A Rrina caccurise |
Il
colpo d’occhio era eccezionale; Era
il 31 dicembre del 1834 e tutti aspettavano con ansia la mezzanotte,
quando l’anno vecchio avrebbe ceduto il passo a quello nuovo.
Nonostante il freddo tremendo, anche questa volta, gli “Rrinari”
avrebbero cantato, come sempre, “ ‘A rrina” (2) per le strade del
paese. Per nessuna ragione al mondo il gruppo dei vecchi musicanti
avrebbe rinunciato a questa antichissima tradizione di una serenata
augurale che si concludeva in una delle tante case del paese con una
mangiata di ruselle,(3) pitte ’mpigliate, pizzulioni, fritti(4) e con
un buon bicchiere di vino. Quest’anno, poi, l’attesa era
particolarmente spasmodica perché uno degli “rrinari”, Severiu
“’u scritture”, con fare misterioso, aveva annunciato una grande
novità e anche gli altri amici, zu Domenico, zu Salvatore Ciccantone e
altri, ammiccavano, senza sbilanciarsi, lasciando che la curiosità dei
Caccuresi aumentasse febbrilmente. Alle
quattro di sera nei “catoi” (5) era già buio da un pezzo e i
“cirogiuli” (6), i lumi a petrolio e le scheggie di “rera” (7)
in quelli più poveri, tentavano, con scarso successo, di rischiarare
l’ambiente con le loro deboli fiammelle. Nell’aria gelida l’odore
dei fritti si spandeva per Verso
le undici di sera il gruppo degli “rrinari” uscì da un “catoio”
della Portapicola, sali per Gli
“rrinari” accordarono gli strumenti, si schiarirono la gola e,
all’improvviso, le note di un ritornello bellissimo, avvolgente, fin
ora sconosciuto, uscirono da uno strumento nuovo di zecca che nessuno
aveva mai visto e che Saverio disse, in seguito, chiamarsi fisarmonica.
Fino ad allora i Caccuresi avevano sempre cantato “ ‘a rrina
cosentina” sulle note di un valzer lento un po’ malinconico che si
ripeteva noioso come una nenia , ma ora, ascoltavano estasiati, per la
prima volta, un ritmo nuovo avvolgente, che invitava mandolino e violino
a sbizzarrirsi e il basso a contrappuntare la bellissima melodia. Anche
il testo era completamente nuovo, almeno nelle parti ripetute e, quando
i cantatori attaccarono la strofa “Guardatila, guardatila, mo vena,
vena cumu ‘na nobile regina; a una manu porta la jacchera (9) e a
l’atra manu la galante rrina “ gli occhi degli astanti si riempirono
di lacrime. Ancora qualche verso, poi gli “rrinari “intonarono:“ E
ne scusati si lu cantu e pocu, c’avimu ‘e jire a cantare ad autru
locu” chiusero la serenata. Allora scoppiò un applauso
fragoroso e gli “rrinari” furono sommersi da abbracci e baci che
riscaldarono la gelida notte caccurese. Quella
notte si suonò fino al mattino incuranti del freddo e del gelo e i
Caccuresi diedero fondo alle pitte, ai fritti, ai pizzulioni e alla
provvista di castagne e le “rusellare” divennero roventi. Era nata
“ ‘A rrina caccurise”. 1)
pezzi di legna da ardere 2)
Strenna, serenata augurale 3)
Caldarroste 4)
Zeppole 5)
Bassi, tuguri a piano terra 6)
Steariche 7)
Resina di pino 8)
Arco, portico 9)
Fiaccola
1 script type="text/javascript" language="javascript">var zstpagid =82;var zstROI = 1;< 2 http://s5.histats.com/stats/r.php?371533&100&81&urlr=&www.webalice.it/giuseppe.marino50/Raccon/Rrina. |