L’agguato di San Biagio
Erano
lì da alcune ore da quando in paese si era sparsa rapidamente la notizia
dell’ultima, efferata strage di alcuni pastori di Tenimento che erano stati
attaccati e depredati, la sera prima, da una banda di masnadieri. Le modalità
dell’impresa e la crudeltà mostrata dai briganti non lasciavano dubbi: si
trattava, quasi sicuramente, della banda di Zirricu, il crudele fuorilegge che
infestava la zona.
Da
molto tempo si sapeva che la feroce accozzaglia di briganti trovava rifugio nel
bosco di Eydo, ma, nonostante numerose battute, non si era mai riusciti a
intercettare e sgominare la banda, anche perché i fuorilegge conoscevano a
menadito la zona e potevano contare su una fitta rete di informatori e complici
che, all’occorrenza, li metteva a conoscenza delle mosse dei gendarmi.
Questa volta, però, contando sul fatto che la notizia dell’ultima
bravata era giunta in paese in un baleno e che i banditi non potevano esserne a
conoscenza, i gendarmi pensarono di cogliere di sorpresa i criminali.
Sicuramente, per raggiungere il bosco di Eydo e mettersi al sicuro Zirricu e
soci avrebbero percorso quel sentiero e, dunque, sarebbe stato facile tendere loro un agguato proprio a San
Biagio.
Ed
ecco all’alba spuntare giù in fondo, a mezza costa, la comitiva dei briganti
armati fino ai denti e carica di bottino. Avanzavano lentamente per la
stanchezza e per il peso delle ruberie che si trascinavano dietro sicuri, anche
questa volta, di farla franca.
I
gendarmi trattennero il fiato, puntarono gli schioppi e si preparano ad
accoglierli a fucilate. Attesero
qualche minuto: ancora pochi metri e i criminali sarebbero stati a tiro. Poche
schioppettate sarebbero state sufficienti a porre fine alla carriera di uno dei
più spietati criminali che aveva terrorizzato le nostre contrade e della sua
feroce combriccola. Era orami questione di attimi.
All’improvviso,
quando tutti trattenevano il fiato e le dita sui grilletti erano pervase da uno
strano formicolio, uno starnuto ruppe quel silenzio irreale e dal fucile del
malcapitato gendarme partì accidentalmente un colpo. Colti alla sprovvista
tutti gli altri scaricarono le loro armi in direzione del gruppo di briganti che
si gettarono lestamente a terra. Fu questione di un secondo, poi i bricconi si
levarono prestamente e si diedero ad una fuga precipitosa lungo il pendio verso
Campanelli. I gendarmi si gettarono all’inseguimento, ma era oramai chiaro
che, almeno il grosso della banda l’avrebbe fatta franca.
Mentre
tutti correvano a precipizio lungo la scarpata, uno dei gaglioffi inciampò,
cadde a terra, urlò di dolore. Cercò di rialzarsi, ma ricadde: si era
fratturato una gamba. In quelle condizioni sarebbe certamente caduto in mano dei
gendarmi che lo avrebbero torturato, fatto cantare, rivelare il nascondiglio
della banda. Si vide allora il terribile Zirricu tornare indietro
precipitosamente armato di una grossa scure. Si avvicinò al malcapitato
compagno che implorava aiuto e, con un colpo netto, gli recise il capo. Poi
afferrò il macabro trofeo, lo infilò lestamente in un sacco e se la diede a
gambe sotto gli occhi attoniti e atterriti dei gendarmi.
Qualche
tempo dopo il suo stesso capo, troncato dalla mannaia di un compare fellone
passato dalla parte della legge, venne esposto per due giorni su un cippo in
piazza Umberto a monito per la popolazione.
Giuseppe
Marino
Il racconto è la ricostruzione romanzata di un fatto di cronaca riferito dalla tradizione orale.