'U pullitru 'ntru ballu

 

                                              
               

   Mio padre, uomo semplice e di carattere mite, da giovane era capace di organizzare scherzi innocenti, ma irresistibili. Memorabile fu quello del “ciucciu ‘ntru ballu.”
   Prima che l’insana follia fascista ci trascinasse in una terribile guerra che fece strage di tanti poveri ragazzi mandati al macello sui fronti di mezzo mondo, lui, insieme ad altri giovani caccuresi come Primo Barone, Peppino Scigliano poi disperso in guerra e altri che sapevano strimpellare uno strumento, era solito organizzare balli nei vari rioni del paese. Caccuri a quei tempi, nonostante la miseria, la fame e gli stenti, o forse proprio per non pensare a queste cose che angustiavano la popolazione, era un paese edonista e i suoi abitanti avevano tanta voglia di divertirsi per cui non passava settimana che in uno dei tanti bassi del centro storico non si organizzasse una festa da ballo ('n abballu come si usa ancora oggi dire in dialetto). I suonatori di quella generazione erano sempre gli stessi; alcuni, come Primo Barone conoscevano anche la musica, altri, come mio padre, strimpellavano la chitarra, il mandolino o il violino a orecchio. Ricordo spesso da bambino che, vedendo papà suonare la chitarra, gli chiedevo inutilmente di insegnarmelo. Non ha voluto mai farlo, non so se per scarsa attitudine alla didattica oppure perché, non avendo nessuna conoscenza musicale da trasmettermi, non poteva insegnarmi quello che lui riusciva a fare solo in virtù di un talento innato di cui egli stesso ignorava l’origine. A volte osservandolo mentre con la chitarra accompagnava una canzone gli chiedevo quali fossero gli accordi e lui mi rispondeva di non saperne un bel niente.

                                              
Suonatori (papà in alto a sinsitra papà col violino)


     Nonostante questi gravi limiti oggettivi, era però molto ricercato come violinista (ovviamente non dai teatri italiani e nemmeno da chi organizzava le feste patronali) quando si organizzavano i balli, anche perché possedeva il raro dono dell’ironia e dell’auto ironia garbata con la quale riusciva a fare ridere di gusto gli amici. Una volta il compianto Biagio Cimino, amico e vicino di casa,  impiegato postale e bravo fisarmonicista che nel Vincolato intratteneva la ruga con la sua musica, a corto di idee sulla prosecuzione dello spettacolo, gli chiese: “Genù, chi canzuna facimu?” E mio padre senza riflettere un secondo, prontissimo: “ ‘A luna ‘ntru scifu” ( La luna nel truogolo) mescolando sapientemente in questo improbabile titolo, il famoso apologo della luna nel truogolo e una canzone di Testoni e Panzeri allora era molto in voga, “La luna nel rio” e facendo scoppiare i presenti in una fragorosa risata collettiva. Ma sto divagando troppo, veniamo al fatto.


Papà con la mandola fabbricata da lui stesso

  Una volta i soliti amici organizzarono un ballo in un basso del Pizzetto, uno di quei locali a piano terra con la menzaporta (Si si’ de Caccuri ‘e’ sapire chir’è la menzaporta, armenu chi ‘un teni menu ‘e cinquant’anni). Per quelli che non sono caccuresi dirò che la menzaporta  era una anti porta dell’altezza di circa un metro che di giorno, quando si lasciava la porta principale aperta, aveva il duplice scopo di impedire l’entrata di galline e altri animali da cortile che nei primi decenni dello scorso secolo razzolavano in libertà per le vie del paese e di consentire la fuoriuscita del fumo del caminetto dal locale (quasi sempre un monolocale senza nemmeno la finestra).
   Verso le sei di sera, quando il ballo era al culmine, il padrone di casa fece ritorno dalla campagna col suo asinello carico di legna e un puledrino nato da qualche settimana al seguito. Mentre il contadino era intento a scaricare dalla bestia la “sarma di legna” senza  badare al puledrino e i ballerini erano distratti dalle danze e dalla musica, mio padre, in un baleno, aprì la menzaporta, spinse all’interno il puledrino e la richiuse lestamente. Dopo qualche secondo le prime coppie cominciarono a inciampare nel puledro, qualcuna ruzzolò per terra, mentre in molti rimasero senza parole per la  strana situazione che si era venuta a creare. Intanto il puledro, incuriosito dalla fioca luce emanata da una lampadina a incandescenza alimentata dalla vecchia centralina del Lese, cercava ripetutamente di annusare l’oggetto misterioso.
   A un certo punto qualcuno chiese a voce alta: “Ma che succede?”, e mio padre prontamente: “Niente di particolare, tranquilli, c’è l’addetto alla manutenzione della rete elettrica che è venuto a fare un controllo.” Provate a immaginare la risata fragorosa che fece seguito alla battuta.