A marzo di pomeriggio inoltrato fin verso sera in campagna
qui alla Valintèna è un turbinio di api che sfrecciano
sulle corolle degli albicocchi e sui peschi dai petali rosa finchè
il buio non avanza e tutto tace.
Il silenzio cade presto nelle campagne in fiore.
Un abbaiare lontano, il mormorio del rio Sellustra, il
vento.
L'aria è pura e tersa, pulita.
Nell'aia ormai vuota solo le margherite dai capini chiusi
ondeggianti al vento si intravedono ancora nel buio che avanza.
All'interno della casa la luce della lampada ad olio
tremola, sembra spegnersi, poi brilla più forte di prima attraverso
la piccola vecchia finestra senza persiane della cucina.
E' ora di cena quaggiù e gli uomini con i sandali
entrano silenziosi dalla porta che viene dalla stalla dove le vacche ruminano
ormai ben governate.
I lavori nella corte e nei campi sono addirittura avanti
sui tempi normali e ci si può permettere il meritato riposo.
Il vecchio si siede per primo e sospira.
Gli altri silenziosi guardano la nonna che prepara
la semplice cena dal sapore antico.
C'è qualcosa di strano nell'aria, e tutti lo sentono
e ogni tanto un brivido li percorre.
Il grande focolare non basta di certo a riscaldarli;
serve solo per preparare il desco quotidiano.
Il tempo delle gelate tardive non è ancora finito
e non si può sprecare neppure un pezzo di legna.
La nonna toglie il paiolo fumante e nero dal fuoco aiutandosi
con il grembiale, anch'esso fuligginoso per non bruciarsi le mani, lo appoggia
sulla tavola senza tovaglia imbandita soltanto con alcune fette di pane
fatto in casa nel vecchio forno a legna, qualche bicchiere alcune forchette
di rame stagnato un fiasco di albana a metà e una caraffa di acqua
del pozzo.
Poi torna frettolosa verso il fuoco e quasi nervosamente
vi pone a bollire un secondo piccolo paiolo pieno di acqua.
Il vecchio la guarda e tace.
Nessuno si serve, si osservano silenziosi e solo dai
loro occhi vivaci trapela la loro inquietudine.
-Bhe? S'aviv tot stasira?- Beh! Che cosa avete tutti questa sera?' Sembra dire la vecchia, muta, tutta presa dal suo
lavoro ma che con gli occhi non li perde un istante.
La luce è fioca e la fiammella tremolante manda
mille riflessi e bagliori sulle pareti oscure, mentre il fuoco cova sotto
la cenere a cui è appoggiato il piccolo paiolo di rame stranamente
pulito.
Il vecchio non mangia, figuriamoci gli altri.
-Nôna!-Nonna
Sbottò sottovoce ma fermamente ad un certo punto il vecchio.
-Oôh- rispose la nonna guardandolo senza interrompersi
nel suo rimestio.
-Mitì
sò un pez ed legna in te fugh se no l'aqua l'an bol brisa.-Mettete su un pezzo di legna nel fuoco altrimenti l'acqua non bolle La vecchia, che non aspettava altro e che in cuor suo
aveva già preparato il pezzo di legna fin dal pomeriggio, lo sfilò
rapida dall'angolo della legnaia e aiutandosi con un fascetto di spini
lo accese rapidamente.
La fiamma brillante degli spini luccicò improvvisa
nella cucina illuminando il viso e il corpo della donna mentre appendeva
il paiolo alla catena un po' più in alto per far posto al ciocco.
Tutti adesso guardavano il fuoco e avvicinandocisi le
loro ombre si arrampicavano sui muri e salivano le scale.
Rinfrancati dal fuoco sempre più vivace gli uomini
sembravano meno tesi di prima, ma nonostante ciò nessuno osava toccare
il cibo per primo.
-Magnì
dòca sò!-Suh! Mangiate dunqueLi sollecitò la vecchia.
E solo a quel punto piano piano dopo essersi fatti il
segno della Croce, immersero a turno un pezzo di pane nel tegame per prelevare
un pezzo di patata dallo stufato di fagioli ormai freddo. Ancora fagioli;
Ancora un po' di pane; Una vertebra del collo di un pollo...
Ancora un po' di pane, questa volta bagnato nel bicchiere
contenente due dita di vino aspro e forte poi una piccola mela tolta dalla
catasta destinata ai maiali.
Le belle erano state vendute o date a Natale al padrone
assieme ai capponi e queste tutte bacate o piccoline non erano certo belle
a vedersi ma in compenso erano ottime.
Il sapore della cena però quella sera non lo avvertì
nessuno e tutti piano piano tornarono nella stalla considerata il salotto
buono di casa e il posto dove d'inverno le donne filavano, cucivano e facevano
la tela e gli uomini le stavano a guardare fumando, giocando a carte o
riparando gli arnesi da lavoro.
Era il posto ideale per la conversazione, per le fole,
il gioco e il lavoro perchè era l'unica stanza riscaldata dal fiato
e dal calore corporeo delle sedici vacche.
Quella sera, una delle tante della loro vita, era però
evidentemente diversa dalle altre e loro lo sapevano tanto che nessuno
trovò un lavoro da fare e tutti, silenziosi come prima, si misero
seduti su una greppia a fissare le borelle.
Soltanto Giuseppe, il figlio maggiore, ad un certo punto
non resistette più e preso come da un attacco di claustrofobia,
aprì la porta di ferro della stalla e uscì nel buio a fumare
un mozzicone di Toscano rimasto dal giorno prima e tenuto gelosamente nel
taschino del panciotto di fustagno logoro dal lavoro.
Nel buio della corte si sedette sotto il vecchio noce vicino alla carreggiata
che portava nel campo e iniziò a fumare guardando la sua casa dalle
cui finestre chiuse traspariva solo una piccola e debole luce.
Non si riuscivano a vedere i suoi occhi persi nel buio
ma certamente si capiva il suo stato d'animo dalla cicca nervosamente fumata
e consumata in fretta da tironi rapidi e forti.
Era ancora molto giovane pur essendo il figlio maggiore
e forse nel suo cuore sentiva il peso della responsabilità di una
famiglia che avrebbe voluto stare un po' meglio. Mezzadri! Tanto lavoro, sangue e sudore per nulla e lui lo sapeva. Mezzadri! L'unica cosa che possedevano era se stessi e neppure. Mezzadri! Poche galline, qualche piccione, le oche, le anatre,
i tacchini e il maiale grasso.
Null'altro.
Le mucche e la terra erano del padrone; i guadagni a
metà.
A loro alla fine avanzava soltanto il lavoro, il
misero cibo, qualche raro momento di festa, la Messa, i figli, la famiglia
e Dio.
Giuseppe guardava le stelle e pensava a tutto ciò.
Aveva i brividi, brividi convulsi come non aveva mai
avuto.
No! Non era la paura per la vita che faceva o per il
domani perchè non conosceva altra vita e timorato di Dio accettava
di buon grado che fosse così.
Il suo cuore batteva forte nel petto irrobustito dal
tanto lavoro che fin da bambino gli era stato imposto, sembravano battiti
addirittura diversi dal solito, più forti, più rapidi, più......
Si tolse il cappello dalla tesa logora e si passò
la mano sulla fronte, tra i capelli.
Sudava, sudava e aveva freddo contemporaneamente.
Il vento pazzerello di marzo gli entrava tra i capelli
scompigliandoglieli.
Si strinse le mani nelle mani, grosse, dure, rugose,
callose e screpolate anch'esse sudate, cercò di asciugarle strofinandosele
sul panciotto, si rimise il cappello e guardando il cielo gli parve di
scorgere gli angeli di cui Don Gigi parlava ogni domenica durante la Messa
e che lui la sera da sempre sognava.
Rimase là per molto tempo, col viso bagnato di sudore
e di rugiada a guardare i suoi Angeli giocare con le stelle del cielo.
L'alba era vicina e fra poche ore le vacche avrebbero
annunciato il nuovo giorno con i loro muggiti.
D'improvviso in casa si sentì un vocio femminile
serrato e convulso.
Corsette su e giù per le piccole scale.
Poi il silenzio.
Ancora voci incomprensibili, rumore di pentole e
scintille, scintille che uscivano dal camino.
Qualcuno aveva ravvivato il fuoco per scaldare qualcosa.
Giuseppe più sudato che mai tutto tremante seguiva
gli eventi incalzanti che quella notte gli proponeva cercando di non venire coinvolto.
Ma invano...
Ancora rumori all'interno della casa, ancora scintille,
ancora vocii, ancora corsette rapide su e gù per la scala di legno.
Poi d'improvviso il silenzio, il canto degli Angeli,
le stelle.
Si voltò col viso sudato verso la Chiesa di Casola
Canina che dormiva lontano nel buio e invocò una preghiera mentre
con i sandali camminava sulla medica fredda e bagnata come a cercare
un refrigerio per la sua anima.
D'improvviso una figura famigliare si stagliò
sulla porta di casa fiocamente illuminata e ormai lontana.
-Jusef-Giuseppe,
gridò sottovoce, -Juseff-,Giuseppe!!!
e alzando la voce -Ma
duv set?-Ma dove sei?.
-Jusef,
ven a que ed corsa, ven ven, u t'è nè una babina, una bela
babina; ma dov at sit mes?-Giuseppe, vieni qui di corsa, vieni, vieni. Ti รจ nata una babina, una bella bambina. Ma dove ti sei messo? Giuseppe impietrito in mezzo al morello di spagnara bagnata
non riusciva ne' a muovere un passo ne' a rispondere a sua madre.
Sentiva in lontananza la voce adesso imperiosa e preoccupata
di sua madre che lo chiamava ma era tutto un turbinio di sensazioni che
lo paralizzavano e stava già per cadere sull'erba quando sentì
il muso caldo del suo cane che gli leccava le mani e finalmente si riebbe
dal torpore e rispose:
-Ariv Mema a so a que, ariv sobit!-Arrivo mamma, sono qui, arrivo subito.. In cuor suo credette che l'avessero dato per morto o
per disperso tanto che gli pareva enorme il tempo trascorso tra i
richiami di sua madre e la sua risposta.
Per questo si avvicinò alla porta titubante, e
vergognandosi un po' entrò in casa.
Nella piccola cucina erano tutti presenti, il nonno,
il padre, i fratelli, tutti gli sorridevano e gli battevano le loro mille
mani sulle spalle e gli urlavano sottovoce il loro entusiasmo.
Sua madre sulle scale lo riportò alla realtà
per la seconda volta e l'invitò a salire di sopra.
La
babina l'è un sogn e tu muir la sta bè, ven so a vdeli, dai doca, so!La bambina è un sogno e tua moglie sta bene. Vieni su a vederle. Dai dunque.Mi sembri un po incantato. Stai bene? Senza rispondere a sua madre, ma evidentemente rinfrancato
dalle sua bonarietà entrò in camera da letto in cui giaceva
la moglie fin dal mattino prima.
Scavalcò goffamente la nonna tutta occupata nel
riassettare il lettone candido e profumato di lavanda e si avvicino alla
moglie che pallida e con gli occhi socchiusi sembrava più morta
che viva.
Stette ad osservarla senza respirare per non disturbare
il suo riposo, ma ella d'istinto aprì gli occhi e lo prese di sprovvista
per mano.
Cum stiv?Come state?sparò Jusef?-SSSShhhh-, gli fecero eco nonna e madre da
dietro le spalle.
Moh! l'a m pareva ch'l'a m guardesMi sembrava che mi guardasse- mormorò Giuseppe-.
-Ma
noo! Etci propi imbalzè stamatena,--Ma
noo! Sei proprio incantato stamattina
-l'è
la babina ch'la dorma, tu fiolaa! la tu prema fiola! e capesat o no l'Itaglien!-E' la bambina che dorme. Tua figliaaa! La tua prima figlia! Lo capisci l'italiano? Gli sussurrò a mò di rimbrotto la nonna.
Sua moglie a questo punto gli sorrise rassicurandolo
che andava tutto bene e con un filo di voce lo invitò ad andare
a guardare la nuova creatura che era venuta ad incrementare il numero delle
bocche da sfamare della famiglia.
Lui si avvicinò di malavoglia alla culla di vimini
intrecciati dal nonno, il quale provetto costruttore di canestri da fieno
l'aveva preparata con cura vedendo che il nipote non reagiva molto agli
stimoli di quel genere.
Giuseppe cercava disperatamente con gli occhi un punto
da guardare che non fosse il viso di sua figlia.
Nella sua testa villana prevaleva infatti la concezione
tutta contadina che una femmina fosse buona solo da mantenere! Mentre un maschio
gli avrebbe fatto assai più comodo nei campi e cercava pertanto
di evitare di guardarla con tutte le sue forze.
Era evidentemente un debole e alla fine i suoi occhi
caddero nella culla.
Ma, non videro nulla.
-Alora cum'ela?-allora com'è?chiedeva la moglie sottovoce,
-Jusef av piesla?-Giuseppe vi piace? Ma Giuseppe continuava a guardare la culla senza vedere
la figlia.
Al suo posto vedeva gli Angeli che giocavano con le stelle
del cielo come quando poco prima era in mezzo al morello di spagnara bagnato,
quando ad un tratto una stella più grande e più bella
delle altre sfuggita di mano ad un Cherubino maldestro cadde nella culla.
-Juseeff, cum'ela la nostra babina?-Giusepppe com'è la nostra bambina?incalzò la giovane donna.
-Na.... na.... na Stêla.-Una ... una ... una stella!balbetto il pover uomo,
-Na....na
Stêla.-Una una stella Ripetè, -L'è neda una Stêla- E' nata una stella sussurrò dolcemente di nuovo vedendo finalmente il piccolo volto roseo che nella penombra inondava nella stanza più
luce della stessa lampada ad olio e voltandosi raggiante, felice che fosse
una bella bambina abbracciò la moglie incurante dei 12 occhi che li spiavano
attraverso la porta.
Sopra di loro gli Angeli continuavano a giocare con le
stelle del cielo di marzo sopra la Valintèna incuranti che gli fosse
caduta la più bella sulla terra.
Era il mattino del 21 Marzo 1899.
Alcuni giorni dopo la Domenica al mattino presto tutta
la famiglia con esclusione di Adele la neo mamma (nella foto qui
sopra a destra) si recò in Chiesa a Casola Canina per il battesimo.
Presenti la madrina e alcuni parenti.
Il vecchio parroco durante la semplice cerimonia chiese
come volevano chiamare la bimba.
Ma il nome non venne; non l'avevano mai cercato, per
tutti la gestazione avevano pensato solo a nomi maschili ma uno, uno solo
di femmina no.
Il parroco alquanto sbrigativo apostrofò
il povero Giuseppe,: -Allora come volete chiamarla sta bambina che è venuta sulla terra per dar felicità alla vostra famiglia?-
E Giuseppe rivide gli Angeli e le stelle con cui essi
giocavano ogni notte fin da quando ancora bambino lui li vide per la prima
volta.
E rivide la stella cadere nella culla e sussurrò:
-Stella!-.
-Stella io ti battezzo nel nome del Padre del Figlio
e dello Spirito Santo- Recitò il vecchio parroco a memoria-
-Amen-
Dissero i presenti.
Sembra una storia di altri tempi, una fola nata dalle
canne che crescevano sulle sponde del rio Sellustra ma invece è
tutto rigorosamente vero e documentato un po' dalla mia memoria, un po'
dalla mia fantasia e un po' dalle annotazioni sui registri della
Chiesa di Casola Canina.
Stella è veramente esistita, ne sono sicuro perchè
da Lei venticinque anni più tardi nacque mio padre e pochi altri
anni dopo furono elaborate e perfezionate per sua ispirazione e amore per
la cucina tutte le ricette di questa pubblicazione.
Di tutte ella stessa si dichiarava sempre e solo interprete
e mai madre perchè nacquero tutte nei tempi lontani dalla cultura
e tradizione di quella gente ed ella col suo amore le perfezionò
e divulgò soltanto ricordando sempre a chiunque lo chiedesse che
il primo ingrediente per tutti i suoi menù è sempre stato
lo stesso: "l'amore".
Fù cuoca professionista da sposi in campagna per oltre
quarant'anni e i suoi menù serviti nei banchetti di tutti i contadini
che si sposavano laggiù fra Giardino, Sasso, Casola Canina e Imola
divennero famosi.
Dei suoi primi anni non conosco molto.
Ricordo solo alcuni episodi che lei mi raccontava da
piccolo e non so con precisione se erano fole o realtà.
Ma non importa perchè anche nelle favole c'è
sempre un fondo di vero.
Stella o Stelina per i parenti divenne madre di 5 figli
di cui due viventi tuttora: mio Padre Silvio che fu insegnante e Ofelia
la sorella mezzana.
Nonna Stella visse fino al 1953 in quel di Giardino,
un piccolo paese delle campagne Imolesi a pochissimi chilometri dal suo
sito natio, in una famiglia patriarcale di mezzadri in cui visse
col marito ed allevò i suoi figli.
Il podere e di conseguenza la famiglia era ed è
detta: "Calzena" e nel periodo di massima espansione numerica negli anni
40 arrivarono ad essere in 25 persone.
Con l'avvicinarsi della seconda guerra mondiale Stellina
che ormai aveva più che fatto il suo dovere di madre e di sposa,
iniziò la sua carriera professionale di cuoca da sposalizi, raro esempio
di imprenditoria femminile di quei tempi.
In questa foto la vediamo negli anni 40 seduta in compagnia
delle ultime due figlie avute dal marito Remo Casadio Tozzi
A quel tempo era già cuoca provetta foss'anche solo
per necessità.
Resta comunque il fatto che abituata com'era ad aiutare
la zia a fare da mangiare gratuitamente ogni giorno, due volte al giorno
per 25 persone posso pensare che alfine il passo sia stato breve.
Fu donna forte, moderna, testarda, dinamica e indipendente
al pari soltanto delle enormi prove e dei grandi dolori che in vita
sua dovette superare quali la morte di ben due figlie una di 3 anni e l'altra
di 42.
Nonostante ciò continuò sempre ad amare
la vita e a lottare per essa fino alla fine.
Quest'anno il 21 marzo 1999 cade il centenario della sua nascita e io per festeggiare vorrei con tutto il cuore farvi assaggiare le sue specialità perchè io amo ciò che amava Lei: la buona tavola semplice e contadina nel rispetto totale della tradizione e della cultura gastronomica contadina che nessuna civiltà presente e futura ci potrà mai far dimenticare perchè fa parte di noi da non confondere con la cucina regionale.
Nonna Stelina dal 1953 abitò in casa nostra con una parentesi dal 1976 al 1979 in cui fu costretta ad andare ad abitare
a Lugo di Romagna nella casa di Elide la figlia minore visibile nella foto
con la berrettina bianca in testa, che, morta improvvisamente a quarantadue
anni, le lasciò in eredità due bimbi da finire di allevare.
Nonna Stella accudì con amore anche a questa ultima
e grande responsabilità superando con l'amore il grande dolore e solo quando il suo corpo ormai ottantenne non le permise più di continuare tornò nella nostra famiglia dove si spense nel 1983.
Con affetto
Paolo
Imola, 21 Marzo 1999.
Nota dell'Autore:
Per permettere a tutti una efficace comprensione dei
termini dialettali e quindi dei colloqui fra i personaggi, potete fermarvi
con Mouse sulle frasi in dialetto e leggere contemporaneamente la traduzione in una piccola finestra acanto alla frase in dialetto la traduzione.