II tenimento del Bordò e l'antica Grancia |
L'antica grancia del Virdò (Bordò) La storia del tenimento del “Virdò” e della sua grancia (dal francese granche, granaio) è una storia antichissima. Le storpiature e trasformazioni del toponimo nel corso dei secoli ci aiutano a ricostruire i passaggi di proprietà del piccolo feudo del quale faceva parte quest’amena località a est della cittadina di Caccuri, a circa un chilometro in linea d’aria dell’antica cinta muraria, finita poi nei vasti possedimenti dei Florensi di Gioacchino da Fiore (anch’essi frutto di donazioni dei potenti del tempo) grazie all’appoggio degli Svevi, allora padroni del regno meridionale, sempre munifici nei confronti del celebre monaco “imprenditore”.
La
moglie di Federico II non si limitò solo a regalare al monaco ex
cistercense, poi fondatore dell’ordine Florense, il
Virdò e la sua grancia, ma lo rese anche franco da ogni servizio dovuto
alla Corte e, per sovrapprezzo, aggiunse che anche i terreni
eventualmente acquistati in futuro dai monaci Florensi, se confinanti
col feudo del Virdò, sarebbero stati anch’essi franchi da ogni
servizio. [1]
Insomma una serie di
privilegi da fare impallidire quelli di cui gode la Chiesa ai nostri
giorni e senza bisogno di alcun concordato.
Da allora, probabilmente, la località che i caccuresi continuarono e continuano a chiamare Virdò, diventò, nell’idioma sangiovannese, il “Vuldoj” per trasformarsi in Bordò (forse per assonanza con Bordeaux) quando i nuovi padroni francesi, agli inizi del XIX secolo, dopo essersi impossessati del regno borbonico, lo regalarono al generale Charles Antoine Manhès. Poiché l’ufficiale napoleonico, per ovvi motivi non poteva occuparsi direttamente del fondo, diede incarico al capitano sangiovannese e filo francese Pier Maria Scigliano di curare le sue vigne e i suoi orti.
Pier
Maria Scigliano, dopo la conquista napoleonica del Regno era passato al
servizio degli invasori e si era distinto nell’opera di repressione
della resistenza anti francese. Per questo motivo si era fatto molti
nemici anche nel suo paese natale. Tra questi figurava un certo Pietro
Maria Alessio che il 29 aprile del 1812 riuscì a evadere dalle carceri
assieme a Francesco De Simone detto Piruneo. Il 13 ottobre dello stesso
anno, in località Cimitella, una contrada dell’agro di Caccuri a
ridosso del Virdò, l’ufficiale sangiovannese rimase vittima di un
agguato e morì dopo avere ricevuto un colpo di fucile in testa. Del
delitto fu accusato il De Simone che venne processato e fucilato nella
piazza di San Giovanni in Fiore il 25 giugno del 1814.[2]
In
seguito il Virdò, che da allora nella toponomastica ufficiale fu
sempre indicato come “Bordò”, divenne
proprietà dei signori Lopez di San Giovanni in Fiore. Nel 1844 vi
sostarono i fratelli Bandiera e gli altri patrioti che, sotto la guida del brigante Giuseppe Meluso,
cercavano di raggiungere Cosenza per alimentare una rivolta sediziosa di
cui avevano avuto notizia a Corfù, ma che in realtà era già stata
domata. Proprio dal Bordò partì alla volta della cittadina silana un
ragazzo latore di un messaggio per il capo urbano che lo informava della
presenza al Virdò dei rivoluzionari
e delle loro intenzioni consentendo al comandante Domenico Pizzi di
predisporre l’agguato fatale che qualche ora dopo il località Stragola
portò alla cattura del gruppo eversivo. Parte
dell’antico tenimento divenne anche proprietà del signor Peppino Lopez,
parente dei Lopez sangiovannesi padroni della grancia. Peppino Lopez aveva
sposato la caccurese donna Fortunata Ambrosio, figlia del cav. Raffaele
Ambrosio, geometra, sindaco e podestà di Caccuri per molti anni. In tempi antichi, come testimoniano le grotte scavate a poche decine di metri dalla grancia prima che questa fosse edificata, la zona fu abitata da monaci basiliani che avevano altri insediamenti anche a Timpa dei Santi, in agro di Caccuri sulla sponda sinistra del Neto e in altre località della zona.
Attualmente
la masseria del Virdò, dopo un restauro molto rispettoso della storia
del luogo, è stata trasformata in una rinomata struttura agrituristica.
[1] Catasto onciario di Caccuri Fascio 6965, vedi P. Maone, Caccuri monastica e feudale, Mercurio ed., Portici 1969, pag. 50, nota 22 [2] G. Marino, Cronache di poveri briganti, Pubblisfera, Sa Giovanni in Fiore 2003, pag. 27
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