La scrittura e il senso
Christiana de Caldas Brito

Che cosa vuol dire essere uno scrittore migrante?
    Se apriamo lo Zanichelli troviamo, sulla voce "migrare": "abbandonare il proprio luogo d'origine per stabilirsi altrove." Una volta, il termine si riferiva solo agli uccelli. Oggi, i migranti sono esseri umani spesso costretti (dalla povertà, dalla mancanza di un lavoro, dai regimi dittatoriali, dalle guerre, dalle persecuzioni razziali) a lasciare il loro paese per vivere da un'altra parte. 
    E chi è lo scrittore? Un alchimista sicuramente. Uno che trasforma le proprie emozioni e le proprie esperienze in parole, uno che con la propria scrittura dà la sua visione del mondo. Questa visione ha a che fare, prima di tutto, con il suo paese. Secondo me, il paese che lascia un'impronta indelebile su ognuno di noi non è necessariamente il paese in cui nasciamo, ma quello in cui abbiamo vissuto l'infanzia. La storia di ognuno di noi è vincolata ad eventi storici collettivi ed è legata ad una trama di accadimenti personali. Gioiosa o triste, luminosa o buia, l'infanzia è la nostra vera patria. È il paese in cui impariamo una lingua e in cui si forma il nostro inconscio. 

Nella conferenza stampa che ha preceduto il nostro convegno, mi sono riferita alle tre madri che un migrante lascia: la madre biologica (il mondo degli affetti); la madre patria (il mondo di tradizioni e usanze) e la madre lingua (il mondo della struttura mentale).Una lingua non è solo uno strumento di comunicazione. Una lingua è una gamma di sensazioni che lascia tracce profonde sul corpo e sulla mente. Una lingua è sempre associata a persone, a paesaggi, a colori, a sapori, suoni e odori. È la parte sensibile della nostra struttura mentale. Sono le nostre prime vibrazioni. Chi vive l'infanzia in un paese, se lo porta per tutta la vita insieme alla sua lingua.
    Lo scrittore migrante sarà quello che abbandonerà il proprio luogo di origine, come gli uccelli, per vivere altrove. Con due grandi differenze: gli uccelli ritornano al posto da dove hanno migrato; raramente, gli esseri umani. Gli uccelli mantengono le proprie ali nel paese di arrivo, ma gli scrittori migranti devono acquisire nuove ali. E le ali degli scrittori migranti sono le loro parole, sono la loro lingua. La lingua dell'infanzia è la lingua madre; la lingua acquisita dopo l'arrivo sarà sempre una lingua matrigna. Possiamo andare d'accordo con la nostra matrigna, ma continueremo a dialogare anche con la madre che portiamo dentro. 
    Scrivere migrante sarà prima di tutto familiarizzarsi con le nuove ali. Con la scrittura, il migrante darà un senso alla sua partenza e un senso al suo arrivo. La scrittura e il senso. O sarebbe più giusto dire: la scrittura è il senso?
    Avendo perso gli originari contatti, gli scrittori migranti trovano nei loro personaggi nuovi interlocutori. In un mio racconto, una ragazza rinchiusa in un collegio, dice: "Per me, la solitudine è fatta di rumori. Rumori di persone assenti. Voci che gridano dentro, un sibilo in aria, come quando una freccia parte. Solo che la freccia non arriva e il sibilo continua."
    Il sibilo di una freccia scoccata che non centra il bersaglio è l'inizio di ogni letteratura migrante. Sono i famosi diari, o i racconti rimasti nel cassetto, o le poesie mai mostrate. Restano lì, nei fogli sparsi, negli scarabocchi dei quaderni, magari sotto il cuscino… Sono testi in un italiano spurio, sgrammaticato, ibrido. Nessuno li legge, ma già esistono. Sono in attesa. Scrivere ha in questo momento una funzione personale, liberatoria, ma per essere uno scrittore, il migrante ha bisogno dei lettori. La letteratura è uno scambio sociale.
Nella prima fase della letteratura della migrazione in Italia, i migranti scrivono in italiano ma accompagnati da scrittori o giornalisti italiani. Nel 1990, il tunisino Salah Methnani pubblica "Immigrato", insieme a Mario Fortunato. Nel 1991, Tahar Ben Jelloun, marocchino, insieme a Egi Volterrani pubblica "Dove lo stato non c'è". Secondo Armando Gnisci, questi due libri appartengono alla "più grande e nuova dimensione di una Weltliteratur che avanza dal futuro e che è già tra noi." (pg. 97 "Quattro conti", Sallustiana, 1998).
    Quando arriva, lo scrittore facilmente parla dei suoi ricordi distanti. La letteratura nostalgica fa parte di questa prima fase della nuova letteratura. 
La letteratura della migrazione viene da un mondo caratterizzato da grosse contraddizioni. Affonda le sue radici nella storia dei nostri paesi. Le sue prime tematiche possono essere, per esempio, per una sudamericana, l'ingiustizia che dimora dalle nostre parti. La nostra letteratura è prima di tutto un grido che fa conoscere le condizioni in cui vivono i nostri popoli. La lontananza ci dà una più profonda consapevolezza dei problemi dei nostri paesi. Ma i temi legati ai nostri paesi fanno parte di un primo momento della letteratura della migrazione. A mio avviso, un pericolo per gli scrittori migranti è quello di rimanere confinati alla tematica della migrazione o legati necessariamente al folcloristico, all'esotico o alla storia dei loro paesi. 

Noi, scrittori stranieri, portiamo dentro di noi un mondo diverso ma viviamo e lavoriamo qui, usiamo la lingua italiana, partecipiamo dei problemi delle città in cui ci troviamo. Possiamo scrivere anche sulla nostra realtà attuale.
    Entriamo nella seconda fase della letteratura della migrazione, quando esiste già la possibilità per i migranti di formulare anche una visione della società italiana. Cambia, pertanto, la tematica. Abbiamo qualcosa da dire sull'Italia che sta diventando una società multietnica, noi che siamo parte in causa di questi cambiamenti? 
    La nostra ispirazione, la dobbiamo trovare ad occhi chiusi, guardando sempre il passato, o la troveremo con gli occhi aperti anche sull'Italia del presente?
Una volta trovato il senso, una volta cresciute le nostre nuove ali (accanto alle vecchie ali con cui siamo arrivati e che continuano a far parte della nostra fisiologia di scrittori migranti), la nostra tendenza sarà quella di manifestarci in temi che avranno a che fare con le nostre attuali esperienze, con l'Italia, le sue trasformazioni, le sue contraddizioni.
Questo è un tema da esplorare in questo Convegno. Uno scrittore straniero coglie in Italia degli aspetti che sfuggono a chi ci ha sempre vissuto. La routine, la consuetudine, il ripetersi degli eventi impediscono alle persone di cogliere le sfumature della realtà. Si finisce per accettare come inevitabili certe abitudini. Lo straniero, invece, è un bambino capace di guardare con stupore quello che agli altri non sorprende più.
    Inoltre, i vissuti nuovi obbligano alla ricerca di nuove espressioni. 
    Credo che fra qualche anno si potrà parlare anche di un apporto linguistico da parte dei migranti. Possibile che le integrazioni linguistiche si verifichino solo nel campo della tecnologia e dell'economia? Dove la forza della letteratura? Dove il potere della poesia? Parole uscite dai nostri testi letterari potranno accompagnare le già logore parole tecnologiche. Sarebbe bello se accanto alla "new economy" ci fosse uno spazio per la "saudade"; che le "favelas" e i "meninos de rua" potessero essere compresi dagli italiani nella stessa misura in cui oggi capiamo "file" o "link"… Se accettiamo "cliccare" o "chattare", perché opporre resistenza ai neologismi della letteratura della migrazione? 
    Portiamo alla letteratura italiana delle tematiche distanti con delle parole nuove, delle emozioni legate ai nostri attuali vissuti, e, soprattutto, un'angolatura diversa nell'osservare l'Italia. Proprio in questa diversità risiede la forza della letteratura della migrazione. 

Prima di finire, nel ringraziare gli organizzatori di questo Convegno, vorrei dire due parole sull'ospitalità. 
    La società che riceve i migranti, di solito pensa a quello che deve dare loro. Enfatizza, così, la propria abbondanza. E l'abbondanza spesso abita vicino al potere. È più generoso, ma più difficile, ricevere qualcosa dalle persone ospitate. 
    Quando la società riceve, accetta l'esistenza di beni diversi da quelli che dà, beni che possono essere altrettanto validi e che spesso la obbligano ad un'autocritica. 
    La vera ospitalità verso la letteratura della migrazione consiste esattamente nel creare le condizioni che voi avete creato con questo Convegno, offrendoci la possibilità di offrirvi le nostre riflessioni. Avete aperto uno spazio per sentire le nostre aspettative. 
    Nelle comunità generose che sanno ricevere, i migranti da portatori di bisogni passano ad essere portatori di risorse creative.

 


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