Questa
storia è ambientata nel tempo in cui Nostro Signore, seguito dagli
apostoli, girovagava per il mondo nel suo titanico tentativo di
redimerlo (uno sforzo
sovrumano e per questo affidato al figlio di Dio che, però,
non
sembra abbia ancora prodotto i suoi frutti).
Un giorno d’autunno, quando un pallido raggio
di sole sbucò dalle nuvole che avevano appena scaricato per ore sulla terra acqua che Dio la mandava, Gesù, seguito dai suoi fedeli discepoli
tra i quali l’inappuntabile Giuda, riprese il suo giro per il mondo in
cerca di malati da guarire, morti da resuscitare, fichi da maledire. Il
terreno era bagnato e in alcuni tratti i piedi vi affondavano
profondamente facendo arrancare i suoi discepoli, mentr’egli, abituato
a camminare sulle acque, viaggiava
sicuro e spedito su quella putrida fanghiglia. Avevano percorso quasi un chilometro dalla
grotta nella quale si erano rifugiati per ripararsi dall’acquazzone e
Cristo rimproverava e spronava quei pigroni che lo seguivano sbuffando e
imprecando, quando, sbucando da dietro un cespuglio, videro
davanti a loro, a un centinaio di metri di distanza, due
contadini, divisi l’uno dall’altro una ventina di passi,
accanto ai loro asini impantanati nella melma che non riuscivano a
muovere un passo.
Quello rimasto più indietro
sbuffava, smaniava, riempiva l’asino di improperi tirandolo per la
cavezza e bestemmiava a tutto spiano con un calore, un trasporto e una
fantasia da affascinare lo stesso Gesù che si fermò un po’ a
osservarlo divertito da lontano: “Ahh, gridava l’ossesso, azatiiii,
caminaaaa!, nesci d’inta
‘stu pillacchjiu, maleritta bestia! Pozza jettatri ‘u sangu! ihh,
botta i chjummu!” e giù sacramenti da far rizzare i capelli. Poi
girava intorno all’asino, lo prendeva per la coda, cercava
inutilmente di spingerlo, tornava a tirarlo per la cavezza, ripeteva
la sua sequela di improperi e se la prendeva con Cristo e con tutti i
santi del paradiso a suo giudizio responsabili della faccenda. Quello
più avanti, invece, un uomo mite e
timorato di Dio, se ne stava inerte a pregare il Padreterno che desse al
suo asino la forza di liberarsi da quella specie di trappola e, volgendo
gli occhi supplichevoli al cielo, implorava: “Signuri, fa chi i ciucciu
meu si liberi e torni sanu a la mea casa”
e recitava avemarie e paternostri e tutte le preghiere
conosciute.
Gesù Cristo, dopo aver osservato a lungo le
due scenette, si avviò di buon passo, si avvicinò al bestemmiatore e
gli disse cordialmente: “Tranquillo, amico, le tue disavventure sono
finite; ci pensa Gesù Cristo a liberare il tuo asino dalla morsa del
fango; tu vai davanti e tira con forza la cavezza" e, avvicinatosi all’asino,
lo accarezzò e lo benedisse, poi
gli diede una leggera pacca sul groppone e il somaro, come d’incanto,
uscì di slancio dal pantano rischiando di travolgere il padrone e
s'avviò verso casa.
Il padrone, capito che aveva a che fare
nientemeno che col figlio del Padreterno, uno che con un gesto delle
dita poteva far sprofondare una montagna o far ritirare il mare, rimase
inebetito e timoroso e non sapeva che fare e che dire. Cercò anche di
mordersi la lingua per tutti quei sacramenti che si era lasciato
sfuggire. Alla fine, rivolto a Gesù, tutto impacciato e balbettante gli
disse :”Grazie, grazie, Signore,
senza di voi non ce l’avrei mai fatta; resto obbligato; si ancuna vota
aviti bisognu i mia (parlava con un leggero accento riggitanu),
sugnu sempri a vostra disposizioni; cummannati e eu mi fazzu a deci ppi vui” e, fatto un leggero
inchino, si avviò dietro l’asino.
Il secondo contadino, pio, devoto e implorante,
assistendo al prodigio pensava: “Se Gesù ha fatto tanto per un
bestemmiatore senza timore di Dio, un violento, un irascibile, per
me che lo prego, lo imploro
e lo lodo ogni minuto, farà molto di più” e aspettava fiducioso
l’arrivo del Signore il quale gli passò vicino, lo salutò con un
leggero inchino e continuò come se niente fosse per
la sua strada.
“Signore, Signore, prese a
gridargli dietro il povero "ciucciaru", ma come, mi lasciate qui? Il mio
asino è impantanato come quell’altro e non riesce a liberarsi e voi
non mi date una mano? Non volete aiutarmi? Avete aiutato un
bestemmiatore senza timore di Dio, uno che maledice tutti i santi del
paradiso e non aiutate me che sono pio, devoto, che faccio celebrare una
messa al mese a tutti i santi e che prego voi, vostro Padre e la Madonna
in ogni occasione? Signore, aiutatemi, vi prego.”
“Amico mio, gli rispose Gesù, tu forse
ignori il detto popolare – aiutati che Dio ti aiuta. Ricorda sempre
che la persona più adatta a risolvere i tuoi problemi sei tu stesso.
Nessuno ti regalerà mai niente, nessuno muoverà mai un dito per te,
nessuno garantirà i tuoi diritti se non sei in grado di reclamarli come
faceva a suo modo il bestemmiatore bestemmiando, se non sarai capace di
lottare, di batterti, di non
recriminare, ma di pretendere con forza il giusto. Pregare serve a poco
se non sei capace di difenderti. Si te fa pecura ‘u lupu te mancia’.
Ora tu spingi il tuo animale con tutta la forza che hai in corpo" .
Detto questo Cristo si avvicinò
all’asino mentre il contadino lo spingeva con tutte le sue forze, gli diede un leggero buffetto e quello partì a
razzo mandando il suo indolente padrone bocconi nel fango. “Che ti serva di lezione, disse Cristo rivolto al
contadino, se tu non
avessi mosso le tue rimostranze, se non avessi protestato con me,
preteso quello che ritenevi giusto, il
tuo asino sarebbe rimasto impantanato nella mota fino alla consumazione dei
secoli”. Ciò detto scomparve repentinamente col suo seguito alla vista dello
stupefatto contadino.
"E
tu forsi chi hai ciunchi li vrazza,
oppuru ll'ha 'nchiovati com'a mmia?
Cu voli la giustizia si la fazza
non speri ch'autru la fazza
pe ttia.
Si tu si omu e non si testa pazza
metti a profittu 'sta sintenzia mia.
Jò non sarrìa supra sta cruciazza
s'avissi fattu quantu dicu a ttia!"
(Da
Un
servu e un Cristu, 1857 di Lionardo
Vigo, poeta siciliano)
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