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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

 


La Storia Infinita
INTERVISTA A BOBBY LIEBLING
a cura di Voidhanger

“Mostraci ancora come, Bobby!”, hanno supplicato i fan dopo l’ascolto del clamoroso “Sub-Basement”, album che nel 2000 ha riportato definitivamente in auge i Pentagram, padri riconosciuti del doom rock (e non solo). E il suo leader storico Bobby Liebling li ha accontentati, tornando ancora una volta a tracciare nei nostri cuori il fatidico cerchio magico da cui il suo gruppo ha preso il nome. Questa volta lo ha fatto con un album, “Show ‘em How”, (dal titolo di un disco fantasma che Liebling e soci composero sul finire dei ’70 e che mai pubblicarono), zeppo di brani che rpercorrono a ritroso le tracce del tempo, rispolverando uno stile più heavy rock e meno doom, tipico dei Pentagram degli esordi. Cioè quelli dei Seventies, quelli che abbiamo amato ascoltando la bella raccolta “First Daze Here” data alle stampe dai tipi della Relapse e di cui Liebling ci preannuncia un “volume two” proprio nell’intervista che segue. Il nuovo “Show ‘em How”, intanto, è pubblicato dalla fidata Black Widow Records ed è stato registrato da una formazione che annovera – oltre all’immarcescibile Liebling – ben 3/4 degli Internal Void, ottimi doomsters del Maryland. Che in questo modo realizzano il sogno di collaborare insieme a colui che li ispira da una vita e che a quanto pare ha ancora tanto da insegnare. 

Bobby, cominciamo dagli stravolgimenti della line-up: come mai su “Show ‘em How” non troviamo Joe Hasselvander, com’era successo sugli ultimi due lavori targati Black Widow?

“Joe Hasselvander sta cercando di dedicare molto del suo tempo al figlio dopo la recente scomparsa della moglie. Era una donna eccezionale, le volevo anch’io molto bene… che riposi in pace! 
Di conseguenza adesso ci sono tante cose di cui occuparsi, e c’è un solo Joe a dover fare tutto. Perciò ha scelto di interrompere momentaneamente la sua carriera. 
La nuova line-up si spiega col fatto che i Pentagram vogliono continuare a suonare dal vivo e – diciamolo – non è mi possibile suonare più di uno strumento sul palco! Ma Joe è sempre nel mio cuore e siamo costantemente in contatto”.

Come hai reclutato Kelly Carmichael e Adam S. Heinzman degli Internal Void? E il batterista Mike Smail, che in passato aveva suonato con Penance e Cathedral? 
“Che ci crediate o meno, è stato proprio Joe ha suggerire al nostro ingegnere del suono, Chris Kozlowski, di contattare gli Internal Void. Loro amano i Pentagram. Quanto a Mike, è il nuovo batterista degli stessi Void… Si tratta di un team glorioso!”. 

Raccontaci dell’esperienza in studio, allora. E’ stato facile lavorare con musicisti coi quali non avevi mai suonato prima? 
“Questo album è il primo in circa 25 anni per il quale tutte le tracce ritmiche sono state realizzate dal vivo, tutti insieme. Kelly ed io abbiamo usato tutta la nostra esperienza per sfruttare al meglio la nostra collaborazione ed effettuare tutte le rifiniture di cui le tracce ritmiche avevano bisogno. Ed è venuta fuori una torta gustosissima! Ovviamente tutto parte necessariamente dal sottoscritto, da una scintilla di entusiasmo dentro di me. E gli Internal Void hanno fatto il resto. Che è moltissimo”. 

Cosa si nasconde dietro il titolo dell’album? Ha un significato particolare? 

“Il titolo viene ovviamente da quello di uno dei brani… scritto circa 30 anni fa! Una canzone attraverso cui – nel momento in cui la scrissi – esprimevo il proposito di suonare heavy metal di qualità e che fosse concorrenziale”. 

Che differenze riscontri tra il precedente lavoro “Sub-Basement” e “Show ‘em How”? Il nuovo album suona decisamente più heavy rock-oriented e meno doom rispetto al suo predecessore. E’ come se fossi andato alla ricerca delle radici Seventies dei Pentagram, quelle che portano alle mente gruppi come Blue Cheer, Sir Lord Baltimore e Groundhogs… 
“Avete risposto da soli alla domanda, e avete centrato il bersaglio!”. 

E’ stato bello trovare in track-list le nuove versioni di due brani storici come “Starlady” e “Last Days Here”. Parlaci delle tue sensazioni nel lavorare su questi due pezzi di storia… 
“Ho ancora qualcosa come 200 brani nel mio arsenale personale. Amo realizzare dischi che per metà contengono vecchie composizioni e per l’altra metà offrono nuovi brani. E’ diventata un’abitudine pubblicare dopo lungo tempo qualcosa di vecchio che mi è molto caro. Ben presto uscirà anche un secondo volume della compilation ‘First Daze Here’ su Relapse Records (il primo è uscito nel 2000, nda), con altre canzoni dal passato remoto dei Pentagram. Credo non basterebbero gli anni che mi restano da vivere per svuotare completamente i miei cassetti!”. 

“Prayer For An Exit Before The Dead End” e “If The Winds Would Change” assomigliano molto a quelle ballad che negli album degli anni ’70 avevano il compito di creare atmosfera e rendere l’ascolto più vario. Per te cosa r appresentano? 
“’Prayer For An Exit Before The Dead End” è una riflessione col cuore in mano, uno sguardo al mio passato, alla mia vita. Invece “If The Winds Would Change” – che personalmente ritengo la mia ballad preferita tra quelle che ho scritto – è stata composta e messa da parte in attesa di trovare gente che riuscisse a registrarla nel modo giusto, dandogli lo stesso feeling di un abbraccio caldo e pieno d’amore. Ringrazio Kelly, Adam e Mike, per questo. E direi che anche “Last Days Here” rientra più o meno in questa tipologia di brani, adatti a momenti in cui si è impegnati in profonde riflessioni o quando ci si sente tristi e malinconici. Queste sono le occasioni in cui canzoni così sono di aiuto e conforto. Almeno questo è ciò che succede a me”. 

Tutti sanno che i Pentagram sono i veri padri della musica del destino. Ma ufficialmente il genere è nato nel 1984, quando i Saint Vitus si definirono esplicitamente una doom band. Cosa pensi di loro e di Wino, che con i suoi Obsessed è stato un altro prime-mover del doom? 
“Sono amico di Wino degli Obsessed, che adesso suona nel nuovo progetto Hidden Hand. E mi piace la roba che ha registrato insieme ai Vitus. Credo che quello fosse un periodo in cui l’heavy rock e l’heavy metal cessarono di muoversi verso direzioni ben precise, stilisticamente parlando. E tutte quelle (a mio avviso) stupide definizioni per descrivere ciò che i Pentagram suonavano nel ’71 erano solo frutto di confusione. Mi hanno definito doom, acid rock, psichedelico, downer rock, sludge… persino stronzo ed egocentrico! Se continuassi, riempirei il resto della vostra rivista. Più semplicemente, penso che il termine “heavy” sia quello più attinente alla mia musica. E questo è quanto”. 

Ma cosa pensi del doom europeo suonato da gruppi come Candlemass, Anathema o Cathedral, sicuramente diverso dal doom “made in USA”? E’ una differenza culturale quella che interviene sull’approccio alla materia doom da parte di queste band? 
“Alcune cose mi piacciono, altre no. Ma i gruppi europei dimostrano di avere i propri gusti, e per citare Chris Youlden dei primi Savoy Brown: ‘Now wouldn’t be a real drag if we were all the same!?’. Capire i motivi dietro tale diversità è questione troppo politica per interessarmi”. 

Non sempre ti sei espresso favorevolmente nei confronti del cosiddetto stoner rock, eppure i Pentagram hanno spesso diviso il palco con gruppi di quell’area stilistica. Senza dimenticare che molti esponenti del genere vi hanno reso omaggio coverizzando il meglio del vostro repertorio… 
“Se davvero ho detto male dello stoner, allora non avrei dovuto. Mi piacciono i Queens Of The Stone Age, ad esempio”. 

Hai iniziato sul finire degli anni ’60, sei in circolazione da circa 30 anni e di sicuro ne hai viste di cotte e di crude. Ma ci sono ancora gruppi che riescono a sorprenderti veramente? 
“Forse mi dovrei ritirare dalle scene, perché non c’è nessuna dannata cosa che al giorno d’oggi riesca a sorprendermi! Per me non ci saranno più altri Groundhogs, Sir Lord Baltimore, Captain Beyond o Blue Cheer!”. 

I Pentagram sono stati uno dei primi gruppi a introdurre look e tematiche occulte e horror nel mondo del rock, e persino certi gruppi black metal citano brani come “Ghoul” come la quintessenza del metal oscuro… 
“Sono sempre stato appassionato dai vecchi classici horror della Universal, ma anche di certi gore movies di serie B che hanno avuto poca diffusione. Diciamo che ho sempre avuto una fissazione per atmosfere lugubri e shockanti, per il lato morboso delle cose in generale… ma riuscendo a mettere un freno a certe pulsioni”. 

“Show ‘em How” è il terzo lavoro che pubblicate per la Black Widow. Diremmo che il vostro è un matrimonio riuscito… 
“La Black Widow è una buona label che distribuisce i nostri lavori in tutta Europa. Sono i migliori per quel che riguarda album tributo, edizioni per collezionisti e vinile raro e limitato, che nel Vecchio Continente vende ancora bene. Quanto al mercato USA, sono molto felice del fatto che il nuovo album è distribuito in esclusiva dalla Dogstreet Records (in realtà “Show ‘em How” è distribuito da quelle parti anche attraverso Century Media e Relapse, nda). Adesso che negli States abbiamo una nostra etichetta che controlliamo direttamente, sarà forse più facile reperire i nostri album”. 

Quest’anno la Black Widow ha in programma di stampare ufficialmente “Child Of Darkness” dei Bedemon, un’oscura formazione anni ’70 di cui hai fatto parte insieme a Randy Palmer. Cosa ti ricordi di quell’esperienza? Ha forse contribuito a definire meglio le coordinate stilistiche dei Pentagram stessi? 
“Direi proprio di no. Randy era solo uno dei miei più cari amici dei tempi della scuola superiore, e in ogni caso i Pentagram già esistevano prima che i Bedemon si formassero. Piuttosto si trattava di un side-project del solo Randy ispirato alla musica dei Black Sabbath, il suo gruppo preferito”. 

In una traccia di “Sub-Basement” canti: “Like the bats hanging dormant in their nocturnal fleet, I’m still around underground getting’ my peace without sleep”. Una descrizione che ti si addice alla perfezione. Ma riesci a immaginarti tra 10 anni? E hai qualche rimpianto? 
“Ho scheletri nell’armadio come chiunque altro a questo mondo, ma non riesco proprio a immaginarmi tra 20 vent’anni. Perciò continuate a darci il vostro supporto, per il quale vi siamo grati e che non è mai stato così grande come negli ultimi tempi. Siate la nostra voce! Credo che continuerò ad amarvi fino a quando il mio cuore batterà. E finché ci saranno lune piene, e finché avrò zanne, e finché ci saranno cose che strisciano nella notte, e finché… OK, Bob, direi che può bastare!”.

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