Gesù e i ciucciari

di G. Marino


    Questa storia è ambientata nel tempo in cui Nostro Signore, seguito dagli apostoli, girovagava per il mondo nel suo titanico tentativo di redimerlo  (uno sforzo sovrumano e per questo affidato al figlio di Dio che,  però,  non sembra  abbia ancora prodotto i suoi frutti).
     Un giorno d’autunno, quando un pallido raggio di sole sbucò dalle nuvole che avevano appena scaricato per ore sulla terra acqua che Dio la mandava, Gesù, seguito dai suoi fedeli discepoli tra i quali l’inappuntabile Giuda, riprese il suo giro per il mondo in cerca di malati da guarire, morti da resuscitare, fichi da maledire. Il terreno era bagnato e in alcuni tratti i piedi vi affondavano profondamente facendo arrancare i suoi discepoli, mentr’egli, abituato a camminare sulle acque,  viaggiava sicuro e spedito su quella putrida fanghiglia.  Avevano percorso quasi un chilometro dalla grotta nella quale si erano rifugiati per ripararsi dall’acquazzone e Cristo rimproverava e spronava quei pigroni che lo seguivano sbuffando e imprecando,  quando, sbucando da dietro un cespuglio, videro davanti a loro, a un centinaio di metri di distanza,  due contadini, divisi  l’uno dall’altro una ventina di passi, accanto ai loro asini impantanati nella melma che non riuscivano a muovere un passo.
     
Quello rimasto più indietro sbuffava, smaniava, riempiva l’asino di improperi tirandolo per la cavezza e bestemmiava a tutto spiano con un calore, un trasporto e una fantasia da affascinare lo stesso Gesù che si fermò un po’ a osservarlo divertito da lontano: “Ahh, gridava l’ossesso, azatiiii, caminaaaa!, nesci  d’inta ‘stu pillacchjiu, maleritta bestia! Pozza jettatri ‘u sangu! ihh, botta i chjummu!” e giù sacramenti da far rizzare i capelli. Poi girava intorno all’asino, lo prendeva per la coda, cercava inutilmente di spingerlo,  tornava a tirarlo per la cavezza, ripeteva la sua sequela di improperi e se la prendeva con Cristo e con tutti i santi del paradiso a suo giudizio responsabili della faccenda. Quello più avanti, invece, un uomo mite e timorato di Dio, se ne stava inerte a pregare il Padreterno che desse al suo asino la forza di liberarsi da quella specie di trappola e, volgendo gli occhi supplichevoli al cielo, implorava: “Signuri, fa chi i ciucciu meu si liberi e torni sanu a la mea casa”  e recitava avemarie e paternostri e tutte le preghiere conosciute.
     Gesù Cristo, dopo aver osservato a lungo le due scenette, si avviò di buon passo, si avvicinò al bestemmiatore e gli disse cordialmente: “Tranquillo, amico, le tue disavventure sono finite; ci pensa Gesù Cristo a liberare il tuo asino dalla morsa del fango; tu vai davanti e tira con forza la cavezza" e, avvicinatosi all’asino,  lo accarezzò e lo benedisse, poi gli diede una leggera pacca sul groppone e il somaro, come d’incanto, uscì di slancio dal pantano rischiando di travolgere il padrone e s'avviò verso casa. 
     Il padrone, capito che aveva a che fare nientemeno che col figlio del Padreterno, uno che con un gesto delle dita poteva far sprofondare una montagna o far ritirare il mare, rimase inebetito e timoroso e non sapeva che fare e che dire. Cercò anche di mordersi la lingua per tutti quei sacramenti che si era lasciato sfuggire. Alla fine, rivolto a Gesù, tutto impacciato e balbettante  gli disse :”Grazie, grazie,  Signore, senza di voi non ce l’avrei mai fatta; resto obbligato; si ancuna vota aviti bisognu i mia  (parlava con un leggero accento riggitanu), sugnu sempri a vostra disposizioni; cummannati e eu mi fazzu a deci ppi vui” e, fatto un leggero inchino, si avviò dietro l’asino.
     Il secondo contadino, pio, devoto e implorante, assistendo al prodigio pensava: “Se Gesù ha fatto tanto per un bestemmiatore senza timore di Dio, un violento, un irascibile,  per me  che lo prego, lo imploro e lo lodo ogni minuto, farà molto di più” e aspettava fiducioso l’arrivo del Signore il quale gli passò vicino, lo salutò con un leggero inchino e continuò come se niente fosse  per la sua strada.
     
“Signore, Signore, prese a gridargli dietro il povero "ciucciaru", ma come, mi lasciate qui? Il mio asino è impantanato come quell’altro e non riesce a liberarsi e voi non mi date una mano? Non volete aiutarmi? Avete aiutato un bestemmiatore senza timore di Dio, uno che maledice tutti i santi del paradiso e non aiutate me che sono pio, devoto, che faccio celebrare una messa al mese a tutti i santi e che prego voi, vostro Padre e la Madonna in ogni occasione? Signore, aiutatemi, vi prego.”
     “Amico mio, gli rispose Gesù, tu forse ignori il detto popolare – aiutati che Dio ti aiuta. Ricorda sempre che la persona più adatta a risolvere i tuoi problemi sei tu stesso. Nessuno ti regalerà mai niente, nessuno muoverà mai un dito per te, nessuno garantirà i tuoi diritti se non sei in grado di reclamarli come faceva a suo modo il bestemmiatore bestemmiando, se non sarai capace di lottare,  di batterti, di non recriminare, ma di pretendere con forza il giusto. Pregare serve a poco se non sei capace di difenderti. Si te fa pecura ‘u lupu te mancia’. Ora tu spingi il tuo animale con tutta la forza che hai in corpo" . Detto questo Cristo si avvicinò all’asino mentre il contadino lo spingeva con tutte le sue forze, gli diede un leggero buffetto e quello partì a razzo mandando il suo indolente padrone bocconi nel fango.  “Che ti serva di lezione, disse Cristo rivolto al contadino, se tu non avessi mosso le tue rimostranze, se non avessi protestato con me, preteso quello che ritenevi giusto, il tuo asino sarebbe rimasto impantanato nella mota fino alla consumazione dei secoli”. Ciò detto scomparve repentinamente col suo seguito alla vista dello stupefatto contadino.

 

"E tu forsi chi hai ciunchi li vrazza,
oppuru ll'ha 'nchiovati com'a mmia?
Cu voli la giustizia si la fazza
 non speri ch'autru la fazza pe ttia.
Si tu si omu e non si testa pazza
metti a profittu 'sta sintenzia mia.
Jò non sarrìa supra sta cruciazza
s'avissi fattu quantu dicu a ttia!"

(Da  Un servu e un Cristu, 1857 di Lionardo Vigo, poeta siciliano)