funzionamento di questo arnese infernale…

- Nel suo vagare tra i segreti di Bettiscombe Manor, avrà rinvenuto qualche manoscritto di James Edward che ne illustrava il funzionamento, del resto, il suo avo, prima di lui, si è servito di quell’arnese per richiamare il famiglio… - Disse Arnold, mentre s’aggiustava la pipa sulle labbra.

- Insomma, un caso davvero affascinante, dopotutto. Dovresti mettere tutto nero su bianco, Robert, e scrivere una sorta di diario, sarebbe interessante! – Aggiunse Jean, alzandosi dal divanetto e stiracchiandosi pigramente.

- Uhm, ci penserò su. Per il momento, vorrei accantonare l’orribile faccenda di Bettiscombe Manor, e risollevare il mio spirito con cose più piacevoli. Quindi, miei cari amici, proporrei una capatina da Marchetti: Mi hanno, infatti, riferito, che il nuovo chef sa rosolare degli ottimi involtini di manzo…una vera delizia per il palato…come dici Arnold? Non hai mai mangiato gli involtini di manzo? Ah, vecchio mio, dobbiamo rimediare a questa notevole mancanza! Su, prendiamo i cappotti, è una bella serata e sarà estremamente piacevole fare quattro passi. –

Uscimmo in strada tenendo il passo, più lento, del dottor Betsinger; con la mente ormai rivolta a pregustare le specialità della cucina italiana. Degli ameni argomenti di cui discutemmo durante la cena non potrei proprio riferirvi, ma so per certo che voi, miei cari lettori, mi perdonerete questo piccolo riserbo.

Pasquale Francia

 

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