La lupa

    La visita al parco era quasi alla fine. Mentre scavalcavo un ponticello di legno su uno dei tanti rigagnoli che attraversavano il meraviglioso bosco di pini e abeti pensavo che, finalmente, tra poco, mi sarei riposato. I piedi mi dolevano per il lungo camminare, le gambe facevano oramai fatica a sostenere il peso del corpo e la maglietta mi si era appiccicata alle carni madide di sudore. Da parecchio tempo avevo sorbito anche l’ultima stilla di acqua dalla borraccia che mi portavo appresso e l’arsura contribuiva a rendermi nervoso e a desiderare con impazienza la fine della escursione. Oramai era questione  di pochi minuti; restava da visitare solo il recinto dei lupi, ancora un ultimo sforzo poi avremmo raggiunto lo spaccio del parco dove mi sarei dissetato, magari con una bella birra fresca,  avrei forse sorbito un gelato e mi sarei riposato.
   Seguendo la guida che si attardava a dare ulteriori informazioni ai soliti curiosi del gruppo, svoltai ad una curva del sentiero, sbucai in una vasta radura e mi ritrovai, con tutti gli altri, davanti ad una palizzata. Misi l’occhio ad una delle tante feritoie dalle quali era possibile osservare gli animali senza disturbarli e mi posi in osservazione. La mia attenzione fu attratta da un particolare raccapricciante; ad una decina di metri di distanza una vecchia lercia, laida, cenciosa, con i capelli bianchi arruffati e unti, seduta per terra, teneva sul grembo la testa di un vecchio lupo spelacchiato, denutrito,  e oramai prossimo alla fine cercando di fargli sorbire, non so con quanto successo, latte da una tettarella. La vecchia e il lupo erano in condizioni miserevoli; la belva per l’età avanzata e la cecità che lo affliggeva,  la vegliarda per l’evidente stato di degrado che testimoniava di una vita da bestia insieme alle bestie, tanto che era veramente difficile scorgere, in quel fagotto cencioso e lurido, un barlume di umanità.
    Turbato da quello spettacolo e dallo stato pietoso di quei due poveri esseri, chiesi alla guida qualche notizia sulla identità della vecchia e sul perché si fosse ridotta in quelle tristi condizioni ed egli, molto cortesemente, mi raccontò una lunga storia.  Appresi così che la vecchia, che tutti chiamavano “ La  Lupa ”, aveva scelto di condividere la vita selvaggia e bestiale dei lupi per riparare, in qualche modo, ad un gravissimo torto, ad un orrendo senso di  colpa che gravava sulla sua coscienza. Ella, infatti, era corresponsabile dello sterminio dei lupi, di una caccia spietata e feroce di cui, a seguito delle sue calunnie,  furono oggetto i poveri canìdi.  Per questo, molti  anni prima, aveva raccolto un povero cucciolo orfano dei genitori uccisi  dai cacciatori su sua istigazione e che, all’oscuro delle colpe dell’allora fanciulla, vagando disperatamente  nel bosco, s’ imbatté proprio nella responsabile delle sue sciagure. L’incontro con la bestiola affamata e indifesa  mutò il corso della vita della malvagia ragazza che, oppressa dal rimorso, si pentì delle sue colpe  decise di condividere la vita dura e difficile di quegli sfortunati animali  e si dedicò ad assistere le belve  fino a ridursi in quello stato. Tutto perché, in una radiosa giornata di fine inverno,  la fanciulla, avvolta in un montgomery rosso col cappuccio,  non sapendo resistere alla tentazione di divorare la gustosa focaccia che la madre le aveva affidato per portarla alla nonna, s’era inventata la storia di un terribile lupo che gliela  aveva rubata, voleva divorarla e che aveva divorato anche la nonna istigando un cacciatore ad uccidere l’incolpevole lupo e a dare la caccia a tutti le bestie  della sua razza.  Che pena provai alla fine della storia! Povera Capuccetto rosso, com’era ridotta! E proprio vero, mai che una favola finisca davvero con le parole ..” e vissero felici e contenti.!!!!!

 
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