‘A notte e ra Patia

                                           

   E’ la sera di mercoledì 7 settembre 1932.  A Patia inizia la veglia di preghiera per la festa della Madonna dei Tre fanciulli che si celebra da secoli, da quando il monastero di Santa Maria Trium puerorum  apparteneva ancora ai padri basiliani che lo avevano fondato molti secoli prima.  Qualche secolo dopo la fondazione, però,  spogliato di molti possedimenti dalla donazione di Enrico VI  in favore di Gioacchino d Fiore,  l’antico cenobio finì nell’orbita dei Florensi che ne diventano proprietari. La donazione dell’imperatore svevo figlio del Barbarossa suscitò le giuste ire dei monaci basiliani e dei caccuresi e da allora tra Caccuresi e Sangiovannessi non corse mai buon sangue.  Comunque  la notte del 7 settembre che precedeva il giorno della festa della “Madonna della Patia” , oltre ai Caccuresi, da sempre si ritrovavano  nella contrada, a due miglia dall’abitato di Caccuri, anche numerosi sangiovannesi. A questo punto, era fatale che tra i Caccuresi, che si sentivano ancora vittime dell’antica  spoliazione e i Sangiovannesi, ritenuti gli usurpatori, nascesse una rivalità che si protrasse nei secoli  futuri e che, nella notte di veglia, sfociava in ripetute violenze. Si racconta che una volta, un pastore caccurese, Peppino Foglia, circondato da un nugolo di Sangiovannesi alticci che volevano pestarlo si difese con il suo bastone da pastore ( ‘a mazzola) stendendo al primo colpo l’aggressore più vicino,  quindi si rivolse agli altri dicendo loro: “Unu, sutta ‘n’ atru!”[1], al che i coraggiosi Sangiovannesi tagliarono lestamente la corda.

Anche, quella notte del ’32, scoppiò una gigantesca rissa che passò alla storia come “ ‘A notte ‘e ra Patia.” Tutto nacque da una serenata. Ecco cosa successe secondo il racconto che ci è stato tramandato.
   Antonio  è fidanzato con Barbara.  La ragazza, con i familiari, è a Patia per la veglia e il giovane decide di raggiungerla, assieme ad un gruppo di amici, per stare insieme e dedicarle una serenata. Due,  fratelli  Pietro  e Rocco sono bravi suonatori; Pietro suona il mandolino, Rocco la chitarra. E’ a loro che il giovane Antonio si rivolge per la serenata alla fidanzata; a loro, a Giuseppe, un altro giovane, suonatore di chitarra e a Giovanni che suona uno strumento a fiato. Il gruppo si porta a Patia ed inizia la serenata. Mentre suonano un sangiovannese comincia a criticare rumorosamente l’esibizione di Pietro, ripetendo, diverse volte, e a voce alta, che il mandolino fa pietà. Il caccurese non reagisce subito, ma porta a termine la serenata. Subito dopo si avvicina al contestatore e, porgendogli il mandolino, lo invita a suonare un po’ lui per poter apprezzare la sua bravura. Preso di petto, il sangiovannese dichiara di non sapere suonare il mandolino, ma continua ad esprimere apprezzamenti pesanti nei confronti dell’esibizione del caccurese che reagisce con un pugno che manda il malcapitato a ruzzolare qualche metro più il là. E’ la scintilla che innesca l’incendio. Sangiovannesi da una parte e Caccuresi dall’altro ingaggiano una gigantesca zuffa. Volano pugni, calci, bastonate, sassate. Rocco è, intanto entrato nella chiesa dove qualcuno lo raggiunge per avvisarlo che suo fratello è impegnato in una rissa con i Sangiovannesi.  Imprecando, esce sul sagrato ma, un milite della milizia fascista di San Giovanni in Fiore, udito che la lite coinvolgeva il fratello di Rocco, comincia ad inveire contro lo stesso e contro i Caccuresi, col risultato di venire investito in pieno da un tremendo pugno del giovane che lo scaraventava in un vicino crepaccio. Poco dopo, i carabinieri di San Giovanni in Fiore, che stazionano a qualche centinaio di metri, prontamente avvisati, accorrono sul luogo a sedare la rissa. Intanto qualcuno corre a Caccuri ad avvisare i compaesani e i carabinieri del vicino paese,  della rissa, La notizia arriva alle orecchie dei fratelli P., che, nel clima di festa,  forse avevano ecceduto con le libagioni i quali, dopo un breve consiglio, decidono che bisogna accorrere in soccorso degli amici, fra l'altro loro clienti. Così prendono decisamente la via di Patia salendo per Munnello verso san Nicola. In questa località si accorgono di essere seguiti dai carabinieri e ritenendo che i militari ce l’abbiano con loro, si appostano dietro alcuni massi e li aggrediscono pestandoli selvaggiamente. Fortunatamente qualcuno corre a Patia ad avvisare i carabinieri di San Giovanni che, intanto, sedata la rissa che era scoppiata nei pressi della chiesa e che è conclusa senza gravi conseguenze, accorrono in aiuto dei loro commilitoni. Dopo una vera e propria battaglia i militi riescono ad avere ragione dei focosi fratelli,  ad ammanettarli e a trascinarli a Caccuri dove vengono rinchiusi nelle celle di sicurezza per poi essere trasferiti nelle carceri vicine. Al processo furono condannati a diversi mesi di carcere,   cosa che scoraggiò i probabili emuli. Da allora, la tradizionale rivalità tra gli abitanti dei due paesi vicini fu tenuta a freno, senza sfociare in ulteriori violenza, ma quella notte è ricordata ancora oggi come “ ‘ A notte ‘e ra Patia”, allocuzione che sta a  significare un evento terribile da evitare a tutti i costi.

[1] E’ uno, si faccia sotto un altro!