Birri e vitelloni, personaggi diversi - 23-07-03 - Franco Brandi |
di Franco Brandi
Dopo la scomparsa di Alberto Sordi si è fatto un gran parlare e scrivere di vitelloni e di birri usando spesso i due termini come sinonimi; ma non è così.
Il birro era un animale anfibio che dai sette ai sedici anni si sviluppava sugli scogli artificiali della "Palata" tra tuffi, immersioni subacquee, accanite partite ad "assette" e si mostrava nelle nuotate di ore per raggiungere le navi ancorate al largo o nelle remate sul moscone.
Il vitellone "batte" sui 30-35 anni ed ha trascorso la prima giovinezza a cavallo delle due guerre; vive nei bar e nelle piazze seduto, anche nelle più sfolgoranti giornate estive, come se la "stagione" non esistesse. Quei riminesi che a detta di Piergiorgio Pasini, "non sanno neppure nuotare!"
Il birro, giunto alla maturità abbronzatissimo e con un fisico pazzesco, iniziava la sua vita sessuale "imbarcando" di giorno sulla battigia e di notte nei dancing ove si introduceva furtivo in sembiante di "bagarone" durante i "ritmi lenti".
Il vitellone era un essere pallido, demotivato, sedentario e soprattutto, come il suo creatore, privo di ogni rapporto col mare. Fellini, infatti, talmente magro e ossuto da essere soprannominato Ghandi dagli amici, vergognandosi di farsi vedere in costume, si presentava in spaggia, le poche volte che ci veniva, vestito di tutto punto anche sotto il solleone. E, sia detto per inciso, il mare dei birri, nei suoi film non compare mai.
Due mondi che si fronteggiavano, divisi dal muro di Via Monfalcone, al di qua e al di la della linea ferroviaria che attraversa Rimini. Naturalmente sia i vitelloni che i birri, appartenevano a specie ormai estinte, assieme all'ambiente sessuofobo che li generò.
Mentre il vitellone fu un rassegnato, vittima della sua pigrizia e dei suoi complessi, costantemente in bilico tra giovane illibata che non si poteva compromettere e la prostituta delle case di tolleranza, il birro reagì con vitalità alla repressione, grazie alla sua esuberante carica ormonale propiziata da un mare e da un sole che inebriavano le "scavidate" fanciulle d'oltralpe, più del Sangiovese o del Moscateller Von San Marino.
Intendiamoci, i birri a Rimini sono sempre esistiti, perfino quando le "forestiere" erano rare e le svizzere (straniere per antonomasia) ancor meno. C'era solo un po' di "movimento" tra il Grand Hotel e il Kursaal. Il birro, come viene tramandato dalla iconografia e la stampa d'epoca, è però figlio del boom turistico, quando le villette familiari, inframezzate dagli orti, lasciarono il posto a migliaia di alberghi e pensioni e da Rimini a Cattolica cominciò a soffiare, proveniente dal nord, il vento della liberalizzazione sessuale.
All'inizio di quello che doveva trasformarsi in un fenomeno di massa, il birro, a voler essere sinceri, "tirava su di tutto". Era il periodo delle "Spugne d'oro della della riviera" dei "Trivella spietati", dei "Basta che respira". Poi, quando alle storiche "scarpatozen" svizzere e tedesche dai caratteristici zoccoloni bianchi e alle "navi scuola" bolognesi e milanesi che se la facevano maternamente solo con gli implumi, si sostituirono veri e propri eserciti di Vikinghe sciamanti festosamente, i birri ridotti in preoccupante inferiorità numerica, divennero più consapevoli e selettivi.
E nacquero anche grandi amori finnico-malatestiani coronati spesso dai fiori d'arancio. Nel frattempo le ragazze italiane si evolvevano rapidamente e, negli anni settanta, con la pillola nella borsetta, non avevano più nulla da imparare dalla concorrenza; avevano persino le gambe più lunghe.
Fu la fine del birro.
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