OBSCURE METAL UNDERGROUND & VULTURE CULTURE
I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

 


Sweet Home Louisiana
di Voidhanger

Dopo la consueta, lunga pausa, i Down sono tornati con un altro grande disco di heavy rock sudista, “Over The Under”. La band ha ripreso a picchiare duro come ai tempi di “NOLA”, ma senza dimenticarsi della maturità melodica conquistata col precedente “A Bustle In Your Hedgerow”. La nuova biografia parla giustamente di alchimia, sottolineando la grande intesa e l'affiatamento che gli ha permesso di tornare a suonare e comporre come se fossero passati solo pochi mesi dall'ultima volta. Invece sono passati cinque anni, e con essi anche tanta acqua sotto i ponti. Letteralmente. L'uragano Katrina ha semi-distrutto New Orleans, aggiungendo dolore a quello già devastante per la scomparsa di Dimebag Darrell, assassinato nel 2004 durante un concerto dei suoi Damageplan. Di quella morte Anselmo ha detto di sentirsi in parte responsabile, immaginando che le parole aspre rivolte in passato verso l'altro ex-Pantera possano avere ispirato il folle gesto. Sia come sia, “Over The Under” ha preso vita in un clima di rabbia, disperazione e sensi di colpa. Raggiunto telefonicamente nella sua abitazione di New Orleans, un Pepper Keenan poco loquace ce ne ha raccontato la genesi.

La prima cosa che salta all’attenzione ascoltando “Over The Under” è il grado di affiatamento raggiunto dai Down. Nessun altro sarebbe riuscito a scrivere un disco del genere dopo una pausa così lunga…
Vero, tra noi c’è un feeling particolare che ci permette di sintonizzarci tutti sulla stessa lunghezza d'onda, quando si tratta dei Down. D'altronde, suoniamo una musica che conosciamo bene, dato che vi abbiamo dedicato gran parte delle nostre vite. È la musica con cui siamo cresciuti e che suoniamo nelle rispettive band. Avendo collaborato a lungo, è molto semplice ricreare quell’atmosfera familiare, quella confidenza che ci permette di raggiungere un buon risultato. Dipende molto anche dal fatto che crediamo fortemente nelle capacità degli altri. Ognuno di noi sa cosa fare… e cosa non fare.

Considerata la velocità con cui si succedono le mode al giorno d’oggi, è stupefacente che il pubblico non vi abbia dimenticato, che vi rimanga fedele nonostante facciate passare molto tempo tra un disco e l’altro. Tutti aspettavano con trepidazione il ritorno dei Down…
Sì, e per noi è un grande onore, senza dubbio. Non sapevamo cosa aspettarci in occasione del tour europeo, era la prima volta che ci spingevamo al di là degli States, ma l'accoglienza è stata incredibilmente calorosa! La cosa ci ha fatto un gran bene. Credo che la gente abbia pienamente compreso la natura dei Down. Non siamo come le altre band. Non incidiamo un disco all’anno per accontentare il pubblico o rispettare gli impegni discografici. Facciamo un disco solo quando sentiamo di doverlo fare, quando siamo certi che vi metteremo dentro grandi canzoni. In altre parole, siamo veri, onesti… o almeno proviamo ad esserlo in ogni cosa che facciamo. La gente se ne accorge, ci apprezza per questo.

Credo che la musica dei Down abbia toccato la gente nel profondo, che l’abbia colpita al cuore…
Penso che il pubblico si riconosca in ciò che cantiamo, nelle emozioni che abbiamo da offrire. Per un motivo o per un altro, non è stato un periodo facile per molti di noi, ma da quelle preoccupazioni abbiamo tratto ispirazione per scrivere il nuovo album. È un disco heavy ed è pieno di rabbia, ma di quella positiva, di quella che ti permette di risalire la china dopo che sei andato a fondo. Non è stato facile da realizzare, è stata quasi una terapia.

Comunicate un messaggio positivo e ottimista attraverso sentimenti negativi, dunque…
Esatto, quello è il nostro obiettivo. La nostra musica si confronta con la durezza della vita, e ha uno spiccato carattere ‘umano’ che è tipico delle band di quaggiù. Non ci interessa la tecnologia, non ci interessa il lato divertente del rock. Vogliamo essere il più aderenti possibili ad una realtà che si possa toccare con mano. Una realtà che è spesso fatta di frustrazioni, dispiaceri e dolore, ma da cui si può uscire vincitori.

In questo atteggiamento, quanto pesa il fatto che siete del Sud? Musicalmente, il Southern rock l'avete nel DNA...
Decisamente...

...ma forse essere del Sud significa anche guardare alle cose in modo diverso?
Sì, siamo cresciuti in un ambiente in cui i vecchi valori hanno ancora un certo peso, in cui si apprezzano le piccole cose che la vita ha da offrire. Mi piace andare a pescare, mi piace stare a contatto con la natura, mi piace andare in giro con gli amici e prendermi cura delle persone che amo. Una vita fatta di piccole cose, ma che danno grandi soddisfazioni.

La poetica del “simple man” di cui cantavano i Lynyrd Skynyrd anni fa, insomma…
Ne ha molto, di quell’idea. Una fede incrollabile nella vita che ci permette di andare avanti. Ci ha aiutato enormemente a superare i momenti brutti che abbiamo vissuto quaggiù, per via dell’uragano…

Com'è la situazione da quelle parti, adesso? Dopo le terribili immagini diffuse dalle televisioni di tutto il mondo, non abbiamo avuto più notizie…
Quello che è successo a New Orleans non fa più notizia, ecco perché si è smesso di parlarne, e in TV la gente è tornata a guardare la guerra in Oriente. La situazione è migliorata, ma c'è ancora tanto lavoro da fare, mentre il Governo spende altrove i soldi che sarebbero necessari per accelerare la ricostruzione. C’è chi ha perso la casa, chi ha perso i parenti… e chi entrambe le cose. In alcune zone si cammina ancora in mezzo ai resti di abitazioni spazzate via dall’uragano. È stato terribile.”

Sappiamo che avete contribuito anche voi alla ricostruzione culturale di New Orleans, creando una scuola di musica per i giovani…
Sì, abbiamo affittato un club e cercato di riunire i giovani in un gruppo di studio, perché gli si possa continuare a insegnare la musica, soprattutto il jazz. Vedi, molti locali hanno chiuso, e così anche le scuole, e con essi tutto un patrimonio di High School band che sarebbero state i gruppi di domani. Bisognava ricreare punti di aggregazione giovanile, per far sì che i ragazzi continuassero a incontrarsi e a suonare.”

Come sta Phil? Su disco ci è parso davvero in gran forma…
Oh, Phil sta bene, l’operazione alla schiena lo ha rimesso in sesto. Era un dolore che si trascinava da lungo tempo… la conseguenza di una vita spesa per il rock’n’roll! Inoltre, si è ripulito dalle droghe. La sua performance sul nuovo disco è incredibile, riesce a comunicare emozioni attraverso la voce in modo più spontaneo e naturale di prima, ed è anche più concentrato sulle melodie.”

Raccontaci come vi siete trovati insieme ancora una volta, e che ruolo hanno avuto gli svedesi Witchcraft in tutto questo…
Phil mi è venuto a trovare a casa, qui a New Orleans. Non ci vedevamo da circa due anni. Era sera. Si è presentato alla porta con un disco dei Witchcraft… credo fosse il primo… non vedeva l’ora di farmelo ascoltare. L’abbiamo sentito tutto d’un fiato, apprezzando la capacità della band di scrivere brani come si faceva una volta. Quel disco gli ha fatto venire voglia di suonare, di tornare a scrivere grandi canzoni. Tutto è successo appena tre giorni prima che l’uragano colpisse, se non ricordo male…”

A proposito di Katrina, come pensi che abbia influito su “Over The Under”?
Lo ha certamente cambiato. Anche solo per il fatto che siamo stati costretti a restare lontani dalla città per lungo tempo, senza potere suonare dove eravamo soliti farlo. Tornare all’indomani dell’uragano era troppo pericoloso, c’era il rischio di crolli ed epidemie. Poi si sono iniziati a cercare i dispersi, e a raccogliere i cocci di quanto si era messo insieme in un’esistenza di duro lavoro. Con un tutto questo negli occhi, era ovvio che il disco ne avrebbe risentito.”

Immagino che sul disco abbia pesato anche la morte di Dimbebag Darrell…
Anche quello, sì. È stato il giorno più brutto della mia vita.

Pensi mai, quando sali sul palco, che potrebbe succedere ancora, che potrebbe succedere a te?
No, dobbiamo fare quel che va fatto. Non possiamo permetterci di farci fermare dalla paura. Quel che è successo è stato terribile, ma non deve farci perdere il piacere di suonare dal vivo.

Come giudichi “Over The Under” se messo a paragone col suo predecessore?
Non ho un’opinione al riguardo, mi limito a scrivere e a suonare canzoni. Non c'è che ci fermiamo a pensare alle cose, ad analizzare... Non stabiliamo come un disco debba suonare, suoniamo e basta. Non ci poniamo neppure il problema di cambiare stile o direzione, come non se lo pongono AC/DC e Motorhead. Abbiamo un certo suono nella testa, e quel suono sono i Down. Quindi, posso dire che il nuovo album è per noi un altro passo giù per la via (“down the road...”, dice giocando con le parole - nda), niente di più. Posso dire che è un disco molto maturo, personalmente ne vado orgoglioso, penso che sia il nostro lavoro migliore.

Eppure molti se lo aspettavano più acustico. Invece è venuto fuori un album monolitico come “NOLA” e meno vario di “A Bustle In Your Hedgerow”...
Quando si è trattato di scegliere il materiale da includere, abbiamo dato la precedenza ai brani più duri, perché volevamo che il disco avesse una sua identità precisa, volevamo dargli carattere. Per questo abbiamo deciso di accantonare momentaneamente i pezzi acustici che avevamo pronti, per utilizzarli in futuro.

Stai dicendo che c’è la possibilità che pubblichiate un album unplugged?
Ci piacerebbe molto. Abbiamo avuto modo di verificare che i Down in versione acustica suonano bene quanto quelli elettrici. Quindi, sì, è qualcosa che prima o poi succederà. Ne stiamo discutendo proprio in questi giorni. Non so ancora se si tratterà di un album o di un EP, ma nei nostri piani c’è sicuramente la pubblicazione di un unplugged.

Come chitarrista ti dà più soddisfazione comporre un bel riff oppure suonare un assolo?
Nessuna delle due cose. Ciò che davvero mi dà soddisfazione è creare canzoni belle e solide, canzoni che reggano dall’inizio alla fine. Mi piace vedere come un brano prende forma grazie al contributo dei compagni, ascoltare il risultato finale e scoprire che è venuto fuori qualcosa di buono.”

Dunque, quali sono i brani che preferisci in "Over The Under"?
Mi piace 'Never Try', perché si avvicina più di ogni altra alla mia idea di canzone perfetta. Mi emoziona ogni volta che l’ascolto, è sofferta e trascinante. Mi piacciono molto anche ‘I Scream’ e ‘Nothing In Return’…

Che è anche il pezzo più psichedelico della raccolta. Ascoltarlo mi ha fatto venire in mente gruppi come Mystick Krewe Of Clearlight, Karma To Burn, Alabama Thunderpussy, Sixty Watt Shaman, etc. Band stoner rock, ma dalle tinte Southern. Non pensi che siate stati proprio voi a influenzare la corrente “sudista” dello stoner col vostro debutto del ‘95?
Penso che i Down abbiano spianato la strada a quelle band, facilitandone l’affermazione nell’underground. Ma non penso che le abbiamo ispirate, almeno non tanto i gruppi del passato. In realtà, tutto ciò che i Down e quei gruppi hanno in comune è proprio la passione per il vecchio hard rock degli anni Settanta, soprattutto per Black Sabbath e Lynyrd Skynyrd.

Ci sono gruppi di oggi che senti affini ai Down o che rispetti?
No (lo dice serio, poi scoppia a ridere dopo un attimo di pausa - nda). Ultimamente non ho avuto modo di ascoltare roba nuova, ho passato molto del mio tempo chiuso in uno studio di registrazione. L’ultima cosa che ho ascoltato è stato un disco di Ryan Adams. Ma mi piacciono molto gruppi come Mastodon, Witchcraft, Entrance, e soprattutto gli High On Fire di Matt Pike. E qualsiasi band in cui suoni Wino.

 

 

CHI SONO
Più che un supergruppo formato da membri di Pantera, Crowbar, Corrosion Of Conformity e Eyehategod, i Down sono espressione di comunità di musicisti – quella di stanza a New Orleans, Louisiana – che assomiglia tanto ad una famiglia i cui membri vanno e vengono di continuo. Difficile disegnare l’albero genealogico della band, tante sono le sue ramificazioni. Il più attivo tra i suoi componenti è Phil Anselmo, un tempo front-man dei Pantera e fondatore dei disciolti Superjoint Ritual, gruppo sludge-core sudista in cui si è fatto aiutare da Jim Bower. Assunta l’identità fittizia di Anton Crowley, Anselmo ha poi dato vita a Christ Inversion e Viking Crown, band con cui sfogare la passione per il black metal. I primi non sono neppure arrivati al debutto, ma dalle loro fila sono passati personaggi importanti del metal della Louisiana come Kevin Bond (Floodgate, Superjoint Ritual), Ross Karpelman (Clearlight) e Tommy Buckley (Soilent Green, Crowbar). Coi Viking Crown il Nostro ha suonato black metal darkthroniano insieme a Killjoy dei Necrophagia, a cui si è aggregato per le registrazioni di “Holocausto De La Muerte”, nel 1999. Seppure per breve tempo, la coppia ha lavorato anche al progetto Enoch, ispirato alle colonne sonore dei film horror. Dedicati alla musica della fiamma nera sono anche gli Eibon, in cui Anselmo è affiancato da Satyr (Satyricon), Fenriz (Darkthrone) e Maniac (Mayhem). Ma la loro produzione si limita ad un brano solamente, ospitato su una compilation della Moonfog. Invece, il progetto che più si avvicina allo spirito dei Down si chiama Southern Isolation. Anselmo vi ha preso parte con la sorella Rebecca e col già citato Karpelman, ma fondamentalmente si tratta della band (ormai sciolta) di una sua vecchia fiamma, Stephanie Opal, già vista nei Viking Crown.
Molto più contenuta è l'attività dell'altro ex-Pantera migrato nei Down, il bassista Rex Brown. Nel suo curriculum vanta esclusivamente la militanza nei Tres Diablos e soprattutto nei Rebel Meets Rebel, insieme a Dimebag Darrell, Vinnie Paul e al famoso musicista country David Allen Coe.
Il chitarrista Pepper Keenan è da sempre il leader dei Corrosion Of Conformity, nati nel ’92 come band punk hardcore e in seguito mutati nel mostro Southern metal che conosciamo. Prima d’allora Keenan aveva fatto esperienza nei Graveyard Rodeo. Secondo indiscrezioni, sarebbe potuto diventare il bassista dei Metallica, ruolo offertogli dalla band dopo l'abbandono di Jason Newsted. Ma Keenan avrebbe rifiutato, non volendo rinunciare ad esprimere la propria creatività in totale libertà.
L’altra ascia dei Down, Kirk Windstein, proviene dalle fila dei Crowbar, band sludge-doom da ritenersi seminale almeno quanto gli Eyehategod. Windstein ne è il leader dai tempi del primo “Obedience Thru Suffering” (pubblicato nel ’91, un anno prima del debutto firmato Eyehategod), ma oggi è impegnato anche nei Volume Nob, side-project che segue le stesse coordinate stilistiche.
Se del tastierista Big Ross Karpelman abbiamo già detto e diremo ancora in queste pagine, resta da approfondire la figura del polistrumentista Jimmy Bower. È senza dubbio lui il collante di buona parte della scena metal di New Orleans. Suona la batteria nei Down, ma negli Eyehategod imbraccia la chitarra, e sono stati i suoi riff a delineare stilisticamente il genere sludge, nella  versione Southern doom che si suona sotto la Mason-Dixon line. Bower ha militato nelle più importanti band della scena (Floodgate, Crowbar, Sourvein, Corrosion Of Conformity), ed è stato membro fondatore dei Superjoint Ritual e dei compianti Mystick Krewe Of Clearlight. Ultimamente si è aggiunto, in veste di batterista, ai Debris Inc., band punk/doom in cui suonano due suoi eroi di gioventù, Dave Chandler (Saint Vitus) e Ron Holzner (Trouble).

 

 

SOUTH OF HELL: IL METAL DI NEW ORLEANS (E DINTORNI)
Tracciata a metà del ‘700 dai cartografi Charles Mason e Jeremiah Dixon per porre fine ad una disputa terriera, la cosiddetta Mason-Dixon line sarebbe diventata famosa sul finire del secolo successivo, quando tornò utile per separare gli Stati liberali del Nord da quelli schiavisti del Sud durante la sanguinosa guerra di secessione americana. Oggi quella linea immaginaria ha ovviamente perso le sue connotazioni politiche, ma senza dubbio continua a marcare il profondo divario sociale e culturale esistente tra Nord e Sud, divario che inevitabilmente si riflette anche nel rock. Senza volere generalizzare, è un dato di fatto che sopra la Mason-Dixon (e con epicentro New York, col suo melting pot razziale) la musica rock assuma spesso forme moderne, sperimentali o avanguardiste, mentre al di sotto di essa preferisca vestire i panni consumati ma confortevoli della tradizione. La tradizione di un’America periferica e rurale, che vive lontana dalla falsa opulenza delle metropoli, orgogliosa di tramandare vecchi valori e ideologie che là ancora sopravvivono, mentre altrove sono state spazzate via da uno spietato processo di globalizzazione. Nel Sud è ben viva la poetica del “simple man”, tanto cara ai Lynyrd Skynyrd e agli stessi Down, come ha ammesso Keenan. Ma a parte che nei Black Crowes, autori di una musica americana verace ma radio-friendly e non certo antagonista, le stimmate del Southern rock sono comparse anche e soprattutto sulle band sudiste dello stoner. Alabama Thunderpussy, Sixty Watt Shaman, Karma To Burn, Altamont, Daddy Longhead, Honky, Five Horse Johnson, Halfway To Gone, Sourvein, Bongzilla, Drunk Horse, Dixie Witch, Floor, Dove, Rwake, Icepick Revival, Beaten Back To Pure, Weedeater, Mugwart, Artimus Pyledriver: si tratta solo di alcune delle formazioni stoner col pallino di mischiare il rock sudista alla psichedelia, allo sludge, al doom e/o all’hardcore. A dare la stura furono senz’altro i Down di “NOLA”, ma le radici del fenomeno affondano nel humus della Louisiana, da sempre una grande fucina di talenti.
Se la storia dei suoi figli più famosi, Eyehategod e Crowbar, è nota ai più, quella dei Mystick Krewe Of Clearlight la conoscono in pochi, nonostante che a fondarli sia stato Jimmy Bower dei Down, qui in veste di chitarrista. Insieme a lui, il drummer Joey LaCaze (Eyehategod), il solito Big Ross Karpelman alle keyboards e il bravo Paul Webb alla seconda chitarra. Il debutto eponimo pubblicato dalla Tee Pee Records nel 2000 passò quasi del tutto inosservato, vuoi perché in quei giorni la Tee Pee doveva ancora affermarsi come punto di riferimento della scena stoner, vuoi perché il contenuto interamente strumentale del disco lo rendeva poco appetibile persino per i fan dei Down. Eppure, quelle jam torrenziali e fantasiose facevano da ponte tra l'attualità dello stoner psichedelico, il rock sudista degli Allman Brothers, il groove dei Deep Purple e un’atmosfera festosa da Mardi Gras. Chi i Clearlight li avrebbe preferiti con un vocalist, sarebbe stato accontentato pochi mesi più tardi dal bellissimo EP “The Father, The Son And The Holy Smoke”, rilasciato dalla Man’s Ruin sotto forma di split con gli Acid King. La scelta del cantante ricadde su Wino, cult-hero del doom e influenza determinante nella formazione musicale di Keenan, Anselmo e Bower. Con Wino a bordo, il gruppo sembrava destinato a fare grandi cose, salvo poi sparire nel nulla, fagocitato dal crescente successo dei Down e dagli impegni di Eyehategod e Crowbar. L'ultima pubblicazione consistette in un 7" split coi The Obsessed, mini-tributo ai Lynyrd Skynyrd dove la band di Wino si impegnava con “On The Hunt”, mentre i Clearlight interpretavano a modo loro “Cheatin’ Woman”, questa volta con alle vocals Pepper Keenan.
Anche i Floodgate nascevano a New Orleans. Gli autori di “Penalty” (Roadrunner 1996), album stoner doom dalle tinte Southern, facevano perno sulla voce dell’ex-Exhorder Kyle Thomas (oggi negli Alabama Thunderpussy) e sulla chitarra dell’infaticabile Bower. Non era la prima volta che i due si trovavano a lavorare insieme. Era già capitato ai tempi dei Drip, formatisi nel lontano ’89 col nome di Sister Morphine. L’unico lascito consiste in un demo di 6 brani contenente una cover di “Smoke On The Water”, ma vale la pena ricordarli per essere stati una palestra sludge per personaggi come Mike “Eyehategod” Williams, Ross Karpelman e altri tre loschi figuri di Metairie, sobborgo di New Orleans. Parliamo di Glen Rambo (ucciso dall’uragano Katrina), Brian Patton e Tommy Buckley, visti all’opera in Crowbar e Eyehategod, ma conosciuti soprattutto per aver fondato i Soilent Green.
Preso il nome da un vecchio film di fantascienza (in cui i protagonisti scoprivano che l’unico cibo commestibile del pianeta consisteva nella carne dei defunti), i Soilent Green sono un gruppo paradigmatico tanto della scena della Louisiana, quanto del metal di casa Relapse, per la quale hanno pubblicato ottimi lavori come “Sewn Mouth Secrets”(1998) e “A Deleted Symphony For The Beaten Down” (2001). Album dove sludge sudista, grind e death metal fanno a botte senza pietà. La band è sopravvissuta ad ogni genere di ostacoli, dalla morte violenta dell'ex-bassista Scott Williams (assassinato dal suo coinquilino, a sua volta suicidatosi) a quella di Rambo, per non dire dei numerosi incidenti stradali da cui è letteralmente uscita con le ossa rotte (il singer Ben Falgoust ha avuto bisogno di un lungo periodo di riabilitazione motoria prima di riprendere a camminare). Ma il suo sound estremo ed onnivoro ha fatto scuola, tanto che Rolling Stone l’ha annoverata tra le 25 metal band più influenti di sempre.
Molto meno conosciuti sono invece Hawg Jaw e Outlaw Order. Dei primi, autori di tre interessanti album sludge, va detto che ne fanno parte Paul “Clearlight” Webb e il chitarrista Gary Maden, coinvolto anche nel progetto estemporaneo degli Outlaw Order insieme a Mike Williams, Joey LaCaze e Brian Patton. A loro nome, finora, solo un 7” su Southern Lord (“Legalize Crime”, 2003”).
Il culto più seguito a New Orleans e dintorni resta però quello di Dax Riggs, probabilmente la voce più bella ed emozionante di quelle zone. Originario dell’Indiana, in giovane età Riggs si trasferisce a Houma, Louisiana, dove risiede tutt’oggi. A farne conoscere il talento furono innanzitutto gli Acid Bath, autori di due album seminali per Rotten Records, “When The Kite String Pops” (1994) e “Paegan Terrorism Tactics” (1996). In copertina, i dipinti malati di noti serial killer come John Wayne Gacy e Jack Kevorkian. Dentro, un misto di sludge sudista, stoner, death metal e grunge melodico, secondo le ricette saporite tipiche delle band della Louisiana. Della partita era anche il chitarrista Sammy Duet, poi finito a suonare nei Crowbar, nei doomsters Vual, nei Walpurgisnacht e soprattutto nei Goatwhore (con Ben Falgoust dei Soilent Green), in cui sta sperimentando un formidabile mix di black/death metal e sludge-core (album consigliato: “A Haunting Curse”, Metal Blade 2006).
A porre fine alla carriera degli Acid Bath fu la morte improvvisa del bassista Audie Pitre (ucciso insieme ai genitori in un incidente stradale causato da un automobilista ubriaco), ma Riggs avrebbe continuato negli Agents Of Oblivion, meteora doom dalle tinte dark che tanto piacerebbe ai fan dei Down. Del rock sudista, il disco eponimo del 2000 per la Rotten conserva l’indomita carica blues, i testi esistenziali e isolazionisti, e la conturbante visionarietà gotica. Per certi versi, Riggs è la controparte romantica e sognatrice di Phil Anselmo. Se nel 2002 l'ex-Pantera cantava la splendida “Ghosts Along The Mississippi”, altrettanto cupamente Riggs intonava “Galleggiando dentro una bara, lungo il Mississippi…” sul debutto dei Deadboy And The Elephantmen, ultima incarnazione degli Agenti dell'Oblio. Laddove il cantante dei Down sfoga le sue frustrazioni con rabbia e acredine, Riggs preferisce concentrarsi sul dolore, esorcizzandolo attraverso potenti ballate elettriche, notturne e sensuali. Ma entrambi sono figli del vudù e delle paludi della Louisiana, e a loro modo ne cantano la bellezza lunare, magica e decadente.

 

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