Il miracolo di San Rocco
                                          

   Era una sera di ferragosto degli anni ’50, forse quella del 1955 o del 1956, non ricordo bene. Era quasi mezzanotte e la banda sul palco aveva finito da una decina di minuti il suo concerto. A quei tempi non c'ancora i complessi musicali degli anni ‘60 che arriveranno da lì a qualche anno o le rock star; erano ancora i tempi di Nilla Pizzi, Giorgio Consolini, Gino Latilla, Luciano Tajioli, il reuccio di Trastevere, Claudio Villa, di Tonina Torrielli che si esibivano al festival di San Remo  presentato dal mitico  Nunzio Filogamo dei  “ cari amici vicini e lontani” per cui le piazze dei nostri paesini erano “territorio di caccia” delle bande musicali calabresi come quella di Roccella Ionica  o pugliesi come quelle di Acquaviva delle Fonti o di Gioa del Colle.  La gente sfollava lentamente; gli abitanti del centro storico verso la Iudeca, la Portapiccola, la Destra, la Misericordia,  quelli dei Croci lungo il tratto di strada tra la Santa Croce e l’Annunziata.  Tra quest’ultimi figuravo anch’io insieme ai miei genitori.
   A quei tempi la strada era più stretta di come si presenta adesso e, soprattutto, quasi completamente al buio. Tra la Santa Croce e la casa di Gelsomina  c’era una sola fioca lampadina e non c’erano nemmeno le luminarie. La gente diretta ai Croci camminava su due file parallele, una sul lato destro e l’altra su quello sinistro. Ad un tratto, proprio dalla curva nei pressi della casa di Gelsomina sbucò una macchina che con i fari rischiarò un po’ meglio la strada. Poi si udirono urli di gente terrorizzata sempre più intensi e sempre diversi, mentre la macchina procedeva a zig zag lungo la strada dirigendosi ora verso la fila di destra terrorizzando i malcapitati che si trovavano su quel lato che gridavano per lo spavento, ora, sbandando a sinistra verso l’altra fila provocando altro panico, altre grida di spavento e, contemporaneamente un respiro di sollievo di quelli che avevano oramai scampato il pericolo.
   Il terrore  si protrasse per una quarantina di secondi e intanto la macchina procedeva nel suo folle zig zag verso la Santa Croce, ma, una ventina di metri prima che raggiungesse la grande croce di ferro collocata all’entrata del paese nel 1905 a ricordo di una missione dei padri passionisti, si schiantò contro il muro della villa di Barracco con gran sollievo della gente ancora terrorizzata. Nello schianto si ruppero i fanali anteriori e si ammaccò il muso, mentre rimasero incredibilmente accese le luci posteriori.
     Tutti allora maledirono in cuor loro lo sciagurato autista per la bravata, nondimeno alcuni uomini accorsero per prestargli soccorso. Intanto i carabinieri che si trovavano davanti il forno Blaconà, uditi gli urli e lo schianto, accorsero per capire cos’era successo avvicinandosi anch’essi alla vettura per soccorrere il guidatore, ma quale fu la sorpresa di tutti quando constatarono che alla guida della Topolino non c’era anima viva! La cosa appariva davvero inspiegabile.  
     I carabinieri avviarono subito le indagini, ma solo due giorni dopo vennero a capo del mistero. L’automobile era di proprietà di un ignaro cittadino di San Giovanni che si trovava a Caccuri per la festa. Mentr’egli si godeva il concerto, un giovane, probabilmente in stato di ebbrezza, era riuscito a mettere in moto l’utilitaria e si era messo a scorrazzare alla periferia del paese,  poi aveva cercato di tornare verso il  centro per rimettere l’auto al suo posto, ma, evidentemente, resosi conto di non riuscire più a controllarla, si era catapultato fuori e, saltato il muretto della provinciale nei pressi dell’attuale Belvedere, si era rifugiato sulla Serra Grande.
    La brutta avventura dei caccuresi e il fatto che si fosse conclusa senza danni alle persone e con la sola ammaccatura della Topolino convinse la gente che si era trattato sicuramente di un miracolo di San Rocco la cui festa si celebrava proprio il giorno dopo e di miracolo si parlò per qualche anno, poi, come tante altre cose, il fatto cadde nel dimenticatoio.