Storie di donne tra leggenda, fantasia e realtà ...
di Melinda Bonani Tamás-Tarr

l
Donna chimera

Giuditta una serena nubile spesso fantasticava osservando il castello tetro del principe Barbablù dalla finestra della sua casa. Conosceva bene la sua terribile fama, ma era convinta che il principe fosse non un assassino sanguinario ma un uomo triste, infelice. S'innamorò di lui e l'aspettò. In una notte piena di stelle, verso mezzanotte, arrivò finalmente l'eroe dei suoi sogni coperto da un mantello col cappuccio di color blu fondo e Giuditta lo seguì senza pensarci: lasciò i genitori, il fratello ed il fidanzato per seguire il principe dagli occhi tristi.
Entrarono nel castello attraverso una piccola, stretta porta per scendere in una sala buia al fondo dell'edificio. Ma la porta rimase ancora aperta. "Siamo arrivati, ecco, questo è il castello di Barbablù" disse il principe. "Ma che buio è il tuo castello…" sussurrò Giuditta titubante. "Ti fermi, Giuditta? Vorresti tornare dietro?" "Vengo, vengo, Barbablù, soltanto le mie gambe stanche tremano per il lungo cammino."
Barbablù prese la mano di Giuditta e fissò i suoi occhi chiedendole: "Giuditta, resterai allora da me?" "Oh, Barbablù se tu mi cacciassi via io mi fermerei sulla soglia del tuo castello e mi coricherei là" gli rispose la ragazza mentre si stringeva al principe. Barbablù l'abbracciò è disse: "Allora si chiuda la porta!" E in quell'istante se ne andò anche quella poca luce che penetrava attraverso quella porta aperta e la coppia rimase nel buio.
"Ma non ci sono delle finestre? Non c'è alcun balcone? Anche se là fuori il sole splende qui rimane freddo e buio!" sussurrò la ragazza impaurita. "Freddo. Buio" fu la riposta.
Giuditta fece qualche passo avanti appoggiandosi contro il muro."Ma il muro è bagnato! Il tuo castello piange! Oh, povero, povero Barbablù!" "È vero, Giuditta, sarebbe meglio se tu ti trovassi nel castello del tuo fidanzato dai muri bianchi pieni di rose e raggiante di sole?" "No, non farmi del male! Sono venuta con te perché ti amo! Farò asciugare i tuoi muri bagnati, le pietre di questo castello, io lo riscalderò, e caccerò via questo grande buio! Conducimi ovunque!" pianse Giuditta.
La ragazza fece altri tre passi in avanti e si trovò di fronte ad una parete scura. "Vedo sette porte nere! Perché sono chiuse? Aprile! Voglio che entrino il vento ed il sole, voglio che diventi sereno il tuo povero, buio e freddo castello!" "Giuditta, non hai paura?" "Dammi le chiavi, perché ti amo! Io voglio aprirle! Io!" "Benedetta è la tua mano, Giuditta" rispose il principe e le consegnò una chiave.
La prima porta si aprì ed improvvisamente si sentirono sospiri e si vide una luce rossa di sangue. "Catene, coltelli, strumenti di ferro rovente, fili di ferro spinato!- gridò Giuditta - Pareti coperte di sangue! Il tuo castello sanguina!" "Questa è la camera di tortura, Giuditta… - rispose in modo tetro il principe - Hai già paura, è vero?" "No, non ho paura! Devo aprire tutte le porte! Dammi le altre chiavi!" "Puoi aprire e chiudere ogni porta - e le consegnò le altre chiavi -, sorveglia il mio castello, sorveglia noi, Giuditta!" Così Giuditta aprì in ordine le altre porte trovandovi stanze piene di armi coperte di sangue, piene di oro, d'argento, di diamanti e di gioielli inestimabili, di fiori con le radici sanguinose. Il principe era ricchissimo ma ogni suo bene era macchiato di sangue. Giuditta sempre più spaventata fece mille domande ma il principe così rispose: "Giuditta, non chiedere mai! Apri le altre porte rimaste!" Così la ragazza scoprì dietro la porta un balcone da cui si apriva la vista su un immenso prato variopinto. Entrò una luce accecante nella stanza e Giuditta dovette coprire gli occhi. "Questo è il mio impero. Ora è tutto tuo! Qui abita l'alba, il tramonto, qui abitano la luna e le stelle, siano i tuoi compagni di gioco!" le disse il principe. Però Giuditta scoprì che la nuvola faceva un'ombra di sangue, ma alla sua domanda il principe non rispose, come se non l'avesse sentita, continuò così: "Guarda come il mio castello splende! Sia benedetta la tua mano: è opera tua! Vieni Giuditta, metti le tue mani benedette sul mio cuore!" Ma la ragazza non si mosse. Mancavano ancora due porte e le volle aprire. "Queste porte devono rimanere chiuse. Non sai che cosa nascondono!" la avvertì il principe. Ma ella aprì la sesta porta e vide un lago bianco: era il lago delle lacrime. Poi l'ultima, la settima e dietro ad essa trovò tre signore splendide ma infelici. "Qui ci sono tutte le mie donne precedenti. Guardale. Sono tutte quelle che amavo prima di te." "Ma sono vive! Non sono massacrate! Sono vive! Vive!" la ragazza gridò impaurita e fece alcuni passi indietro. Giuditta le guardò incurvata con lo sguardo triste, con gli occhi pieni di lacrime. E Barbablù le disse: "Sono belle, bellissime. C'erano e ci saranno sempre! Queste donne hanno raccolto i miei tesori, hanno annaffiato i miei fiori, hanno fatto crescere il mio immenso impero!" Giuditta reagì singhiozzando: "Come sono splendide, belle! Ed io, oh, sono povera come una mendicante!" "La prima l'ho trovata all'alba ed ora è sua ogni alba, è suo il fresco mantello rosso e la corona d'argento! La seconda l'ho trovata a mezzogiorno. Ed ora è suo il pesante mantello di fuoco e la corona d'oro! La terza l'ho trovata in una sera marrone ed ora è suo il triste mantello marrone e la corona di perle." Le tre donne s'inchinarono, poi lentamente in silenzio tornarono indietro. Barbablù guardò la ragazza con uno sguardo profondo e tetro e s'avvicinò a lei. "Oh, Barbablù non guardarmi così!" lo supplicò Giuditta. Ma egli come se non avesse sentito la donna incominciò a dire: "Ora ecco la quarta accanto a loro. L'abisso del mio castello, la camera del sogno eterno ora la aspetta." "Ma no Barbablù, non stai sognando! Io sono una povera donna viva!" gridò Giuditta. Il principe prese dalla camera dei tesori il mantello più bello e la corona più luccicante e disse: "Ho trovato la quarta in una notte piena di stelle. Da adesso tutte le notti saranno sue." "Oh Barbablù, non fare così, riprendi questo mantello e la corona! Ero una povera femmina viva e adesso divento una splendida donna chimera!" pianse la ragazza ma non le restò altro che seguire le altre tre e la porta si chiuse dietro le sue spalle. "Ed ora sarà notte per sempre" rimbombò la voce sorda di Barbablù piena di tristezza, dolore e rinuncia. Al fondo del tetro castello il buio della notte eterna regnò per sempre…

2
Lei ed i telefoni…

Quella voce…

Lei fissa continuamente il telefonino. È quasi paralizzata. I suoi pensieri sono altrove. Ha improvvisamente avuto una scossa arcana…
Nella sua vita monotona e tranquilla è entrata una tempesta inspiegabile. Si trova inaspettatamente in una riva turbinosa… Qualcosa l'ha fulminata…
Sente una forte eruzione vulcanica nella sua anima…
Vorrebbe comporre il numero… L'ha dato proprio Lui in caso di bisogno… ma non ce la fa… ha paura che qualcosa vada storto… non vuole rovinare una grande simpatia… Che cosa sta turbando la sua anima fino a poco fa quieta?…
Continua a fissare il telefonino…
Che cosa la ostacola?
Basterebbe comporre il Suo numero…
Ma non ce la fa… e continua soltanto a fissarlo…
Nel frattempo, le melodie di Mozart, Beethoven, Chopin, Brahms, Liszt, Tschaikowsky, Mendelssohn, Dvoøak, Sibelius si intrecciano con gli squilli frenetici dell'altro telefono… Collaboratori… clienti… quasi tutti vogliono soltanto delle informazioni tecniche…
Ma Lui, perché non la chiama già?… Le ha promesso…
Il telefonino suona…
Pulsano le tempie… niente… Non è stato lui…
È terribile quest'attesa…
Non è come prima…
"Chiamami, chiamami…" - è ipnotizzata dal telefonino… ma nessun risultato. Altri la chiamano… Neanche stavolta è stato lui…
Niente di niente…
Ora non ha più bisogno di lei…
Ma la simpatia oltre all'interesse per un lavoro comune? Essa non c'entra?
Lei soffre… tanto… Perché?
Perché quella voce l'ha incantata… assieme a quel modo di fare… con quella gentilezza… con quel rispetto nei suoi confronti… e con quello sguardo profondo quasi ipnotizzante… con quell'espressione da cui si legge l'interessamento per chi si ha di fronte…
Perché non era come i tanti che guardano le persone sopra la testa, oppure, guardano coll'espressione assente… e sempre quella voce… già dal primo momento l'ha colpita…
E lei finalmente si sentiva utile… uscendo dal tran-tran quotidiano… Grazie a Lui… Egli l'ha fatta sentire utile… Egli l'ha fatta uscire dalla gabbia…
Lui aveva bisogno di lei… È lui che l'ha trovata, cercata, chiamata… Che sorpresa inaspettata era!… Adesso lei ha bisogno di lui… vorrebbe trasformare la conoscenza in una nuova e vera amicizia… vicina, non soltanto a distanza o per corrispondenza…
Quella voce straordinaria arrivata dal nulla… Già dal primo momento l'ha suggestionata… Fino allora non sapeva neanche della sua esistenza… Ed ecco, lei è diventata più ricca nel ricordo di quel timbro di voce straordinariamente melodico …
Quella, quella voce… indimenticabile… L'ha proprio incantata… quella splendida voce… Che bellezza… autori, doppiatori potrebbero invidiarlo per quel tesoro di gola… che bella musica per l'orecchio di chi l'ascolta!… Beati coloro che possono sempre udirla…
Quella, quella bella voce… Sarebbe adatta per leggere gli splendidi sonetti di Shakespeare… o per le altre perle liriche…
Fissa il telefonino… Lo prende in mano… vorrebbe comporre il numero… ma ha paura… non vuole essere fraintesa… vorrebbe soltanto sentire quella splendida voce che l'ha ammaliata… soltanto sentire… nient'altro… U - D - I - R - E… niente di più… per godere quella bellezza vocale… Come se fosse una droga… è narcotizzante quella voce…
Lei ha paura di ritornare nella monotonia quotidiana… Quella voce le ha dato una scossa… L'ha fatta uscire dall'isolamento… Le ha fatto ricordare i vecchi tempi movimentati, vivaci… e l'età della sua giovinezza…
Fissa il telefonino…
"Chiamami!… chiamami… chiamami anche soltanto per farmi delle banali domande!… Magari quella: "Come stai?"… Io sarei già felice… perché avrei potuto sentire quella splendida voce!…" - ipnotizza l'apparecchio.
Ecco, suona di nuovo!… ma non è lui neanche stavolta… Le telefonate arrivano soltanto per interessi di lavoro… Non per l'amicizia, non per voglia di socializzare… Non per rendere felici la gente, non per l'attenzione disinteressata per l'individuo… Non per affetto, non per simpatia…
Basterebbe soltanto un piccolo gesto… sollevare la cornetta e chiedere: "Ciao, come stai? Che cosa hai fatto di bello?" oppure "Ciao, ti auguro una buona giornata!" Basterebbe poco per rompere la solitudine la quale è una brutta e cattiva compagnia… ed è peggio averla in famiglia…
Che vita freneticamente disumana… In questo mondo non c'è più spazio per l'ESSERE UMANO… è forse meglio chiudersi ermeticamente nel nostro piccolo mondo?…
Ma lei non vuole di nuovo isolarsi dal mondo esterno per altri anni! Se però, le resteranno ancora quegli anni… Ha già superato di un decennio "il mezzo del cammino" della sua vita…
Fissa il telefonino.
Ma quella voce non arriva… Non ancora… oppure non verrà mai… (?)
Che peccato…
…ma forse è meglio così…

(…?!…)

Gli squilli di telefoni…

Non c'è tregua. I telefoni squillano… irremovibilmente squillano…
"Pronto…" - e si inizia a parlare. Lei ha appena cominciato a conversare, sono soltanto passati tre minuti… non c'è alcuna sostanza. Soltanto le formule d'obbligo di cortesia…
Adesso squilla un altro apparecchio. Ora però è quello fisso…
"Mi scusi, ho un'altra chiamata… La prego di attendere un attimo…"
Lei solleva il ricevitore… Inizia un'altra conversazione…
"Blabla… bla… bla…"
"Blablablabla… blablablablabla…"
C'è da impazzire… Ora squilla il terzo, quell'altro telefonino… quello giallino… Ha appena chiuso il discorso con il cliente del telefono fisso… Torna dal primo cliente…
"Eccomi di nuovo… Devo chiedere scusa… Ora possiamo continuare il discorso…"
Ma manca la sostanza. Quello parla, parla, ma non è ancora arrivato al sodo.
Lei è già nervosa. Guarda l'orologio… Adesso Lei dovrebbe chiamare qualcuno…
"Blabla… bla… bla… grazie, arrivederci."
Finalmente, ha finito. Adesso si può cominciare veramente la giornata.
Compone i numeri… si tratta di affari…
Comincia a parlare… Non è passato neanche un minuto quando squilla ora quel telefonino nero…
Comunica cortesemente col cliente di aspettare un attimo perché c'è un'altra chiamata. Egli risponde pazientemente… Aspetta…
Nel frattempo riesce a pescarlo dalle montagne di corrispondenze e di manoscritti di poeti e scrittori… Eccolo finalmente…
"Pronto… Come stai? Sai, mia figlia… Sai mio marito… Blablabla… blabablablabla…"
Oh no! Proprio adesso. Questo momento non è adatto. Dopo tanti anni adesso le viene in mente di chiamarla. Proprio adesso vuole sapere della sua salute e raccontare le faccende familiari… di tutti i parenti! Veramente non vuole neanche sapere di lei, soltanto raccontare le sue storie di famiglia… Ora ha voglia di parlare… Dopo tanti anni… perché s'annoia…
Lei le dice che ora sta parlando con un cliente, non è adatto il momento che la richiami un po' più tardi… No, la donna dell'altra parte della linea non ne vuole sapere niente…
"Sai… blablabla… blablablablabla…"
Ora finalmente la saluta promettendo di richiamarla tra mezz'ora.
Finalmente può ritornare dal lavoro… Dio Santo, c'è un cliente nell'altro apparecchio!…
Si riprende il dialogo… Nel frattempo il tempo passa con una velocità supersonica e non è riuscita ancora a sistemare tutto. Le pulsazioni aumentano, il respiro diventa sempre più affannoso, il nervosismo è già all'apice…
Trattenendosi chiede delle scuse per l'attesa, passano ancora altri tre minuti e poi tutto ricomincia da capo.

Quei due telefonini, quegli antipatici che fanno tutto questo caos. Li odia… odia, odia… Prima non voleva avere a che fare con essi, era contraria… Ma alla fine ha ceduto alla tentazione… Per un senso di sicurezza… Per essere raggiungibile in caso di bisogno… Ma essi squillano quando è meno opportuno… Non quando lei vorrebbe…
S'arrabbia sempre di più… è sempre più nervosa…
"Li odio!… Li odio… - grida - quello giallo perché squilla continuamente, senza tregua… pure questo nero…"
Quest'ultimo non lo sopporta particolarmente… Perché è esso che la fa soffrire… Se suo squillo non parte da Lui… Gli altri squilli sono soltanto delle scuse… Lei li sentirebbe volentieri se provenissero da LUI…
"Ma EGLI dov'è? Perché non mi chiama?… Lui potrebbe rubarmi del tempo… Anzi io gli regalerei un po' di tempo… anzi, tanto tempo… ma lui è muto… muto… muto… Al diavolo!…"
I telefoni squillano. Ora contemporaneamente… tutti e tre…
No, no; non alza ora la cornetta…
Si tappa le orecchie… È stufa…
Attacca la segreteria telefonica fissa…
Disattiva i telefonini programmando anche la loro segreteria…
"Lasciate dei messaggi… Vi richiamerò io… se voglio… Ora devo scappare… Dove? Lo stesso… altrove…" pensa e con uno sguardo odioso li lascia abbandonati ed esce come una furia all'aria aperta…

 


Melinda Bonani Tamás-Tarr è nata in Ungheria e risiede in Italia dal 5 dicembre 1983. Ha pubblicato racconti e poesie in riviste e antologie. È docente di ungherese - letteratura e storia -, giornalista pubblicista iscritta all'Ordine dei Giornalisti Italiani, nonché traduttrice/interprete. Principalmente si occupa della direzione ed edizione del Periodico di Cultura "Osservatorio Letterario - Ferrara e l'Altrove", da lei fondato nell'ottobre 1997.


Indietro
Torna alla prima pagina