©(1986)  

Prose poetiche - Remil  


Più leggo quest’opera «La nostra città violenta» di Remil (Renato Milleri), scritta nel 1986, e più mi convinco che sto facendo il viaggio dantesco a ritroso. Mi spiego: Dante dal peccato sale attraverso il monte del Purgatorio per raggiungere il Paradiso, per mondarsi, in questo modo, dei peccati giovanili; Remil fa il viaggio in senso opposto, dalla spensieratezza giovanile (il Paradiso) vissuta scorrazzando per la sua città amata (Roma) all’Inferno in cui oggi Roma vive: violentata, diffamata, stuprata in continuazione; e come Dante divide la sua Commedia in tre Cantiche lui canta l’amore – odio per Roma «La nostra città violenta» in cinque parti: L’Amore, L'Illusione, La Ribellione, La Stanchezza e La Violenza. Ma  andiamo con ordine.
 Apre la raccolta una considerazione che titola «Amore»
 “Quando la città è buona
nascono sovente pagine d'amore
che riempiono l'aria
di misteriosa armonia”.
Per i romani quest’armonia misteriosa nasce dal Gianicolo e si espande sulla città, ancora mezza assonnata, che sbadigliando si gode l’armonia che l’avvolge, dal Borgo alle estreme periferie da Sud Est a Nord Ovest: armonia d’ogni ceto sociale.
 Ho parlato di un viaggio dantesco in senso inverso ed eccolo che inizia, l’armonia che ha avvolto la città, come il cielo da un orizzonte all’altro, comincia a dissolversi e mi ritornano alla memoria i versi di Dante:
...« lo mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, ed a quel modo
Che ditta dentro, vo significando ».
Proprio questa definizione assoluta, dell'essenza vera della poesia e dell'arte, noto nella raccolta di poesie di Remil.
 Rivedo dinanzi agli occhi l’incontro di Dante con Bonagiunta Orbicciani da Lucca, nel balzo del VI canto del Purgatorio e questi gli chiede se lui abbia iniziato la nuova poesia « Le nuove rime » con la canzone della Vita Nova « Donne che avete intelletto d'amore ». Dante non risponde direttamente; dice solo: Io son uno che, quando sento qualche cosa dentro di me, ascolto attentamente ed esprimo quel che sento, con tutta sincerità. Ecco perché mi sento di affermare che il canone fondamentale con cui Remil dichiara:
 «Quando la città è buona
nascono sovente pagine d'amore…»
 Con questi versi egli definisce e spiega il concetto del suo principio, che potrà essere accettato come un giudizio, per definire il comportamento della “sua” Città.
Remil non è un Poeta artificioso, retorico come oggi se ne vedono e in grandissima quantità, specialmente in Internet, non c’è Web o Sito che non faccia spazio a questo tipo di pseudo poeti (grafomani, in verità), che hanno sempre nelle loro opere qualche cosa che finisce col disturbare, con lo stancare. Remil è convinto che, come la sincerità è la prima e più pregevole dote dell'uomo, così dobbiamo dire che deve essere il fondamento di ogni poesia e di qualsiasi manifestazione artistica.
Remil è straordinariamente sincero. Nella «Nostra città violenta» ha espresso sempre con gran forza e con meravigliosa immediatezza quel che sentiva dentro il suo animo. La stessa cosa, io credo, che si debba dire di tutti i veri grandi poeti che noi conosciamo.
La limpidezza del verso mi riporta alla scorrevolezza dell’ottava ariostesca, mentre il contenuto de "Il Principe" del Machiavelli che, per quanto scritto in prosa, è una vera e propria creazione della mente e della fantasia.
De «La nostra città violenta» mi attrae proprio la straordinaria sincerità con cui l'autore espone le sue esperienze, la vita degli uomini, il modo di come violentano la sua amata – odiata città, le conclusioni e gli insegnamenti che va traendo da esse.
Quello che mi piace di più è la chiarezza della sua espressione, l’evidenza delle descrizioni, l’immediatezza con cui esprime tutto quello che passa nel suo animo. La stessa dote che lo avvicina molto al Petrarca le cui poesie hanno il profumo della sincerità, sia che egli esprima il sentimento che lo lega a Laura, sia che ci faccia sentire gli scrupoli da cui è tormentato il suo spirito.
«Un giorno ti porterò con me
a conoscere le acque buone e sapienti
dell'amore felice.
Anche le terre aride del silenzio
dove abbiamo costruito la nostra casa
troveranno le parole
che non sono state mai dette
nel lungo gioco delle assenze.
Vedrai amore
un giorno verrai con me
fino a conoscere
la luce bianca dell'infinito!»
 Il discorso è ripreso dopo aver detto al suo amore che il sole sta morendo. E’ stato solo un attimo di incertezza che subito stacca gli occhi dall'astro e ripensa che anche le terre aride del silenzio, troveranno le parole.
In quel medesimo istante egli si sente trasumanato e inizia effettivamente, senza accorgersene, il volo attraverso gli spazi infiniti. Solo avverte un'armonia mai sentita:
 «Vedrai amore
un giorno verrai con me
fino a conoscere
la luce bianca dell'infinito!»
e si trova immerso in un lago di luce. L’amore gli viene incontro come la primavera agli uccelli.
L'interesse evolutivo del Canto è costituito soprattutto dalle immagini che sono veramente poetiche: le acque buone e sapienti, le terre aride del silenzio troveranno le parole che non sono state mai dette.
Questa poesia è di argenteo nitore. Basta soffermarci a considerare i versi già accennati per perderci nell’immensità delle immagini che in essi appaiono. Sono immagini tanto limpide che ci si può smarrire in quella luce bianca dell’Infinito.
«Anche l'ultima lacrima
raccoglie l'azzurro del giorno
dei fiori il sole giallo
e del vento
l'ultimo tormento dei capelli
che muovono verso l'addio».
Sono immagini concepite serenamente e rese nella scelta delle parole colla medesima serenità con cui sono state immaginate. Il verso è così semplice e nello stesso tempo così scultoreo, da farci balzar vivo davanti agli occhi il tormento del vento nei capelli e l’ultima lacrima che raccoglie l’azzurro del giorno.  Le facce attonite che guardano la lacrima, l’ultima, che raccoglie l’azzurro del giorno, stanno effettivamente davanti a noi, balzate fuori all'improvviso per virtù del verso semplicissimo con straordinaria evidenza. Allo stesso modo, sempre con la medesima semplicità di mezzi, dal gruppo il poeta fa spiccare in netto rilievo la figura del treno fermo al binario numero 21, un binario gelido, dove
«C'e' un treno in arrivo
e tanto amore che attende.
C’e’ un’arancia tra le mani
e tanto freddo.
E le mani sbucciano l'arancia, piano,
come una carezza sulla pelle».
Com’è bella quest’immagine in piena luce invernale, che pur raggelando le mani non vieta il caldo al cuore che sente “quelle” mani come una carezza sulla pelle; ed è luce dal sorriso dolce e folgorante nello stesso tempo.
Gli ultimi due versi sono di meravigliosa potenza nei quali si esprime la grandezza dell’amore, principio e fine di ogni cosa e come sempre datore unico della vera pace.

L’ILLUSIONE

«Quando la città delude
spesso ci abbandona al sogno
e la speranza sostituisce l’amore
e la vita non e’
che continua illusione».

MI SONO IMMERSO DI CIELO

«Mi sono immerso di cielo
e coperto di nubi.
Ho piovuto lacrime di mare
salate come il vento
che le asciugava sul volto
(…)
E da questa terra
e’ nato il fiore dell'amore
e mi sono abbracciato
cercando la vita di un sole caldo
e l'ho trovato nel colore di un'ape
corsa a baciare il fiore.
Il suo sapore
era il miele dei miei sogni
e mi sono nutrito del suo nettare
fino a quando la notte della luna
m'ha piegato gli occhi».
Superbamente splendide sono poi le immagini pittoriche e luminose che si scatenano a prendere la parte di sole più lucente per essere coccolati e letti, per rimanere impressi nella memoria: soprattutto per la nitidezza di queste immagini che Remil continua a rappresentarci:
«Il suo sapore
era il miele dei miei sogni
e mi sono nutrito del suo nettare
fino a quando la notte della luna
m'ha piegato gli occhi».
Si pensi al miele dei sogni nutrito dal nettare dell’amore. Questa immagine del “nettare” dei sogni incolla sugli occhi un caleidoscopio per farci vedere la vita sotto un altro aspetto: immersa in una miriade di colori.
Quella di Remil è una pittura piena di luce e, nello stesso tempo, delicatissima. Appunto per questo esercita sul lettore un grande fascino e può giungere ad effetti straordinari. Penso, per esempio, a quando le mani ghiacce sbucciano l’arancia e avvertono come una calda carezza sul cuore. E' evidente che le mani, in attesa dell’arrivo del treno, stanno a dimostrare quanto l’ansia non dava sosta all’attesa spossante. Qui la semplicità della poesia di Remil tocca veramente il sublime.
Come ho già detto, il Poeta sta compiendo un viaggio che lo deve portare dallo stato di beatitudine alla travolgente peccaminosità in cui vive la sua città, perché convinto che questo è l’unico modo per salvarla dal peccato in cui si troverà. E’ cosciente che per arrivare al possesso della grazia, cioè alla felicità e quindi a Dio, questo viaggio dev'essere compiuto solamente da lui, in modo che sia la sua parola testimonianza e documento per le future genti, poiché il poeta scrive non solo per se ma anche per i suoi fratelli, per gli altri uomini che, leggendo, si sentiranno spinti a fare lo stesso. In che cosa consiste questo raggiungimento? Noi sappiamo che la risposta è amare e servire Dio in questa vita e andarlo poi a godere nell'altra. Quindi, fondamento della vita spirituale è il conoscere, il sapere. Non c'è nessuna cosa che tanto degradi l'uomo quanto l'ignoranza.
Remil ha fatto sua questa concezione dantesca della fede nei confronti dell’umanità, ha capito che la verità non si presenta tutta intera e immediata a noi fin dal primo momento nel quale abbiamo incominciato ad aver contatti con essa. Spesso, dopo che l'uomo ha raggiunto una verità, o meglio un nuovo aspetto della verità, ecco che nel suo cuore sorgono dei dubbi: se la nostra mente, davanti a quei dubbi, si ferma o stanca o sfiduciata o angosciata, non giungerà mai alla verità. Il dubbio non deve far piombare l'uomo nello scetticismo o, peggio, nell'indifferenza e nella negazione. Il dubbio non è nient'altro che una delle tante difficoltà che si oppongono all'uomo nel cammino della sua esistenza. La virtù consiste proprio nel superare le difficoltà a mano a mano che si presentano. Noi dobbiamo adoperare la nostra intelligenza per risolvere i dubbi, rendendocene ragione, e cavando dal nostro ragionamento nuovi argomenti per illustrare al nostro spirito, sempre meglio, l'essenza del vero. La storia dell'umanità è tutta intessuta di queste lotte contro il dubbio. Se Cristoforo Colombo avesse ceduto ai dubbi che dovettero spesso nascere nella sua mente nel sentire le argomentazioni e le irrisioni dei dotti ai quali esponeva le sue teorie, la partenza da Palos non sarebbe mai avvenuta e la verità intorno alla forma, alla grandezza di questo nostro globo non ci sarebbe mai apparsa in tutta la sua luce.
La verità è come una piramide: la base è formata dalle verità minori, diremo così, più facilmente accessibili. Quanto più si sale e la piramide va restringendosi, le verità da conquistarsi diventano più ardue e richiedono un maggiore impegno. Per chi sale la stanchezza è un grande pericolo. perché potrebbe far nascere la sfiducia. Sta nella potenza del volere, superare queste crisi di sfiducia e salire sempre, finché si è raggiunta la vetta della piramide dov'è la verità assoluta. La conquista dell’amore sarà possibile solamente se noi avremo approfittato del dubbio per elevarci sempre più. E' questa la grande lezione che il poeta ci vuole dare per mezzo di queste stupende immagini che sono di per se stesse già una grande verità umana. Noi dobbiamo tendere al vero; esso e raggiungibile, perché, se non lo fosse, il genere umano cesserebbe di potersi dire creato a immagine e somiglianza di Dio.
Nella verità l'uomo trova attuata compiutamente la sua missione e la sua natura, perché senza la verità ogni altro bene umano cesserebbe di essere un bene reale e sarebbe pura e semplice apparenza contingente e transeunte.
Il dubbio è il mezzo che la natura ci offre per fare della verità un bene essenziale, un elemento costitutivo della nostra natura.
«Ho visto
qualcuno spostarsi e poi sparire
E’ forse il gioco d'ombre dell'anima
o forse e’ soltanto la solitudine
unica eterna compagna
che non t'abbandona mai».
Nella opprimente solitudine notturna, quando appena si vede arrivare il mirabile riflesso dei propri pensieri e ci si sente pellegrini, Remil, si stacca dal punto dov'era e viene a porsi proprio davanti, per parlarci di sé, per dirci il suo dolore, la sua preoccupazione, il suo amore e la sua repulsione per questa sua città, che perde giorno dopo giorno la propria dignità e la sua potenza, e forse anche il ricordo della gloria passata; ma non si arrende poiché il dubbio o la speranza? Lo fa ancora cantare:
«Forse in fondo alla via
o in fondo al cuore,
nel fondo d'un bicchiere colmo di vino…
(…)
dovrà pur esserci
da qualche parte.
(…) voglio abbandonarmi
lasciando che il vento mi consumi
e mi trascini via
e che per caso
trovi qualcosa che conosco
o qualcuno che mi riconosca
questo è importante».
Queste parole sono quelle che esaltano la santità del ricordo, la santità dove vorrebbe ancora abbandonarsi per ritrovarla nell'antica vita familiare. Questi a mio avviso sono tra i più bei versi della raccolta, perché il poeta comincia a tentennare sulla forza infallibile e potente della sua poesia e vorrebbe lasciarsi abbandonato per farsi consumare dal vento e nello stesso tempo desidera che qualcuno lo riconosca ancora, specialmente se fosse sua madre: questo è importante. In questo modo egli parla a tutte le mamme, lui che
«ha perduto tutto,
stupidamente,
bussando alla porta dei sogni»
aspettando per anni forse che qualcuno aprisse una porta per farlo entrare, affinché potesse far svanire i sogni e realizzare la vita, perché
«E' un uomo
che non ha più un ricordo
perché il tempo che manca
per raggiungerlo
va sempre più in fretta
e tra non molto
nelle nostre città
non ci sarà più posto
per nessun ricordo.
Lui è un uomo
che odia tutto questo
ma non ha niente
per darne un prezzo,
perciò ogni sera
attende l'amante del paradiso»
Ora invece, l’amante del paradiso non appartiene più alle antiche e oneste donne del passato quando la città era abitata dai galantuomini.
Roma un tempo era piccola e, nello stesso immensa, tanto aveva esteso il suo impero, ma la gente che l'abitava era onesta; oggi appare grande e ricca, ma la ricchezza e la potenza derivano dalla confusione delle persone, dall'immigrazione in città del contadiname arricchito che non è ancora riuscito a liberarsi degli abiti rozzi la cui stoffa era stata tessuta al telaio a mano; dal puzzo del concime portato dalla campagna. La ricchezza ha generato l'ambizione e da questa sono nate le violenze e gli stupri, gli eccidi e gli infanticidi; i fratricidi e i matricidi.
Il poeta si cosparge il capo di cenere e continua a parlarci di sé e delle sue aspirazioni, che sono poi, le stesse che vorrebbe per la sua città.
Ma forse è meglio che lasci la parola al poeta che meglio di me esprime i propri sentimenti, palesa le sue ansie, confessa il suo desiderio di un amore come quello che ha perduto: gli anni giovanili e le scorribande infantili per vie acciottolate di quella Roma amata e al godimento provato nel sentire il suono roboante dei suoi passi sui ciottoli (sampietrini – così li chiamano a Roma -), che il silenzio notturno faceva echeggiare fino all’inverosimile come l’eco del cannone sparato a mezzogiorno sul Gianicolo.
«Quando la città è amara
dimentichi tutto, anche
l'amore
e la voglia di andarsene
diventa
l'unico credo di una
ribellione
senza speranza»
giacché il destino decreta che egli deve correre il rischio di vivere… bere fino in fondo il calice amaro della delusione se vuole che il suo canto si libri libero e diventi il canto di tutte le genti; per questo non deve cercare alcun rifugio; e d'altra parte, se volesse riferire tutto quello che serra in una morsa la sua anima facendola sanguinare deve necessariamente soffrire.
Ho detto in principio che il protagonista di questa raccolta di versi di Remil (Renato Millèri) è il viaggio a ritroso dal Paradiso all’Inferno, ebbene l’Inferno il Poeta lo sta sopportando con fede, cosciente che il suo canto riuscirà a scuotere gli animi e vedrà gli uomini guardarsi ancora dentro per ritrovare se stessi e il proprio amore per sé e per i figli dei figli.
  Come abbiamo visto Egli è attaccato alle tradizioni, ma non contrario alle novità, però desideroso di un affratellamento dell’umanità inspirato all'amore, al rispetto per le leggi, alla libertà e all'accettazione della suprema legge morale. Ed è tanta la passione personale con cui il poeta parla che a un certo momento irrompe in un grido di dolore tanto forte che par di udire le trombe di Gerico:
«Dove vai Pietro?
Là non c'è posto per nessuno.
Dove corri ora?
E’ tutto pieno
come un vagone di seconda classe.
In periferia i borgatari annoiano
con le loro penose avventure.
Lascia stare,  che serve andare?
I benpensanti annoiano ancora di più
sui loro trampoli di soldi raffinati
e basta inciampino un istante
per vederli coperti di merda.
Pietro
per te forse non c'è posto
su questa terra
ma non morire,
aspetta!
Se quelli come te muoiono
dimmi
chi resta a cantare la pazzia acuta
che vive il nostro tempo?»
L'elemento fondamentale del mondo poetico di Remil è l’amore – odio per la sua città martoriata dal caos della modernità e da quello più deleterio dell’urbanistica. Senza questo sentimento «La nostra città violenta» o non ci sarebbe stata o sarebbe stata ben diversa.

Reno Bromuro


Prefazione Parte I (L'amore) Parte II (L'illusione)
Parte III (La ribellione) Parte IV (La stanchezza) Parte V (La violenza)

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